CIPPICO (Cepione), Coriolano
Nacque a Traù in Dalmazia, quasi sicuramente nel 1425, da Pietro e Pellegrina Cega. Appartenente a una famiglia di antica nobiltà e tradizionalmente fedele alla Serenissima, compì i primi studi nella città natale e quelli universitari a Padova; tra gli studenti dalmati dell'ateneo patavino il nome del C. figura più volte tra il 1445 e il 1453. Dopo la laurea inutroque iure sembra che il C. abbia esercitato per qualche tempo la professione forense a Venezia, ma ben presto fece ritorno a Traù per dedicarsi ai prediletti studi classici ed all'amministrazione dei suoi cospicui beni; spesso inviato come oratore della sua città a Venezia, rivestì a Traù numerose cariche civiche.
Al suo ritorno il C. sposò Giacobina Lodi, dalla quale ebbe tre figli, un maschio, Pietro, e due femmine. Dopo la morte della moglie il C. sposò in seconde nozze Nicoletta Andreis, che gli diede altri cinque figli, una femmina e quattro maschi (Giovanni, arcivescovo di Zara, Alvise, vescovo di Famagosta e poi arcivescovo di Zara, Girolamo e Cristoforo).
Il nome del C. non avrebbe oltrepassato i confini della genealogia di un'illustre casata dalmata, se il C. non avesse lasciato un accurato resoconto della spedizione in Levante di Pietro Mocenigo (1470-1474). Nel 1470 infatti, dopo la caduta di Negroponte nelle mani di Maometto II, Venezia richiese alla città di Traù l'allestimento di una galea supplementare, di cui fu nominato sopracomito il C., ben noto e gradito al capitano generale Mocenigo. Il C. prese parte a tutti i principali episodi della spedizione, che narrò con dovizia di particolari nei Petri Mocenici imperatoris gestorum libri tres, scritti durante il dogato del Mocenigo (16 dic. 1474 - 23 febbr. 1476) e pubblicati nel 1477 (probabilmente alla fine dell'anno) a Venezia per i tipi di B. Maler, E. Ratdolt e P. Löslein.
L'opera, dedicata a Marcantonio Morosini, ambasciatore veneziano presso il duca dì Borgogna, dimostra chiaramente i suoi fini apologetici nei confronti del Mocenigo, la cui condotta di guerra è difesa dal C. con coerente parzialità. Grande è lo spazio riservato ai successi della spedizione, quali ad esempio la presa di Smirne da parte dei Veneziani ed il fallito assedio turco di, Scutari, mentre la carità di patria induce il C. a dare una versione edulcorata di episodi meno brillanti, come la destituzione di Nicolò Canal, colpevole di aver lasciato Negroponte ai Turchi. La figura dell'autore, rimane nell'ombra: il C. parla di sé (in terza persona) in pochissime occasioni e sempre per accenni. Stando alle sue parole la missione più importante affidatagli dal Mocenigo appare quella compiuta nel novembre 1473 a Famagosta per rassicurare Caterina Corner, regina di Cipro, della protezione veneziana in occasione della congiura di palazzo che aveva condotto all'uccisione di Andrea Corner, zio di Caterina. Il modello cesariano, influenza chiaramente il latino del C., che si dimostra anche umanista di vaste letture e spiccati gusti antiquari. Sono frequenti nell'opera le descrizioni di monumenti e le notizie di epigrafi antiche, alle quali si accompagnano appropriati rinvii ad autori classici. Il C. doveva del resto possedere una ben fornita biblioteca, della quale faceva parte con ogni probabilità la Cena Trimalchionis di Petronio, destinata a rimanervi ignorata ancora per quasi due secoli. Dal punto di vista storico l'opera del C. rappresenta un'insostituibile testimonianza di prima mano, il cui valore è dimostrato., prima che dai loro elogi, dall'utilizzazione fattane nei loro lavori da Marcantonio Sabellico e Marin Sanuto.
La partecipazione alla spedizione d'0riente arricchì considerevolmente il C., consentendogli di costruirsi due palazzi a Traù, uno in città e un altro sul litorale verso Spalato, quest'ultimo ideato come una piccola fortezza destinata ad accogliere, in occasione delle frequenti scorrerie dei Turchi, i contadini che lavoravano nelle vaste proprietà del Cippico.
La costruzione, autorizzata dal conte-capitano di Traù Troilo Malipiero il 16 ag. 1476, fu ben presto considerata come un'opera di pubblica utilità, tanto che con una ducale del 10 giugno 1480 il doge Giovanni Mocenigo, fratello di Pietro, ordinò al nuovo contecapitano Niccolò Pisani di fornire al C. materiali e munizioni per la sua residenza suburbana. Nel 1481 il palazzo fortezza, che in seguito assunse il nome di Castel Vecchio, era terminato: il C. ricordò in un'epigrafe che la costruzione gli era stata possibile "ex manubiis Asiaticis". Dieci anni dopo un incendio danneggiò gravemente l'edificio, e tra le fiamme morì la seconda moglie del C., al quale il Sabellico indirizzò in questa occasione un carme consolatorio e una lunga lettera. Il restauro del castello fu portato a termine nel. corso del 1492 "Senatus Veneti benignitate", com'è testimoniato da un'altra iscrizione sull'arco centrale del cortile.
Il C. morì con ogni probabilità nel 1493.
Fonti e Bibl.: L'opera stor. del C. è stata più volte ristampata, anche in traduz. ital. (notizie sull'autore reca in prefazione l'ediz. della versione curata da I. Morelli, Delle guerre de' Veneziani nell'Asia dal MCCCCLXX al MCCCCLXXIIII, Venezia 1796). Sull'incunabolo del 1477, in particolare, cfr.: L. Hain, Repertorium bibliographicum, I, 2, n. * 4849; Catalogue of books printed in the XVth century now in the British Museum, V, London 1924, pp. 244 s.; W. A. Copinger, Supplement to Hain's Repertorium bibliographicum, I, p. 151 n. * 4849; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, VI, n. 6473. Sul C. cfr. inoltre: M. A. Sabellico, Opera omnia, Basileae 1560, IV, coll. 330, 461-467, 555 ss.; M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum italice scriptae ab origine urbis..., in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1731, col. 1197; [A. Zeno], Degl'istorici delle cose venez. i quali hanno scritto per pubblico decreto, I, Venezia 17 18, p. XII; N. C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, II, Venetiis 1726, p. 27 n. XLV; M. Foscarini, Della letter. venez. libri otto, I, Padova 1752, pp. 233 s.; A. Zeno, Dissertazioni Vossiane, II, Venezia 1753, pp. 51 s.; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, II, Venezia 1827, p. 134; S. Gliubich, Dizion. biogr. degli uomini ill. della Dalmazia, Vienna-Zara 1856, p. 85; I. A. Fabricius, Bibliotheca Latina mediae et infimae aetatis, I, Florentiae 1858, col. 341; D. F. Karaman, C. C. da Traù, in Annuario dalmatico, I(1884), pp. 169-182; Id., Castel Vecchio, in Bull. di archeol. e storia dalmata, XX(1897), pp. 44-48; P. Andreis, Storia della città di Traù, a cura di M. Perojević, Spliet 1908, pp. 169 s., 174, 176 s., 180, 182, 189, 296, 298 s.; R. Sabbadini, Per la storia del codice Traurino di Petronio, in Riv. di filol. e di istruz. classica, XLVIII (1920), pp. 35 ss., 39; P. Andreis, Traslazione di s. Giovanni vescovo di Traù..., V, in Arch. stor. per la Dalmazia, II (1927), 4, p. 45 n. 1; G. S[abalich], La Dalmazia guerriera. Evocaz. storiche, ibid., t. V (1928), p. 290; G. Praga, Un poemetto di Alvise Cippico sulla guerra di Ferrara del 1482, ibid., t. X (1930), pp. 316 s.; A. Bacotich, Un carme consolatorio di Marcantonio Sabellico a C. C. da Traù (1492), ibid., t. XII (1931), pp. 418-449; G. Praga, Indagini e studi sull'umanesimo in Dalmazia. Il cod. Marciano di Giorgio Begna e Pietro Cippico, ibid., t. XIII (1932), pp. 214 s., 217 s.; Id., L'organizzaz. militare della Dalmazia nel Quattrocento..., ibid., t. XX (1935), pp. 468-477; G. Zerboni, Lettere del conte Antonio Bisanti da Cattaro al p. Filippo Riceputi S. I. (1717-1719), II, ibid., t. XXI (1936), pp. 149, 157, 160; G. Praga, Poesie di Pascasio da Lezze, Tranquillo Andronico e Marino Statilio in on. di patrizi di casa Cippico, ibid., t. XXII (1937), pp. 283, 287, 290; F. Banfi, Epigrammi di Alvise Cippico, ibid., t. XXVI (1938), pp. 255 s.; G. Praga, Un carme di Giovanni Aurelio Augurello per Alvise Cippico, ibid., t. XXVIII (1939), p. 223; A. C. de la Mare, The Return of Petronius to Italy, in Medieval Learning and Literature. Essays presented to R. W. Hunt, a cura di J. J. G. Alexander-M. T. Gibson, Oxford 1976, pp. 245 s.; Repertorium fontium historiae medii aevi, III, pp. 487 s.; Enc. Ital., X, p. 387.