GALANTI, Cornelio
Nacque a Città di Castello nella seconda metà del sec. XV.
Il G. fu introdotto ancora giovane nella corte di Vitellozzo Vitelli, signore della città, dove compì il suo apprendistato politico. Dall'inizio del 1500 svolse funzioni di ambasciatore in Italia centrale, in attuazione della politica antifiorentina del Vitelli che voleva vendicare la decapitazione del fratello Paolo, decisa dopo il fallito assedio di Pisa del 1499 dal governo fiorentino. Il G. però riuscì anche ad attrarre su di sé la benevolenza di Pandolfo Petrucci, signore di Siena, grazie alla quale prese a occuparsi esclusivamente dei rapporti tra Siena e i Vitelli.
Il 26 giugno 1502, insieme con l'ambasciatore di Siena Pepo della Corvaia, raggiunse a Urbino Cesare Borgia, che trattava con N. Machiavelli e F. Soderini ai quali voleva imporre un'alleanza sfavorevole a Firenze, sfruttando l'occupazione di Arezzo a opera del Vitelli. Il G. e il della Corvaia, per sostenere il Borgia, provocarono ripetutamente il Machiavelli e il Soderini mettendo pubblicamente in dubbio il sostegno di Luigi XII a Firenze. Ma nel contempo tesserono tra di loro, e con Antonio Giordani da Venafro, la trama dell'imminente congiura della Magione, cercando di spingere il Valentino contro Firenze, allo scopo di renderlo più debole nei confronti dei suoi capitani che si apprestavano a tradirlo.
L'esito negativo della congiura e l'assassinio del Vitelli a Senigallia, alla fine dell'anno, costrinsero il G. a esulare da Città di Castello, trovando riparo presso il Petrucci, nonostante anche questi fosse obbligato, sia pure per un periodo breve, a cedere il proprio dominio alle pressioni del Valentino. Così, quando il Petrucci, nell'aprile del 1503, recuperò la signoria di Siena grazie all'aiuto della Francia e di Firenze, il G. assunse l'incarico ufficiale di cancelliere della Repubblica senese.
Alla fine di giugno, in nome della Balia di Siena, accompagnò a Milano Borghese Petrucci, figlio di Pandolfo, per consegnarlo come ostaggio a Luigi XII, adempiendo a una delle due condizioni imposte dal re di Francia per la restituzione della libertà alla Repubblica. Quanto all'altra, il versamento di una ingente somma di denaro, il G. riuscì a dilazionare di molto il termine del pagamento.
Negli anni successivi egli divenne un interprete della politica del Petrucci e del suo ministro A. Giordani, muovendosi tra Pisa, Genova, Lucca e Roma per ostacolare Firenze. Un risultato di queste operazioni, nell'aprile del 1505, fu la ritirata dal campo fiorentino di Giampaolo Baglioni, che l'ambasciatore di Firenze a Roma, F. Acciaiuoli, imputò alle trattative condotte dal G. in quella città.
Sempre con l'intento di danneggiare i Fiorentini, a luglio il G. andò al campo di Bartolomeo d'Alviano nel Viterbese, sollecitandolo ad accelerare la campagna contro Firenze che stava progettando; tutto ciò mentre a Siena il Petrucci negoziava con il Machiavelli il possesso di Montepulciano e sosteneva di aver mandato il suo cancelliere dall'Alviano per dissuaderlo da ogni impresa militare e per spianare i movimenti.
Il Machiavelli intuì l'inganno del Petrucci, che da parte sua, per non scoprirsi, continuò a utilizzare il G. come spia ed evitò di dargli ordini precisi riguardo l'Alviano. Costui decise di agire da solo, ma l'esercito fiorentino lo sconfisse il 17 agosto alla Torre di San Vincenzo.
A quel punto il G., per sollevare il Petrucci dal timore di una rappresaglia dei Fiorentini su Siena, compì una rapida missione a Napoli presso Gonzalo de Córdoba chiedendogli di mandare soccorsi a Pisa al fine di mantenere comunque bloccata Firenze, e subito dopo un'altra a Genova, da Gian Luigi Fieschi, con lo stesso scopo.
L'azione del G. consentì al Petrucci e al Giordano di riaprire, alla fine del 1505, la trattativa con Firenze su posizioni di parità e di concludere nel 1506 un accordo quadriennale che garantiva a Siena il dominio di Montepulciano in cambio della sola non ingerenza nella questione di Pisa.
Nel 1507 ritornò in Italia Luigi XII e il G. venne incaricato di ottenere una proroga del debito contratto dal Petrucci. Il G. insistette con le promesse di pagamento e al termine di aprile ottenne l'assenso di Luigi XII a un'estinzione rateale del debito in quattro anni: la Balia si sarebbe obbligata a versare annualmente 5000 scudi a partire dal maggio 1507 e a rinnovare, pure ogni anno, le garanzie contenenti le sanzioni per eventuali mancati pagamenti.
Tacitato così il sovrano, il Petrucci richiamò il G. e non pagò né la rata appena concordata né le successive, contraendo invece un nuovo debito di 14.000 ducati, questa volta con l'imperatore Massimiliano d'Asburgo.
Nel 1510 scadeva l'accordo con Firenze che, vinta ormai Pisa, si apprestava a riprendere con le armi Montepulciano. Il 17 giugno il G., insieme con il Giordani e il cardinale Alfonso Petrucci, arrivò a Roma per cercare una mediazione nella controversia con Firenze e con Giulio II, che sosteneva le ragioni dei Fiorentini. Il negoziato fallì e anzi il 30 luglio, anziché trattare con il papa, fu obbligato a discolparsi di fronte a lui dall'accusa che Siena volesse opporsi alla prevista resa di Montepulciano.
Il G. rimase al servizio del Petrucci fino alla morte di questo, nel 1512, dopodiché si trasferì a Roma con il cardinal Petrucci, di cui fu conclavista il 4 marzo 1513.
Grazie alla propria conclamata avversione per la Repubblica di Firenze, e forse anche ai rapporti con il vescovo di Grosseto Raffaello Petrucci, amico di Giovanni de' Medici, il G. entrò alle dipendenze di quest'ultimo, eletto papa con il nome di Leone X.
Una lettera di Pietro Bembo, scritta a nome del pontefice da Roma il 13 apr. 1513, e indirizzata a "Laurentio Campegio… et Cornelio Galanti, meis apud ducem Mediolanensium internunciis" attesta che il G. seguì, almeno per un breve periodo, il Campeggi nella sua missione presso Massimiliano Sforza, tesa a recuperare le città di Parma e Piacenza, occupate al tempo del conclave.
Conclusasi positivamente in agosto l'ambasciata il G. chiese al papa di poter tornare nella sua città con una rendita per trascorrervi in pace il resto della vita. Leone X gli concesse l'arcidiaconato di Città di Castello, consacrandolo a questo scopo con gli ordini minori.
Il G. trascorse alcuni anni sereni fino al 1517, quando l'allarme suscitato dall'approssimarsi a Città di Castello delle milizie di Francesco Maria Della Rovere, cui Leone X aveva tolto nell'anno precedente il Ducato di Urbino, lo indusse a rientrare nella vita pubblica facendosi promotore della difesa della città. Sfruttando la propria influenza, fece votare dal Comune il taglio per cinque anni di tutte le spese e degli stipendi, al fine di destinare l'importo alle opere militari e all'erezione di una nuova cerchia di mura.
Il 12 maggio 1518, insieme con il vicario del vescovo di Città di Castello L. Muzi, il G. presiedette alla posa della prima pietra dei nuovi bastioni cittadini e fu presente il 18 dic. 1520 alla solenne cerimonia per la presa di possesso da parte di Vitello Vitelli del territorio di Mercatello. Dopo questa data il G. scompare dalle cronache. Con ogni probabilità morì, nella sua città, nel 1521 o poco più tardi.
Fonti e Bibl.: P. Bembo, Epistolarum Leonis X p.m. nomine scriptarum liber I, I, a cura di L. Zetzneri, Argentorati 1610, p. 27; P. De Grassi, Il diario di Leone X, a cura di M. Armellini, Roma 1884, p. 94; N. Machiavelli, Legazioni e commissarie, I-III, a cura di S. Bertelli, Milano 1964, pp. 266 s., 270 s., 890 s., 895, 904, 911, 917; Id., Opere, a cura di S. Bertelli, VI, Legazioni e commissarie, 1, Verona 1970, p. 84; VII, Legazioni e commissarie, 2, ibid. 1970, pp. 223, 225; G. Muzi, Memorie ecclesiastiche e civili di Città di Castello, VII, Città di Castello 1844, pp. 99 s., 106; U.G. Mondolfo, Pandolfo Petrucci signore di Siena, Siena 1899, pp. 106, 114, 117 s., 123, 125, 127 s., 145.