COPPELLOTTI (Copellotti)
Ceramisti lodigiani del XVII-XVIII secolo, che, secondo il Caffi (1878), discenderebbero dalla famiglia di quel Giovanni (I) Copellotti, pittore del XVI secolo, di cui il Museo civico di Lodi conserva trentasei disegni di soggetto biblico, firmati e datati 1590 e 1592 (U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 371).
Le prime notizie dei C. ceramisti si hanno nel 1641, data in cui un Giovanni (II) ottenne, dai decurioni della città di Lodi, la licenza per aprire una fabbrica di maioliche (Agnelli, 1896).
Questa sorse nel centro della città, nei pressi dell'attuale chiesa di S. Filippo (Agnelli, 1896). Secondo il Novasconi (1964) Giovanni (II) portò la manifattura a una certa notorietà, ma della sua attività di ceramista non si può dare alcun giudizio, non essendo state trovate opere a lui attribuibili. Nel 1679 la direzione della fabbrica passò nelle mani di Antonio Giovanni Maria (Minghetti, 1946), altrimenti ricordato anche come Antonio Maria e Giovanni Maria, figlio, o nipote, di Giovanni (II) (Novasconi, 1964). Questi fu affiancato inizialmente, secondo il Levy (1962) per la sua giovane età, da un certo Pietro Martire, forse un esperto operaio della fabbrica, affinché lo guidasse nella sua attività. Diretta da Antonio Giovanni Maria, la manifattura acquistò grande fama, tanto da infuenzare con il suo stile decorativo la produzione di molte fabbriche savonesi e venete (Novasconi, 1964). Da un documento del 1712 si apprende che Antonio Giovanni Maria aveva esteso la sua attività commerciale anche fuori Lodi (Baroni, 1931).
Nel 1728 fu decretato, dalle autorità cittadine, che tutte le fabbriche di maioliche situate nella città dovessero essere trasferite aitiove per il continuo pericolo di incendio che queste rappresentavano; ma l'ordinanza non ebbe seguito e la fabbrica del C. rimase al suo posto (Baroni, 1931).
Secondo il Novasconi (1964), Antonio Giovanni Maria morì, presumibilmente, verso la metà del '700, perché da quell'epoca subentra, alla guida della fabbrica, il figlio di lui, Bassano.
Bassano si dedicò solo per un breve periodo all'attività patema; avendo infatti vinto un concorso, nel 1756, per diventare "ragionato" della città, preferì intraprendere la carriera impiegatizia (Novasconi, 1964). In un primo tempo, comunque, continuò ad occuparsi della fabbrica; nel 1763 risulta che la direzione di questa era affidata a un certo G. Moroni. In una relazione stesa dal consigliere ispettore alle fabbriche, conte Pietro de La Tour, nel 1766, veniva ricordata l'attività della manifattura di Bassano e il suo commercio fuori dello Stato (Novasconi, 1964). Nel 1770 la fabbrica fu affittata a Giulio Berinzaghi e nel 1771 a certo Pedrinazzi (Novasconi, 1964). Nel 1787 una nuova ordinanza comunale ne ordinava la chiusura definitiva concedendo un'indennità al proprietario e all'affittuario (Baroni, 1931).
Delle maioliche uscite dalla manifattura dei C., le uniche di sicura attribuzione sono quelle prodotte durante il periodo di Antonio Giovanni Maria, in quanto sono in gran parte marcate. Tale marca consiste nel monogramma "AMC" intrecciato, talora accompagnato dai nomi dei pittori e dei modellatori. Queste maioliche sono caratterizzate da una pasta sottile, leggera e da uno smalto vellutato, di varie tonalità: dal grigio perla al grigio azzurro, dal bianco all'avorio (Novasconi, 1964) Antonio Giovanni Maria si avvalse dell'opera di valenti ceramisti, come il pittore L. Morsenchio e il modellatore G. Codazzurro le cui firme si ritrovano in un piatto datato 1743 (ill. in Novasconi, 1964).
Il decoro di queste maioliche fu, in un primo tempo, prevalentemente in monocromo turchino con motivi all'italiana (rovine, castelli, fiori), alla francese (rabeschi, foglie) o alla maniera delle porcellane cinesi. Novasconi (1964) fa notare anche l'originalità di certe decorazioni a frutta. Verso il 1735-40, accanto alla produzione in monocromo turchino si affiancò quella in policromia ed è proprio in questo periodo che vennero prodotte le maioliche considerate più pregiate (Novasconi, 1964).
Fonti e Bibl.:M. Caffi, Degli artisti lodigiani, Milano 1878, pp. 21, 31; G. Agnelli, Lodi e territ. nel Seicento, in Arch. stor. lomb., XXIII (1896), p. 87 nota; Id., Lodi e suo territ. nel Settecento, ibid., XXIV (1897), p. 334; C. Baroni, La maiolica antica di Lodi, ibid., LVIII (1930, pp. 448 s., 455-457; A. Minghetti, I ceramisti italiani, Roma 1946, p. 129; S. Levy, Maioliche settecentesche lombarde e venete, Milano 1962, pp. 15-17, tavv. 121-150; H. P. Fourest, La maiolica in Europa, Novara 1964, pp. 111 s.; Museo Poldi Pezzoli, Maioliche di Lodi, Milano e Pavia (catal.), Milano 1964, pp. 15 s., con ill.; A. Novasconi-S. Ferrari-S. Corvi, La ceramica lodigiana, Milano 1964, pp. 23, 27, 34-36, 47, ill. pp. 53-121; O. Ferrari-G. Scavizzi, Maioliche ital. del Seicento e Settecento, Milano 1965, p. 26; G. C. Sciolla, Museo civico di Lodi, Bologna 1977, pp. VIII s.; tavv. pp. 72-76, 78.