DI MARZIO, Cornelio
Nato a Pagliara dei Marsi (ora frazione di Castellafiume, prov. di L'Aquila) il 6 dic. 1896 da Francesco e da Giuseppina Urbani, si laureò in lettere e filosofia all'università di Roma, dopo aver frequentato anche la facoltà di giurisprudenza. Durante la guerra mondiale combatté al fronte nella 3a armata, poi sul Montello e sul Grappa, venendo successivamente inviato, dopo il 1918, in Albania e in Libia.
Il D. iniziò la propria carriera giornalistica nel igiq come inviato speciale e poi redattore dell'Idea nazionale, come redattore della rivista Cronache d'attualità, diretta da A.G. Bragaglia, e divenendo quindi, nel 1922, inviato del Popolo d'Italia in Oriente. In questo stesso anno si sposò con Anna Casotti.
Dopo aver aderito al movimento fascista, prese parte a varie spedizioni punitive e nel 1920 fondò i primi fasci della Marsica, divenendo segretario politico del fascio di Avezzano e della federazione fascista marsicana. Dopo la marcia su Roma, tornò all'estero come addetto commerciale dell'ambasciata d'Italia a Istanbul e come capo ufficio stampa per la Turchia, continuando anche ad essere (fino al 1927) inviato del Popolo d'Italia. In questo periodo, oltre ad interessarsi di politica estera, scrivendo vari articoli e il volume La Turchia di Kemal (Milano 1926), si occupò in particolare dei problemi relativi alla presenza e alla propaganda del fascismo all'estero: questo fu oggetto di varie pubblicazioni (tra le quali il volume Fascismo all'estero, Milano 1923) ed iniziative (come il giornale Patria lontana, organo dei fasci in Grecia, da lui fondato nel 1922), e rimase anche in seguito un aspetto della sua attività (il D. compì infatti numerosi viaggi sia negli anni Venti sia negli anni Trenta, nei paesi europei e in Africa, per fornire informazioni e notizie di varia natura e suggerire metodi di propaganda e di rafforzamento del fascismo e della sua immagine all'estero).
Nel 1923 entrò a far parte - con G. Bastianini e P. Parini - dell'Ufficio centrale per i fasci italiani all'estero, istituito dal Gran Consiglio allo scopo di avviare un lavoro di inquadramento e di coordinamento dei fasci italiani sorti in vari paesi tra il 1920 e il 1921; e nel 1926 ne divenne segretario generale, assumendo anche la direzione del loro organo di stampa, Il Legionario. L'obiettivo di questi organismi, diversi dai vari "sodalizi all'estero", doveva essere quello - scriveva lo stesso D. - di contribuire a "creare il cittadino intero: l'italiano nuovo, conscio della sua patria e di se stesso; fiero della sua storia e del suo lavoro; attivo, laborioso, patriotta" (Fascismo all'estero, in Il Legionario, 2 luglio 1927) e il loro ruolo quello di fare in modo che "l'Italia di Mussolini" desse prova di fronte al mondo "di una coesione granitica, di una solidarietà fraterna e di un cosciente e profondo senso di responsabilità" (in Fasci italiani all'estero e nelle colonie. Bollettino della segreteria generale, gennaio 1927).
Non sembra, tuttavia, che tale incarico fosse portato avanti in maniera soddisfacente né che lo stesso D. fosse pienamente d'accordo con la linea del governo. Un appunto per Mussolini del 22 luglio 1927, ad esempio, riportava le sue lamentele e il suo scoraggiamento dovuti all'"ostruzionismo continuo, metodico" compiuto dal ministero degli Esteri nei confronti dell'organismo da lui diretto: secondo il D. a palazzo Chigi governava la "cricca" di Dino Grandi e si faceva "politica alla giornata, senza un grande piano ed una linea precisi" (Roma, Arch. centr. dello Stato, Segr. part. del duce, Cart. riserv., b. 74, f. H/R, sottof. 1, Di Marzio Cornelio). L'incarico ebbe comunque vita breve e già ai primi del gennaio 1928 il D. veniva sostituito da Piero Parini. Durante la sua segreteria si era comunque ulteriormente rafforzata la presenza dei fasci all'estero, con l'istituzione di 7 nuove delegazioni statali, di 85 fasci, di 4 case degli italiani, di vari giornali, bollettini e dopolavoro (ibid.).
Di lì a poco, comunque, il D. ringraziava Mussolini, in una lettera del 19 dic. 1928, per "la bella sistemazione giornalistica", essendo divenuto redattore del Messaggero e, successivamente, in una lettera del 3 marzo 1932. per essere stato nominato segretario del comitato di lettura della Libreria del littorio presieduta da L. Ferretti; poi comunque richiedeva, l'11 novembre di quell'anno, il posto resosi libero di segretario della Confederazione dei professionisti e degli artisti (della quale faceva parte dalla fondazione), incarico che ottenne, succedendo a C. De Bernardis (ibid.).
L'attività del D. (che era, tra l'altro, membro del Gran Consiglio, della direzione del PNF e console della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale), anche in questi anni, pur caratterizzati da molti viaggi e impegni all'estero, non si era limitata alla sola propaganda politica fuori d'Italia: giornalista assai prolifico, collaborava a numerosi quotidiani (oltre che al Popolo d'Italia, al Corriere della sera, Corriere padano, Resto del carlino, Corriere adriatico) e a varie riviste, tra le quali Civiltà fascista, Criticafascista, Gerarchia, Augustea, Dottrina fascista, L'Ordine corporativo; fu membro del consiglio di direzione del Giornale di politica e letteratura, dell'Ordine corporativo e redattore capo di Antieuropa. Dal 1932 fu gerente responsabile della rassegna mensile della Confederazione dei professionisti e degli artisti, Bibliografia fascista, della quale divenne direttore nel 1940; dal 1931 al 1936 diresse la rivista della medesima confederazione, Le professioni e le arti. Dal dicembre del 1936 fece parte - con G. Debenedetti, N. Quilici, P. M. Bardi, A. G. Bragaglia, A. Consiglio - della direzione della rivista Il Meridiano di Roma, che era nata nel 1925 a Milano come Fiera letteraria ed era poi divenuta L'Italia letteraria.
Su questa rivista, dal sottotitolo l'Italia letteraria, artistica e scientifica, scrissero numerosi esponenti della cultura e della politica contemporanea, molti dei quali non certamente di stretta osservanza fascista, a cominciare da uno dei direttori, Giacomo Debenedetti, fino a quel gruppo di giovani - tra i quali M. Alicata, P. Ingrao, A. Trombadori, A. Amendola, G. Sotgiu, R. Guttuso, M. Socrate - che più tardi avrebbero costituito il primo nucleo del partito comunista a Roma e che tra l'altro curarono tra l'agosto 1937 e il giugno 1938 una rubrica di vivace polemica non solo culturale ma anche velatamente politica dal titolo Il burchiello ai linguaioli. L'apertura - seppur relativa - del giornale fu comunque troncata nel 1938 quando il D. ne divenne direttore unico.
Organizzatore di cultura, in contatto con i più noti rappresentanti del mondo letterario, artistico e politico dell'epoca (come è ampiamente documentato dalla corrispondenza e dalle carte del D. conservate nell'omonimo fondo presso l'Archivio centrale dello Stato a Roma), disponibile anche ad offrire ospitalità, come nel caso del Meridiano, a personaggi non completamente allineati con il regime, il D. aveva un atteggiamento e concezioni politiche e culturali - ha scritto Pli. V. Cannistraro - "sotto molti profili simili a quelle di Bottai", credendo anch'egli che "il fascismo dovesse far posto a tutte le tendenze culturali, ed incoraggiare in modo speciale le idee e gli stili nuovi d'avanguardia" (La fabbrica del consenso..., p. 126). Intendendo non tanto in maniera "aperta" quanto piuttosto in maniera funzionale il ruolo della cultura e degli intellettuali, il D. non era infatti solito assumere posizioni ottusamente ed esclusivamente burocratiche. Proprio in merito all'utilizzazione della stampa, ad esempio, egli riteneva - come affermava nel 1931 intervenendo in una discussione della rivista di Bottai, Critica fascista (In tema di stampa da "fascistizzare", n.15, 1° ag. 1931, p. 288) - che essa fosse un "mezzo spirituale, forse il più spirituale di tutti i mezzi di propaganda e di dominio"; e che di conseguenza dovesse essere fascistizzata "con le idee non con le interlineature, con i fascisti che scrivono, non con tesserati che compongono lo scritto altrui ...". Così come, a proposito delle nuove generazioni e del futuro ceto dirigente, il D. sottolineava come più che "burocrazie" occorressero "classi, leve rivoluzionarie e dirigenti": "È inutile farsi illusioni: come non ci si improvvisa navigatori o interpreti, così non ci si improvvisa regolatori e guidatori di uomini" (Dal popolo ai dirigenti, in Bibliografia fascista, 1934, n. 8, p. 605). In tal senso, la "personalità" politica del D., il ruolo da lui giocato nella mediazione fra il regime e le giovani generazioni che sul finire degli anni Trenta si incamminavano lungo una strada diversa da quella che esso auspicava, sono esemplificativamente descritti nel ritratto fatto da Giaime Pintor in occasione dei Littoriali della cultura e dell'arte di Bologna del 1940, al cui convegno letterario il D. fu commissario (come lo fu in vari convegni delle altre edizioni): "Di Marzio non è intelligente e non è nemmeno onesto, ma è un uomo certamente abile. Ha capito dalle prime relazioni che non poteva appoggiarsi ai letterati autarchici e imperiali i quali questa volta erano in pochissimi e decisamente stupidi, e, per evitare incidenti di qualsiasi natura ha preso sotto la sua protezione gli stilisti puri, quelli che parlavano della "pagina"" (lettera ai genitori, Roma, 7 maggio 1940, in G. Pintor, Doppio diario 1936-1943, a cura di M. Serri, con una presentazione di L. Pintor, Torino 1978, p. 69).
D'altra parte, quale ruolo dovesse avere la cultura era inteso dal D. in termini strettamente funzionali alle esigenze politiche del regime, dovendo essa anzitutto "concorrere alla formazione armonica del cittadino fascista" (Momento culturale, in Bibliografia fascista, 1939, n.7, p. 655): uscita "finalmente fuori dalle sue solitarie alambiccature per competenti", per mezzo dei provvedimenti e degli strumenti organizzativi del fascismo, non più "dis cussione di dotti, polemica di scuola, accademia erudita di pochi chierici anazionali o antinazionali", la cultura era infatti divenuta "motivo di preparazione guerriera e arma essa stessa per affermare principi, chiarire posizioni, determinare movimenti di masse" (Cultura guerriera, ibid. 1937, n. 4, p. 304).
Ed era in tal senso che veniva intesa la funzione di una delle forme di inquadramento delle "forze dell'intelligenza"più importanti attuate dal regime fascista, la Confederazione dei professionisti e degli artisti, della quale il D. divenne presidente nel 1939 (venendo in quanto tale nominato consigliere della Camera dei fasci e delle corporazioni e membro del Consiglio delle corporazioni), dopo averne già retto la presidenza per vari mesi durante la guerra d'Africa. La Confederazione - che era nata nel I 920 a Milano come Confederazione del lavoro intellettuale e che rappresentava le attività professionali e artistiche liberamente svolte - era caratterizzata da una particolare fisionomia, scriveva lo stesso D., poiché non era contrapposta ad "alcuna organizzazione paritetica di datori di lavoro e di lavoratori": l'importanza della sua funzione stava nel fatto che essa rappresentava "l'elemento tecnico, intermediario tra datori di lavoro e lavoratori, tra i quali realizza i propri compiti di moderatrice e di portatrice dei valori sociali e spirituali delle forze produttive della Nazione" (relazione inviata da G. Galassi Paluzzi, il 23 aprile 1940, per l'opera Roma nel ventennale, in Arch. centr. dello Stato, fondo Di Marzio, I versam., sc. 16, U.2.D., "Istituto di studi romani"). Soprattutto, comunque, essa rimaneva, come in più occasioni puntualizzava il D. e come era negli intenti del regime, uno strumento di "inquadramento totalitario" che rendeva "sempre più compatte" le forze intellettuali, "essenziali per la vita della Nazione" (lettera introduttiva a F. Coscera, Professioni e arti nello Stato fascista, Roma, a. XIX, p. V).
Autore di vari volumi, che raccoglievano articoli di quotidiani e riviste, collaboratore a varie opere collettanee e curatore di numerose pubblicazioni, come la Bibliografia fascista edita con A. G. Bragaglia in occasione della Mostra della rivoluzione fascista del 1932 o l'introduzione e commento alla Dottrina del fascismo di Mussolini (Messina 1941), per citare solo due esempi, il D. si occupò anche di teatro e di cinema: negli anni Venti scrisse due commedie che furono rappresentate al teatro degli Indipendenti di Roma, diretto da A.G. Bragaglia (Occhi di gufo, 1924; Uomini e giorni, 1926); collaborò ad alcune sceneggiature: I condottieri, con C. Pavolini; Il fabbricatore di città, film "social-politico" ideato da A. G. Bragaglia; Machiavelli. Fu libero docente di storia e dottrina del fascismo e professore incaricato presso l'università di Napoli, avendo insegnato tale materia anche alla Regia Accademia di aereonautica di Caserta, alla Scuola di guerra aerea di Roma, alla Scuola di giornalismo di Roma, e tenuto conferenze a Parigi (alla Scuola sindacale della Sorbona), alla "Dante Alighieri" di Tunisi e in quasi tutte le capitali d'Europa e delle colonie italiane all'estero.
Il D., che non aderì alla Repubblica di Salò, morì a Roccacerro (Tagliacozzo) il 3 giugno 1944 durante un mitragliamento aereo.
Opere: oltre a quelle citate nel testo si ricordano Scandagli terrestri, Roma 1928; Popoli e paesi, ibid. 1929; Viaggi senza orario, ibid. 1930; Incontri e scontri, Bologna 1932; Cartoline illustrate, Milano 1940; Roma selvatica, ibid. 1942.
Fonti e Bibl.: Le carte del D. sono versate presso l'Archivio centrale dello Stato a Roma e sono in fase di riordino per la cura della dott.ssa R. Notarianni: comprendono tutti gli scritti (in massima parte articoli) del D. a stampa, in velina e manoscritti; la corrispondenza privata e di lavoro; ritagli di giornali su di sé e la propria attività; libri con dedica; una gran quantità di materiale relativo alla segreteria dei fasci all'estero, mentre quello relativo alla Confederazione dei professionisti e degli artisti è assai meno consistente; numerose relazioni dai viaggi all'estero; circolari; documenti relativi all'insegnamento universitario; e numerosissime pratiche relative ai vari incarichi, lettere di raccomandazione, ecc. Cfr. inoltre Arch. centr. dello Stato, Segr. part. del duce, Cart. riserv., b. 39, f. 242/R; Ibid., b. 74, f. H/R; Ibid., Cart. ord., f. 500100/33; Antologia degli scrittori fascisti, a cura di M. Carli-G. A. Fanelli, Firenze 1931, p. 256; E. Savino, La nazione operante, Novara 1937, pp. 576 s.; G. S. Spinetti, Difesa di una generazione, Roma 1948, ad Indicem; E. Santarelli, Intorno ai fasci italiani all'estero, in Fascismo e neofascismo, Roma 1974, pp. 116 n., 121 n., 123; E. R. Tannenbaum, L'esperienza fascista, Milano 1974, ad Indicem; Ph. V. Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass-media, Roma-Bari 1975, ad Indicem; D. Guili Pecenko-L. Nasi Zitelli, Bibliografia dei periodici del periodo fascista 1922-1945 possieduti dalla Biblioteca della Camera dei deputati, Roma 1983, ad Indicem; A. Vittoria, Le riviste del duce. Politica e cultura del regime, Milano 1983, ad Indicem; M. Missori, Gerarchie e statuti del PNF, Gran Consiglio, Direttorio nazionale, Federazioni provinciali: quadri e biografie, Roma 1986, p. 201.