CORDOVA (A. T., 39-40)
Una delle più famose città della Spagna, capoluogo della provincia omonima, nell'Andalusia (37° 52′ 46″ N., 4°46′ 50″ O.), (gr. Κορδύβη o Κορδυβά; latino Cordŭba; spagn. Córdoba o anche Córdova). È posta al margine della depressione betica, dove dall'ampia valle del Guadalquivir è agevole il passo, attraverso la Sierra Morena, al bacino della Guadiana, e di qui alla Vecchia Castiglia e al Portogallo centrale.
Solo all'inizio del nostro secolo, dopo un lungo periodo di decadenza, si è andato accennando per la città, se pure in modo lento e discontinuo, un movimento di ripresa, in rapporto con le migliorate condizioni dell'agricoltura nelle zone vicine, con lo sfruttamento delle energie idroelettriche e il conseguente impulso che ne è venuto e più potrà venirne alle industrie locali. Fra queste, accanto alle alimentari (molitorie e raffinerie, specialmente di olî) si sono ormai affermate anche le industrie metallurgiche, per le quali vengono utilizzati materiali che si ottengono sul luogo o a poca distanza, fra cui non manca neppure il carbone. Questo sviluppo è favorito da una buona rete ferroviaria; Cordova costituisce uno dei nodi principali del traffico della Spagna meridionale ed è legata, oltre che a Siviglia e a Cadice, che ne rappresenta lo sbocco naturale, ad Algeciras, a Málaga e ad Almería sul Mediterraneo.
La topografia della città ha conservato finora pressoché intatta la sua fisionomia; lo sviluppo edilizio degli ultimi anni è stato quasi soltanto periferico. Caratteristico è il pittoresco disordine delle sue vie, piccole, strette e tortuose; molte a fondo cieco, come nei centri tipicamente musulmani. Le case sono di regola basse, con le pareti esterne imbiancate o dipinte a colori vivaci, con cortili interni (patios), e inframmezzate da giardini, dai quali non è raro veder emergere la chioma distesa di una palma. Perciò la città si allarga, sebbene non grande, sopra una vasta superficie. La maggior parte dei monumenti artistici e la stessa famosissima Mezquita sorgono nell'area corrispondente al nucleo più antico, dove furono in parte edificati con i materiali di più vetusti monumenti distrutti. Tipico è anche il fatto che a Cordova manchi, a differenza delle altre città spagnole, un vero centro cittadino, la cosiddetta plaza mayor: le piazze comprese nel vecchio nucleo sono infatti per lo più piccole o senza importanza architettonica (campos). Le antiche mura vennero quasi completamente demolite; restano, a ricordarle, le magnifiche porte, nel cui diverso stile è riflessa, si può dire, tutta la storia della città.
La popolazione è cresciuta assai poco nel sec. XIX: da circa 50 mila ab. nel 1850 a 58 mila nel 1900; un po' più negli ultimi anni: 67 mila ab. nel 1910, 74 mila nel 1920, 82 mila nel 1927. Il centro urbano, senza i sobborghi, conta però all'incirca 70 mila abitanti.
Monumenti. - La città antica. - Le colonne, i capitelli, le statue e le iscrizioni trovate nel costruire le fondamenta delle nuove costruzioni hanno permesso di fissare con certezza il posto ove sorgevano gli edifici pubblici romani. Il senato era dove oggi è la chiesa di S. Michele e l'Istituto d'istruzione secondaria; il circo nel luogo occupato dalla chiesa parrocchiale di S. Giacomo e da quella demolita dei Ss. Eulogio e Nicola; il teatro e i templi d'Apollo e di Bacco, dove attualmente sono le parrocchie di Tutti i Santi, di S. Nicola e della Trinità; il tempio d'Augusto, dove è il romitorio in rovina detto del Amparo; e finalmente la zecca nel luogo del convento di S. Anna. L'esistenza di un tempio di Giano dove sorse poi la Grande Moschea è una tradizione senza fondamento. Tra gli oggetti di età romana rinvenuti a Cordova son degni di ricordo un mosaico delle quattro stagioni, qualche buon sarcofago, alcune sculture di terracotta oggi al museo di Madrid (un mirmillone e cinque busti muliebri) e forme di medaglioni figurati.
Il Medioevo. - Attualmente la vecchia Cordova è una città silenziosa, con piccole strade deserte serpeggianti tra case austere; tuttavia i patios fioriti, che si scorgono dalle porte aperte, hanno un incanto tutto speciale, e il visitatore può trovare più d'un vestigio del passato glorioso. La sua parte più notevole è presso il grande ponte sul Guadalquivir, di 16 archi e lungo 240 m., che benché sfigurato dai numerosi restauri musulmani, rivela la sua origine romana. Le vicinanze del ponte sono difese da un valido bastione, chiamato la Calahorra, la cui fondazione può farsi risalire ai Romani, ma che dovette essere in seguito assai rimaneggiato. Verso la città il ponte sbocca tra il palazzo e la Grande Moschea.
Del palazzo (Alcázar) probabilmente non rimane nulla d'antico; e solamente dalle descrizioni è possibile farsi un'idea del vasto complesso architettonico, dove vissero i califfi, che per quasi due secoli si occuparono d'abbellirlo. Ma in realtà la sua pianta ci è ignota, e per conoscerne l'architettura dobbiamo contentarci di ciò che rivelarono gli scavi fatti a Medīnat az-Zahrā', i quali sono stati spinti innanzi attivamente e già lasciano scorgere l'assetto generale di quella città principesca, con tre quartieri disposti a gradinata sul fianco d'un'altura e coi palazzi nella regione alta. Sono stati disseppelliti diversi corpi di case con sale divise a navate parallele che si aprono su vasti cortili, e con gl'interni ricchi di sfarzose decorazioni di pietra e di marmo. In attesa che queste ricerche metodiche ci offrano documenti abbondanti, come si spera, l'arte dei califfi di Cordova ci presenta un soggetto di studio senza pari nella Grande Moschea, che s'innalza superba presso il ponte e l'Alcázar. Si narra che i musulmani per l'esercizio del loro culto si contentassero da principio della metà della chiesa di S. Vincenzo, lasciando l'altra metà ai cristiani, che essendo poi aumentato il numero degl'immigrati, ingrandissero quel primo tempio aggiungendovi delle navate sostenute da colonne di legno, e finalmente che, avendo ottenuto mediante un accordo la cessione della parte riservata ai vinti, demolissero l'edificio per costruire una moschea nuova. ‛Abd ar-Raḥmān I nel 785 incominciò i lavori. Uno storico afferma ch'egli s'ispirò nella pianta alla grande moschea di Damasco, famosa fondazione dei suoi antenati. Secondo le norme già divenute tradizionali, il tempio si componeva d'una sala ipostila di circa 85 metri di larghezza per 30 di profondità, preceduta da un cortile della stessa larghezza ma più profondo d'un terzo abbondante. Dieci file di colonne dividevano la sala in undici navate, delle quali la centrale era più larga delle altre. Il minareto a forma di torre quadrata si elevava nel mezzo del muro del cortile opposto alla sala. Una cinquantina d'anni appresso, per l'aumento della popolazione di Cordova, il califfo ‛Abd ar-Raḥmān II ingrandì la moschea demolendo il muro di fondo prolungando le 11 navate di altre 8 travate. Nel 961 al-Ḥakam II procedette a un nuovo ampliamento, ossia a un nuovo spostamento del muro posteriore. Fu egli che diede alla moschea il suo maggior decoro: l'inquadratura e le opere attornianti il miḥrāb, nicchia nel centro del muro di fondo per indicare la direzione della Mecca, verso la quale i fedeli si rivolgono nel pregare. L'inquadratura fu rivestita di mosaici bizantini mandati dall'imperatore di Costantinopoli, come le cupole sul davanti. Una maqṣūrah (recinto riservato al sovrano) attorniava il miḥrāb e le parti più prossime; una stradicciola coperta partendo dal palazzo vicino permetteva l'accesso alla maqṣūrah dal fondo della moschea. Ma non era ancora finito il sec. X, e già il califfo di Cordova ingrandiva di nuovo il tempio, affidandone l'incarico al potente ministro al-Manṣūr (Almanzor). Nell'impossibilità di allungarla ancora, data la vicinanza del fiume, la moschea fu allargata verso oriente in tutta la sua estensione, aggiungendo otto navate alla sala e portando indietro d'altrettanto spazio i limiti del cortile. Cosi, dopo aver perduto alquanto della sua unità primitiva per lo spostamento dell'asse in quest'ultimo ampliamento, la Grande Moschea ebbe le dimensioni che conserva ancora oggi. Tuttavia il clero cattolico nel 1523 le fece subire un rimaneggiamento grave e molto deplorevole fabbricando nell'interno della sala di preghiera una cattedrale lunga oltre 60 metri con vòlte che sorpassano di molto i tetti della moschea.
Nonostante le alterazioni, la Grande Moschea è un monumento splendido e di grandissima importanza per la storia dell'arte. Singolare la selva di colonne - nella maggior parte tolte da monumenti preesistenti -, la curiosa disposizione degli archi sovrapposti o intrecciati e la decorazione sontuosa del suo miḥrāb. Tutta la sala in origine era coperta da soffitti, a eccezione di quattro o cinque spazî quadrati che erano sormontati da cupole sostenute da archi incrociati. Questa curiosa soluzione architettonica, che è stata paragonata alle vòlte a costoloni, non è il solo punto enigmatico di quest'arte andalusa del sec. X. La decorazione, nella quale si possono distinguere elementi così eterogenei, romani, visigoti, bizantini e mesopotamici, presenta circa le sue origini problemi assai difficili a risolversi. A ogni modo quest'arte, che si affermò anche negli intagli d'avorio, si presenta ricchissima e oltre modo feconda d'influenze: l'arte romanica francese ne porta i segni e da quella deriva tutta l'arte musulmana della Spagna e del Maghríb, il cui sviluppo abbraccia l'intero Medioevo.
Età moderna. - La moschea fu adattata al culto cattolico su progetto di Hernán Ruiz, che ne elevò anche la torre campanaria (1593) sulle fondazioni dell'antico minareto. Oltre alle varie cappelle della cattedrale sono notevoli in Cordova le chiese seguenti: S. Marina, S. Lorenzo (transizione dal romanico al gotico), S. Pietro (basilica dei Ss. Fausto, Gennaro e Marziale, anteriore all'epoca araba). S. Giacomo (transizione dal romanico al gotico), S. Michele (fine del sec. XIII), S. Nicola "de la Villa" (ogivale, con porta plateresca), S. Andrea (sec. XVIII, con l'abside d'una chiesa anteriore al secolo XV), la Maddalena (fine del sec. XIII o principio del XIV), S. Agostino (prima metà del sec. XIV), S. Paolo (parte araba e parte ogivale, ma riformata nel sec. XVIII), S. Marta (fine del secolo XV) e il Crocifisso (stessa epoca). Delle mura della città rimangono solo alcuni avanzi dirimpetto al Monastero della Salute e dall'angolo dell'Alcázar vecchio fino a poco oltre la porta d'Almodovar, e presentano vestigi fenici, romani e arabi. Tra i monumenti pubblici che adornano Cordova sono particolarmente degni di nota i cosiddetti "trionfi" di S. Raffaele, soprattutto quello costruito dall'architetto Alonso Pérez e scolpito da Juan Jiménez. Il Museo d'archeologia e di pittura è notevole per gli avanzi di Medīnat az-Zahrā' e per le opere di Giovanni di Cordova (Annunciazione; sec. XV), Pietro di Cordova, figlio del precedente, Ribera, Bermejo, Castillo, Zurbarán, ecc.
V. tavv. XLIX-LIV.
Storia. - Antichità. - L'antica Cordŭba fu città dell'Hispania ulterior, nella Baetica, sulla sponda destra del Baetis, centro maggiore dei Turduli e sede di un conventus iuridicus. Essa deve la sua fortuna a M. Claudio Marcello, che, secondo Strabone, ne sarebbe stato il fondatore, e secondo Polibio avrebbe stabilito colà i suoi quartieri d'inverno. Nelle guerre fra Cesare e Pompeo fu la base principale delle operazioni dei pompeiani e fu poi da Cesare vinta e saccheggiata. Ebbe alla fine della Repubblica il titolo di colonia, col predicato di Patricia, ed era iscritta nella tribù Galeria. Durante l'Impero fu città fiorentissima, posta com'era in una regione fertile e ricca di giacimenti minerarî. Essa era anche un importante centro di commercio, trovandosi sulle grandi strade che univano Gades, Anti-Karia e Malaca con Castulo, con Carthago Nova, con Caesaraugusta e con gli altri centri maggiori della Tarraconensis. Diede i natali a Seneca e a Lucano.
Medioevo ed Età moderna. - La romanizzazione di Cordova era stata così forte, che l'invasione visigota vi lasciò ben poche tracce. D'altronde solo nel 572 i Visigoti poterono impadronirsi della città che fu poi, nel regno visigoto, capitale di un ducato. Anche contro gli Arabi Cordova resisté eroicamente, pur finendo col cadere nelle mani di Mughīth ar-Rūmī: ma proprio da allora doveva iniziarsi il periodo più glorioso della sua storia. Cordova diveniva infatti, nel 756, centro del califfato indipendente, fondato da ‛Abd ar-Raḥmān I (v. spagna: Storia), e sotto di lui e i suoi successori divenne opulenta e sontuosa città. La grande moschea, cominciata da ‛Abd ar-Raḥmān I, viene condotta a termine dal figlio di lui, Hishām, colto e amante della pace; e l'opera di abbellimento della città continua incessante, sotto al-Ḥakam, ‛Abd ar-Raḥmān II, Muḥammad I e II e ‛Abd Allāh; con ‛Abd ar-Raḥmān III (912-961), proclamatosi califfo indipendente, si tocca l'apice dello splendore. Cordova è allora una delle corti piu fastose d'Europa; ha 500.000 ab., ricchi palazzi, 900 stabilimenti di bagni, moschee, 18 sobborghi. Rivaleggia insomma con Baghdād e Damasco; è ad un tempo centro fiorentissimo di cultura, un po' l'Atene del sec. X, in cui troviamo uomini come Averroè, Maimonide, Ibn Bashkuwāl, e altri, e una biblioteca di 400.000 volumi. Nel meraviglioso palazzo di Medīnat az-Zahrā', il califfo al-Ḥakam II riceve gli ambasciatori degl'imperatori bizantini; e là suo figlio Hishām II si abbandona completamente ai piaceri, cedendo il potere al suo ministro Almanzor, il vero califfo, la cui morte segna la fine del califfato. Il crollo di questo è accelerato ancora dall'invasíone almoravide nel 1091 e dalla almohade negli anni 1148-1229; e infine nel 1236 il re Ferdinando III di Castiglia riconquista la famosa città, che da quel tempo perde le sua supremazia politica e declina. Continua a essere residenza del re, servendo di baluardo contro gli Arabi di Granata; ma il periodo della grandezza è tramontato. Da allora la storia di Cordova è contrassegnata da piccoli avvenimenti; nel 1391, un massacro di Ebrei, che costa alla città una multa di 20.000 doppie d'oro da parte del re Enrico III; nel sec. XV è messa in agitazione dal conte di Cabra, difensore di Enrico IV contro don Alfonso de Aguilar, sostenitore del pretendente don Alfonso. A Cordova, alla fine del sec. XV, i Re Cattolici trattano con Cristoforo Colombo che propone l'ardito viaggio; e qui l'illustre navigatore conosce donna Beatrice Enríquez de Arana madre di Fernando Colombo e cugina dei suoi compagni di viaggio, Pietro e Diego de Arana. Sulle orme di Colombo, Francesco Fernández di Cordova acquista tre navi e con 100 soldati esplora il Nicaragua; Sebastiano di Belalcázar fonda Quito, Antonio de Espejo esplora il Nuovo Messico. Il nome di Cordova fu dato a cinque città dell'America, a due lagune e a un fiume.
Capoluogo di provincia, nel 1521 Cordova invitò le altre città dell'Andalusia a non intervenire nella lotta dei Comuneros; e ne fu ricompensata dall'imperatore con franchigie tributarie. Ma la decadenza si accrebbe col sec. XVII; sotto il regno di Filippo IV Cordova ebbe a soffrire molte calamità, epidemie, carestie, e dové pagare forti contributi di guerra. Pare quasi impossibile che in tanta decadenza vi siano stati uomini come Ambrosio de Morales, Luis de Góngora, Pablo de Céspedes, Antonio del Castillo, Juan de Mesa, Juan Ruiz el Vandalino. La città cominciò a riaversi sotto i Borboni. Filippo V (1700), appoggiato da Cordova nella guerra contro gl'Inglesi, espulse i gitani dalla città (1749); Carlo III nominò corregidor di Cordova l'eccellente Ronquillo Briceño, il quale fondò scuole, creò industrie, promosse opere pubbliche, abbellì molte strade, piazze, ecc. Il pietismo del sec. XVII perdurò tuttavia in Cordova e contribuì alla costruzione di molte chiese e conventi; nella città ebbero il predominio il padre Posadas e il frate Diego di Cadice che annientarono Sánchez di Feria, Ruano Girón, Vaca di Alfaro e altri.
Ma l'inizio del sec. XIX si segnala con l'epidemia della febbre gialla e con l'invasione dei Francesi. Dopo la battaglia di Alcolea (1808) il generale francese Dupont abbandonò per tre giorni Cordova al saccheggio; ma, dopo la terribile disfatta inflittagli dalle truppe del generale Castaños a Bailén, egli dovette evacuare la città, rioccupata nel 1810 da Giuseppe Bonaparte, che vi instaurò un regno di terrore, finito nel 1812, quando i Francesi lasciarono l'Andalusia. Dopo la restaurazione di Ferdinando VII Cordova risentì delle lotte fra liberali e assolutisti per la costituzione del 1812 (v. spagna: Storia). Morto questo re, Cordova cadde nelle mani dei Carlisti (1836) che si appropriarono di più di 15 milioni di reali, ma Isabella II li vinse e represse alcune ribellioni, per es., quella del Rione della Regina (1844).
Bibl.: Sulla città antica vedi: E. Hübner, in Pauly-Wissowa, Real. Encycl., III, coll. 1221-24; per le inscr. cfr. E. Hübner, in Corp. Inscr. Lat., II, pp. 306-321; v. anche: G. de la Torre, Hallazgos arqueológicos junto a Córdoba, in Boletín Acad. de la hist., LXXIX, pp. 419-424; F. Fita, Monumentos romanos de Córdoba, in Bol. Acad. hist., LXI, p. 138; A. Blázquez, Vias romanas de Andalucía, in Bol. Acad. hist., LXI, p. 138; A. Blázquez, Vias romanas de Andalucía, in Bol. Acad. hist., LXIV, pp. 525-534 e LXI, p. 465; id., Vias romanas de Córdoba á Sevilla y á Cástulo, in Mem. de la Junta sup. de excav., LIX (1921), LXI (1923); id., El puente romano de Córdoba, in Bol. Acad. hist., LXV, pp. 457-465; E. Hübner, in Boll. Ist. corrisp. archeol., 1861, p. 233. - Per la città medievale e moderna, v.: B. Sánchez de Feria, palestra Sagrada, voll. 4, Cordova 1772-82; Maqqari, Analectes sur l'histoire et la littérature des Arabes d'Espagne, ed. Dozy, Dugat, Krehl e Wright, voll. 2, Leida 1855-1861, I, p. 297 segg.; T. Ramirez de Arellano, Colección de documentos raros y curiosos para la historia de Córdoba, Cordova 1876; R. Amador de los Rios y VIllalta, Inscripciones árabes de Córdoba, Cordova 1876; R. Amador de los Rios y Villalta, Inscripciones árabes de Córdoba, Madrid 1879; P. de Madrazo, Córdoba, in España, Barcellona 1886; R. Ramírez de Arellano, Guía artística de Córdoba, Cordova 1896; K.E. Schmidt, Cordoba und Granada, Lipsia 1902; C. Nizet, La Mosquée de Cordoue, in l'Architecture, 1905; A. W. Calvert e W. M. Gallichan, Cordova, a city of the Moors, Londra 1907; J. Morente, Historia de Cordoba, 1921. - Per Medīnat az-Zahrā', v.: R. Velázquez Bosco, Medina Azahara y Alamiriya, Madrid 1912, e gli studî pubblicati dalla Junta superior de excavaciones y antiguedades; E. Lambert, L'architecture musulmane du Xe siècle à Cordoue et Tolède, in Gaz. des beaux-arts, II (1925), pp. 141-61; G. Marçais, Manuel d'art musulman, I, Parigi 1926; O. Reuther, in Wasmuths Lexicon d. Baukunst, II, Berlino 1890 (con bibl.). - Per il califfato di Cordova, v. spagna: Storia.
La provincia di Cordova.
La provincia si stende dal medio bacino del Guadalquivir a quello della Guadiana (Río Zújar), abbracciando così, insieme con la Campiña cordovese, la cosiddetta Sierra, ossia la regione collinare che dalla meseta di Pedroches, posta al limite fra Andalusia e Castiglia, declina al Guadalquivir. Questo fiume segna così un limite ben netto fra due zone a diverso carattere. A N. le assise paleozoiche della Sierra Morena, sulle quali domina un clima arido ed eccessivo (meno di 500 mm. di pioggia annua; la media della temperatura annua a Cordova è di 17°,9, l'oscillazione termica di 42°,8); a S. le piatte zolle del Terziario recente, coperte da alluvioni o terrazzate, più umide e più calde; il paesaggio tipico del latifondo a colture estensive, con i cereali, l'olio, la vite, quest'ultima specialmente nella parte più meridionale, dove il terreno torna a muoversi (zona eocenica del medio Genil). La popolazione vive addensata di regola in grossi centri rurali, una ventina dei quali oltrepassano i 10 mila abitanti (la provincia conta 16 partidos judiciales, ma solo 76 ayuntamientos, o comuni), numerosi soprattutto nella zona a sud del Guadalquivir, dove sono Lucena (21 mila abitanti), Baena (16 mila), Aguilar, Cabra, Puente Genil, Bujalance, Castro del Río, Priego, Rute, ecc., e più, lungo le due vie che dal medio Genil conducono l'una a Cordova, l'altra a Jaén. Di fronte alle poche famiglie dei latifondisti, che vivono quasi sempre lontane dai loro possessi, la gran massa dei contadini languisce in una condizione di penosa indigenza, costretta o ridotta dalle stesse forme tradizionalmente arretrate dell'economia agricola a quella rassegnata inazione per cui va nota in tutta la Spagna. Solo a N., lungo il corso del Guadiato (un affluente di destra del Guadalquivir) la presenza d'un ricco filone carbonifero (il terzo della Spagna per potenza di deposito) e di giacimenti di piombo, di zinco e d'altri metalli, ha accelerato l'incremento dei centri (Pueblonuevo del Terrible, Peñarroya, Bélmez, Espiel, ecc.), e determinato lo sviluppo delle grandi industrie (oltre alle metallurgiche anche le chimiche, specie i fosfati), su cui poggia il rifiorire di Cordova.
La provincia, che misura 13.727 kmq., conta circa 600 mila abitanti (cifra press'a poco stazionaria negli ultimi venticinque anni) con una densità, quindi, di 43 ab. per kmq., che corrisponde a quella dell'intera Spagua. Oltre alla produzione agricola, nella quale vanno ricordati il grano, l'olio e il vino, la provincia di Cordova occupa uno dei primi posti fra le spagnole per quella mineraria (oltre 140 milioni di pesetas nel 1928), il secondo per lo zinco e il piombo.
Bibl.: L. Mallada, Reconocimiento geológico de la prov. de Córdoba, in Bol. Com. mapa geol. de España, VII, Madrid 1880; id., Memoria descriptiva de la cuenca carbonífera de Bélmez, ibid., s. 2ª, VI, Madrid 1889.