CORAZZA
Armatura difensiva composta da diversi materiali.
Oriente anteriore. - L'uso della c. nell'antico Oriente anteriore compare soltanto intorno alla metà del II millennio a. C.: i guerrieri sumeri e quelli egiziani dell'Antico e del Medio Regno non presentano, nei monumenti che li raffigurano, alcuna traccia di difesa della parte superiore del corpo, ad eccezione dello scudo. I resti più antichi di c. sono stati trovati a Nuzi, una località nell'alta Mesopotamia, in uno strato datato alla seconda metà del II millennio. Tale circostanza (si tenga presente che Nuzi si trova in piena zona hurrita), insieme al fatto che lo studio linguistico del termine usato per "corazza" nelle varie lingue ha dimostrato che la forma originaria della parola risale agli Hurriti, ha portato alla conclusione che a questo "popolo dei monti" si deve l'origine della corazza. I resti di c. trovati a Nuzi (ora conservati nell'Iraq Museum di Bagdad) consistono principalmente in placche di bronzo di forma oblunga, unite mediante cinghie di cuoio in modo da formare delle fasce; dall'unione di queste ultime nasce quindi la c. completa. La forma di questa si mantenne praticamente inalterata fino all'epoca classica (si vedano le c. delle divinità palmirene in abiti militari). I rilievi neo-assiri offrono numerosi esempî di c. di questo tipo; in uno proveniente da Ninive (conservato, come gli altri menzionati appresso, al British Museum) si vedono soldati del re Sennacherib (704-681 a. C.) muniti di c. a scaglie riunite in fasce orizzontali: analoga è la c. dei cavalieri di Tiglatpileser III (745-727 a. C.) raffigurati su un rilievo proveniente da Nimrud (v. assira, arte). Un tipo diverso presenta, invece, il corsetto di maglia decorato a rosette, indossato dal re Assurbanipal (668-626 a. C.) su un rilievo da Ninive, e una specie di kardiophỳlax che si vede su un fante assiro, su un altro rilievo, pure proveniente da Ninive.
Dalla Mesopotamia la c. si diffuse verso occidente, ma in maniera disuguale: è nota la meraviglia destata negli Israeliti dalle armi del gigante Golia, il che significa che ancora in quel periodo, nell'XI sec. a. C., gli Israeliti non usavano la c.; questa si diffuse presso di essi solo alcuni secoli più tardi, al tempo del re di Giuda Ozia (783-742 a. C.): precedentemente la c. era riservata ai re e ai grandi dignitari, più come ornamento che come mezzo di difesa.
In Egitto invece le prime c. compaiono durante la XVIII dinastia (1570-1318 a. C.), quantunque esse divengano comuni solo durante la dinastia successiva (1318-1200 a. C.). Se l'uso della c., come rivela chiaramente il suo nome in egiziano, è di origine asiatica, la tipologia presenta modelli locali. La c. egiziana è nota in due tipi: uno è costituito da un'alta cintura, a fasce orizzontali, che giunge fin quasi alle ascelle ed è sostenuta da due larghe bretelle; l'altro consta di due parti, di cui una è identica a quella del primo tipo, l'altra è costituita da una specie di gonnellino aperto sul davanti e sui lati, per lasciare libero il movimento delle gambe. L'origine del secondo tipo sembra da attribuire ai "popoli del mare". Più tardi compare in Egitto anche il tipo asiatico; le scaglie sono talvolta di metallo, talvolta di cuoio o di legno. Sono state inoltre trovate delle c. usate a scopo ornamentale, decorate con fregi e motivi vari.
Bibl.: H. Bonnet, Die Waffen der Völker des alten Orients, Lipsia 1926, pp. 209-216. Per le c. di Nuzi: R. F. S. Starr, Nuzi, I, Cambridge Mass. 1939, pp. 475-480, 541-542; II, 1937, pl. 126. Sul nome antico della c.: E. A. Speiser, On Some Articles of Armor and their Names, in Journ. Amer. Orient. Society, LXX, 1950, pp. 479-481.
(G. Garbini)
Civiltà micenea e Grecia. - Il primo accenno alla protezione del corpo si ha nell'uso di indossare spoglie di animali, attestato anche dalla mitologia. Originariamente pare che le uniche armi di difesa fossero lo scudo (v.), l'elmo (v.), le gambiere (v.), tanto più che lo scudo era in origine di grandi dimensioni, sì da coprire quasi tutta la persona. L'unico esempio di protezione del tronco nella civiltà minoica, è una specie di cotta a squame indossata da quello che sembra il capo della sfilata, nel vaso in steatite di Haghia Triada. I poemi omerici parlano spesso di c., ma senza precisi particolari; a questa imprecisione si aggiunge l'incertezza critica per alcune parti del testo. Ad ogni modo l'età omerica conosceva già le armi metalliche di difesa e l'uso anche di metalli preziosi (armatura d'oro di Glauco: Il., vi). L'impiego della c. si rendeva necessario man mano che si riducevano le dimensioni dello scudo. Fin dall'arcaismo le genti greche usano due tipi di c.: quello rigido (ϑώραξ στάδιος), formato da due valve (γύαλα) di lamina metallica unite sui fianchi e sulle spalle da legami di cuoio o da cerniere, e quello flessibile, in cuoio con applicazione esterna di scaglie metalliche, per lo più embricate (ϑώραξ ϕολιδωτός). Alla c. che giungeva alla cintura era applicato anteriormente, per difesa del basso ventre, un grembiale di cuoio, che in seguito fu sostituito da uno formato di strisce di cuoio, spesso rinforzato da lamine metalliche (πτέρυγες). Sulle corazze di lino, attestate a partire dal VI sec., non abbiamo ragguagli molto precisi.
Per le corazze greche dobbiamo rivolgerci quasi unicamente alla documentazione indiretta fornitaci dalle statue, dai rilievi e dalle ceramiche, che costituiscono una fonte quasi inesauribile e presentano numerosissimi casi particolari. Dal VII sec. a. C. le due valve del ϑώραξ στάδιος sono unite mediante spallacci allacciati sul dorso e sul petto alla c. per mezzo di stringhe; pur con varianti nella lunghezza, la forma degli spallacci resta invariata fino a tutto il periodo ellenistico.
Caratteristica della c. greca è la stretta funzionalità, cui è subordinata, quando c'è, la decorazione. È ovvio che solo il ϑώραξ στάδιος poteva essere decorato. Naturalmente, nello studio della decorazione della c. occorre distinguere tra l'ornamento della c. nella realtà e il suo rendimento nelle rappresentazioni figurate.
Già la ceramica protocorinzia attesta (vaso Chigi) la decorazione della c. mediante la schematizzazione degli elementi anatomici: due volute corrispondono ai pettorali e una linea parabolica all'arcata epigastrica. La funzionalità, che esigeva l'aderenza al corpo, determina subito la traduzione di questo nella decorazione, ovviamente nei termini del linguaggio formale arcaico. Lo stesso trattamento troviamo in un più tardo bronzetto di Dodona, quando ormai si osservava con più attento studio l'anatomia umana. A queste soluzioni i fabbricanti di armi erano spinti anche dal fatto che il rigido ϑώραξ στάδιος alterava le forme del corpo e quindi doveva costituire qualcosa di disarmonico per una gente che aveva fatto del nudo un problema centrale della propria arte figurativa. A lato però della c. riproducente le forme anatomiche restò sempre la tradizionale c. rigida, attestata in numerose riproduzioni fino all'età ellenistica. La superficie di questa si prestava ad essere coperta di decorazioni per lo più geometriche, distribuite in strisce trasversali, e la policromia vi aveva grande importanza. Quasi a sé è considerato lo spazio fra gli spallacci, decorato talora con protomi e figure.
Un esempio di associazione fra decorazione e modellatura anatomica ci è dato da uno schienale di Olimpia: allo stesso tipo risale una c. geometrica da Argo, che può essere considerata il più antico esempio del genere. Esempî notevoli di corazze decorate si hanno, nella ceramica a figure nere, nei vasi di Amasis, di Exekias, ecc. La famosa anfora vaticana di quest'ultimo maestro mostra una decorazione delle armi particolarmente raffinata. Un esempio insigne di rendimento della c. rigida in uno schema particolarmente complesso è nella statua di arciere nel frontone E del tempio di Egina. Alla fine dell'arcaismo, nella stele di Aristion abbiamo ancora un caso di decorazione di c. a fasce policrome.
Successivamente le rappresentazioni di corazze si riducono assai nella plastica. La preoccupazione realistica di mostrare i guerrieri armati cede dinanzi a quella artistica di rappresentarli in "nudità eroica" (v. nudo). A ciò contribuiva grandemente la nuova sỳntaxis compositiva e anatomica della figura umana impostasi con i maestri dello stile severo. Questa concezione influenza anche la ceramica a cominciare da quella polignotea, per quanto il problema della figura umana, basilare per la plastica nel senso indicato, sia veduto nella pittura, ancora disegnativa, in modo affatto diverso. Tuttavia la ceramica a figure rosse resta ancora la nostra precipua fonte per quanto riguarda la riproduzione di figure armate di c.; così, ad esempio, nella grande tazza di Monaco del Pittore di Pentesilea, mentre il protagonista (Achille) è in "nudità eroica", un altro guerriero greco reca la tradizionale c. rigida con ornati geometrici avvivati da policromia.
Nel corso del V sec. a. C. la c. rigida viene sempre più modellandosi nelle forme del tronco, mediante la curvatura dei fianchi. Le due valve ripetono le forme anatomiche del dorso, del petto e del ventre. Ne è esempio il guerriero con la c. nera su di un cratere di Bologna. La modellatura continua e si perfeziona nel corso del IV secolo, insieme con l'accrescersi dell'ornamentazione. Le corazze di Alessandro il Grande nel mosaico di Pompei e nel bronzo di Ercolano sono tuttavia ancora del tipo tradizionale. Del IV sec. è, infatti, una c. frammentaria con spallucce decorate a rilievo con scene di amazzonomachia. Per successiva evoluzione l'orlo inferiore si adegua sempre più alla curvatura pubica. Tali appaiono le corazze rappresentate nella balaustra della stoà del santuario di Atena a Pergamo e nei rilievi del tempio di Artemide a Magnesia sul Meandro.
Italia. - Non si posseggono dati precisi sulla presenza o meno della c. e sulla forma della medesima presso i popoli più antichi d'Italia fino all'Età del Bronzo.
Per la Sardegna nuragica una ricca documentazione indiretta è data dai bronzetti rappresentanti guerrieri: si riconosce una difesa a piastra rettangolare applicata sul petto, che si può ritenere metallica. Gli altri tipi possono piuttosto essere di cuoio. Nei bronzetti la rappresentazione di queste armi rientra perfettamente nella concezione geometrica della figura. Per l'Italia meridionale e la Sicilia la c. non è documentata esplicitamente fino allo stanziamento dei Greci, e i tipi sono quelli comuni alla Grecia nei singoli momenti storici.
Per le popolazioni italiche della penisola centromeridionale conosciamo la c. costituita da una piastra metallica di forma pressoché triangolare, recante tre dischi a rilievo. Questo elemento metallico dobbiamo pensarlo sovrapposto ad un indumento di stoffa o di cuoio. Le tre placche esprimono forse astrattamente le partizioni anatomiche del tronco. La placca anteriore è unita ad una posteriore mediante spallacci a cerniera e placche minori a difesa dei fianchi. La c. sannitica è nota attraverso un originale al Museo Pigorini di Roma e un bronzetto campano nel Museo del Louvre. L'armamento difensivo dei guerrieri lucani era costituito da una c. di cuoio aderente al corpo che rimaneva privo di protezione e di difesa per il basso ventre: tale tipo di c. è noto attraverso le pitture di Paestum del principio del IV sec. a. C., che ce ne mostrano la decorazione policroma. Il guerriero di Capestrano (v.) ha soltanto due dischi: uno sul petto, l'altro sul dorso, sostenuti da un unico balteo, il tutto sovrapposto ad una corazza di cuoio; inoltre ha una protezione per il basso ventre che deve immaginarsi pure di cuoio, decorata nel bordo inferiore.
Etruria. - Le corazze etrusche sono nell'arcaismo assai simili a quelle greche. Prevalgono quelle di cuoio, piuttosto aderenti, spesso riproducenti sommariamente il rilievo dei pettorali. L'acroterio fittile di Civitacastellana, del principio del V sec. a. C., attesta che, anche nelle armi, si palesava il gusto degli Etruschi per una vivace policromia e il loro decorativismo pesante. Le corazze rappresentate nel carro di Monteleone sono ancora senza spallacci, mentre quelle che compaiono nell'acroterio citato e nelle figure del frontone di Cerveteri hanno spallacci della metà del VI sec., di tipo analogo a quelli delle corazze greche. In rilievi fittili di Segni e di Satricum troviamo spallacci a contorno ovale. In tali rappresentazioni la presenza della c. non si oppone al violento movimento in cui le figure sono espresse, e il poco interesse degli artisti etruschi per il nudo e per i rapporti sintattici nella rappresentazione del corpo umano spiegano la preferenza per la figurazione dei guerrieri in completa armatura. In una cimasa di candelabro del museo di Bologna compare una c. con pettorali stilizzati da volute cui si accompagna un rendimento dei muscoli ventrali anatomicamente piuttosto esatto. Ma la c. anatomica compare solo più tardi nell'arte etrusca. Nella prima metà del V sec. a. C. nei bronzetti si vedono prevalentemente corazze a scaglie con spallacci lunghi e appuntiti. Tali corazze sono piuttosto strette e riducono il tronco a una forma astrattamente geometrica. Al principio del IV sec. a. C. si stabilisce il tipo a segmenti cilindrici sovrapposti, che consente una maggiore libertà di movimento; ne dà un esempio il Marte di Todi. Ma lo schematismo volumetrico permane ed è appunto la forma rigorosamente cilindrica che determina la mancanza di legami fra le varie parti della figura. In coevi bronzetti di Falterona, di Marzabotto e di Bologna continua il tipo a scaglie con minuta decorazione incisa. Così è anche su specchi graffiti. Nel sarcofago delle Amazzoni e nelle pitture della Tomba François le corazze sono di tipo greco con decorazione policroma sempre geometrica. Se la c. anatomica non compare nelle rappresentazioni figurate, tuttavia l'armatura orvietana di bronzo dorato dei Sette Camini ci dimostra che essa era nell'uso.
Età romana. - La mancanza di documentazione diretta e indiretta rende molto incerta la ricostruzione dell'armamento protettivo dei soldati romani dell'età regia e repubblicana. Il nome lorica (connesso con lorum) dimostra che in origine la c. era di cuoio, più precisamente di strisce di cuoio sovrapposte (Varr., De lin. Lat., 1, 116). La notizia liviana (1, 43) che le c. dei Romani erano di bronzo è forse un'estensione all'antichità di usi posteriori. Polibio (iv, 20) parla di placche di bronzo a protezione del petto, da mettersi in relazione per la funzione, non per la forma, con le piastre usate dai guerrieri italici. Data la tendenza dei Romani ad applicare su larga scala esperienze altrui, in base a criterî di praticità, si deve pensare che nell'armamento dei soldati romani fossero introdotte forme proprie di altre genti. Così, ad esempio, la c. a fasce di cuoio richiama quelle in uso in Etruria. Le corazze di cuoio sono documentate anche nell'età imperiale avanzata insieme con quelle a fasce sovrapposte di bronzo. La c. rigida di tipo ellenistico è propria dell'imperator e degli ufficiali. La prevalenza nell'armamento comune di tipi di corazze che permettano comodità di movimenti, in ogni caso prive di ornamentazione, dipende dai criteri dell'impiego tattico delle truppe, usate come massa d'urto, a scapito dell'impresa eroica del singolo, e nello stesso tempo rese più agili concedendo al combattente maggiore libertà di movimento: analogamente a quanto si riscontra negli eserciti moderni.
Anche le armi dell'imperator appaiono prive di decorazione quando egli è rappresentato in azione di guerra. Invece si distingue per ricchezza la serie delle corazze da parata degli imperatori, dei prìncipi imperiali, dei legati e degli alti ufficiali, a noi documentate attraverso le riproduzioni statuarie. Carattere generale di queste è la forma che discende direttamente dal ϑώραξ στάδιος greco con rilievi anatomici. Questo tipo non presenta varianti strutturali rilevanti rispetto a quello greco, tranne qualche modifica nell'accollatura e nell'orlo inferiore. Mentre la c. da campagna giunge poco oltre la cintura, quelle da parata coprono anche il ventre. La decorazione, limitata alla parte anteriore, semplicemente ornamentale o anche simbolica e narrativa, sempre a forte rilievo, può costituire una disturbante sovrapposizione alle forme anatomiche. E distribuita in genere secondo una simmetria bilaterale, attorno ad un asse che coincide press'a poco con la linea alba. Sempre poi si osserva che gli scultori adattano la rigida c. al chiasmo talora assai pronunciato della figura. La statua loricata è una creazione dell'età imperiale e della mentalità aulica e militare che le è propria. Essa affianca nell'iconografia imperiale la statua eroica ignuda della tradizione ellenistica e quella togata della tradizione repubblicana.
L'esempio più amico e più illustre è dato dalla c. della statua di Augusto di Prima Porta. La decorazione a rilievo rientra perfettamente nel gusto decorativo e nella concezione storica e commemorativa propria dell'ambiente intellettuale augusteo realizzantesi, però, più per simboli che attraverso una vera e propria narrazione; la disposizione dei varî elementi decorativi è suggerita dai rilievi anatomici e dal contorno della c.; sugli spallacci sono espresse due sfingi, simbolo personale di Augusto. In complesso, per concezione e realizzazione, questa opera è molto vicina ai rilievi dell'Ara Pacis, anche per la mescolanza di allegorico e di concreto, di sacro e di storico. Manca il gorgonèion a sommo del petto, che diventerà poi motivo obbligato di tutte le statue loricate. Può darsi, e il caso particolare della c. dell'Augusto di Prima Porta lo farebbe pensare, che l'ornamentazione della c. sia una estensione a tutta la superficie di questa del significato commemorativo delle falerae che talora si vedono sovrapposte alle corazze. Più semplice, ma di gusto affine, la c. della statua augustea del Museo Chiaramonti con testa di L. Vero. Da Augusto in poi gli esempi sono assai frequenti. Le decorazioni sono però tratte da un repertorio convenzionale: gruppi di grifi e Arimaspi (Museo Laterano), grifi affrontati (statua di Olconio Rufo da Pompei), Nereidi su pistrici (torso di Bologna di età neroniana), grifoni su palmetta (Traiano di Leida); in una lorica di altra statua traianea si trovano figure di Vittorie. La decorazione è disposta sempre sul ventre, essendo il petto occupato dal gorgonèion. Eccezionalmente (Domiziano del Vaticano) si hanno due figure in corrispondenza dei grandi obliqui e una nella parte inferiore. Vittorie che adornano un trofeo si trovano sulla corazza della statua vaticana di Clodio Albino. Si tratta in sostanza di forme di tradizione classicheggiante.
Nel tardo Impero la statua loricata è pure frequente, ma la c. perde ogni elemento decorativo, tanto che anche nelle figurazioni ufficiali si attribuisce ai personaggi rappresentati la semplice c. da guerra; così nella statua lateranense di Costantino, nel gruppo dei tetrarchi di Venezia, nel Colosso di Barletta, nella figura di Onorio, nel dittico di Probo e ancora nell'imperatore a cavallo sul dittico del Louvre. È un effetto dell'essenzialità dell'arte tardo-romana, che, nello stesso momento in cui attenua il rilievo anatomico, fa sì che i valori di superficie del torso corazzato non vengano alterati.
Bibl.: Gen. W. Helbig, Das homerische Epos, Lipsia 1884, cap. XXI; W. Reichel, Homerische Waffen, Vienna 1894, p. 191; A. Hagemann, Griechische Panzerung, Lipsia 1919; Dict. Ant., s. v. Lorica (De Ridder); Pauly-Wissowa, s. v. Lorica e Thorax; M. Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, X, s. v. Panzer (Sprockoff). Monografie sulle singole armature: A. Hekler, in Jahreshefte, XIX-XX, 1919, p. 190 ss.; G. Mancini, in Bull. Com., L. 1921, p. 151 ss.; D. Levi in Annuario Atene, XIII-XIV, 1930-31, p. 43 ss.; M. S. F. Hood-P. de Joung, in Ann. Brit. School Athens, XLVII, 1952, p. 256 ss.; P. Courbin, in Bull. Corr. Hell., LXXXI, 1957, p. 340 ss.
(G. A. Mansuelli)
Estremo Oriente. - I paesi dell'Asia orientale e dell'Estremo Oriente si distinsero anticamente per diversa forma di civiltà: gli uni, come l'Irān, furono conquistatori e aggressivi, altri, come l'India, preferirono l'espansione pacifica. Indi le differenze che si possono notare nella forma delle loro armature. Il mondo iranico, che conglobò popoli diversissimi (fra cui i Parthi e gli Indo-greci) usò armature abbastanza complete, ma varie secondo le regioni e i tempi. L'armatura più diffusa, che si trova verso il VI e VII sec. dall'Irān fino al Giappone, per l'Asia Centrale, il Tibet e la Cina, era costituita da una veste dalle maniche attillate con sopra un giaco di maglia dalle placche rettangolari connesse le une alle altre come nelle catafratte greche o nelle loricae plumatae romane; sul giaco erano fissati un pettorale, tenuto da un collare e le spalline; una gorgiera dalle estremità avvoltolate la completava; una cappa, o scialle, annodata davanti (nota in Grecia, a Roma, a Bisanzio, nell'Asia Anteriore, nell'Afghanistan, nel N dell'India, nel Turkestan cinese e nel Giappone) passava sopra la corazza. La c. era completata da una corta gonna pieghettata la cui parte superiore era piegata sotto una cintura, lavoro di oreficeria, applicata sui fianchi, e dai gambali rigidi in metallo o in cuoio. Il copricapo era spesso un casco fissato alla gorgiera e di solito aveva la forma delle fauci aperte di una belva, simbolo di potenza e di bravura. La Cina che, a partire dai "Regni Combattenti" (sec. VI-III a. C.) aveva adottato l'equipaggiamento militare (tunica, pantaloni e stivali di feltro), scelse la stessa tenuta militare nei sec. VII e VIII.
L'India, invece, non usò simili armature che dopo la conquista musulmana. Precedentemente il costume guerriero consisteva solo in una veste dalle maniche lunghe, una gonna corta e dei sandali. Le regioni dell'arcipelago indiano non ebbero armature. E lo stesso dicasi per i paesi dell'Indocina, salvo per i Thai, contemporanei all'erezione del tempio d'Angkor Vat (sec. XII), che portavano caschi a forma di testa d'animale, forse per protezione magica.
(† R. Grousset - J. Auboyer)