copula
Si chiama copula (dal lat. cōpula(m) «unione, legame») qualunque elemento svolga nella frase la funzione di collegare un soggetto e un costituente non verbale in una predicazione. Nel modello classico, la copula è una componente del predicato nominale e lo provvede dei tratti grammaticali di tempo, modo, aspetto e accordo. La funzione tipica della copula è quella di attribuire una proprietà al soggetto della frase, ma in taluni usi essa ha anche la funzione di segnalare identità tra soggetto e predicato o specificazione (vedi sotto).
In italiano la funzione di copula è svolta normalmente dal verbo essere (➔ predicato, tipi di), anche se esistono altri verbi che hanno la stessa funzione (§ 3).
Le riflessioni sul valore della copula appaiono già nell’analisi aristotelica della frase dichiarativa (logós apophantikós) come struttura bipartita, composta da un soggetto e un predicato. Secondo Aristotele, il predicato si caratterizza perché esprime la categoria del tempo, normalmente incorporata nei verbi ma assente nei nomi. Tale caratteristica del predicato rende possibile combinarlo col soggetto e, quindi, produrre un giudizio di verità sulla frase risultante. In questa prospettiva, la copula ha la funzione di fornire il tempo del predicato nel caso in cui questo sia lessicalmente espresso da un costituente nominale (per es., in Socrate è un uomo).
L’idea che la copula sia un ‘segnatempo’ per la predicazione nominale ha attraversato, con varianti, larga parte della storia della grammatica occidentale. Su questa base, Abelardo creò nell’XI secolo il modello d’analisi per il predicato nominale ancor oggi utilizzato nella grammatica descrittiva, e introdusse il termine stesso di copula, per sottolinearne la funzione di legame tra due costituenti nominali. In sintesi, propose di considerare la copula come un operatore che ha come complemento un costituente nominale e con esso forma insieme un unico sintagma verbale predicativo, il cui tratto temporale è quello marcato dal verbo essere.
Nei termini della grammatica tradizionale, il predicato nominale si compone di due parti: la copula, che corrisponde ad una forma del verbo essere (è), e la parte nominale (o nome del predicato o predicato nominale), costituita da un elemento (un nome o un aggettivo) con valore predicativo, per es. un insegnante (➔ frasi nucleari):
(1) Mario è un insegnante
La parte nominale è la testa del predicato. Al contrario, la copula è priva di significato lessicale e segnala solo i tratti grammaticali della predicazione (cfr. il concetto di dummy verb «verbo vuoto» in Jespersen 1937; Lyons 1968): modo, tempo e aspetto verbale (2) e l’accordo con il soggetto (3):
(2) Mario era un insegnante
(3) Mario e Luisa sono insegnanti
In latino classico il rapporto di predicazione nominale era espresso anche senza copula, con la semplice giustapposizione di un soggetto e di un costituente predicativo non verbale (per es., omnia praeclara rara «tutte le cose insigni [sono] rare»; omnis homo mortalis «ogni uomo [è] mortale»). Costruzioni simili, tradizionalmente definite frasi nominali (➔ nominali, enunciati), sono ben testimoniate anche in altre lingue della famiglia indoeuropea (greco antico, sanscrito, antico persiano, russo) e hanno costituito tema di interesse per gli studi di linguistica storica.
Secondo una delle ipotesi principali, fortemente debitrice del modello aristotelico, l’uso di essere in funzione di copula nelle lingue indoeuropee deriverebbe da un’originaria costruzione puramente nominale (Meillet 1906; Jespersen 1937; Hjemslev 1948). L’introduzione dell’elemento verbale avrebbe lo scopo di segnalare in modo esplicito i tratti grammaticali della flessione verbale. Posizione diversa è quella di Benveniste (1950), che considera indipendenti i due costrutti: le frasi con il verbo essere sono frasi verbali a tutti gli effetti, in cui il rapporto tra soggetto e predicato è definito sulla base dei tratti incorporati nella flessione verbale; diversamente, le frasi nominali sono costitutivamente prive di tali tratti, e godono pertanto di una maggiore genericità e universalità.
La presenza di strutture di predicazione nominale senza copula riguarda un numero consistente di lingue di famiglie diverse (indoeuropee, semitiche, uraliche, sinotibetane, altaiche, bantu, amerindiane). La tipologia moderna utilizza l’etichetta di copula zero (in ingl., zero copula o copula dropping: Pustet 2003) per indicare simili fenomeni.
Le possibilità di realizzazione della copula sono varie: è possibile distinguere tra lingue che non esprimono la copula (così il nahuatl) e lingue che la esprimono opzionalmente. In questo secondo gruppo, ci sono lingue in cui la copula può essere liberamente omessa (turco, cantonese) e lingue in cui l’omissione della copula è possibile solo in determinati contesti (russo, ungherese). Ad es., in russo è possibile omettere la copula solo al presente indicativo (dom bol’šój «la casa [è] grande»), mentre è obbligatorio il verbo byt’ «essere» in funzione di copula nel caso in cui si voglia esprimere un tempo passato (dom byl bol’šój «la casa era grande»).
A livello semantico, la copula segnala l’attribuzione di una proprietà al soggetto della frase. In questo senso, le grammatiche tradizionali distinguono il valore copulativo di essere da quello locativo, in cui il verbo è sinonimo di trovarsi (alcune grammatiche, tuttavia, considerano copulativi anche tali usi: cfr. Salvi 1991):
(4) Mario è a Roma
La proprietà attribuita al soggetto attraverso una relazione copulativa può corrispondere a:
(a) l’appartenenza ad una classe, espressa attraverso un sintagma nominale (5):
(5) quel cane è un bassotto
(b) il possesso di una qualità, transitoria o permanente, espressa attraverso un aggettivo predicativo (6) o un sintagma preposizionale con valore attributivo (7):
(6) Luigi è stanco
(7) la ciotola è di legno
(c) una quantificazione determinata, espressa attraverso un numerale (8):
(8) le carte da poker sono cinquantadue
Oltre a essere, altri verbi possono avere funzione copulativa: sembrare, parere, stare, restare, rimanere, risultare, diventare (➔ copulativi, verbi). Tali verbi possono essere considerati varianti semantiche della copula (nel senso di attribuzione di proprietà) e si costruiscono obbligatoriamente con un complemento predicativo del soggetto (➔ predicativo, complemento).
La teoria grammaticale moderna ha elaborato un modello per analizzare più in generale le possibili funzioni della copula, introducendo la nozione di frase copulativa (copular clause: cfr. Halliday 1967; Akmajian 1979; Higgins 1979). Il modello postula una struttura di base tripartita composta da un soggetto, una copula e un complemento nominale.
I tipi di frase copulativa sono definiti a partire dai valori semantici dei costituenti nominali che il verbo essere mette in relazione: possono essere referenziali, quando vengono usati per riferirsi ad un ente, o predicativi (non referenziali), quando vengono usati per designare una proprietà. Tipicamente, come nell’esempio (9), una frase copulativa ha un soggetto referenziale (la stella del mattino) e un complemento non referenziale (un pianeta):
(9) la stella del mattino è un pianeta
Tuttavia, come fu notato dagli studi logici a cavallo tra Ottocento e Novecento (Frege 1892; Russell 1919), il complemento può essere costituito anche da un sintagma nominale referenziale, come un nome proprio (10), un pronome deittico (11) o una descrizione definita (12):
(10) la stella del mattino è Venere
(11) la stella del mattino è quella
(12) la stella del mattino è la stella della sera
In prospettiva logica, il verbo essere assume in ognuno di questi casi il valore di predicato di identità: la semantica della predicazione non corrisponde infatti ad un’attribuzione di proprietà, ma ad un’uguaglianza tra il riferimento del soggetto e quello del complemento. Ciò è dimostrato dalla proprietà nota come reversibilità dei costituenti di queste frasi (per es., Venere è la stella del mattino), e dipende dal fatto che il sintagma nominale in posizione di complemento è usato per riferirsi ad un oggetto, e non per esprimere una proprietà.
Muovendo da queste osservazioni, nella descrizione delle frasi copulative si considerano le proprietà referenziali sia del complemento sia del soggetto e si distinguono tre tipi fondamentali: le frasi predicative, le frasi identificative e le frasi specificative (Salvi 1991; Mikkelsen 2005).
Nelle frasi predicative, che sono le frasi copulative standard, il soggetto è pienamente referenziale e il complemento è costituito da un sintagma non referenziale (nominale, aggettivale o preposizionale) che indica una proprietà attribuita al soggetto:
(13) quel cane è un setter
(14) Carlo è calvo
(15) la sedia è da esterno
Le frasi identificative (o equative) corrispondono ai predicati di identità della logica. In esse, sia il soggetto sia il complemento, che hanno valore referenziale, denotano lo stesso referente. La funzione di una frase identificativa è quella di stabilire la coincidenza tra i due referenti:
(16) la stella del mattino è Venere
(17) l’attrice in primo piano è Ingrid Bergman
(18) quello a destra è mio cugino
Una terza possibilità è quella di avere un soggetto non-referenziale e un predicato nominale referenziale. In questo caso, la frase copulativa corrispondente, detta specificativa, ha la funzione di individuare il referente a cui attribuire la proprietà indicata dal sintagma non-referenziale in posizione di soggetto:
(19) il mio migliore amico è Gianni
(20) la strada più breve è quella
(21) il miglior giocatore è stato il portiere.
Akmajian, Adrian (1979), Aspects of the grammar of focus in English, New York, Garland Press.
Benveniste, Émile (1950), La phrase nominale, «Bulletin de la Société de linguistique de Paris» 46, pp. 19-36.
Frege, Friedrich (1892), Über Begriff und Gegenstand, «Viertel-jahrsschrift für wissenschaftliche Philosophie» 16, pp. 192-205 (trad. it. Concetto e oggetto, in La struttura logica del linguaggio, a cura di A. Bonomi, Milano, Bompiani, 1973, pp. 373-386).
Halliday, Michael A.K. (1967), Notes on transitivity and theme in English (Part 2), «Journal of linguistics» 3, pp. 199-244.
Higgins, Francis Roger (1979), The pseudo-cleft construction in English, New York, Garland Press.
Hjelmslev, Louis (1948), Le verbe et la phrase nominale, in Mélanges de philologie, de littérature et d’histoire anciennes offerts à J. Marouzeau, Paris, Les Belles Lettres, pp. 253-281.
Jespersen, Otto (1937), Analytic syntax, London, Allen & Unwin.
Lyons, John (1968), Introduction to theoretical linguistics, Cambridge, Cambridge University Press (trad. it. Introduzione alla linguistica teorica, Bari, Laterza, 1971).
Meillet, Antoine (1906), La phrase nominale en indo-européen, «Mémoires de la Société de linguistique de Paris» 14, pp. 1-26.
Mikkelsen, Line (2005), Copular clauses. Specification, predication and equation, Amsterdam - Philadelphia, John Benjamins.
Pustet, Regina (2003), Copulas. Universals in the categorization of the lexicon, Oxford, Oxford University Press.
Russell, Bertrand (1919), Introduction to mathematical philosophy, London, Allen & Unwin.
Salvi, Giampaolo (1991), Le frasi copulative, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 2° (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione), pp. 163-189.