Vedi COPIE e COPISTI dell'anno: 1959 - 1994
COPIE e COPISTI (ν. vol. Il, p. 804)
Il fenomeno della riproduzione consapevole di una invenzione figurativa più antica, nella pittura come nella scultura, nella toreutica o nell'architettura, è presente, con varia intensità e ampiezza di diffusione, sia nella cultura artistica greca che in quella romana: in alcuni casi, come nella toreutica e nella bronzistica, è favorito dagli stessi meccanismi tecnici del processo produttivo; in altri, come nell'architettura, da intenti rievocativi o necessità cultuali; in altri ancora, come nelle creazioni della scultura e della pittura, da consuetudini devozionali e cultuali, o, assai più spesso, dalle richieste di un vero e proprio mercato d'arte.
In quest'ultimo senso il fenomeno assume particolare rilevanza in età romana, in funzione della decorazione pittorica o musiva degli interni, e, soprattutto, dell'arredo scultoreo di complessi architettonici pubblici o residenziali. Su quest'ultimo aspetto, quello della riproduzione seriale di creazioni della plastica greca, si è in particolare soffermato l'interesse della ricerca archeologica ancora negli ultimi decenni.
Dal 1929, quando la Typenforschung ebbe una sua limpida e, per il momento, funzionale definizione da parte del Lippold, la ricerca nel campo della produzione scultorea di età romana volta alla riproduzione della grande plastica greca ha registrato notevoli progressi nel senso di un affinamento metodologico, come nell'indagine dei progressi tecnici, dei criteri di articolazione cronologica, dei centri produttivi, dei nessi programmatici e dei condizionamenti della committenza che investono il fenomeno.
Da un punto di vista metodologico si è innanzi tutto cercato di arricchire la terminologia da tempo entrata nell'uso per definire la varia casistica offerta dalla produzione di copie in età romana, precisandone gli spazi e le modalità di applicazione. In ciò ha soprattutto influito l'esigenza, sempre più decisamente avvertita, di recuperare a una consapevole indagine storica quegli ampi settori della produzione scultorea che, distaccandosi dalla supina riproduzione dell'immanente insegnamento della plastica greca, cadeva al di fuori dei confini propri della Typenforschung e alla quale veniva quindi a essere negato un intrinseco motivo di interesse.
Così, accanto ai termini di «copia» (Kopie), nel senso di riproduzione intenzionale e fedele di un originale scultoreo, inteso quindi come «modello» (Vorbild)·, di «repliche» (Repliken, Wiederholungen), intese come riproduzioni simili, concorrenti a definire un «tipo» statuario (Typus)·, di «variante» (Variante), per indicare la riproduzione di un tipo, alterato dal copista in uno o più elementi non determinanti, si è manifestata la necessità di precisare le categorie di Umbildung («trasformazione»), come risultato di un processo di modifiche attuate su un tipo, tale da giungere a una nuova formulazione, che non ne impedisca comunque l'immediato riconoscimento, e di Neubildung («riformazione») o Neuschöpfung («ricreazione»), per indicare la coerente invenzione di un tipo statuario nuovo, sia pure creato nella consapevolezza di determinate preesistenti formulazioni statuarie.
È chiaro quindi che la Umbildung e, ancor più decisamente, la Neuschöpfung costituiscono gli spazi nei quali si esercita l'autonomia dello scultore di età romana e la sua originalità: quest'ultima è da intendersi sempre, ovviamente, come condizionata dalla inevitabile educazione alla tradizione formale del passato. È chiaro ancora come una Neuschöpfung può costituire a sua volta un Vorbild, attivando situazioni analoghe a quelle previste per la produzione copistica di ispirazione greca. Poiché, peraltro, la casistica offerta dalla libera creatività delle botteghe di scultura di età romana appare assai varia, e non sempre riconducibile ai termini e alle situazioni previste dalla Typenforschung tradizionale, si è determinata la necessità di definire ancora nuove categorie e introdurre nuovi termini che consentano una sistematizzazione, sia pure in una dimensione più ampiamente comprensiva, di un materiale altrimenti non riconducibile globalmente a una significativa percezione storica.
A questo scopo si è proposto di introdurre il concetto di Grundtypus per definire l'insieme di alcuni elementi, combinati in una formula fissa, che viene utilizzato per dare forma anche a singole componenti di una creazione statuaria (viso, corpo, panneggio, ecc.). L'individuazione dei ricorrenti Grundtypen usati dallo scultore romano, anche al servizio di soggetti diversi e delle modalità con cui essi vengono combinati, sulla base di una sensibilità condizionata dall'insegnamento della plastica greca, fornisce una prima possibilità di approccio al processo inventivo dell'artista e di valutazione della sua originalità creativa.
Contemporaneamente si è cercato di precisare il significato degli atteggiamenti così definiti, ricorrendo alla terminologia e alla casistica offerta, per la retorica, dagli stessi scrittori latini. In questo senso il livello rappresentato dalla copia precisa, o comunque tendenzialmente fedele, appare coincidente con quello della interpretatio, che richiederà diligentia e accuratio; la Umbildung, che «riscrive» il modello, introducendovi nuovi elementi con una consapevole volontà di modifica, coincide con la imitatio·, la Neuschöpfung, la libera reinvenzione che contamina coerentemente suggestioni formali disparate, mettendo a frutto la compiuta assimilazione di un insegnamento secolare, rappresenta, nella scultura, ciò che nella scrittura è Yaemulatio. D'altro canto si è rivelato necessario ripensare in parte anche le modalità di applicazione dei concetti tradizionali della Typenforschung, soprattutto in seguito ai progressi avvenuti nel campo, strettamente finitimo, della Meisterforschung.
Ricerche recenti hanno infatti chiarito come la riproduzione di un'opera scultorea sia fenomeno già ampiamente presente nella stessa età classica. Ciò vale innanzitutto nel caso di figure complementari, funzionali alla decorazione, p.es., di un monumento (si pensi al caso dei monumenti fùnebri attici del IV sec., alle Cariatidi dell'Eretteo); o in quello di opere minori, come rilievi funerari, votivi, ecc., che possono essere replicati per motivi commerciali, cultuali, o altro (si veda il doppio rilievo dell’Asklepièion di Atene); o di immagini di culto, che trovano immediata riproduzione non solo nei rilievi votivi, ma nella statuaria stessa (si pensi alle statuette Grimani, provenienti da un santuario cretese). Ma la prassi della riproduzione di un «originale» è contemplata anche nel processo creativo dei grandi maestri della tradizione classica.
Una invenzione primaria, p.es. in bronzo, può essere infatti riformulata in marmo (si pensi al caso all’Afrodite tipo «Olympia» dall'Acropoli); una immagine di culto, creata per un santuario, può essere ripetuta per un altro, a esso collegato (si pensi al caso dtWAfrodite tipo «Daphni»), ecc. Gruppi scultorei, donarì, possono essere replicati in sedi diverse, eventualmente in materiali diversi, così come sappiamo essersi verificato, p.es., nel caso del Donario di Daochos a Delfi e a Farsalo, o in quello della Nike di Paionios a Delfi e Olimpia. In questo senso estremamente significativo, pur nella sua eccezionalità, è il caso del «rifacimento» del gruppo dei Tirannicidi; anche se le notizie offerte dalle fonti non hanno ancora trovato una spiegazione definitiva in rapporto alla tradizione copistica nota.
L'eventualità che una invenzione formale, già nel V sec. a.C., possa essere immediatamente riutilizzata, sia pure parzialmente o con varianti, per ulteriori creazioni, anche di soggetto indipendente, nell'ambito della stessa bottega, apre la possibilità che varianti, o filoni paralleli, individuati nella tradizione copistica, possano essere ricondotti a una duplicità di modelli antichi, quindi a Werkstattkopien (o Werkstattwiederholungen), piuttosto che a interventi delle botteghe romane. È chiaro come l'accettazione, in linea di principio, della possibilità di riproduzione della creazione artistica anche in età classica, comporti di necessità una revisione del quadro delle conoscenze sulla copistica di età romana, così come finora sistematizzato, e della sua utilizzazione ai fini della Meisterforschung.
Non è senza significato del resto che questa abbia rivelato, in tempi recenti, di avere esaurito le sue possibilità di applicazione, rimanendo impotente di fronte ad alcuni nodi attributivi ormai inestricabili (si pensi al caso Kalamis; o anche alla sola «Sosandra»), dovendo talvolta rinnegare acquisizioni soffertamente raggiunte (p.es., la presunta «Alcmena»), Ed è facile constatare come gli unici progressi affidabili, in questo settore, siano stati conseguenza di nuovi, fortunati rinvenimenti, sia di materiale scultoreo (i bronzi del Pireo; i frammenti del tipo Supplice Barberini dall'Acropoli), sia di documenti scritti (p.es. le basi da Ostia con le firme di Lysikles, Phyromachos e Phradmon). Ma è ugualmente significativo che degli originali di eccezionale rilevanza, quali i Bronzi di Riace (v.), non abbiano ancora trovato una interpretazione univoca, né sul piano formale come neppure su quello esegetico, mentre lo sforzo di ricollegarli alla tradizione copistica nota non ha dato sinora risultati unanimemente accettati.
Si profila pertanto la necessità di una revisione dei metodi d'indagine della copistica di età romana e di una sua preliminare comprensione come fenomeno artistico autonomo, in primo luogo anzi come semplice fenomeno produttivo. È evidente che solo al termine di un lungo e complesso lavoro di articolazione cronologica del materiale, di individuazione dei centri e delle botteghe impegnate nel processo, di analisi dei repertori iconografici da queste utilizzati e dei procedimenti tecnici adottati nella duplicazione e nella diffusione dei modelli, di riflessione sulle esigenze e le motivazioni della committenza, sarà possibile riaffrontare su più solide basi il quesito del rapporto tra i tipi individuati e i rispettivi modelli, quindi del significato e della identità di questi ultimi.
A questo scopo la ricerca si sta muovendo già lungo filoni complementari, analizzando materiali e tecniche di lavorazione, cercando di definire criteri cronologici oggettivi, tentando di ricomporre complessi decorativi e analizzarne le implicazioni programmatiche, proponendo la ricostruzione di centri o botteghe, individuati con metodo attribuzionistico o mediante più solidi dati epigrafici, di materiale, o di provenienza.
Materiali. - Un'attenzione crescente è stata rivolta all'impiego dei materiali usati, come possibile elemento utile a identificare le consuetudini tecniche di una bottega e a circoscriverne gli spazi di intervento. In questo senso di più immediata utilità si è rivelato lo studio delle produzioni in marmo colorato.
Una definizione preliminare ha avuto il gruppo delle sculture in basalto (scisto verde del Wādī Ḥammamat; diabase), opera di artigiani che mutuano la scelta del materiale e le tecniche di lavorazione da una tradizione risalente all'età faraonica, ponendosi ora al servizio della clientela romana e adottando nuovi modelli. Questi sono all'inizio principalmente desunti dalla plastica greca del V sec. a.C., con l'aggiunta, in età flavia, di prototipi di ambiente ellenistico (Eracle e Dioniso di Parma); i termini cronologici, offerti per ora dalla serie ritrattistica creata nell'ambito delle medesime botteghe, sono compresi tra l'età augustea e quella di Adriano. Il fatto che la produzione di ritratti sia riservata ai tipi imperiali (con la sola eccezione del c.d. Scipione) pone il problema, così come nel caso del porfido, di un possibile controllo imperiale sulle cave del materiale, sulla sua lavorazione e sulla utilizzazione dei prodotti finiti.
Nel momento in cui si esaurisce la produzione delle repliche in basalto, a partire quindi dall'età adrianea, sembra affermarsi una produzione di sculture in marmo, ugualmente nero, ma di diversa provenienza (c.d. bigio morato) e dipendente anche da un diverso orizzonte formale, quello della plastica ellenistica di ambiente rodio o microasiatico. Esempi appariscenti di questo filone sono i Centauri da Villa Adriana, firmati da artisti di Afrodisiade; le quattro statue (Asclepio, Zeus, Satiro che si guarda la coda, un Atleta) dalla villa imperiale di Anzio, pertinenti probabilmente alla sua ristrutturazione intorno alla metà del II sec. d.C. A partire dall'età adrianea e fino ai primi decenni del III sec. d.C. sono realizzate in questo marmo, come anche in una qualità scadente di pietra basaltica (Niobidi di Villa Adriana)^ repliche da tipi ellenistici di Fortuna o Vittorie. Caratteristico di quest'ultimo gruppo di sculture è l'impiego del marmo bianco per le parti nude; la stessa tecnica mista compare, significativamente, in sculture di orizzonte microasiatico (una Danzatrice a Side; un gruppo di Ifigenia e la cerva a Samo) e ad Afrodisiade stessa.
Il marmo rosso del Tenaro, il c.d. rosso antico, è utilizzato, forse in un numero ristretto di officine, per produrre sculture decorative, rilievi e copie di soggetti principalmente collegati con tematiche dionisiache e con creazioni di età ellenistica; l'affinità tecnica e formale di alcuni dei prodotti migliori, come p.es. il Fauno rosso del Museo Capitolino, con le sculture firmate da Aristeas e Papias, pone il problema di un eventuale rapporto di questo filone con l'attività degli scultori di Afrodisiade. Nessun rilevante esemplare scultoreo di questa produzione è stato sinora datato con sicurezza in età anteriore a quella adrianea.
In ambedue i casi, sia quello delle sculture in bigio morato, sia quello delle sculture in rosso antico, i prodotti migliori provengono da complessi di pertinenza imperiale, lasciando intravedere un collegamento preferenziale, se non esclusivo, con quésto tipo di committenza.
A partire dall'età augustea (Barbari dall'attico della Basilica Emilia) il marmo frigio, o pavonazzetto, viene utilizzato per una caratteristica serie di soggetti, collegati da un punto di vista tematico o formale con l'ambiente orientale: figure di Barbari prigionieri, Ganimede (dalla villa di Sperlonga), oltre al Marsia del tipo rosso. Il tipo del Barbaro prigioniero (una «Neuschöpfung» romana) trova la sua più clamorosa e forse ultima utilizzazione nel complesso del foro traianeo; il rinvenimento di una replica non finita nelle cave stesse pone il problema della localizzazione del centro primario di produzione; a Roma potevano essere eseguiti i completamenti in marmo bianco per le parti nude del corpo e la finitura del pezzo. Poco più tardi il marmo frigio è ancora scelto per i gruppi di Scilla di Villa Adriana, con risultati virtuosistici analoghi a quelli del Marsia.
La difficoltà di una immediata individuazione della provenienza del materiale in presenza di marmi bianchi ha reso più difficile l'utilizzazione di tale dato nella maggior parte dei casi offerti dalla produzione copistica. Solo in tempi recenti si sono avviati progetti sistematici di analisi isotopiche e microcristalline dei marmi bianchi, e la scarsità dei dati, insieme ai problemi connessi con la loro valutazione, rende ancora prematura una sintesi in questo settore. A qualche più affidabile situazione specifica si farà cenno più oltre.
Tecnica. - Il rinvenimento, di eccezionale importanza per la comprensione dei processi produttivi delle copie in età romana, di circa quattrocento frammenti di calchi in gesso, scaricati in un ambiente sotterraneo del complesso residenziale di Baia e provenienti da un atelier operante nelle immediate vicinanze e in stretto collegamento con il complesso stesso, ha permesso di verificare una serie di dati relativi alla esecuzione materiale delle sculture stesse.
Appare chiaro come all'origine delle repliche più fedeli è il calco direttamente tratto dall'originale, in questo caso quindi da intendersi in bronzo. I calchi di Baia rivelano gli accorgimenti necessari per la protezione della scultura, al momento dell'esecuzione della matrice: smontaggio delle parti applicate, più difficili da riprodurre; protezione con cera o pece degli elementi più fragili (le ciglia); riempitivi nelle cavità (delle mani, del panneggio, sotto i piedi, ecc.) per semplificare l'estrazione della matrice. Alcuni di questi accorgimenti condizionano l'esecuzione di parti secondarie della replica in marmo. I calchi erano eseguiti in pezzi smontabili, per facilitarne il trasporto e la conservazione; al momento del bisogno potevano essere tratti dal magazzino e rimontati nella bottega per il meccanico trasferimento delle misure sul marmo. Il confronto diretto dei calchi con alcune repliche in marmo ha permesso di riscontrare un aumento dei volumi, in particolare degli arti inferiori, nelle immagini nude. Se questa caratteristica dovesse dimostrarsi elemento costante nella riproduzione in marmo, dovrebbe essere in parte corretta l'immagine della formulazione del nudo finora supposta per gli originali in bronzo.
Si comprende quindi come il possesso di un calco primario costituisca, per la bottega, una garanzia di qualità; possesso che si può supporre in qualche caso, o almeno in una fase iniziale, esclusivo, e quindi elemento di vantaggio da un punto di vista concorrenziale. Una copia marmorea di cattiva qualità, debole e imprecisa nella resa dei particolari, è probabilmente tale in quanto derivante da un calco cattivo, invecchiato, o addirittura da un calco secondario, derivato p.es. a sua volta da una copia in marmo. La possibilità che un calco circoli, entro determinati ambiti, spiega la frequenza di certi soggetti in aree collegate, anche se talvolta distanti.
Una interessante serie di sculture in terracotta, probabilmente databili verso l'età augustea, rinvenute in stato frammentario in un ambiente della Domus Transitoria, costituisce una rara testimonianza di una coroplastica copistica della quale si avevano finora scarsi esempi (p.es. la copia del grande rilievo di Eleusi al Museo Nazionale Romano; il Polifemo da Cesarano Romano?). Le sculture sono ricollegabili forse ai proplàsmata ricordati dalle fonti a proposito di Arkesilaos; l'atteggiamento imitativo, più che copistico in senso stretto, richiama modi attribuiti alla bottega di Pasiteles.
Per ciò che concerne la materiale esecuzione delle repliche in marmo, una speciale attenzione è stata dedicata allo studio di esemplari non finiti, analizzando fasi di lavorazione e strumenti impiegati. In particolare si è cercato di definire il significato e le modalità d'uso del trapano c.d. corrente, dato che la sua presenza, peraltro ricorrente in epoche diverse e con modi peculiari, è spesso utilizzata come determinante elemento di valutazione cronologica. Indagini recenti hanno permesso di stabilire che la sua applicazione risponde a esigenze di natura formale, più che di semplificazione del processo lavorativo stesso.
Cronologia. - Sforzi notevoli sono stati fatti per definire dei criteri oggettivi utili a determinare la cronologia delle repliche di età romana. Un settore della ricerca si è impegnato nell'analisi e nel confronto di filoni omogenei della copistica, analizzando le repliche di singoli tipi o gruppi affini di tipi. Un risultato notevole scaturito da questo tipo di indagine è stato quello di determinare, in alcuni casi, il momento iniziale della riproduzione di un dato modello: così, p.es., almeno allo stato attuale delle conoscenze, l'Apollo di Kassel non risulta copiato prima dell'età adrianea, e ciò vale anche per altri tipi, come p.es. l'Afrodite «Sosandra», la Hestia Giustiniani, ecc. Ciò permette di stabilire il momento in cui per la prima volta viene richiesta - o diviene possibile - l'esecuzione del calco di una determinata scultura, così da poter impostare una riflessione sulle esigenze e le motivazioni della committenza nel corrispondente periodo.
Il carattere peraltro ancora ampiamente soggettivo di datazioni basate su una valutazione puramente stilistica, reso evidente da esiti talvolta in stridente contrasto, ha spinto alla ricerca di criteri di analisi più oggettivi. Un sostegno è stato cercato nel confronto delle repliche di sculture ideali con la produzione ritrattistica, nella assunzione che botteghe, in realtà spesso distinte, impegnate nei due settori avessero in uno stesso momento atteggiamenti comuni nella formulazione di singoli elementi della figura (capigliatura, occhi, ecc.).
Elementi in questo senso più affidabili sono offerti dalle statue-ritratto che utilizzano per il corpo tipi statuari ideali, anche se la lavorazione in taluni casi separata della testa lascia intravedere una specializzazione, e una ripartizione di competenze anche all'interno di una medesima bottega. Nel confronto di prodotti della ritrattistica con quelli della copistica, o all'interno di questa stessa, va comunque tenuto ben conto della varietà di aree, di centri e di botteghe impegnati in questo settore, e delle diverse tradizioni tecniche e formali che caratterizzano, p.es., i prodotti urbani, diversamente da quelli di provenienza greca, attica in particolare, o microasiatica, o di ambito più marcatamente provinciale (Africa settentrionale, Spagna, ecc.), tali da rendere non significativi meccanici raffronti tra materiali disomogenei.
Più affidabili sembrano i dati ricavati da un altro orizzonte della ricerca, quello impegnato nella ricostruzione dei complessi decorativi riferibili a contesti architettonici e monumentali storicamente documentati e omogenei. In questo senso le ricerche sugli apparati decorativi degli edifici termali, o teatrali, o delle ville di età romana permettono di avviare su basi più solide una riflessione sulla cronologia, oltre che sulla identità delle diverse botteghe fornitrici di copie, e sui nessi programmatici che collegano queste sculture nella loro destinazione espositiva finale. Se infatti per complessi architettonici più tardi, come p.es., a Roma, i complessi termali di Caracalla o di Diocleziano, è necessario tenere in conto la possibilità di un reimpiego di sculture già vecchie, per contesti databili tra il I sec. a.C. e il II d.C., nel periodo cioè di maggiore dinamismo della produzione, l'analisi delle provenienze offre dati preziosi: si pensi solo al complesso delle sculture della villa di Sperlonga, o di quella di Domiziano, o di Adriano.
Gli inizi. - Il primo manifestarsi di un'attività di riproduzione di modelli più antichi - e quindi ben diversa dalla creazione di «Werkstattkopien » - è stato da tempo individuato in ambiente pergameno. La replica dell’Athena Parthènos e le altre statue collocate nel Santuario di Atena Nikephòros sotto Eumene II sono prime testimonianze di questo atteggiamento, senza tuttavia configurarsi come reali Kopien. Le prime copie esatte di prototipi anteriori finora individuate, apparentemente realizzate sempre in collegamento con l'iniziativa di un dinasta pergameno, provengono da Atene: così la replica dell’Athena Giustiniani dalla Stoà di Attalo II, e quella del Meleagro, probabilmente pertinente allo stesso monumento. Verosimilmente sempre in collegamento con l'ambiente pergameno vengono realizzate le due copie da Tralles (la testa Kaufmann, replica della Cnidia, e la replica dell’angelehnte Aphrodite), in cui leggere divergenze dal prototipo, quale appare ricavabile dalle successive copie romane, denunciano l'elaborazione ancora non definitiva dei processi tecnici di riproduzione, in questo caso per di più applicati a modelli in marmo, e quindi non meccanicamente ricalcatali. Ancora entro la fine del II sec. a.C. possono essere datati la replica Steinhäuser dell‘Apollo del Belvedere e il gruppo di repliche (le due Ercolanesi, il Diadumeno) da Delo al Museo Nazionale di Atene, testimonianza del costituirsi di un nuovo, grande centro di maestri dediti ad attività copistica. Il Diadumeno resta quindi la prima copia che si possiede di un originale del V sec. a.C., di contro a un interesse in precedenza rivolto esclusivamente a modelli del IV secolo.
Il rinvenimento del carico sommerso di Mahdia, e quello, di poco più recente, di Anticitera forniscono l'immagine della produzione, sul volgere tra il II e il I sec. a.C., di due centri ormai pienamente organizzati, impegnati in un'attività di esportazione verso il mercato occidentale, in funzione delle richieste di una committenza sempre più avvertita ed esigente. Sia nel primo caso (verosimilmente Atene) che nel secondo (probabilmente Delo), il repertorio commerciale propone ancora modelli derivati da prototipi del IV sec. o del più avanzato ellenismo (in ambedue sono presenti repliche del gruppo dei Niobidi). I due rinvenimenti visualizzano gli stretti rapporti che legano in questo periodo Delo, Atene e Roma, anche se nel carico di Mahdia compaiono già prodotti del più corrente repertorio decorativo di tipo neoattico, quello che sarà destinato a prevalere, anche nella statuaria, a partire dai decenni finali del secolo successivo.
La ricostruzione, ancora lacunosa e insoddisfacente, del panorama della scultura realizzata o importata in Italia e a Roma nell'avanzato II e nel I sec. a.C. iniziale, rende difficile tracciare un quadro dei primi esiti di questa produzione copistica in risposta alle esigenze del mercato romano; quadro che comunque appare frammentario e composito, almeno fino allo stabilirsi dell'autorità di Augusto, in conseguenza delle vicende politiche che caratterizzano il periodo. Un'ulteriore difficoltà è rappresentata dalla scarsità di complessi scultorei sicuramente databili in questo periodo, mentre le fonti documentano ancora, nella decorazione di edifici pubblici, un'ampia utilizzazione di originali greci, provenienti dalle campagne in Magna Grecia, in Grecia e in Oriente.
Gli scultori ateniesi attivi in Roma in questo periodo rielaborano anch'essi motivi del linguaggio prassitelico, del IV sec. avanzato e dell'ellenismo, senza appiattirsi in una meccanica produzione di copie. L'attività della bottega di Pasiteles, peraltro percepibile ancora con grande difficoltà, sembra volgere lo sguardo a questo stesso repertorio, con una più libera contaminazione di prototipi cronologicamente distanti. Il ciclo decorativo del Teatro di Pompeo, in piccola parte ricostruito, mostra invece un rifarsi a modelli di ambiente asiatico, in consonanza con quanto è noto dalle fonti per il personaggio, senza peraltro che si possa parlare, anche in questo caso, di riproduzioni o copie. Modelli del repertorio microasiatico e attico, sia di soggetto ideale o della ritrattistica, formalmente distribuibili lungo un arco cronologico che va dall'età arcaica a quella ellenistica, compaiono nel ciclo decorativo della Villa dei Papiri di Ercolano, che si costituisce a partire dagli anni finali della repubblica sino a quelli iniziali del secolo successivo.
Questo quadro assumerà contorni più definiti solo sotto Augusto, con lo stabilirsi di un indirizzo di politica artistica a livello ufficiale, tale da condizionare anche ampiamente le scelte del privato; questo indirizzo sarà decisamente orientato verso l'orizzonte culturale attico.
Botteghe e centri di produzione in età romana. - Allo stato attuale della ricerca, un'indagine sulla copistica di età romana non sembra poter prescindere da un preliminare sforzo di definizione dei singoli centri e ateliers attivi nel settore, e della cronologia interna della loro produzione. In questo sforzo, ancora agli inizi, sono stati tuttavia raggiunti alcuni punti fermi che consentono di tracciare un bilancio, certamente solo preliminare e ampiamente provvisorio, dei dati disponibili. Si cercherà qui di seguito di porre in evidenza gli elementi di novità rispetto a un quadro già noto nelle grandi linee.
Certamente nella diffusione di modelli della plastica greca presso la società romana un ruolo determinante, se non altro nel momento iniziale, deve essere stato svolto da Atene, parallelamente alla vasta produzione dei materiali d'arredo e decorativi del settore c.d. neoattico. La quantità di firme di personaggi che si caratterizzano come athenàios, se pure non presuppone sempre una materiale collocazione della loro officina in Atene, è prova della incidenza di questo centro nel fenomeno della commercializzazione del patrimonio formale greco.
La scarsità di materiale scultoreo di età romana edito, di rinvenimento ateniese, è peraltro di ostacolo alla individuazione del settore, certamente assai più ampio e rilevante, avviato alla esportazione. Il criterio della qualità del marmo usato non appare più determinante per riconoscere un prodotto attico, dato che il pentelico, impiegato in quantità massicce a Roma nel settore architettonico in determinati periodi, appare chiaramente anche esportato e lavorato in Italia per sculture da officine collegate con il mercato ateniese. Alcuni complessi di sculture, provenienti da contesti monumentali dell'Atene romana (Odèion di Agrippa, Teatro di Dioniso, Stadio Panatenaico) permettono di cogliere modi caratteristici delle officine attiche nei diversi periodi. In ogni caso, la massiccia insistenza su prototipi derivanti dall'orizzonte formale della cerchia fidiaca e della tradizione attica della seconda metà del V e del IV sec. a.C. nella produzione di età augustea e giulio-claudia dimostra l'incidenza in questo momento di Atene nella fornitura del prodotto artistico, in stretto collegamento con le scelte programmatiche e il profilo culturale della committenza dell'epoca. Ancora in età adrianea o nella prima età antonina si intravede in Atene una produzione vivace, anche se va notata la qualità non eccelsa di molti dei prodotti di questo periodo, talvolta apparentemente collocati in opera ancora non finiti (testa di Athena dalla Pnice, dell’Apollo di Kassel dall'Olympièion, erme dallo Stadio, ecc.).
In seguito, nel mutare delle scelte figurative e nel moltiplicarsi dei centri di produzione, Atene sembra conservare una esclusiva per certi generi, come p.es. le immagini di filosofi, poeti, oratori, sia nella loro riproduzione integrale, come nelle riduzioni a erma, che continuano a essere prodotte sino a tutto il II e III sec. d.C. e oltre, in evidente parallelo con l'attività culturale della città. In questo stesso periodo l'orientarsi dell'attività delle officine locali verso generi ai quali si aprivano nuovi spazi di mercato (sarcofagi, poi trapezofori, ecc.) corrisponde forse a una riduzione delle esportazioni di sculture verso occidente.
L'orientarsi fin dall'inizio delle richieste del mercato romano verso il repertorio tematico e figurativo attico, è chiaramente in sintonia con la formazione culturale di un'ampia parte della Oberschicht romana (in questo senso eloquenti le testimonianze dell'epistolario ciceroniano), di cui si fa interprete Augusto, imponendo, almeno a partire dall'ultimo trentennio del I sec. a.C., una serie di scelte dalle trasparenti implicazioni ideologiche. Così gli interventi edilizi in Atene (p.es. il restauro dell'Eretteo, l’Odèion di Agrippa) sono occasioni per collaudare esperienze e, soprattutto, per studiare formule scultoree o architettoniche da replicare in Atene stessa (Tempio di Augusto e Roma) e a Roma (Foro di Augusto). Si viene così canonizzando, in funzione del gigantesco sforzo di rinnovamento attuato nell'Urbe, un repertorio di tipi statuari che trovano una loro prima duplicazione come immagini di culto o d'arredo della edilizia pubblica, alla quale segue una loro commercializzazione nella sfera privata, con molteplici adattamenti (p.es. per ritratti), o riduzioni (a erma).
Evidenti sono in alcuni casi le motivazioni politiche delle scelte (si pensi al caso dell’Eirene, in funzione del programma decorativo e ideologico dell'Ara Pacis), che talvolta possono spiegare la ricerca di soggetti complessi, e addirittura materialmente distanti dall'epicentro di queste iniziative: così, p.es., l'esecuzione, certo onerosa, del primo calco dell'intero gruppo delle Amazzoni efesie in questo periodo non sembra motivata tanto dalle tradizioni letterarie concernenti il gruppo stesso, quanto piuttosto dalla richiesta di una committenza ufficiale, desiderosa di rievocare le implicazioni ideologiche che il donario sottintendeva, e di sperimentare formule e tematiche di nuova attualità storica.
Assai presto le officine attiche devono avere stabilito delle filiali più vicine ai centri stessi di fruizione dei loro prodotti. In questo senso la regione campana, in particolare l'area flegrea, accanto ovviamente a Roma stessa, deve avere avuto un ruolo rilevante per la facilità di collegamento marittimo e per la presenza di un entroterra così sensibile e interessato all'offerta del mercato. Il centro più intensamente coinvolto in questo fenomeno deve essere stato Pozzuoli, come risulta da testimonianze epigrafiche e come confermano le tracce rinvenute di attività di officine di scultori: tra queste sono soprattutto rilevanti quelle rappresentate dal complesso di calchi da originali greci provenienti dalle Terme della Sosandra già ricordati, indizio sicuro della presenza nella zona di un atelier di copisti.
Il rinvenimento, a Baia stessa e nell'area flegrea, di un consistente gruppo di copie in marmo pentelico, derivanti dagli stessi prototipi rappresentati nel repertorio dei calchi dalle Terme, consente di percepire il primo irradiarsi dell'attività produttiva di questa bottega, e di individuarne le convenzioni tecniche e formali. È in tal modo possibile riconoscere una prima fase, con l'insediarsi in zona di maestranze provenienti da Atene (è nota una firma: Aphrodìsios Athenàios) già in età augustea, alle quali si affiancano poi maestranze di provenienza locale (Kàros Puteànos, in età flavia) che utilizzano, anche variandoli, gli stessi modelli, in generale desunti dal repertorio attico della seconda metà del V sec. e degli inizi del IV sec. a.C.
L'attività della bottega prosegue sino nell'avanzato II sec. d.C., quando questa esporta anche ampiamente nell'Urbe, lavorando forse in un rapporto privilegiato con la committenza imperiale (testa dell'Amazzone Mattei da Villa Adriana, sculture dalle Terme della Sosandra). Il repertorio, in età adrianea, registra un ampio rinnovamento, arricchendosi di modelli derivati dall'orizzonte tardo-severo; è possibile che la bottega abbia giocato un ruolo determinante, se non esclusivo, nella introduzione in ambiente romano di tipi quali l'Afrodite «Sosandra» (oltre alla replica di Baia, quella dal Palatino), l'Apollo dell'Omphalòs, l'Hestia Giustiniani, la Peplophòros Ludovisi (le due statue eponime), ecc. Dopo l'età adrianea nella produzione dell'atelier sembrano prevalere le rielaborazioni a carattere decorativo, «Neuschöpfungen» di gusto romano, ecc. Nei prodotti migliori, quelli rinvenuti nei contesti imperiali, viene usato ora il marmo pario, con esiti di altissimo livello, conseguenti a sensibili innovazioni sia sul piano tecnico che formale.
A partire dall'età di Tiberio - e forse in conseguenza dei suoi rapporti con l'ambiente asiatico - sembra prendere consistenza un filone copistico «asiano», che introduce in ambiente romano modelli nuovi, derivati dal repertorio della grande statuaria ellenistica. Un numero ristretto di botteghe, se non un solo centro, vede impegnata una serie di scultori di altissimo talento, in parte documentati dalla tradizione letteraria ed epigrafica, che li localizza in ambiente rodio. Questi replicano, utilizzando un marmo di provenienza microasiatica e con esiti di grande attrattiva formale, complessi gruppi bronzei di soggetto mitologico creati in dipendenza di eventi politici e militari dei dinasti e delle grandi città ellenistiche. I temi scelti sono quelli del ciclo omerico (avventure di Ulisse, Laocoonte, Menelao e Patroclo, ecc.), suscettibili presso la committenza romana (in questo caso esclusivamente imperiale) di nuove ricontestualizzazioni, integrandosi negli apparati scenografici delle grandi residenze urbane e delle ville.
I termini cronologici disponibili per questa produzione sono offerti da un lato dal complesso di Sperlonga, dall'altro dal gruppo del ninfeo sommerso di Claudio a Baia, dove però le sculture sono affiancate a prodotti più direttamente collegati con le convenzioni dell'ambiente urbano.
Più difficile è la collocazione, in questo stesso orizzonte, delle copie dei donari pergameni con Galati: per la serie Ludovisi, generalmente considerata di età traianea, sono state proposte anche datazioni nell'età di Cesare, in un ipotetico collegamento con le imprese militari in Gallia, o in quella adrianea; per la serie Napoli-Venezia, solitamente riferita al II sec., è stato proposto un collegamento con le Terme di Agrippa e la spedizione di questi oltralpe. Così anche non sembra aver trovato una valutazione soddisfacente il gruppo del Toro Farnese, che va ricollegato a questo stesso ambiente, e la cui collocazione cronologica è stata sinora a torto condizionata dal luogo di rinvenimento. Il Toro Farnese rappresenta, comunque, l'ultima importante creazione di questo centro; a esso vanno ricondotte, nel corso del tempo, anche creazioni isolate e meno clamorose, indirizzate a un mercato privato, e sempre ispirate a creazioni dell'ellenismo rodio e microasiatico (immagini di Muse, Centauri, ecc.).
Nel Ninfeo di Claudio a Baia, già ricordato, è attivo anche un gruppo di scultori che realizza statue-ritratto o di divinità con caratteristiche tecniche peculiari (ampio impiego del trapano, di elementi di riporto, ecc.), e con un repertorio formale che sembra più direttamente collegato con l'ambiente urbano. I prodotti della bottega sembrano peraltro diffusi in ambiente campano, lasciando per ora intuire una dimensione locale.
La completa dispersione dell'arredo scultoreo dell'effimera residenza romana di Nerone impedisce di definire con certezza i caratteri di originalità che questa doveva introdurre rispetto al panorama precedente, in sintonia con le novità in campo decorativo. È possibile che nell'ampia messe di ritrovamenti scultorei, peraltro assai frammentari, provenienti dall'area della residenza, possano essere rintracciati elementi di questo arredo, reimpiegati negli edifici che successivamente ne presero il posto. Le sculture rinvenute nella villa di Anzio non sono con certezza attribuibili alla fase neroniana, piuttosto che a quella antonina, e la stessa Fanciulla d'Anzio, ritenuta spesso significativa eccezione risalente al primo impianto, è comunque un originale greco.
Anche la decorazione scultorea della Domus Augustana è solo in parte ricostruibile; il noto gruppo di statue in basalto, di cui si è detto sopra, mostra un richiamo a prototipi ellenistici, con esiti di monumentale virtuosismo. Una villa sulla Via Latina, la cui prima fase è databile per la presenza di bolli nell'età di Domiziano, ha restituito una serie di erme di divinità barbate in pentelico, con genitali inseriti in bronzo, che permettono di seguire la maturazione di stile, rispetto alla fase augustea, di una bottega che si muove nella grande tradizione attica.
Nella decorazione scultorea della villa di Domiziano a Castelgandolfo cominciano a comparire i primi prodotti esportati in ambiente romano da una bottega o scuola di scultori che utilizzano il marmo di Thasos con procedimenti tecnici peculiari (ampio impiego del trapano c.d. corrente; superfici non levigate) e con una caratteristica definizione di singole forme (capigliature, occhi, busti, ecc.).
La bottega è probabilmente collocabile a Thasos stessa, o comunque strettamente collegata con l'isola, centro di antica tradizione scultorea, dove già in età augustea la ritrattistica mostra caratteri formali e tecnici analoghi a quelli delle copie esportate, e dove del resto è attestata un'ampia presenza di sculture non finite.
Il repertorio copistico, solo in parte collegabile con l'orizzonte attico (ritratti di oratori e filosofi), prevalentemente ricorre a modelli non correnti (talvolta addirittura noti in copia unica) di soggetti atletici o ideali (talvolta con varianti e inversioni) databili tra il IV sec. e l'età ellenistica.
L'incidenza, nel repertorio, di immagini di tipo atletico potrebbe far pensare a un collegamento preferenziale, per l'esecuzione dei calchi, con un grande centro di attività agonistiche, in contrasto con la divulgata nozione secondo la quale non sarebbe stato possibile replicare sculture esposte nei santuari panellenici.
La produzione di questa bottega o scuola, esportata oltre che in Italia (Terracina, Formia, Castrum Novum, Vicarello, Castelgandolfo) e a Roma, anche in Attica (Pireo), e utilizzata sia in contesti privati che nelle residenze ufficiali (villa di Anzio, di Domiziano, Domus Augustana), si riesce a seguire fino in età traianea e oltre, anche se per ora sembra completamente assente nella villa di Adriano a Tivoli. L'arredo scultoreo di quest'ultima, in ampia parte ricostruito, lascia percepire un nuovo momento di grande dinamismo nella produzione copistica, in cui questa volta trovano spazio e possono coesistere tendenze ed esperienze multiformi e talvolta assai distanti. Accanto al filone attico del periodo classico, sempre prevalente e con esiti di nuovo di altissima qualità (repliche delle Cariatidi, delle Amazzoni, ecc.), si precisa, con una esuberanza formale e ricchezza cromatica inedita (si vedano le sculture in rosso antico, marmo bigio, basalto già ricordate), la presenza dei modelli microasiatici di età ellenistica (Satiri, Centauri, ecc.); accanto a questi si diffondono ancora soggetti del repertorio egittizzante, frutto peraltro di libere reinvenzioni.
Come si è già detto più sopra, in questo momento sembra arricchirsi il repertorio dei modelli attici circolanti, con il ricorso a una serie di creazioni bronzee realizzate tra il periodo severo e prima di quello partenonico: l’Afrodite «Aspasia», l'Apollo dell'Omphalòs, l'Hestia Giustiniani, la Peplophòros Ludovisi, l'Apollo di Kassel·, forse la Kore Corinto-Conservatori, la Demetra tipo Corinto. L'iniziativa di eseguire i nuovi calchi, che consentirà la successiva commercializzazione dei soggetti (il tipo «Aspasia» sarà spesso usato per statue ritratto), è probabilmente ricollegabile al grande piano di rinnovamento edilizio di Atene promosso da Adriano, e all'intento di definire un pantheon di divinità iconograficamente rinnovato rispetto a quello, di stampo partenonico, codificato in età augustea. In questa operazione sembra giocare un ruolo di rilievo la bottega operante presso Baia di cui si è detto.
La grande fioritura architettonica e artistica che investe anche altre regioni dell'impero in questo momento consente un ampio sviluppo di nuovi centri di produzione e botteghe a diffusione locale, accanto a quelli già operanti per l'esportazione verso il mercato romano.
Il rinvenimento a Cherchel di una serie di sculture e copie di notevole livello formale, derivanti da prototipi classici, che erano state datate in età augustea e ricollegate con il regno di Giuba II, aveva permesso in passato di ipotizzare quasi una sorta di «museo» del sovrano di Mauretania, e di riconoscere l'attività di una scuola di scultori da lui promossa. Le sculture attendono una edizione definitiva, ma un riesame più attento della loro cronologia sembra mettere in dubbio una datazione così ristretta per tutto il complesso, lasciando aperta la possibilità che questo si distribuisca, con caratteristiche composite, per un arco di tempo che giunge sino al II sec., mentre le copie più sicuramente collegabili con la fase augustea sono state interpretate come importazioni da officine attiche.
Similmente, il dato oggettivo offerto dall'esistenza di una serie di firme con etnico su prodotti scultorei databili tra il I e il IV sec. d.C. e rinvenuti prevalentemente in area occidentale, aveva permesso di ricostruire l'attività di una «scuola di Afrodisiade», impegnata prevalentemente, almeno all'inizio, in attività di esportazione e dotata di caratteri formali originali e omogenei. In realtà il materiale raccolto sulla base del dato epigrafico mostra, al di là dell'ampia distribuzione cronologica, una notevole varietà di tematiche, di tipologie (ritratti privati, rilievi, statuaria), di materiali (marmi bianchi diversi, rosso antico, bigio morato) e di stili. Il quadro si è venuto precisando a seguito dei fortunati recenti ritrovamenti avvenuti nell'area della città stessa, che hanno soprattutto arricchito il quadro della produzione tarda. I prodotti locali, firmati in generale senza etnico, non sono immediatamente accostabili, per stile e qualità formali, a quelli esportati, anche se i soggetti copiati si rifanno sempre allo stesso repertorio di tradizione ellenistica, confermando l'interesse per il cromatismo e rivelando tangenze con i prodotti della tradizione copistica asiatica già vista nella prima età imperiale (gruppo di Menelao e Patroclo, Achille e Pentesilea; ma anche il Discoforo di Policleto). Deve inoltre ancora essere definita la cronologia del gruppo di statue firmate da Zenas e altri, rinvenute sull'Esquilino e ora a Copenaghen, che recentemente, contro i dati di provenienza, si è tentato di riferire al IV sec. d.C. Il quadro complessivo, più che a una scuola in senso stretto, o a un centro organizzato, caratterizzato nel tempo da una continuità di esperienze e stabilità di sede, lascia piuttosto pensare a un composito insieme di maestranze. Queste sono certamente collegate a un ambiente di grandi tradizioni scultoree, privilegiato dalla disponibilità del materiale; una parte di esse si impegna prevalentemente a soddisfare le esigenze del mercato occidentale, talvolta chiaramente condizionata dall'esperienza urbana (i ritratti del Museo Capitolino), utilizzando nella firma un marchio di qualità, in esplicita concorrenza con quello attico. In età più tarda la produzione degli scultori di Afrodisiade si organizza in funzione del nuovo floruit della città stessa e dell'ambiente microasiatico.
Sempre in Asia Minore, Efeso, e in misura minore Side, hanno restituito notevoli prodotti copistici, derivanti per lo più da originali della scuola attica del V sec. avanzato e del IV, testimonianza, in ambedue i casi, di officine locali di alto livello, in contatto con l'ambiente ateniese, e operanti tra l'età adrianea e la prima età antonina.
Del pari, caratteristiche proprie mostra la produzione copistica rinvenuta a Corinto, che si iscrive nel momento di fioritura della statuaria in questo centro in età augustea e di nuovo tra l'età di Traiano e quella di Adriano: accanto a modelli derivati dall'orizzonte attico, caratterizzati da un certo conservatorismo formale, stanno anche notevoli esemplari in marmo asiatico, collegabili con la produzione che ruota intorno agli artisti rodi. Anche all'interno del settore più marcatamente classicistico, è possibile individuare convenzioni tecniche e stilistiche sufficienti a comporre il quadro di una «scuola» locale, che ha la sua fioritura tra l'età adrianea e quella severiana.
Sempre in questo stesso momento l'attività degli scultori di Cirene, che già vantava una ricca e autonoma tradizione, registra un incremento di prodotti copistici, con un ricorrere di temi peculiari che trovano riscontro, oltre ovviamente che in ambiente urbano, con Creta, così da lasciar intuire un qualche collegamento delle officine, operanti del resto all'interno di una stessa provincia. Creta e Cirene, che è membro del Panhellènion fondato da Adriano, sembrano anche sensibilmente interessate al rinnovamento di repertorio da questi attuato; al pari del resto della stessa Efeso (si pensi solo alla circolazione dei tipi «Aspasia-Sosandra» e Hestia Giustiniani in questi centri).
In età antonina si hanno ancora prodotti copistici di buon livello (si pensi alla serie di c. mironiane dall'Esquilino), talvolta con una tendenza al gigantismo e all'irrigidimento delle forme, sempre contenute da un controllato, anche se un po' vuoto classicismo (in questo momento vengono forse realizzate le monumentali sculture utilizzate nella decorazione delle Terme di Caracalla); ma a partire dallo Stilwandel si assiste a un decisivo mutamento dei processi copistici, con un conseguente mutamento dei risultati.
In conseguenza di un modificarsi delle richieste del mercato sembra venir meno la produzione di copie esatte di statue ideali (divinità, personaggi del mito, immagini di atleti, ecc.), un tempo tradizionale complemento delle grandi realizzazioni architettoniche pubbliche o delle fastose residenze private; gli stessi tipi ora interessano se mai come supporto di ritratti, per i quali non è indispensabile una particolare precisione della copia. Del repertorio greco solo pochi soggetti, per lo più immagini di filosofi e letterati, continuano a essere riprodotti con intenzione di fedeltà copistica, in funzione delle richieste delle scuole e delle accademie che fioriscono in questo momento, oltre che di privati dediti a coltivare una virtus intellettuale. Accanto a questi vecchi modelli vengono utilizzati tipi nuovi, non direttamente collegabili col repertorio statuario greco, quanto piuttosto ricavati dai repertori correnti nelle botteghe che lavorano rilievi e sarcofagi.
Col diffondersi proprio dei monumentali sarcofagi decorati, nei quali meglio sembra esprimersi il desiderio di rappresentatività delle classi emergenti romane nell'età tardo-antonina e severiana, col rarefarsi delle grandi creazioni architettoniche pubbliche e l'esaurirsi dell'edilizia residenziale privata in questo periodo, si comprende il progressivo orientarsi dell'attività delle botteghe di scultori finora impegnate nella copistica verso nuovi generi (sculture di piccole dimensioni, quasi Kabinettstücke·, trapezofori, ecc.), meglio rispondenti alle esigenze di un gusto e di una cultura che riduce e modifica le manifestazioni di ossequio alle conquiste della civiltà greca dell'età classica, i cui centri propulsivi non coincidono più con Atene e Roma.
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Tipi ideali. - Afrodite: P. Karanastassis, Untersuchungen zur kaiserzeitlichen Plastik in Griechenland, I. Kopien, Varianten und Umbildungen nach Aphrodite Typen des 5. Jhr.v. Ch., in AM, CI, 1986, p. 207 ss. - Atena: E. Mathiopulos, Zur Typologie der Göttin Athena in 5. Jhr.v.Ch. (diss.), Bonn 1968; P. Karanastassis, Untersuchungen zur kaiserzeitlichen Plastik in Griechenland, II. Kopien. Varianten und Umbildungen nach Athena Typen des 5. Jhr.v.Ch., in AM, CII, 1987, p. 323 ss. - Grande e Piccola Ercolanese: M. Bieber, The Copies of the Herculaneum Women, in Proceedings of the American Philosophical Society, CVI, 1962, 2, pp. 111-134; S. Karousou, Der Hermes von Andros und seine Gefährtin, in AM, LXXXIV, 1969, p. 143 ss. - Dioniso: E. Pochmarski, Das Bild des Dionysos in der Rundplastik der klassischen Zeit Griechenlands (diss., Graz 1969), Vienna 1974: id., Dionysische Gruppen, Vienna 1990. - Asclepio: G. Heiderich, Asklepios, Francoforte 1966. - Igea: H. Sobel, Hygieia, Darmstadt 1990. - Nike: A. Gulaki, Klassische und klassizistische Nikedarstellungen (diss.), Bonn 1981. - Muse: D. Pinkwart, Das Relief von Archelaos von Priene und die Musen des Philiskos, Kallmünz 1965; I. Linfert-Reich, Musenund Dichterinnenfiguren des 4. und frühen 5. Jhr. (diss., Friburgo in Brisgovia, 1969), Colonia 1971. - Ninfe: G. Becatti, Ninfe e divinità marine, in StMisc, XVII (Ann. Acc. 1970-1971), Roma 1971; E. Fabbricotti, Ninfe dormienti: tentativo di classificazione, in In memoria di G. Becatti..., cit., p. 65 ss. - Eroti: M. Söldner, Untersuchungen zu liegenden Eroten in der hellenistischen und römischen Kunst, Francoforte 1986. - Figure decorative e di genere: B. Kapossy, Brunnenfiguren der hellenistischen und römischen Zeit (diss., Berna 1962), Zurigo 1967; Β. Andreae, Schmuck eines Wasserbeckens aus Sperlonga, in RM, LXXXIII, 1976, p. 287 ss.; H. P. Laubscher, Fischer und Landleute, Magonza 1982; E. Bayer, Zwei Kopfrepliken des Alten Fischer Vatikan-Louvre, in IstMitt, XXXIV, 1984, p. 183 ss.
Singoli tipi. - Apollo dal Lacus Iuturnae: E. Bielefeld, Statue des Apollon Rom, Museo Antiquario Forense, in AntPl, III, 1964, p. 61 ss. - Tirannicidi: S. Brunnsạker, The Tyrant-Slayers of Kritios and Nesiotes, Stoccolma 1971; M. Weber, Die Gruppe der Tyrannenmörder bei Lukian, in AA, 1983, pp. 199-200; Β. Fehr, Die Tyrannenmörder, Francoforte sul Meno 1984; Ζ. Mari, La Villa Tiburtina detta di Cassio, in RIA, VI-VII, 1983-1984, p. 97 ss.; W. H. Schuchhardt, Statuenkopien der Tyrannenmörder-Gruppe. Die Gruppe der Tyrannenmörder in Neapel, in Jdl, CI, 1986, p. 85 ss.; Ch. Landwehr, Statuenkopien der Tyrannenmörder-Gruppe. Die Statue des Aristogeiton in Rom, ibid., p. III ss.
«Aspasia-Sosandra»: L. Guerrini, Copie romane del tipo «Aspasia/Sosandra» da Creta, in Studi in onore di D. Levi, III, Catania 1974, p. 227 ss. - Peplophòros Torlonia-Hierapytna: S. Kane, «The Kore Who Looks after the Grein». A Copy of the Torlonia-Hierapytna Type in Cyrene, in AJA, LXXXIX, 1985, pp. 455-461. - Testa Barracco-Budapest: P. Noelke, Zu einem Kopf des Museo Barracco in Roma, in RM, LXXVI, 1969, p. 51 ss. - Kore Corinto Mocenigo: O. Palagia, A Classical Variant of the Corinth-Mocenigo Goddess. Demeter-Kore or Athena?, in BSA, LXXXIV, 1989, pp. 323-331. - Kore Corinto Conservatori: J. Raeder, Eine klassizistische Frauenfigur in Rom. Zur Arbeitsweise klassizistischer Künstler des I. Jhs. v. Chr. und der mittleren Kaiserzeit, in Jdl, XCIII, 1978, p. 252 ss. - Policleto e la sua cerchia: D. Arnold, Polykletnachfolge (Jdl, Suppl. 25), Berlino 1969; Polyklet, der Bildhauer der griechischen Klassik (cat.), Magonza 1990; D. Kreikenbom, Bildwerke nach Polyklet, Berlino 1990.
Atena e Marsia di Mirone: Β. e Κ. Schauenburg, Torso der myronischen Athena, Hamburg, Museum für Kunst und Gewerbe, in AntPl, XII, 1973, p. 47 ss.; G. Daltrop, Il gruppo mironiano di Atena e Marsia nei Musei Vaticani, Città del Vaticano 1980; G. Daltrop, P. C. Bol, Athena des Myron (Liebieghaus Monographie, 8), Francoforte 1983. - Zeus Ammone di Mirone: E. Berger, Rekonstruktionsversuch einer Zeus Ammonstatue, in AntK, XI, 1968, pp. 138-141; id., Zum samischen Zeus des Myron in Rom, in RM, LXXVI, 1969, p. 66 ss. - Atleta Amelung: M. G. Picozzi, Una replica della testa dell' «Atleta Amelung» da Castelgandolfo, in RendPontAcc, XLVIII, 1975-1976, p. 95 ss.
Apollo Kassel: E. Schmidt, Der Kasseler Apollo und seine Repliken, in AntPl, V, 1966. - Donarlo di Maratona a Delfi: A. Giuliano, I grandi bronzi di Riace, in Xenia, 2, 1981, p. 55 ss.; id., I grandi bronzi di Riace, II, 3, 1982, p. 41 ss.; W. Fuchs, Zu den Grossbronzen, in Praestant Interna, cit., p. 34 ss. - Guerriero di Villa Adriana: E. Berger, Das Urbild des Kriegers aus der Villa Adriana und die Marathonische Gruppe des Phidias in Delphi, in RM, LXV, 1958, p. 6 ss.; E. Minakaran-Hisgen, Zum 'Krieger' in Tivoli, in Tainia. Festschrift R. Hampe, Berlino 1980, pp. 181-185. - Münchner König: V. M. Strocka, Eine Replik des Münchner Königs, in Kanon. Festschrift Berger (AntK, Suppl. 15), Basilea 1988, p. 112 ss. - Atena Parthènos: Ν. Leipen, Athena Parthenos. A Reconstruction, Toronto 1971; id., Athena Parthènos: Problems of Reconstruction, in Parthenon Kongress, Basel 1982, Magonza 1984, p. 177 ss.; A. J. N. W. Prag, New Copies of the Athena Parthenos from the East, ibid., p. 182 ss. - Scudo della Parthènos: V. M. Strocka, Piräusreliefs und Parthenos-Schild, Bochum 1967; T. Stephanidou-Tiveriou, Νεοαττικα. Οι αναγλυφοι πίνακες απο το λιμάνι του Πειραια, Atene 1979; V. Μ. Strocka, Das Schildrelief: zum Stand der Forschung, in Parthenon Kongress..., cit., p. 188 ss. - Atena Lemnia: K. J. Hartswick, The Athena Lemnia Reconsidered, in AJA, LXXVII, 1983, p. 335 ss. - Afrodite tipo Olimpia: W. M. Strocka, Aphroditekopf in Brescia, in Jdl, LXXII, 1967, pp. 110-156; G. Becatti, Restauro dell'Afrodite seduta fidiaca, in Omaggio a R. Bianchi Bandinelli (StMisc, XV, Ann. Acc., 1969/70), Roma 1970, p. 33 ss.; A. Delivorrias, Das Original der sitzenden «Aphrodite-Olympias», in AM, XCIII; 1978, p. 1 ss.; G. Despinis, Η ικετιδα Barberini, in Πρακτικα Συνεδρίου Αθήνα 1983..., cit., III, p. 65 ss. - Afrodite tipo Daphni: A. Delivorrias, Die Kultstatue der Aphrodite von Daphni, in AntPl, VIII, Berlino 1968, p. 19 ss. - Afrodite Louvre-Napoli: W. Fuchs, Zum Aphrodite-Typus Louvre-Neapel und seinen neuattischen Umbildungen, in Festschrift B. Schweitzer, Stoccarda 1954, p. 206 ss.; E. La Rocca, art. cit., in ASAtene, XXXIV-XXXV, 1972-1973, p. 419 ss. - Afrodite Valentini: E. Bielefeld, Ariadne Valentini (sog. Aphrodite Valentini), in AntPl, XVII, Berlino 1978, p. 57 ss. - Atena Medici: E. Langlotz, Die Repliken der Athena Medici in Sevilla, in MM, I, 1960, p. 164 ss.; G. Despinis, Το Αντίγραφο της Αθήνας Medici του Μουσείου Θεσσαλονίκης, in Αρχαία Μακεδονία, II, Ανακοινώσεις κατα το δεύτερο Διεθνες Συμποσιο, Θεσσαλονίκη 1973> Salonicco 1977, p. 95 ss.; Μ. Aurenhammer, Athena Medici in Ephesos, in Lebendige Altertumswissenschaft. Festgabe Η. Vetters, Vienna 1985, p. 212 ss. - Hermes Propylaios: D. Willers, Zum Hermes Propylaios des Alkamenes, in Jdl, LXXXII, 1967, p. 97 ss. - Hekatàion: W. Fuchs, Zur Hekate des Alkamenes, in Boreas, I, 1978, p. 32 ss. - Ares Borghese: Ph. Bruneau, L'«Arès Borghese» et l'Arès d'Alcamène ou De l'opinion et du raisonnement, in Rayonnement grec. Hommages à Ch. Delvoye, Bruxelles 1982, p. 177 ss. - Nemesi di Ramnunte: G. Despinis, Συμβολή στη Μελετη του Εργου του Αγορακριτου, Atene 1971· - Kore tipo Baia: Β. Andreae, Der Typus einer klassischen Gewandstatue bei der Antonia Augusta von Baia, in Πρακτικα Συνεδρίου Αθήνα 1983..., cit., III, p. 7 ss.;
«Ariadne»: C. Gasparri, Osservazioni sul tipo di Apollo detto «Ariadne», in In memoria di G. Becatti..., cit., p. 85 ss. - Rilievi del Trono di Zeus: G. V. Gentili, Il fregio fidiaco dei Niobidi alla luce del nuovo frammento da Modena, in BdA, LIX, 1974, p. 101 ss.; Ch. Vogelpol, Die Niobiden vom Thron des Zeus in Olympia. Zur Arbeitsweise römischer Kopisten, in Jdl, XCV, 1980, p. 197 ss. - Rilievo di Eleusi: L. Schneider, Das grosse eleusinische Relief und seine Kopien, in AntPl, XII, 1973, p. 103 ss. - Rilievi con Menadi: L. A. Touchette, Hellenistic and Classical Dancing Maenads. Copies of the Roman Period, in Akten des XIII. Internationalen Kongresses für klassische Archäologie, Berlin 1988, Magonza 1990, p. 512 s. - «Dreifigurenreliefs»: E. Langlotz, Eine neugefundene Replik des Theseusreliefs, in AntPl, XII, 1973, p. 91 ss.; H. Meyer, Medeia und die Peliaden, Roma 1980, p. 133 ss. - Gruppo delle Amazzoni di Efeso: B. S. Ridgway, A Story of Five Amazons, in AJA, LXXVIII, 1974, ρ. 1 ss.; M. Weber, Die Amazonen von Ephesos, in Jdl, XCI, 1976, p. 28 ss.; ead., Der Kopf der Amazone Mattei. Ein Nachtrag, ibid., XCIII, 1978, p. 175 ss.; ead., Die Amazonen von Ephesos, II, ibid., XCIX, 1984, p. 75 ss.
Cariatidi dell'Eretteo: E. Schmidt, Die Kopien der Erechteion Koren, in AntPl, XIII, 1973; W. Trillmich, Colonia Augusta Emerita, die Hauptstadt von Lusitanien, in Stadtbild und Ideologie. Colloquium Madrid 1987, Monaco 1990, p. 311 ss. - Supplice Barberini: G. Despinis, art. cit., in Πρακτικα Συνεδρίου Αθήνα 1983..·, cit., III, p. 65 ss. - Eirene: E. La Rocca, Eirene e Ploutos, in Jdl, LXXXIX, 1974, p. 112 ss.; H. Jung, Zur Eirene des Kephisodot, ibid., XCI, 1976, p. 97 ss. - Atena Mattei/Pireo: K. Schefold, Die Athene des Piräus, in AntK, XIV, 1971, p. 37 ss.; G. B. Waywell, Athena Mattei, in BSA, LXVI, 1971, p. 373 ss.; O. Palagia, Ευφρανορος τέχνη, in AAA, VI, 1973, p. 323 ss. - Gruppo di Latona con i figli: B. S. Ridgway, Leto and the Children, in Anadolu, XXII, 1981-83 [1989], p. 99 ss. - «Fanciulla del Pireo»: S. Karousou, Das «Mädchen von Piraeus» und die Originalstatue in Venedig, in AM, LXXXII, 1967, p. 158 ss. - Prassitele: P. 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Palagia, A Colossal Statue of a Personification from the Agora of Athens, in Hesperia, LI, 1982, p. 99 ss. - Nemesi di Gortina: L. Guerrini, La statua di Nemesi da Gortina, in ASAtene, LXVI, 1984 (1988), p. 113 ss.; C. Nippe, Die Fortuna Braccio Nuovo (diss.), Berlino 1989. - Phyromachos: B. Andreae (ed.), Phyromachos-Probleme, cit. - Donari pergameni: E. Künzl, Die Kelten des Epígonos von Pergamon, Monaco 1971; R. Wenning, Die Galatheranatheme Attalos I. Eine Untersuchungen zum Bestand und zur Nachwirkung pergamenischer Skulptur (Pergamenische Forschungen, IV), Berlino 1978; Β. Palma, Il piccolo donano pergamene, in Xenia, I, 1981, p. 45 ss.; R. Özgan, Bemerkungen zum Grossen Gallier-Anathem, in AA, 1981, p. 489 ss.; M. Marvin, Freestanding Sculptures from the Baths of Caracolla, in AJA, LXXXVIII, 1983, p. 348 ss.; J. Schalles, Untersuchungen zur Kulturpolitik der pergamenischen Herrscher im dritten Jahrhundert v. Ch. (Istanbuler Forschungen, 36), Tubinga 1985, p. 60 ss.; F. 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Creazioni prassiteliche o eclettiche, Neuschöpfungen di età romana: Η. Sichtermann, Der Knabe von Tralles, in AntPl, IV, 1965, p. 71 ss.; S. Kruse, Römische weibliche Gewandstatuen des zweiten Jahrhunderts n. Ch. (diss.), Gottinga 1975) Κ. Türr, Eine Musengruppe hadrianischer Zeit, Berlino 1971; Η. von Steuben, Der Knabe von Tralles. Hellenistisches und Klassizistisches, in IstMitt, XXII, 1972, p. 133 ss.; W. Schindler, Umbildungen klassisch-griechischer Vorbilder durch die Römer. Eine Replik der Ildefonsogruppe, in WissZBerl, XXV, 1976, p. 457 ss.; B. Palma, Un gruppo ostiense dei Musei Vaticani: Le fatiche di Eracle, in RendPontAcc, LI-LII, 1978-80, p. 137 ss.; J. Pinkerneil, Studien zu den trajanischen Dakerdarstellungen (diss.), Friburgo 1982; L. Guerrini, art. cit., in ASAtene, XLVI, 1984 (1988), p. 113 ss.; M. Waelkens, The Statues of the Dacian Prisoners in Trajan's Forum, in AJA, LXXXIX, 1985, p. 641 ss.; E. Simon, Kriterien zur Deutung pasitelischer Gruppen, in Jdl, CII, 1987, p. 291 ss.; C. Saletti, Le «Danzatrici» di Ercolano, in AthenaeumPavia, LXV, 1987, p. 305 ss.; R. Ch. Häuber, Zur Ikonographie der Venus vom Esquilin, in KölnJbVFrühGesch, XXI, 1988, p. 35 ss.; F. Schröder, Römische Bacchusbilder in der Tradition des Apollon Lykeios, Berlino 1989; M. D. Fullerton, The Archaistic Style in the Roman Statuary, Leida 1990.
Utilizzo di copie per ritratti: H. Wrede, Consacrano in formam deorum, Magonza 1981; D. E. E. Kleiner, Second Century Mythological Portraiture. Mars and Venus, in Latomus, XL, 1981, p. 512 ss.; C. Maderna, Juppiter, Diomedes und Merkur als Vorbilder für römische Bildnisstatuen, Heidelberg 1988.
Complessi di sculture, in generale: H. Manderscheid, Die Skulpturenausstattung der kaiserzeitlichen Thermenanlagen (Monumenta Artis Romanae, 15), Berlino 1981; M. Fuchs, Untersuchungen zur Ausstattung römischer Theater, Magonza 1987; R. Neudecker, Die Skulpturenausstattung römischer Villen in Italien, Magonza 1988.
Singoli complessi statuari e programmi. - Baia, Ninfeo di Claudio: B. Andreae, in AA.VV., Il Ninfeo..., cit. - Ercolano, Villa dei Papiri: D. Pandermalis, Zum Programm der Statuenausstattung in der Villa dei Papiri, in AM, LXXXVII, 1971, p. 173 ss.; G. Sauron, Templa serena. A propos de la 'Ville des Papyri' d'Herculaneum. Contribution à l'étude des comportements aristocratiques romains à la fin de la republique, in MEFRA, XCII, 1980, p. 272 ss.; M. R. Wojcik, La Villa dei Papiri a Ercolano, Roma 1986. - Ferento: P. Pensabene, Il teatro romano di Ferento, Roma 1989. - Roma, Teatro di Pompeo: M. Fuchs, Eine Musengruppe aus dem Pompeius Theater, in RM, LXXXIX, 1982, p. 69 ss.; ead., Ein Bildnis der Kybele aus Formiae: zur Kunst um Pompeius, in Festschrift Hausmann, cit., p. 72 ss. - Horti Lamiani: E. La Rocca (ed.), Le tranquille dimore degli dei (cat.), Roma 1986. - Foro di Traiano: C. Gasparri, Die Gruppe der Sabinerinnen in der Loggia dei Lanzi in Florenz, in AA, 1979, p. 524 ss. - Terme di Caracalla: C. Gasparri, Sculture dalle Terme di Caracolla e di Diocleziano, in RIA, VI-VII, 1983-1984, p. 133 ss.; M. Marvin, art. cit., in AJA, LXXXVII, 1983, p. 347 ss. - Tivoli, Villa Adriana: J. Raeder, Die statuarische Ausstattung der Villa Hadriana bei Tivoli (diss., Berlino 1980), Francoforte 1983; J. C. Grenier, La décoration statuaire du «Serapeum» du «Canope» de la Villa Adriana, in MEFRA, CI, 1989, 2, p. 925 ss. - Doppi: C. C. Vermeule, Greek Sculpture and Roman Taste, in BMusFA, LXV, 1967, p. 175 ss.; W. Trillmich, art. cit., in Jdl, LXXXVIII, 1973, p. 274, passim; R. Neudecker, op. cit., p. 141 s., 162 ss.; B. Andreae, Odysseus, cit., p. 222 ss.; E. Bartman, Decor et Duplicatio. Pendants in Roman Sculptural Display, in AJA, XCII, 1988, p. 211 ss.; R. Kabus-Preisshofen, Die Statuette eines knienden Mädchens klassischer Zeit, in AntPl, XIX, 1988, p. 11 ss. - Copie inverse: H. Lauter, art. cit., in BJb, CLXVII, 1967, p. 119 ss.; C. C. Vermeule, Greek Sculpture and Roman Taste..., cit., p. 3 ss.; P. Pensabene, Il teatro romano di Ferento, cit., p. 84 ss.; P. Liverani, in M. Fuchs, P. Liverani, P. Santoro, Il teatro e il ciclo statuario giulio-claudio (Caere, II), Roma 1989, p. 157.
Zone di produzione e singoli centri. - Grecia: P. Karanastassis, artt. citt. in AM, CI, 1986, p. 207 ss e CU, 1987, p. 323 ss. - Atene: A. Datsouli-Stavridis, Ρωμαικα γλυπτά απο το Εθνικό Μουσείο, in AEphem, 1984, p. 161 ss. - Corinto: Μ. Sturgeon, A New Group of Sculpture from Ancient Corinth, in Hesperia, XLIV, 1975, p. 280 ss.; M. E. C. Soles, Aphrodite at Corinth (diss., Yale 1976), Ann Arbor (Michigan) 1981; B. S. Ridgway, Sculptures from Corinth, in Hesperia, L, 1981, p. 422 ss.; M. Sturgeon, Roman Sculptures from Corinth and Isthmia: a Case for a Local «Workshop», in S. Walker (ed.), The Greek Renaissance in the Roman Empire. Papers from the X British Museum Classical Colloquium, London 1986 (BICS, Suppl. 55), Londra 1989, p. 114 ss. - Cirene: E. Paribeni, Catalogo delle sculture di Cirene. Statue e rilievi di carattere religioso, Roma 1959; E. Rosenbaum, A Catalogue of Cyrenaic Portrait Sculpture, Londra 1960; G. Traversari, Statue iconiche femminili cirenaiche, Roma 1960; S. Kane, Sculpture from the Cyrene Demeter Sanctuary in Its Mediterranean Context, in G. Barker, J. Lloyd, J. Reynolds (ed.), Cyrenaica in Antiquity (BAR, Int. S., 236), Oxford 1985, pp. 237 ss. - Creta: L. Guerrini, art. cit., in Studi in onore di D. Levi; ead., art. cit., in ASAtene, XLVI, 1984 (1988), p. 113 ss.; F. Ghedini, Sculture dal Ninfeo e dal Pretorio di Genina, ibid., XLVII, 1985, p. 63 ss. - Delo: P. C. Bol, Die Skulpturen des Schiffsfundes von Antikythera, cit.; M. Kreeb, Untersuchungen zur figürlichen Ausstattung delischer Privathäuser, Chicago 1988. - Thasos: C. Gasparri, Una officina di copisti in età medio-imperiale, in S. Walker (ed.), The Greek Reinassance..., cit., p. 96 ss.; J. J. Herrmann, Thasos and the Ancient Marble Trade, in Marble..., cit., p. 73 ss. - Rodi: G. Gualandi, Sculture di Rodi, in ASAtene, XXXVIII, 1976, p. 7 ss.; A. Hermann, Rhodian Red Limestone Sculptures, in Kanon..., cit., p. 244 ss. - Zona flegrea, Pozzuoli, Baia: A. de Franciscis, Officina di scultore a Pozzuoli, in Atti del XII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1972, Taranto 1973, pp. 277-283; S. Adamo Muscettola, Ritratti di filosofi da Baia, in RendAccNap, LI, 1976, p. 31 ss.; A. de Franciscis, Una testa di peplophoros da Cuma, in Miscellanea O. Molisani, III, Catania 1982, p. 40 s.; Ch. Landwehr, Die antike Gipsabgüsse..., cit., passim; C. Gasparri, art. cit., in S. Walker (ed.), The Greek Reinassance..., cit., p. 96 ss. - Aquileia: I. Favaretto, Sculture non finite e botteghe di scultura ad Aquileia, in Veneria, II, 1970, p. 127 ss.; V. Scrinari Santamaria, Museo Archeologico di Aquileia. Catalogo delle sculture romane, Roma 1972. - Asia Minore: J. Inan, E. Rosenbaum, Roman and Early Byzantine Portrait Sculpture in Asia Minor, Londra 1966; eaed., Römische und frühbyzantinische Porträtplastik aus der Türkei. Neue Funde, Magonza 1979. - Efeso: M. Waelkens, art. cit., in AJA, LXXXIX, 1985, p. 641 ss.; Β. Andreae, Die Polyphemgruppe von Ephesos, in Lebendige altertumswissenschaft..., cit., p. 209 ss.; A. Aurenhammer, art. cit. ibid., p. 212 ss.; E. Atalay, Weibliche Gewandstatuen des 2. Jhr. n. Ch. aus ephesischen Werkstätten, Vienna 1989; M. Aurenhammer, Die Skulpturen von Ephesos. Idealplastik I (Forschungen Ephesos, X, 1), Vienna 1990. - Side, Perge: J. Inan, Three Statues from Side, in AntK, XIII, 1970, p. 17 ss.; ead., Roman Copies of Some Famous Greek Statues from Side, in AntPl, XII, 1973, p. 69 ss.; ead., Eine hellenistische Tänzerin aus Perge..., cit., p. 347 s. - Afrodisiade: C. C. Vermeule, Aphrodisiaca. Satyr, Maenad and Eros, in Essays Κ. Lehmann, New York 1964, p. 359 ss.; Κ. T. Erim, The School of Aphrodisias, in Archaeology, XX, 1967, p. 18 ss.; id., Sculptures from Aphrodisias, in Proc. X Congr. Arch., Ankara 1973, Ankara 1978, p. 1077 ss.; J. Mladenova, L'école d'Aphrodisias en Thrace, in RdA, III, 1979, p. 91 ss.; P. Rockwell, Finish and Unfinish in the Carving of the Sebasteion, in Aphrodisias Papers, Ann Arbor (Michigan) 1980, p. 101 ss.; M. Floriani Squarciapino, La Scuola di Afrodisia (40 anni dopo), in ArchCl, XXXV, 1983, p. 74 ss.; B. Freyer-Schauenburg, Die Tyche von Aphrodisias, in Boreas, VI, 1983, p. 128 ss. - Cherchel: K. Fittschen, in Die Numider (cat.), Bonn 1979, p. 227 ss.; Ch. Landwehr, Subhellenistische Bildwerke aus Caesarea Mauretania, in Akten des XIII. Int. Kongr. Klass. Archäol. ..., cit., p. 510 s. - Dalmazia: M. Abramić, Antike Kopien griechischer Skulpturen in Dalmatien, in Festschrift R. Egger, Klagenfurt 1952, p. 303 ss.
Copie tardo-antiche: H. von Heintze, Studien zur griechischen Porträtkunst, in RM, LXXI, 1964, p. 71 ss.; D. Brinkerhoff, A Collection of Sculpture in Classical and Early Christian Anatolia, New York 1970; H. Wrede, Die spätantike Hermengalerie von Welschbillig, Berlino 1972; L. Bonfante, C. Carter, An Absent Herakles and a Hesperid: a Late Antique Marble Group in New York, in AJA, XCI, 1987, p. 247 ss.; H. Wrede, art. cit., in JbAChr, XXX, 1987, p. 118 ss.