Corea del Nord
Oltre il 38° parallelo
Le minacce di Pyongyang
di Francesco Sisci
10 gennaio
La Corea del Nord, dopo aver ufficialmente comunicato la riattivazione di tutti gli impianti nucleari ad acqua pesante, che erano stati chiusi in base a un accordo del 1994 con Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone, annuncia anche il ritiro dal Trattato di non proliferazione nucleare. In aprile dichiarerà di essere in possesso di armi atomiche e di avere intenzione di testarle. Le prese di posizione sempre più determinate di Pyongyang introducono gravi elementi di turbativa in un'area particolarmente delicata dello scacchiere mondiale, qual è quella dell'Asia sudorientale.
Crisi economica e politica
A Pechino vive un certo numero - non grande ma significativo - di quei nordcoreani che non sono scappati dal loro paese ma sono stati mandati all'estero a studiare, completamente a spese pubbliche. Studiano architettura perché, una volta ritornati in patria, possano costruire ville alla moda per la classe dirigente, o musica per procurare un diversivo alle serate senza televisione dei loro leader. Si dice che un parente stretto del presidente nordcoreano risieda in un lussuoso appartamento a Pechino, dove può godere di un tenore di vita inimmaginabile a Pyongyang. Potenti Mercedes-Benz entrano ed escono dall'ambasciata, situata nel centro della capitale cinese, e i pochi nordcoreani che si incontrano all'aeroporto, facilmente identificabili dal loro distintivo di Kim Il Sung, indossano abiti firmati.
Di fronte a ciò si potrebbe pensare che per la Corea del Nord i tempi della fame e della carestia siano terminati. Invece i testimoni provenienti dal paese riferiscono storie di estrema povertà, di bambini con problemi di accrescimento provocati dalla denutrizione, di medicine che vanno a male a causa della mancanza di elettricità per la refrigerazione. E il flusso migratorio verso la Cina non sembra fermarsi. Il numero di nordcoreani che hanno cercato rifugio in Cina è stimato tra i 100.000 e i 300.000.
A Pyongyang si possono comprare prodotti occidentali nei moderni grandi magazzini 'Friendship', strutturati sul vecchio modello sovietico, dove i clienti possono entrare solo mostrando il distintivo di appartenenza alla gerarchia superiore. L'elettricità illumina le notti di Pyongyang, un tempo buie, e si dice che il 'Caro leader', Kim Jong Il, navighi in Internet grazie a un collegamento satellitare in grado di bypassare le antidiluviane linee telefoniche. Nel frattempo il casinò di uno degli hotel del centro di Pyongyang, che è gestito da un ex operaio di Macao, vanta cameriere ufficialmente importate dalla confinante provincia cinese di Liaoning. È un mondo dove, a dispetto di tutte le retoriche comuniste ufficiali, pochi fortunati possono godersi la vita, mentre la vasta maggioranza sopravvive a malapena. Certamente questo non accade solo in Corea del Nord: è una condizione che accomuna molte nazioni dell'America Latina o dell'Africa. Ma quegli Stati non attirano l'attenzione del mondo intero diffondendo racconti di disastri naturali che hanno causato sette anni di carestia e pretendendo aiuto. E neanche lanciano missili verso le nazioni vicine o si cimentano in tentativi di estorsione del genere: "dammi riso e io non ti sparerò razzi contro".
L'enorme difformità socioeconomica all'interno del paese è nascosta da un'ideologia che ufficialmente condanna l'ingiusta distribuzione della ricchezza e certamente non ha mai apertamente incoraggiato l'arricchimento privato, come è accaduto nella Cina di Deng Xiaoping, dove peraltro non si registrano differenze di reddito così sorprendenti come nella Corea del Nord. Se queste disparità avessero portato a un incremento nell'investimento produttivo avrebbero avuto una loro utilità, ma non è questo il caso, e neppure vi è traccia dell'aumento nella produzione agricola che ha segnato l'inizio delle riforme economiche sia in Cina sia in Vietnam. In realtà non c'è segnale di alcun tipo di riforma, mentre la nazione sembra essere governata dall'unica 'necrocrazia' del mondo, il culto dello scomparso presidente Kim Il Sung, eterno capo dello Stato, padre e predecessore di Kim Jong Il.
Un ricatto senza fondamento?
La Corea del Nord mette il mondo di fronte alla minaccia nucleare, vantando la capacità di sparare missili verso la Corea del Sud e il Giappone. Non lo fa perché voglia realmente una guerra né perché si proponga un sostanziale obiettivo politico, ma solo per ottenere qualche milione di dollari di aiuti senza perdere la faccia: ha bisogno di un sostegno alla sua debole economia e vuole aprire un dialogo con gli Stati Uniti. Potrebbe semplicemente chiedere, ma evidentemente ragioni interne lo impediscono. Un massiccio fronte a Pyongyang è contrario all'apertura del dialogo, che teme possa apparire una sorta di capitolazione. Per questo motivo la richiesta di dialogo viene mascherata con un ricatto agli Stati Uniti. Ci si aspetta che questi cedano alla 'potenza' dell'estorsione nordcoreana in modo che la leadership di Pyongyang possa dimostrare ancora una volta la sua forza. Si tratta, tuttavia, di una politica sbagliata perché basata su premesse risalenti alla guerra fredda in un periodo in cui la guerra fredda è finita.
La Corea del Nord era un tempo strategicamente importante poiché aveva alle spalle l'Unione Sovietica e la Cina. Adesso la realtà è ben diversa. La Cina e la Corea del Sud, che mezzo secolo fa combatterono l'una contro l'altra per assicurarsi il controllo della Corea del Nord, hanno un rapporto ottimo e sono entrambe interessate a una soluzione pacifica della questione nordcoreana. Il fondamento della guerra fredda nell'Asia orientale, il confronto tra Pechino e Seul, è terminato da quando le due nazioni hanno stabilito rapporti diplomatici e ancora di più da quando il presidente sudcoreano Kim Dae Jung si è fatto promotore della politica distensiva detta del 'Raggio di sole' nei confronti della Corea del Nord. Con la Cina, che intrattiene addirittura relazioni migliori con il Sud che con il Nord e la Russia che ne segue l'esempio ed è molto più debole di cinquant'anni fa, Pyongyang non sembra in grado di innescare una crisi globale, ma, tutt'al più di dar vita a un contenzioso di portata limitata.
Resta il problema della Corea del Nord quale passaggio obbligato del traffico commerciale via terra attraverso il continente eurasiatico. Con l'apertura di strade e ferrovie, le merci provenienti da Giappone e Corea avrebbero la possibilità di raggiungere più facilmente l'Europa e viceversa. Ma anche questa sembra una questione superata: se un tempo gli Stati Uniti erano preoccupati che questo itinerario terrestre avrebbe consentito di aggirare le rotte di mare da loro controllate e che Cina o Russia, provvedendo alla sicurezza delle strade interne, avrebbero avuto un'importante carta da giocare contro di loro, dopo la guerra in Afghanistan e in Iraq la situazione è cambiata, in quanto gli Stati Uniti hanno stabilito una forte presenza politica e militare nell'Asia centrale. Così gli itinerari via terra e le rotte di mare sono egualmente sotto il loro controllo e nessuno ha carte da giocare in funzione antiamericana. Il rifiuto della Corea del Nord a qualsiasi passaggio attraverso il suo territorio è sicuramente una seccatura, un ostacolo economico per l'intera regione, ma non ha più un valore strategico di portata globale.
Per riassumere, la Corea del Nord non può innescare una guerra mondiale, perché non dispone di veri alleati. È stata inclusa nell''asse del male' dagli Stati Uniti non a causa della sua importanza, ma soprattutto perché era necessario che nella lista non comparissero solo paesi musulmani, con il rischio di uno scontro di civiltà. Inoltre, la Corea del Nord non ha risorse strategiche, non ha un'economia con la quale si debba fare i conti, non esercita alcuna influenza né a livello mondiale né a livello regionale. In altre parole una guerra in Corea del Nord non causerebbe nessuna ripercussione globale, non ne deriverebbero cambiamenti nel prezzo del petrolio o di altre merci strategiche; gli scambi azionari non ne sarebbero turbati. La vita continuerebbe all'incirca come sempre. È vero però che Pyongyang dispone di missili e sta sviluppando capacità nucleari, oltre a essere guidata da una leadership inaffidabile. In altre parole rappresenta una minaccia alla sicurezza, soprattutto per il Giappone, che potrebbe raggiungere con i suoi missili, compromettendone anche l'economia. A ciò si aggiunge un seria questione umanitaria, costituita da più di 20 milioni di persone tenute in ostaggio, quasi come scudi umani, da una classe politica priva di scrupoli. Non è una terra questa, tuttavia, che qualcuno voglia conquistare o difendere, come avvenne durante la guerra dei primi anni Cinquanta. Al contrario, è un posto scomodo che tutti vorrebbero scomparisse in un modo o nell'altro. I leader nordcoreani ne dovrebbero tener conto quando avanzano le loro minacce. Non hanno più l'influenza di un tempo: sono stati troppo avidi e miopi. Se avessero costruito una ferrovia prima della guerra in Afghanistan e il tragitto terrestre avesse soppiantato le rotte marine, avrebbero a disposizione uno strumento di pressione molto più potente delle bombe atomiche, avrebbero in mano un elemento di importanza equivalente al canale di Suez da usare contro Giappone, Corea del Sud e Cina. Ma non hanno colto l'occasione e perfino adesso non sembrano in grado di afferrare la logica di base del mondo dopo la guerra fredda, dove hai influenza solo se ti siedi al tavolo in maniera educata e prendi parte al gioco. Se ne sei fuori non conti. Se fai parte dell'economia globale puoi fare le tue richieste, dato che il tuo contributo all'economia mondiale interessa tutti. Ma se non è così, le tue domande sono solo una seccatura.
La posizione degli Stati Uniti
Gli Stati Uniti hanno mosso guerra all'Iraq, dove la presenza di bombe atomiche non era accertata, mentre la Corea del Nord, anch'essa compresa nell'asse del male come l'Iraq, dichiarava di possedere la bomba atomica. Da un punto di vista meramente teorico, gli USA dovrebbero allo stesso modo preparare una guerra in Corea, ma non vogliono, perché l'Iraq è importante a livello mondiale per il suo petrolio e la Corea non lo è. Gli Stati Uniti preferiscono il dialogo con la Corea del Nord, anche se hanno dichiarato che la guerra in Iraq è parte della guerra contro il terrorismo e la Corea sta apertamente terrorizzando tutti. Gli Stati Uniti non possono accettare di essere incalzati dalle minacce che vengono da una nazione che brandisce i suoi missili come un bullo le sue pistole nel saloon di uno spaghetti-western, ma - come ha detto il presidente Bush il 31 dicembre 2002 - "credo che non ci debba essere una soluzione militare, ma diplomatica. Possiamo risolverla pacificamente". Per il suo bene Pyongyang deve riconoscere che le minacce rendono la situazione peggiore, non migliore, e che i suoi alleati sono Corea del Sud, Cina e Giappone, che hanno interesse a mantenere la pace nella regione. Specialmente i sudcoreani possono svolgere un ruolo cardine con la loro politica di dialogo e di cooperazione. Bush ha sostenuto che "è opinione condivisa […] che la Corea del Nord debba conformarsi ai regolamenti internazionali. Tutte le opzioni, naturalmente, sono sempre sul tavolo di ogni presidente, ma lavorando con queste nazioni si può trovare una soluzione". E tra gli amici dell'America, la Corea del Sud è un cardine. Secondo Bush, gli Stati Uniti hanno fatto grandi progressi parlando con gli alleati delle tensioni con Pyongyang. Particolarmente utile e positivo si è rivelato l'incontro con il neoeletto presidente sudcoreano, Roh Moo Hyun.
Pyongyang, per il suo bene, dovrebbe dunque smettere di far risuonare le armi. Ma può farlo? Possono gli equilibri interni consentire ai suoi leader di far cadere le scriteriate affermazioni sulla guerra nucleare e di chiedere semplicemente aiuto? La risposta a questi quesiti sta solo a Pyongyang e riguarda la forza e la determinazione dell'attuale leadership. Al contrario di quanto può sembrare, se Kim Jong Il è solido nella sua posizione di comando e determinato a portare la sua nazione fuori dalla miseria, deve interrompere il programma nucleare. La persistenza nel brandire la minaccia delle armi potrebbe essere la spia di una profonda debolezza, di forti rivalità, di lotte di potere e di un'evidente incapacità di capire la realtà internazionale.
Una mancata riforma
Nella primavera del 2002 la Corea ha finalmente lanciato una serie di riforme ispirate a quelle cinesi, ma i risultati sono stati deludenti. I segnali di miglioramento mostrati dall'economia sono stati esigui, se non assenti. La ragione è semplice: le riforme erano concepite male e male sono state eseguite. Se ne era fatto promotore un gruppo di politici convinti della reale necessità di ristrutturare il programma economico, ma considerati troppo vicini alla Cina per essere autorevoli. A Pyongyang, se si è favorevoli alle riforme e si mostra ammirazione per il modello di cambiamento economico che ha avuto successo in Cina, si è guardati con sospetto. Kim ha preferito affidare le riforme a persone che erano scettiche al riguardo. Il risultato, non sorprendentemente, è stato negativo.
Ma se l'economia non migliora, la Corea del Nord diventerà ancora più debole e dipendente dagli aiuti dall'estero, incapace di sopravvivere da sola. È difficile valutare la situazione, ma sembra del tutto giustificato affermare che se gli aiuti stranieri venissero a mancare lo Stato collasserebbe. Se questa è la situazione effettiva (in realtà potrebbe essere come non essere, dato che in Corea del Nord ben poco è certo), l'unica via d'uscita per il regime è il ricatto. La Corea deve acquisire armi di distruzione di massa per richiedere aiuti o evitare la mancata erogazione di quelli che le sono stati promessi. Il miglioramento dell'economia attraverso riforme di stile cinese può essere considerato un prezzo troppo alto da pagare in termini politici. La Corea del Nord non vuole diventare dipendente dalla Cina.
All'inizio degli anni Ottanta il vecchio Kim Il Sung fu accompagnato attraverso la regione di Sichuan da Deng Xiaoping. Lodando le virtù delle riforme cinesi in corso, Deng incoraggiò la Corea del Nord ad adottare cambiamenti basati sullo stesso modello, ma i suoi sforzi non ebbero alcun effetto. Cina e Corea del Nord si sono limitati a mantenere rapporti di buon vicinato. Diversamente è accaduto alle relazioni fra Cina e Vietnam. I due paesi hanno combattuto una guerra, per anni i rapporti tra di loro sono stati tutt'altro che amichevoli e ancora oggi sono lontani dall'essere buoni. Tuttavia il Vietnam ha adottato riforme economiche chiaramente basate sull'esperienza cinese, che forse in un certo senso sono state rese possibili proprio dalla tensione delle relazioni con la Cina. Al contrario, la Corea del Nord apparentemente ha temuto che riforme di tipo cinese potessero impegnarla troppo con la Cina, compromettendo la sua indipendenza politica. Anche questa è una riprova della difficoltà delle relazioni tra la Cina e i paesi che facevano parte della sua sfera d'influenza ai tempi della Guerra Fredda.
La sicurezza del Giappone
Il fatto che la Corea del Nord rientrasse nella sua area di influenza comporta per la Cina la necessità di considerare seriamente la delicata questione della sicurezza del Giappone. La sfida è dura, perché se Pechino non riesce a risolvere il problema, dovrà occuparsene direttamente il Giappone.
Nel febbraio 2003, sul quotidiano Yomiuri Shimbun, lo scrittore Kohei Kawashima ha esortato il governo giapponese a smettere di tollerare la politica di rischio calcolato: "Sia Tokyo sia Washington non sono sicuri delle reali intenzioni di Pyongyang. Ci sono opinioni ottimistiche secondo le quali la Corea del Nord sta usando la minaccia nucleare solo come elemento di stimolo per avere assistenza economica, ma altri credono seriamente che la Corea del Nord stia pensando di armarsi con ordigni nucleari [...] Se la Corea del Nord si munirà di armi nucleari, potrà mettere seriamente in pericolo la pace e la sicurezza non solo di questa regione, ma di tutto il mondo. Il Giappone non dovrebbe mai tollerare questo […] Per motivi di sicurezza nazionale, il Giappone non può abbandonare l'obiettivo del disarmo nucleare della Corea e dello smantellamento dei suoi missili balistici che, con la loro gittata, coprono l'intero arcipelago giapponese". Kawashima non si fida di Kim Jong Il e sembra nutrire riserve anche sul primo ministro giapponese: "La dichiarazione nippo-coreana firmata a Pyongyang da Junichiro Koizumi e Kim Jong Il il 17 settembre 2002 è diventata niente più che un pezzo di carta". Nell'incontro era stato presentato un memorandum di garanzia per la sicurezza del Giappone e nei tre mesi successivi si sarebbero dovuti tenere 'colloqui normalizzatori'. Questo non è accaduto e inoltre non ci sono stati sviluppi nella questione del rientro in patria dei giapponesi rapiti dalla Corea del Nord fra il 1977 e il 1983. Tutti questi fatti, a giudizio di Kawashima, non dovrebbero lasciare più dubbi tra i giapponesi circa le reali intenzioni di Kim Jong Il.
Il possesso di armi nucleari da parte della Corea del Nord comporta inoltre l'eventualità di un profondo cambiamento nel clima della Corea del Sud. La maggior parte dei sudcoreani si è mostrata finora favorevole al dialogo, ma il ricatto del Nord potrebbe risvegliare nuove paure e provocare un cambiamento nell'opinione pubblica. Di conseguenza la Cina si vedrebbe costretta a decidere se appoggiare o meno Pyongyang. La Cina si rende sicuramente conto di questi pericoli ed è fortemente favorevole a una penisola coreana denuclearizzata. Ma come può forzare la Corea del Nord a rinunciare al suo programma senza danneggiare ulteriormente i legami con tale nazione?
Il ruolo della Cina
Nel 1950 Mao Zedong prese una decisione storica per il suo paese e per il mondo stabilendo che fosse più importante combattere gli americani in Corea piuttosto che provare a riconquistare Taiwan, governata dalle truppe del Kuomintang. Questa scelta e lo scontro diretto tra le truppe cinesi e quelle americane in Corea determinarono l'inizio della guerra fredda. Per decenni molti cinesi rimasero perplessi sulla decisione: perché difendere la Corea del Nord, un paese straniero, e non impegnarsi nel compito patriottico di riunificare la nazione, prendendo il controllo di Taiwan? Le ragioni erano molte: innanzitutto vi era la difficoltà tecnica di sbarcare a Taiwan, difesa dagli Stati Uniti; inoltre non era trascurabile il problema della vicinanza geografica: se gli americani avessero sconfitto la Corea del Nord le loro truppe si sarebbero attestate a poca distanza dal confine con la Cina, divise solo dai pochi metri di larghezza del fiume Yalu; meglio quindi che queste restassero dislocate a Taiwan, separate dalla terraferma da miglia di mare.
La questione centrale comunque era che nel 1950 i rapporti di reciproca apertura intercorsi fra Mao e gli Stati Uniti negli anni Quaranta erano un ricordo distante. Mao era ormai considerato un comunista come gli altri e di fatto si dovette avvicinare a Mosca, con la quale aveva avuto relazioni difficili. Per dar prova della sua disponibilità diede avvio alla guerra in Corea. Fu un passo decisivo che portò la Cina nel blocco comunista e segnò il confronto tra Est e Ovest per i successivi cinquant'anni. La situazione si capovolse solo parzialmente nel 1972, quando Richard Nixon visitò Pechino e di fatto strinse legami con la Cina in funzione antisovietica.
Se cinquant'anni fa la Corea del Nord fu motivo dell'allontanamento della Cina dagli Stati Uniti, ora è causa del loro riavvicinamento. Sia Washington sia Pechino sono preoccupate dal programma nucleare di Pyongyang, ma temono ugualmente la possibilità di un crollo nordcoreano. Ambedue le potenze sostanzialmente ritengono che la vera insidia alla stabilità della regione non sia tanto la minaccia atomica, che potrebbe non essere mai messa in pratica, ma la possibilità più concreta della fine della Corea del Nord. Questa comporterebbe una grandissima tensione in Corea del Sud, che sarebbe costretta alla riunificazione con il Nord e a preoccuparsi dei suoi 22 milioni di disperati, ma anche in Cina e Giappone in quanto paesi confinanti, e negli Stati Uniti come parte interessata con 40.000 soldati in Corea. Nessuno vorrebbe pagare questo conto, che causerebbe all'economia della regione costi ancora più elevati di quelli imposti alla Germania Ovest e a tutta l'Europa occidentale dalla riunificazione con la Germania Est. Allo stesso modo, dover provvedere a nutrire e vestire 22 milioni di nordcoreani porterebbe a pesanti ricadute sull'economia globale, già adesso in condizioni critiche.
In questa situazione qualsiasi mossa affrettata, come la guerra, potrebbe essere controproducente, portando solo costi e nessun beneficio. La Corea del Nord, lo abbiamo già detto, non dispone di risorse strategiche, come l'Iraq, in grado di esercitare un forte impatto sull'economia mondiale, né agisce come l'Afghanistan, che finanzia e organizza atti terroristici che minacciano la vita del mondo occidentale. Non c'è petrolio da conquistare né c'è una guerriglia radicale da annientare. La minaccia nordcoreana non supera i confini, e assomiglia più ai ricatti che si vedono nei film, dove uno scienziato pazzo chiede un miliardo di dollari per non far saltare in aria Tokyo. L'obiettivo dello scienziato è chiaramente quello di avere il suo miliardo di dollari, non di distruggere Tokyo, mentre Al Qaeda in Afghanistan userebbe quel miliardo di dollari per distruggere Tokyo o New York. Comunque qualcosa deve essere fatto nei confronti di Pyongyang e, nonostante la sua influenza calante, Pechino ha ancora qualche strumento di pressione da usare con la Corea del Nord. La Cina fornisce gli aiuti economici più sostanziosi e inoltre la maggior parte di quelli che vengono dagli altri paesi passa per Pechino; sarebbe quindi in grado di fermare, completamente o in parte, questi soccorsi. Già ospita centinaia di migliaia di rifugiati nordcoreani e potrebbe permettere a un numero ancora più grande di raggiungere le ambasciate a Pechino o anche aprire completamente i suoi confini, cosa che ridurrebbe sul lastrico la Corea del Nord, accelerandone la caduta. La Cina non si servirà mai di questi strumenti, che porterebbero a ulteriori complicazioni, ma il fatto stesso di averli a disposizione la rende l'unica nazione capace di esercitare una certa influenza sulla Corea del Nord.
C'è anche un altro aspetto da considerare. L'accordo di Stati Uniti e Cina a proposito della questione nordcoreana e il fatto che sia Washington sia Pechino siano convinti che Pyongyang debba risolvere i suoi problemi attraverso il dialogo con Seul rafforza il rapporto di cooperazione fra le due potenze inaugurato dopo l'attacco terroristico dell'11 settembre 2001. Ha osservato Michael D. Swaine (The turnaround in US-China relations and the Taiwan issue, Carnegie Endowment for International Peace, 2002): "La reazione assolutamente negativa di Washington alle controverse affermazioni di Chen Shui-Bian del 3 agosto 2002 - sulla necessità di preparare il terreno per un referendum nazionale in merito alla condizione di Taiwan e sulla separazione dei due Stati - hanno fornito un esempio calzante delle nuove priorità di Washington".
Prima la guerra al terrorismo e ora l'impegno, che necessariamente si configura a lungo termine, per contenere la Corea del Nord, hanno creato un forte legame geopolitico tra Stati Uniti e Cina. E la geopolitica è molto più forte dell'ideologia, come testimoniò la visita di Nixon in Cina del 1972. Tenendo la Corea del Nord sotto controllo, la Cina salverà la Corea del Sud e aiuterà il Giappone, la cui situazione economica non è rosea, e peggiorerebbe se venisse preso dal panico in seguito agli atteggiamenti belligeranti della Corea del Nord. Aiuterà anche gli Stati Uniti, la cui economia è legata alle fortune del Giappone in Asia. D'altra parte, per contenere la Corea del Nord la Cina avrà bisogno dell'aiuto degli USA, dal momento che Pyongyang desidera coinvolgere l'America per la sua influenza politica ed economica. Il legame strategico tra Cina e Stati Uniti potrebbe durare fino alla riunificazione della Corea. In altre parole, la Cina e gli USA avranno bisogno l'una dell'altra almeno per i prossimi trent'anni.
Si potrebbe pensare che questo legame possa avere importanti ripercussioni anche all'interno della Cina, consentendole di non intraprendere la strada delle riforme politiche e del rispetto dei diritti umani, ignorando le richieste degli USA in proposito. Ma non è così: non rallenterà il passo delle riforme politiche in Cina, dal momento che esse non dipendono in alcun caso dalle pressioni degli USA. La leadership cinese ritiene queste riforme necessarie e le porterà avanti a prescindere dall'intervento straniero. Anzi in un certo senso la situazione della Corea del Nord dimostra la bontà della scelta cinese e i pericoli di un potere assoluto e incontrollato. La guida del paese in Cina non è nelle mani di un capriccioso dittatore né è contesa con accanimento da fazioni animate da scopi diversi. La Cina non vuole assolutamente finire come la Corea del Nord.
La Corea alza il tiro
Essendosi Pechino dimostrato il difensore più convinto del dialogo e di un approccio pacifico con Pyongyang, la diplomazia cinese è apparsa la prima vittima del missile nordcoreano lanciato il 24 febbraio 2003 nel Mar del Giappone, 35 miglia al largo della costa sudcoreana, il giorno prima dell'insediamento del presidente Roh Moo Hyun alla presenza dei leader del mondo riuniti a Seul. Nelle settimane precedenti gli Stati Uniti, nel pieno della crisi irachena, minimizzavano la minaccia nordcoreana, definita da Bush "un'esibizione diplomatica". L'amministrazione USA ha mandato una gran quantità di messaggi pacificatori a Pyongyang, impegnandosi a riprendere e anche ad aumentare i suoi aiuti verso il paese colpito dalla povertà, senza rispondere alla retorica belligerante di Pyongyang. Tuttavia Bush ha rifiutato il colloquio diretto con Kim Jong Il, patrocinato dalla Cina e voluto dalla Corea del Nord per ridurre il coinvolgimento nella questione di altri paesi, come il Giappone e la Corea del Sud. Gli Stati Uniti sono favorevoli piuttosto a colloqui multilaterali, per mettere alla prova la complessa rete di legami della Corea del Nord con i paesi vicini e costringerla all'attuazione delle riforme.
Il missile del 24 febbraio ha indebolito ogni appello al dialogo, aprendo un vuoto politico che rischia di bloccare ogni decisione, facendo mancare tra i principali attori di questo dramma il consenso politico sul tipo di iniziativa da intraprendere. Il Giappone è rimasto estremamente turbato dalla possibilità che missili nordcoreani possano sorvolare il suo territorio e il primo ministro Junichiro Koizumi si è recato a Seul per concordare una condotta comune con gli alleati. L'opinione pubblica della Corea del Sud è apparsa divisa tra chi era preoccupato della presenza militare degli USA nel proprio territorio altrettanto, se non di più, della minaccia nordcoreana e chi, non avendo mai creduto nella politica del 'Raggio di sole', vedeva confermati tutti i suoi sospetti. Ma è stata la Cina a trovarsi nella posizione peggiore, perché ha visto entrare in crisi la posizione dominante derivatale dall'essere l'unico paese a esercitare una certa influenza sulla Corea del Nord. Pechino sostiene ancora il mantenimento dello status quo, accompagnato da un lento ma continuo progresso dell'economia nordcoreana tale da facilitare una futura riunificazione, ma giorno dopo giorno Kim Jong Il sembra mettere sempre più in discussione questo status quo. Così, in assenza di ogni accordo politico sul futuro della penisola nordcoreana o sui costi di una futura ristrutturazione del Nord, viene meno ogni condizione di riferimento a cui fare ritorno.
Questo è il paradosso della situazione che Kim Jong Il pare intenzionato a sfruttare al massimo. Cina, Giappone e Corea del Sud non desiderano vedere la Corea del Nord cancellata dalle mappe, poiché non vogliono sostenere i costi della riunificazione. Nonostante ciò Kim Jong Il con le sue azioni sembra mirare a creare intorno e contro di sé un fronte congiunto. Roh è stato umiliato dal lancio del missile: il giorno del suo insediamento presidenziale Kim Jong Il gli ha rubato la scena, facendo apparire la Corea del Sud non importante e facile bersaglio del Nord. Il Giappone è stato l'obiettivo prescelto, dal momento che il missile ha seguito una traiettoria molto simile a quella di un altro missile che sfiorò il territorio giapponese cinque anni fa. Le offerte degli USA sono state respinte e Pyongyang ha deciso di far salire ulteriormente la tensione. L'interesse della Cina a rimandare le difficili questioni della riunificazione della penisola coreana e dello stanziamento delle truppe USA è stato messo a serio rischio.
L'audacia della Corea del Nord ha mostrato la necessità di una soluzione globale che oltrepassa di gran lunga la questione della riattivazione del reattore nucleare di Yongbyon. Le centinaia di migliaia di missili nordcoreani, che potrebbero essere lanciati in ogni direzione, sono un pericolo per la sicurezza regionale, anche senza alcun carico nucleare.
Nuovi scenari
Il 20 aprile 2003, giorno di Pasqua, il ministro della Difesa indiano, George Fernandes, primo sostenitore della teoria della 'minaccia cinese' e colui che nel 1998 decise di effettuare i primi test nucleari dell'India, è arrivato a Pechino per una settimana di colloqui. Qualche giorno dopo, una delegazione nordcoreana e una americana hanno dato inizio a incontri multilaterali insieme con la delegazione cinese, per risolvere la situazione di stallo della Corea del Nord. La missione indiana ha avuto grande importanza, poiché ha sottoposto a Pechino molte questioni: il sostegno della Cina al Pakistan, i presunti posti di osservazione cinesi nella Baia del Bengala, la definizione del confine tra Cina e India, la questione del Tibet. Anche se non sono stati raggiunti, in questa occasione, accordi importanti su nessuno di questi argomenti, i colloqui sono stati il primo segnale di un disgelo che potrebbe contribuire a placare la tensione nel Kashmir e in molte zone inquiete del Pakistan, sede di una crescente attività dei fondamentalisti musulmani: una grave minaccia per l'India e potenzialmente anche per la Cina, dove risiedono circa 20 milioni di musulmani.
È l'inizio di un nuovo capitolo per la Cina, mentre i colloqui tra americani e nordcoreani potrebbero segnare la fine del precedente. Per mesi è sembrato che con i suoi comportamenti provocatori Pyongyang abbia tentato di divenire il bersaglio del prossimo attacco militare degli USA. La Cina si è strenuamente opposta a una soluzione militare e si è fatta promotrice del dialogo. Gli Stati Uniti hanno richiesto colloqui multilaterali per non restare ostaggi della controparte e per non essere considerati i soli responsabili in caso di fallimento. Pyongyang, viceversa, ha insistito per colloqui bilaterali. La Cina per settimane ha esortato energicamente la Corea del Nord a fare alcune concessioni. Si è sparsa la notizia che Kim Jong Il sia stato convocato a Pechino e, come monito, per tre giorni la Cina ha interrotto - ufficialmente a causa di un incidente - l'erogazione di petrolio verso la Corea del Nord, aiuto essenziale per l'isolato regime. Il messaggio di Pechino è stato colto in modo chiaro da Pyongyang, che è tornata sui suoi passi e ha accettato di prendere parte a colloqui multilaterali. È stato un successo diplomatico per la Cina, poiché ha dimostrato di poter gestire la crisi senza l'uso della forza, verso cui sembra essere incline l'amministrazione Bush, e si è nuovamente avvicinata agli Stati Uniti, che hanno avuto la riprova che la Corea del Nord può essere controllata solo con l'aiuto cinese.
La decisione degli USA di muovere guerra all'Iraq e di ignorare le minacce nordcoreane ha comunque portato alla nascita di una complessa nuova dinamica nella regione. Nell'incontro annuale della Commissione Trilaterale, tenutosi in aprile a Seul, importanti personalità giapponesi hanno fatto notare l'emergere di nuove priorità per il Giappone, evidentemente diverse da quelle degli Stati Uniti, se questi ultimi, pur di fronte alla preoccupazione di Tokyo verso la minaccia nordcoreana, hanno deciso che Baghdad venisse prima di Pyongyang. Il Giappone sente di non poter affidare la propria sicurezza agli USA, ma in caso di necessità deve essere capace di gestire i suoi problemi da solo. Questo costituisce un valido motivo per il riarmo giapponese, con evidenti ricadute anche sul piano economico, dal momento che le spese militari possono alleviare l'attuale situazione di ristagno. Inoltre Tokyo ha notato che tra le generazioni più giovani della Corea del Sud il Nord non è più considerato come potenziale nemico, ma piuttosto come oggetto di pietà e interessamento. Di conseguenza il programma nucleare nordcoreano non è inteso come una minaccia, ma come una possibile fonte di orgoglio nazionale sia al di qua sia al di là del 38° parallelo.
Il riarmo giapponese non preoccupa la Cina. Le persone a cui in Giappone è stato affidato l'incarico di implementare le opzioni militari mantengono stretti rapporti con l'esercito cinese sulla soluzione del problema nordcoreano e giudicano amichevole il recente comportamento della Cina. Questa, da parte sua, non può non comprendere la necessità di un ruolo più attivo del Giappone nella sua stessa sicurezza. Una tale comprensione potrebbe servire da catalizzatore nei rapporti tra Giappone e Cina, favorire la fiducia reciproca e dare origine a un legame più stretto a tutto vantaggio di una maggiore stabilità regionale.
Si configura dunque la possibilità che nell'Asia orientale si crei una nuova costellazione, con una cooperazione maggiore tra Stati Uniti, Cina e Giappone. Ma il nuovo legame a triangolo è differente da quello che si formò in passato, quando la Cina si schierò con gli USA per contrastare la minaccia sovietica. Quello che si va delineando è un quadro nuovo, delicato e complesso, che potrebbe legare assieme le tre nazioni come mai prima d'ora, ma è anche pieno di insidie, poiché una mossa improvvisa di una delle tre allarmerebbe le altre.
Da questo riallineamento geopolitico della regione, comunque, non può essere esclusa l'India, potenza nucleare con una popolazione imponente e un'economia in crescita. Sia Tokyo sia Washington si sono avvicinate molto a New Delhi. La visita di Fernandes a Pechino è stata occasione per il riappacificamento della Cina con l'India, sebbene la lista dei torti sia estremamente lunga, così come è inveterata la tradizione di sospetti e animosità. Ma questo potrebbe essere un primo passo importante: la Cina deve fare la prima mossa con grande decisione se non vuole essere lasciata indietro.
repertorio
La storia della Corea
L'Occidente scopre la Corea
Le più antiche notizie sulla Corea provengono dalla Cina. La letteratura geografica e storica cinese di ogni epoca fornisce infatti molteplici descrizioni della geografia e della storia della penisola coreana, talora accompagnate dalla rappresentazione grafica della sua forma e della sua topografia. Nonostante della regione già parlasse un passo del Libro delle vie e dei regni del geografo arabo Ibn Khurdadhbih, fiorito nel 3° secolo dell'Egira (9°-10° d.C.), che descrisse le principali vie commerciali di comunicazione della sua epoca, fino al Cinquecento l'Europa non conobbe la Corea neppure di nome. A partire dal 16° secolo cominciò ad apparire, come un'isola, nelle prime carte olandesi e negli atlanti dell'Ortelius, del Mercator, del Sanson, mentre la sua natura peninsulare divenne un dato acquisito soltanto nel secolo successivo, quando il geografo del re di Francia Jean-Baptiste Bourguignon d'Anville ne pubblicò la prima grande carta, fatta pervenire in Europa da missionari cattolici residenti in Cina.
Nel corso del 17° secolo alcuni viaggiatori olandesi furono i primi europei a penetrare in Corea e a lasciarne traccia nei loro diari di viaggio. Dopo di allora le uniche notizie dirette sull'interno della penisola sono costituite da passi delle lettere di missionari stabilitisi nel paese a partire dal 1834. Le difficoltà di penetrazione dovute alla natura della regione, caratterizzata da monti impraticabili e strade impervie, l'ostilità degli abitanti, la mancanza di quegli interessi commerciali che tanto contribuirono alla conoscenza di altre regioni dell'Asia furono le principali cause che ritardarono a lungo la conoscenza geografica dell'interno del paese. Gli scarsi elementi utilizzati per il tracciato delle coste e per l'idrografia della Corea e delle isole adiacenti che i geografi ebbero a disposizione fino al 19° secolo furono raccolti dai pochi viaggiatori che intrapresero spedizioni nei mari dell'Estremo Oriente. Una nuova epoca nella storia della conoscenza della Corea ebbe inizio intorno alla metà dell'Ottocento, quando a dirigere l'attenzione sullo scacchiere dell'Estremo Oriente furono le mire espansionistiche delle grandi potenze europee. Le numerose spedizioni militari che queste e gli Stati Uniti d'America inviarono, specialmente in Cina e nel Giappone, a tutela dei propri interessi fruttarono una ricostruzione precisa dei particolari di molte porzioni delle coste coreane. Ma fu soprattutto sullo scorcio del secolo che, con l'apertura della Corea alla civiltà occidentale, ebbero inizio i veri e propri studi geografici sulla penisola, poiché solo allora si poté approdare indisturbati sulle sue coste e intraprendere viaggi e spedizioni verso l'interno.
Tra Cina e Giappone
La preistoria della penisola coreana, secondo quanto è emerso dagli scavi più recenti, si apre con una cultura paleolitica che segna l'apparizione dell'Homo sapiens sapiens circa 30.000 anni a.C. Si ritiene che a partire dal 5° millennio, nel Neolitico medio, siano arrivate in Corea popolazioni paleoasiatiche e paleosiberiane e si sia verificato lo sviluppo dell'agricoltura. Alla cultura neolitica risalirebbe appunto il mitico periodo di Tangun: narra la leggenda che il figlio del cielo, Wanung, discese sulla terra e sposò una ragazza trasformata in orsa, la quale partorì Tangun, il fondatore dello stato di Chósen, culla della nazione coreana. Chósen non resistette all'espansione cinese guidata dall'imperatore Han Wu (109 a.C.). Al suo posto, nel nord della penisola, furono stabilite quattro colonie, una delle quali, Lelang, fu mantenuta dalla dinastia Han sino a circa il 200 dell'era volgare, ben dopo che i cinesi avevano abbandonato la penisola (38 d.C.), lasciandole i benefici della loro civiltà, ancora oggi alla base di quella coreana. Nello stesso periodo nel resto della Corea si formarono tre confederazioni tribali, Mahan, Chinan e Pyonhan. L'economia della prima era basata sull'agricoltura, destinata più al consumo interno che a un commercio poco evoluto. La seconda confederazione, invece, aveva sviluppato non soltanto l'agricoltura ma anche la sericoltura e l'allevamento del bestiame; era famoso il ferro da essa prodotto, che era usato come moneta nei mercati ed era esportato negli altri Stati dell'impero cinese Han, oltre che nelle isole giapponesi. La confederazione di Pyonhan, infine, occupava l'estremo lembo sudorientale della penisola e mancava di una organizzazione centralizzata; per il resto era molto simile a Chinan. Progressivamente venne emergendo in questa parte della Corea la lega di Kaya, che si pose al centro dell'intenso commercio fra l'arcipelago giapponese e il continente; i numerosi emigranti da quest'area formarono una parte della popolazione giapponese.
Con l'indebolimento della potenza Han, si ebbe in Corea una serie di trasformazioni politiche, il cui risultato principale fu l'evoluzione delle confederazioni tribali in tre Stati principali: Koguryo, Paekche e Silla. Il cosiddetto periodo dei 'Tre regni' durò dal 4° secolo d.C. sino alla metà del 7°. Dalle fonti cinesi e dai reperti archeologici risulta che Koguryo (con capitale nell'attuale Pyongyang) era il più progredito dei tre regni, dal punto di vista sia tecnico sia culturale. Per molti aspetti i regni di Paekche e di Silla recepirono l'influenza di Koguryo, trasmettendo a lo-ro volta al Giappone la cultura sino-coreana. Caratteristiche comuni ai tre regni furono la presenza di aristocrazie centrali formate dai capi tribù locali trasferitisi nella capitale, la compilazione di storie al fine di rafforzare le identità statuali, l'introduzione del buddismo, adottato come una sorta di religione nazionale. Tra il 660 e il 680 Silla, alleato con gli imperatori cinesi della dinastia Tang (618-907), riuscì a eliminare gli avversari e a unificare la penisola, governandola per i tre secoli successivi. Il nuovo Stato unificato conobbe una forma di monarchia assoluta, servita da un'amministrazione centrale rigidamente organizzata per dare esecuzione ai decreti reali e affidata a una classe aristocratica compensata in denaro e con l'affidamento temporaneo di terre da sfruttare.
Lo Stato di Koryo (918-1392), da cui deriva il nome Corea, subentrò a quello di Silla e rappresentò la reazione del Nord al predominio meridionale. La sua classe dirigente fu in larga parte formata da membri dell'aristocrazia provinciale della monarchia di Silla. Il periodo fu caratterizzato da una preponderante influenza della chiesa buddista. I monaci svolsero un ruolo importante nello Stato e i monasteri ebbero una parte significativa anche nell'economia nazionale; essi furono, inoltre, i principali centri non soltanto religiosi, ma anche culturali e artistici. Ogni campo della vita sociale, politica ed economica fu profondamente influenzato dal buddismo, che rimase la religione principale, anche quando lo stato coreano fu inglobato nell'impero mongolo Yuan, che regnò sulla Cina dal 1280 al 1368, e la mongolizzazione della sua classe dirigente si fece profonda. Durante l'epoca Koryo fu realizzato con una certa ampiezza il reclutamento della burocrazia attraverso esami statali, ma l'accesso alle cariche pubbliche restò riservato alla famiglie aristocratiche.
Koryo non sopravvisse alla caduta dei mongoli e, pochi anni dopo l'avvento in Cina dei Ming, la famiglia Yi prese il potere in Corea (1392), fondando una nuova dinastia, che con 26 monarchi sarebbe rimasta al potere fino all'annessione della Corea al Giappone. La capitale fu spostata a Hanyang, l'odierna Seul. Nel cambiamento, simbolizzato dalla ripresa per il regno del vecchio nome di Chósen, la nobiltà confuciana aveva avuto una parte notevole e l'avvento della nuova dinastia ebbe profonde ripercussioni in campo culturale oltre che in quello politico. Il sistema etico confuciano prese ufficialmente il posto di un buddismo ormai corrotto e decaduto. Con i primi monarchi della dinastia Yi la Corea conobbe una notevole fioritura culturale. Grazie alla fusione in rame di caratteri mobili cinesi furono stampate numerose pubblicazioni di medicina, astronomia, geografia, storia e agricoltura, mentre la messa a punto definitiva, intorno alla metà del Quattrocento, dell'alfabeto fonetico coreano rendeva possibile la diffusione della cultura popolare in lingua volgare. Vennero aperte accademie confuciane e studiosi coreani offrirono il loro contributo originale al corpo dottrinale del confucianesimo; molti di essi entrarono in seguito a far parte del personale di governo, con l'intento di sostituire gli ideali confuciani alla pratica burocratica imperante. Durante questa fase della sua storia la Corea dovette affrontare i primi tentativi di invasione da parte dei giapponesi, che alla fine del Cinquecento arrivarono a impadronirsi della capitale, per ritirarsene in seguito alla sollevazione della popolazione e all'intervento cinese. Il passaggio degli eserciti giapponesi lasciò ampie distruzioni nel paese e la successiva caduta della dinastia Ming in Cina segnò per la Corea una fase di decadenza protrattasi per tutto il 18° secolo e caratterizzata da violente lotte tra i nobili, che non fecero che accentuare l'indebolimento del paese, mentre l'ingresso del cristianesimo, introdotto da missionari provenienti dalla Cina, apriva conflitti con l'establishment confuciano e con il governo, che cercò in più riprese di sopprimere i primi tentativi di organizzazioni cattoliche.
Gli interventi e le interferenze delle potenze occidentali e del Giappone si intensificarono progressivamente a partire dalla metà dell'Ottocento. La reazione della classe dirigente coreana fu quella di chiudere sempre più il paese nei confronti del mondo esterno, ponendo gravi restrizioni a qualunque tipo di comunicazione. Nel frattempo la regione era divenuta uno dei principali obiettivi dell'aggressione francese, statunitense, giapponese e russa. Con il pretesto di 'aprire' la Corea, e di 'liberarla' dal tradizionale rapporto che la legava formalmente all'impero cinese, prima il Giappone, poi gli Stati Uniti e le altre potenze la vincolarono a una serie di trattati ineguali. Per far fronte alle pesanti condizioni imposte al paese, il governo fu costretto a incrementare le spese e, di conseguenza, il prelievo fiscale. Ne derivò l'esplosione della rivolta che prese il nome di tonghak, "scienza orientale", nella quale confluirono anche le masse contadine ridotte alla fame. La ribellione, repressa nel 1894 dal governo con l'aiuto delle armi straniere, offrì al Giappone l'opportunità di intervenire direttamente e di iniziare a imporre la sua influenza politica sul regno coreano. Per un breve periodo il paese poté mantenere un'indipendenza formale. Nel 1897 il re Kojong proclamò l'effimero impero del Taehan, con l'intento di porre la penisola sullo stesso piano delle tre monarchie vicine, l'impero cinese, quello giapponese e quello zarista; ma con il trattato di Portsmouth, che nel 1905 poneva fine alla guerra russo-giapponese, la penisola entrò di fatto sotto il dominio nipponico, dapprima sotto forma di protettorato con un generale giapponese residente, e poi, in seguito all'abdicazione nel 1907 dell'imperatore coreano e la sua cessione nel 1910 di tutti i diritti di sovranità all'imperatore del Giappone, di colonia vera e propria, parte integrante dell'impero nipponico, con il nome antico di Chósen, che in giapponese significa "freschezza del mattino". Il Giappone sottopose la Corea a un pesante regime coloniale, affiancando lo sfruttamento economico all'oppressione politica e culturale e reprimendo duramente le proteste popolari manifestatesi soprattutto a partire dal 1919. Il 1° marzo di quell'anno a Seul, per fronteggiare un'imponente dimostrazione di due milioni di studenti e cittadini radunatisi per chiedere pacificamente l'indipendenza, le autorità giapponesi scatenarono le forze di polizia, dell'esercito e della marina, provocando un bilancio di decine di migliaia tra morti, feriti e arrestati, buona parte dei quali in seguito condannati. Altre manifestazioni, promosse da movimenti di resistenza animati da studenti e intellettuali, si susseguirono nel 1926 e nel 1929, e il Giappone rispose accentuando la militarizzazione del paese. Con lo scoppio del conflitto cino-giapponese (1937) e dopo l'ingresso del Giappone nel Secondo conflitto mondiale (1941) le autorità nipponiche tentarono di cancellare del tutto la Corea come nazione: obbligarono i coreani al culto scintoista e ad adottare perfino nomi giapponesi, mentre mettevano al bando le istituzioni dedite alla coltivazione di studi coreani e chiudevano riviste e giornali pubblicati nel paese. Centinaia di migliaia di coreani furono mandati a combattere per il Giappone o furono costretti al lavoro nelle fabbriche e nelle miniere per rimpiazzare la forza lavoro giapponese impiegata nello sforzo bellico.
La liberazione del paese avvenne soltanto con la fine della guerra e con la sconfitta del Giappone, ma questa si accompagnò alla sua divisione in due zone di occupazione, sovietica e statunitense, rispettivamente a nord e a sud del 38° parallelo. Malgrado la conferenza di Mosca del dicembre 1945 avesse stabilito la ricostituzione di uno Stato coreano unitario, non fu possibile raggiungere un accordo in tal senso e nelle due zone di occupazione si formarono strutture alternative, in base alle quali si giunse nel corso del 1948 alla proclamazione di due Stati, ognuno dei quali rivendicava la giurisdizione sull'intero paese. La Repubblica di Corea, con capitale Seul, fu proclamata il 15 agosto 1948 nella zona occupata dalle forze statunitensi, dopo l'approvazione, da parte dell'Assemblea nazionale eletta nel maggio, di una costituzione di tipo presidenziale; il primo presidente della repubblica, Syngman Rhee, fu eletto nel luglio 1948 dall'Assemblea nazionale. La Repubblica Democratica Popolare di Corea, con capitale Pyongyang, fu proclamata il 9 settembre 1948 nella zona di occupazione sovietica in seguito all'approvazione, da parte dell'Assemblea popolare eletta in agosto, di una costituzione di tipo socialista; capo del governo divenne il leader del Partito comunista (dal 1949 Partito coreano dei lavoratori) Kim Il Sung. All'avvenuta divisione faceva seguito, tra la fine del 1948 e la metà del 1949, il ritiro delle truppe di occupazione sovietiche e statunitensi.
La guerra di Corea
Con l'intento di riunificare militarmente il paese, il 25 giugno 1950 le truppe nordcoreane passavano il 38° parallelo; il presidente americano Harry Truman disponeva allora l'intervento delle forze armate dislocate nel Pacifico in appoggio alle truppe sudcoreane, mentre il Consiglio di sicurezza dell'ONU, boicottato dal rappresentante sovietico, invitava gli Stati membri a fornire alla Repubblica di Corea l'assistenza necessaria per respingere l'attacco. Il comando delle truppe dell'ONU, formate in gran parte da soldati americani, fu affidato al generale statunitense Donald McArthur. Le forze sudcoreane, che erano state spinte nell'estremo sud del paese dall'offensiva di Pyongyang, riuscirono con l'appoggio americano a conquistare quasi tutta la penisola, costringendo, dopo la presa di Pyongyang, il governo nordcoreano a ritirarsi al confine con la Manciuria. Nel novembre di quell'anno però intervennero a sostegno dei nordcoreani le truppe cinesi, dando luogo a una massiccia controffensiva che spostò nuovamente il confine verso sud. Pyongyang fu riconquistata e nel gennaio 1951 cadde la stessa Seul, ripresa tuttavia dalle forze dell'ONU nel marzo, quando il fronte si stabilizzò di nuovo sul 38° parallelo. L'esonero di McArthur da parte del presidente Truman, preoccupato che la sua condotta delle operazioni militari tendesse a estendere il conflitto alla Cina, e la trasformazione del conflitto in guerra di posizione, dopo l'insuccesso di due successive offensive delle forze cinesi e nordcoreane, imposero l'apertura di trattative che si conclusero con l'armistizio di Panmunjong il 27 luglio 1953. Oltre a fissare in prossimità del 38° parallelo la linea di demarcazione tra le truppe delle due Coree e a stabilire le modalità del rimpatrio dei prigionieri, l'armistizio raccomandava che l'intera questione venisse composta pacificamente in una conferenza internazionale. Tenutasi a Ginevra nell'aprile-giugno 1954, la conferenza tuttavia non condusse ad alcun accordo, sancendo così la definitiva divisione del paese. In poco più di tre anni la guerra aveva provocato quasi 4 milioni di vittime e gravi distruzioni sia nel nord sia nel sud.
Le due Coree
I primi anni della vita politica della Repubblica di Corea furono caratterizzati dal regime autoritario, rigidamente allineato con gli Stati Uniti, instaurato da Syngman Rhee. Il presidente sudcoreano mantenne il potere fino all'aprile del 1960, quando, dopo essere stato rieletto per la quarta volta, fu costretto alle dimissioni da un'ondata di proteste popolari sanguinosamente represse e dalle pressioni americane. Ne seguirono una riforma costituzionale e un breve periodo di regime parlamentare, cui pose termine nel maggio 1961 un colpo di Stato militare che portò al potere il generale Park Chung Hee. Riformata la Costituzione in senso presidenziale (1962) e assunta la presidenza della Repubblica (1963, 1967, 1971), Park ristabilì un regime autoritario, riconfermando la stretta alleanza con gli Stati Uniti e inviando truppe nel Vietnam (1967). Con la nuova Costituzione del 1972 Park (riconfermato nel 1972 e nel 1978) rafforzò ulteriormente i propri poteri e negli anni successivi l'opposizione fu praticamente ridotta al silenzio, mentre le gravi misure repressive che colpivano qualsiasi manifestazione di dissenso provocavano difficoltà negli alleati americani e negli stessi rapporti con il Giappone, la cui normalizzazione, sancita dal trattato del 1965, era stata alla base del processo di intensa crescita industriale che ha caratterizzato la Corea del Sud a partire dalla fine degli anni Sessanta. Le relazioni con gli Stati Uniti, che in base al trattato di mutua difesa del 1953 avevano mantenuto nella regione una forza militare di circa 40.000 uomini, dopo una fase di progressivo deterioramento durante l'amministrazione Carter, registrarono con la presidenza Reagan un netto miglioramento. Negli anni successivi anche i rapporti con il Giappone venivano riconfermati, mentre proseguivano, sia pure con difficoltà, i contatti avviati fin dal decennio precedente con la Corea del Nord. A partire dalla metà degli anni Ottanta la forte ripresa dell'opposizione democratica, con il contributo determinante degli studenti, induceva il governo ad avviare un graduale processo di liberalizzazione, proseguito da allora con fasi alterne. Nell'estate del 1987 il governo era costretto a concordare con l'opposizione parlamentare una nuova Costituzione, approvata in ottobre da un referendum popolare. Essa stabiliva l'elezione a suffragio universale del presidente della Repubblica (con mandato quinquennale non rinnovabile) e la limitazione dei suoi poteri a vantaggio dell'Assemblea nazionale (eletta per quattro anni a suffragio universale), oltre a una serie di disposizioni volte a garantire le libertà fondamentali dei cittadini. Primo presidente sudcoreano democraticamente eletto è stato Kim Dae Jung.
La storia politica della Repubblica democratica di Corea è legata nello stesso arco di tempo alla figura di Kim Il Sung. Dopo le gravi distruzioni provocate dalla guerra del 1950-53, la ricostruzione del paese avvenne in parallelo con lo sforzo di ammodernamento e di pianificazione e socializzazione dell'agricoltura, mentre, sul piano politico, Kim Il Sung indirizzava il partito e lo Stato verso una sorta di via nazionale al socialismo, autonoma sia dal modello sovietico sia da quello cinese: un'autonomia che si rifletteva anche nei rapporti di equidistanza mantenuti con Mosca e Pechino dopo la rottura fra i due paesi socialisti confinanti. Dal 1972, con il varo di una nuova Costituzione che attribuiva al presidente della Repubblica anche la funzione di capo dell'esecutivo, Kim Il Sung assumeva tale carica, accanto a quella di presidente del partito. Negli anni Ottanta, a fianco dell'anziano leader, appariva la figura del figlio Kim Jong Il (dal 1980 vicepresidente del partito), quale suo successore destinato. In politica estera la Corea del Nord aveva ottenuto notevoli successi negli anni Settanta con la sua ammissione al Movimento dei paesi non allineati e il riconoscimento diplomatico da parte di numerosi Stati, mentre, a partire dal 1971, erano stati avviati contatti con Seul per giungere a una riunificazione pacifica del paese. Nonostante ripetute interruzioni, dovute in particolare alle proteste di Pyongyang contro la permanenza in Corea del Sud delle forze statunitensi, tali contatti proseguivano negli anni Ottanta e si intensificavano dal 1990, anche in relazione ai mutamenti in corso nella situazione internazionale.
Tentativi di riavvicinamento
Nel settembre del 1991 un accordo tra le due Repubbliche portava alla loro simultanea ammissione all'ONU e alla fine dell'anno, dopo ripetuti incontri fra i rispettivi primi ministri, veniva firmato un accordo di riconciliazione, non aggressione e cooperazione, ratificato nel febbraio 1992. Il contemporaneo accordo di principio per la denuclearizzazione dell'intera penisola, l'annullamento delle tradizionali manovre militari congiunte sudcoreane e americane e il miglioramento delle relazioni di Pyongyang con il Giappone e gli Stati Uniti sembrarono confermare, nei mesi successivi, il consolidamento del processo di distensione. Nuove difficoltà emersero, però, nel corso del 1993, a seguito della ripresa delle manovre militari coreano-americane e degli ostacoli posti dalle autorità di Pyongyang allo svolgimento delle ispezioni dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (avviate nel 1992) alle proprie centrali nucleari. Questa situazione si protrasse fino alla metà del 1994, quando la mediazione dell'ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter condusse all'annuncio di un imminente incontro tra i due capi di Stato coreani. La morte di Kim Il Sung (luglio 1994) impedì che tale incontro avesse luogo e aprì, ai vertici del regime, una lunga fase di incertezza, testimoniata dal fatto che il figlio Kim Jong Il, da tempo indicato come suo probabile successore, pur accrescendo il suo ruolo nella vita politica del paese non assunse ufficialmente le cariche di presidente della Repubblica e di segretario generale del Partito coreano dei lavoratori (avrebbe preso la guida di quest'ultimo solo tre anni dopo, nell'ottobre 1997). Nello stesso tempo la dirigenza nordcoreana si trovò a dover affrontare gravi problemi di ordine economico, determinati dalla fine dei crediti sovietici, dalla drastica diminuzione delle esportazioni alimentari da parte della Cina e anche dalla mancata applicazione degli accordi con gli Stati Uniti dell'ottobre 1994, che avevano stabilito una serie di aiuti economici in cambio della moratoria del programma nucleare di Pyongyang. La situazione fu resa più drammatica dalle inondazioni che tra il 1995 e il 1996 colpirono il paese, devastando le campagne e distruggendo le risaie. Di fronte al gran numero di vittime (soprattutto bambini) causato dalla conseguente carestia, una serie di accordi internazionali stabilì l'invio di beni alimentari e generi di prima necessità alla popolazione nordcoreana; la contemporanea ripresa delle relazioni con la Corea del Sud e con gli Stati Uniti condusse anche, nel corso del 1997, all'avvio della costruzione delle due centrali elettronucleari ad acqua leggera, destinate a uso civile, che erano state previste dagli accordi del 1994. Dopo alcuni incontri preliminari tra le delegazioni delle due Repubbliche coreane, degli Stati Uniti e della Cina, si tennero a Ginevra (dicembre 1997, marzo e ottobre 1998, gennaio 1999) le prime quattro sessioni ufficiali dei colloqui di pace, che si rivelarono, però, ancora interlocutorie. Con un nulla di fatto si erano risolti anche i negoziati diretti svoltisi a Pechino (aprile 1998) tra i rappresentanti dei governo di Seul e di Pyongyang.
Prospettive più rosee sembrarono aprirsi nel giugno 2000 con la visita a Pyongyang di Kim Dae Jung: in un incontro di oltre quattro ore fra i due presidenti fu raggiunto un accordo che prevedeva un piano di collaborazione economica e sociale e consentiva alle famiglie rimaste separate dopo la fine del conflitto del 1950-53 di rincontrarsi. Subito dopo tuttavia i negoziati si interruppero nuovamente, per riprendere soltanto nell'agosto 2002, dopo che nel giugno precedente si era determinato un momento di alta tensione per il conflitto a fuoco ingaggiato nel Mar Giallo dalle marine dei due paesi, con l'accusa reciproca di aver violato il confine.