COPPI, Iacopo, detto Iacopo del Meglio
Nacque a Peretola (Firenze) nel settembre del 1523 da una modesta famiglia di artigiani. Non è chiaro se il padre si chiamasse Antonio del Meglio o Meglio di Giovanni, donde il soprannome con cui il C. è anche noto. Della sua prima giovinezza e formazione nulla è noto, ma egli non dovette entrare precocemente nella cerchia vasariana come la maggioranza dei suoi coetanei, perché non è nominato nelle Vite del Vasari pubblicate nel 1568 in cui il maestro enumera tutti i suoi discepoli e collaboratori. Partecipò ai lavori decorativi per gli apparati funebri allestiti in occasione delle esequie michelangiolesche, ma non resta traccia di questi lavori.
Della prima attività l'unica testimonianza attendibile, finora nota, è l'Autoritratto conservato nelle Gallerie fiorentine (inv. 1752), databile con buona approssimazione alla metà del sesto decennio. Sembra comunque chiaro, dall'esame delle prime opere che gli sono riferite con certezza, che la cultura del giovane C. sia strettamente dipendente da quella di discendenza bronzinesca che trovò in Iacopino del Conte l'interprete più alto negli anni tra il 1530 e il '40. A testimoniare questo orientamento è una Pietà nelle raccolte della Banca toscana che gli è stata di recente attribuita con fondamento e con una datazione ad un periodo immediatamente precedente la presenza del C. nello studiolo di Francesco I, anteriormente al 1570 (Pace, 1973).
È in quest'ultimo ambiente che si può cogliere la fase di massimo avvicinamento del C. all'ambiente vasariano. Nello studiolo egli eseguì due scene: la Famiglia di Dario davanti ad Alessandro e L'invenzione della polvere da sparo. È nello studiolo che il C. assimilò quella cultura preziosa e in certi limiti eclettica che rappresenta l'espressione più audace e innovativa prodotta nell'ambito della scuola vasariana da un gruppo di giovani ingegni, di cui il C. dovette subire un influsso determinante.
Nella scena della Famiglia di Dario il gusto per la moltiplicazione delle prospettive e la frantumazione dello spazio, per l'esasperato senso dell'allungamento della figura, per l'ostentazione del nudo e della posa lambiccata (anche nel senso letterale del termine, trattandosi di un ambiente evocante procedure alcherniche), sono altrettanti elementi che vengono a strutturare in modo decisivo la figurazione del Coppi. Sono fin d'ora percepibili peraltro, pur nell'alta omogeneità stilistica dei piccolo ambiente, alcune caratteristiche peculiari del C.: l'esecuzione quasi disseccata della figura, l'estrema puntualizzazione di certi aspetti fisionomici che lo portano a una formula di tipo quasi grottesco che non perderà mai e che resterà anzi quale elemento caratterizzante della sua maniera.
Il 18 dic. 1571 entrò nell'Accademia dei disegno di cui fu console nel 1573, '76 e '85 (Colnaghi). Negli anni che vanno dal 1570 al '76 dovette essere pressoché costantemente a Firenze. Restano almeno due ragguardevoli pale d'altare a documentare questo periodo: la Predicazione di s. Vincenzo Ferreri in S. Maria Novella, firmata e datata 1574. e l'Ecce Homo in S. Croce, firmata e datata 1576. È invece perduta una pala, la cui datazione è collocabile nello stesso momento, per l'altare di S. Clemente nel duomo di Pisa, stimata dal Buontalenti e da Cristoforo dell'Altissimo.
Si tratta di opere in cui si ravvisano più chiaramente le scelte e gli orientamenti stilistici del C. nell'ambito dell'arte sacra.
Il C. mantiene una stretta aderenza ai modi di Iacopino del Conte dal punto di vista sia stilistico sia latamente fisionomico, ma partecipa a quel vasto moto di cultura figurativa orientata verso il "pingere oscuro" che ha una provenienza fiamminga e viene mutuato in ambiente fiorentino soprattutto dallo Stradano. Il C. si avvicina a questa impostazione immettendola nella tipica pala d'altare fiorentina, sviluppata da Alessandro Allori da un lato e dal Vasari dall'altro. È una pala d'altare sovrappopolata di figure, intensamente mistica, giganteggiante, costruita a piani degradanti in cui si tende a unire l'elemento narrativo con quello statico dei santi collocati in posa sotto l'apparizione celeste. In tal senso è esemplare la pala di S. Maria Novella, dove l'equilibrio tra la dimensione declamatoria propria al soggetto e la costruzione della macchina figurativa crea un contesto di rara suggestione.
Nel maggio del 1576 partì da Pisa per Roma, dove nel 1577 appose la firma e la data sugli affreschi dell'abside della chiesa di S. Pietro in Vincoli con Storie delle catene di s. Pietro e un Concerto angelico.
Si tratta dell'opera più impegnativa eseguita dal C., di ampio respiro e densa di riferimenti. In sostanza è qui formulato con ampiezza quel criterio di combinazione tra narrazione (sviluppata soprattutto nella zona inferiore) e storia mistica che costituisce il nucleo della figuratività del Coppi.
Attraverso una sottile e complessa utilizzazione dello spazio prospettico sezionato e moltiplicato in modo cavilloso, il C. evoca un mondo orientaleggiante dove appaiono personaggi arcani, figure femminili in abiti contemporanei, maghi, mentre persino le figure angeliche assumono un aspetto stralunato e inquieto che costituisce ormai una vera e propria sigla di riconoscibilità dell'artista.
Le fonti riferiscono al C., durante il periodo romano, anche affreschi nelle cappelle di S. Carlo e di S. Antonio, con Storie dei santi titolari, nella chiesa di S. Caterina della Rota, ma nulla ne rimane e gli affreschi raffiguranti concerti angelici contenuti in due piccole calotte absidali non spettano al C., ma presumibilmente al lombardo Francesco Nappi. Parimenti non vi sono più opere del C., pur citate dal Titi (1686, p. 393), in S. Giovanni dei Fiorentini.
È stata invece avvicinata al C., durante il periodo romano, la Crocifissione posta sull'altar maggiore dell'oratorio del Gonfalone, che è opera molto rilevante ma problematica, già attribuita a Livio Agresti (un pittore forlivese in stretto contatto con l'ambiente vasariano) o a Roviale Spagnolo (cfr. Strinati, 1979).
Posteriormente all'attività romana l'opera più ragguardevole è la grande pala d'altare raffigurante la Storia del Crocifisso di Soria nella chiesa di S. Salvatore a Bologna, del 1579; citata dal De Brosses nelle sue lettere (Ch. de Brosses, Viaggio in italia..., Bari 1973, p. 179).
È l'opera che costituisce una sorta di summa dell'attività del Coppi. Caratterizzata da un esplicito e insistente richiamo allo stile e alla struttura del Pontormo, contiene anche quegli elementi di neovenetismo già divulgati a Firenze al tempo dello studiolo e in auge proprio in questo estremo scorcio degli anni '70 tra i pittori toscani più progrediti e colti.
Intorno a questa data dovrebbero essere collocati anche il Ritratto di Niccolò di Francesco Barberini della collez. Franchetti a Venezia (C. Gamba, La Ca' d'Oro..., in Bollettino d'arte, X [1916], p. 325), certamente anteriore al 1573, anno di morte del Barberini, e la Pentecoste in S. Niccolò a Firenze.
Praticamente sconosciuta resta l'attività del C. nell'ultimo decennio della sua vita. Morì a Firenze nel 1591 e fu sepolto nella chiesa di S. Simone.
Bibl.: R. Borghini, Il Riposo, Firenze 1584, p. 63; F. Bocchi-G. Cinelli, Le bellezze della città di Firenze, Pistoia 1678, p. 30; F. Titi, Ammaestramento di pittura... nelle chiese di Roma, Roma 1686, pp. 93 s., 216, 393; G. Richa, Not. storiche delle chiese fiorentine, Firenze 1758-62, I, p. 99; III, p. 72; X, p. 269; F. Tolomei, Guida di Pistoia, Pistoia 1821, p. 68; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte da documenti pisani, Pisa 1897, pp. 301 ss.; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 5, Milano 1932, pp. 322-25; W. ed E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, I-IV, Frankfurt a. M. 1940-1952; Cfr. Indici, VI, ibid. 1954; M. V. Brugnoli, Affreschi del C. in S. Pietro in Vincoli, in Il Vasari, XXI (1963), pp. 186 ss.; L. Berti, Il Principe dello Studiolo, Firenze 1967, p. 167; S. J. Freedberg, Painting in Italy, 1500to 1600, Harmondsworth 1971, p. 427; V. Pace, Contributi al catal. di alcuni Pittori dello Studiolo di Francesco I, in Paragone, XXIV (1973), 285, pp. 69 s.; C. Strinati, Quadri romani tra Cinquecento e Seicento (catal.), Roma 1979, p. 17; GliUffizi. Catalogo generale, Firenze 1979, A 251, p. 846; Firenze e la Toscana dei Medici nell'Europa del Cinquecento. Palazzo Vecchio: committenza e collezionismo medicei (catal.), Firenze 1980, p. 288; M. Rinchart, The Studiolo of Francesco I, in Art the Ape of Nature. Studies in honor of H. W. lanson, New York 1981, pp. 275-289; S. Schaefer, The invention of gunpowder, in Journ. of the Warburg and Courtauld Inst. s., XLIV (1981), pp. 209 ss.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 378; D. E. Colnaghi, A Dict. of Florentine painters, London 1928, p. 77.