SOZZINI (Socini), Cornelio
SOZZINI (Socini), Cornelio. – Nacque dall’illustre giurista senese Mariano il Giovane e dalla fiorentina Camilla Salvetti. Sono incerti il luogo e la data di nascita.
Si formò probabilmente a Padova (fino al 1543) e poi a Bologna (1543-56), seguendo gli spostamenti della famiglia resi necessari dalla carriera universitaria del padre. Come i fratelli Lelio, Celso, Dario, Camillo e il nipote Fausto, anch’egli fu influenzato da dottrine religiose eterodosse, che attirarono sui Sozzini i sospetti dell’Inquisizione, soprattutto dopo che Lelio manifestò il suo dissenso e nel 1547 fuggì da Bologna per rifugiarsi in Svizzera. Cornelio, invece, rimase sempre in Italia.
Alla morte di Mariano (1556), la famiglia decise di rientrare a Siena, dove disponeva di un cospicuo patrimonio e forse sperava di proteggersi dal controllo inquisitoriale grazie al favore del granduca Cosimo I de’ Medici. Solo Celso si trattenne a Bologna per proseguire l’insegnamento del padre. Il 2 aprile 1558 il capitano di giustizia Nofri Camaiani scrisse a Cosimo per informarlo che molti cittadini a Siena diffondevano le loro idee ereticali con «assai scandolo universale», e fornì una lista di nomi tra i quali figuravano ai primi posti Cornelio, Camillo e il nipote Fausto Sozzini. A detta del Camaiani, essi non soltanto ironizzavano sul purgatorio e usavano parole sconvenienti circa l’autorità del pontefice, ma «per le chiese sono stati visti udire solo il vangelio et poi voltar le spalle al sacramento» (Marchetti, 1975, p. 151), un atteggiamento che implicava il rifiuto di dogmi, autorità e cerimonie per avvalorare la sola parola di Cristo.
Nel frattempo, a Bologna l’inquisitore Eustachio Locatelli aveva istruito un processo a carico di Cornelio e Camillo per presunta attività ereticale svolta prima del trasferimento a Siena, chiamandoli a comparire il 4 aprile 1559. Non essendosi presentati, egli procedette in contumacia. Ma l’iniziativa non ebbe esito in seguito alla ferma opposizione di Cosimo I, con il quale Cornelio aveva avuto un colloquio a Pisa tra il 17 e il 20 dello stesso mese. L’atteggiamento del granduca dovette accendere le sue speranze ed è probabile che quando Lelio Sozzini nell’estate del 1559 incontrò a Venezia Cornelio e altri membri della famiglia venisse discussa anche la possibilità di un suo rientro in patria. Certamente Cornelio ebbe un nuovo colloquio con Cosimo I, come si evince dalla lettera del governatore di Siena Agnolo Niccolini del 22 di agosto: «Cornelio Sozzini viene per supplicare a vostra eccellenza illustrissima di non so che grazia per Lelio suo fratello» (p. 200). Una conferma dell’iniziativa è rintracciabile nella lettera di Lelio a Giovanni Calvino del 2 ottobre da Zurigo, nella quale si accenna alla possibilità di un ritorno in patria «sub fide et promissione ducis Florentini» (Sozzini, 1986, p. 287). Ma le circostanze mutarono in poco tempo.
Nel luglio del 1560 ebbe inizio il procedimento contro il maestro elementare Paolo Cataldi, che dopo avere conosciuto Cornelio e Camillo Sozzini a Bologna li aveva raggiunti a Siena, dimorando presso di loro per sei mesi. Dinanzi alle accuse che gli vennero imputate – cioè di ritenere inutili le immagini perché Cristo abita nel nostro cuore e di farsi beffe dell’eucaristia perché nell’ostia non c’è Cristo e certo non si lascia mangiare da noi – Cataldi si difese sostenendo che «queste oppinioni me l’ànno messe per la testa misser Cornelio e misser Camillo» (Marchetti, 1975, p. 214). Dalla sua deposizione emerse anche che essi avevano diffuso l’eresia presso i contadini del loro podere di Scopeto, i quali preferivano lavorare di domenica piuttosto che andare a messa (p. 218). Il 17 settembre, su segnalazione dell’inquisitore, le forze di polizia per ordine del bargello effettuarono un sopralluogo a Scopeto. Avvertiti in anticipo, Camillo e Fausto si resero irreperibili. Cornelio invece rifiutò di fuggire e venne incarcerato a Siena. Fu poi trasferito a Firenze per essere esaminato dal nunzio apostolico, il quale dopo alcuni interrogatori concluse: «non se ne cava altro sin qui se non che sopra gli articoli di che è imputato egli crede quello che dice la scrittura e da questa non si vuole partire. Risposta propria degli heretici per il che si tocca con mano egli essere grandemente infetto» (p. 222).
Nel frattempo anche il fratello Dario era finito in carcere: di fatto il gruppo dei Sozzini era stato disperso dall’azione inquisitoriale. Del resto, la politica di Cosimo, fino ad allora piuttosto deciso nel difendere i propri sudditi dalle richieste delle autorità romane, subì un cambiamento di rotta e il 2 marzo il S. Uffizio assunse sotto la propria giurisdizione il caso di Cornelio, il quale venne estradato. Insieme con Camillo, egli era considerato il principale responsabile della diffusione dell’eresia a Siena e a poco valsero i tentativi della moglie Francesca, interrogata a Scopeto, di difenderne la probità. Particolarmente grave fu considerata la sua reticenza circa il mancato battesimo della figlia Porzia, del quale dichiarò di non essere al corrente. Al principio del 1562, nonostante la cattiva salute, il tribunale decise di procedere alla sua incarcerazione presso il convento di S. Giovanni Battista, dove rimase qualche mese finché il medico Taddeo Mannori riuscì a farla tornare a Scopeto. Il processo di Cornelio a Roma, in mancanza di ulteriori elementi accusatori, si risolse con la pubblica abiura e il ritorno in libertà.
L’Inquisizione non cessò, però, di esercitare pressione sui membri della famiglia Sozzini rimasti in Italia. Nell’autunno del 1562 un procedimento fu aperto a carico di Celso, che aveva preso il posto del padre Mariano all’Università di Bologna, e anche Cornelio venne interrogato. Si trattenne a Bologna fino al 1564, poi tornò a Siena. Le notizie su questi anni diventano scarse. Sappiamo che nel 1565 in segno di buona condotta ottenne il permesso di non indossare l’abitellum che contraddistingueva gli eretici pentiti. Ciononostante, i sospetti su di lui non si dissiparono. Nel 1572 fu oggetto di un altro procedimento a Firenze, del quale però non abbiamo ulteriori notizie. Inoltre, due anni dopo, mentre si trovava a Venezia, fu denunciato da un certo frate Girolamo del convento di S. Francesco della Vigna, che lo definì «persona molto sospetta nella fede» (Stella, 1967, p. 146). Durante l’interrogatorio del testimone Giovanni Battista Ferrofino, un gentiluomo di Alessandria che aveva conosciuto Cornelio a Siena, emerse anche che egli si interessava di alchimia, un’informazione confermata nelle altre deposizioni. Sozzini, che si trovava già in carcere per una vecchia questione economica legata all’eredità del suocero, venne trattenuto per ulteriori riscontri, ma, in assenza di argomenti decisivi, il processo non fu istruito ed egli poté tornare nuovamente libero.
Nel 1577 propose alla Repubblica di Venezia un progetto di igiene urbana e bonifica delle acque che venne discusso dal magistrato dei Savi ed esecutori alle acque nella seduta del 9 gennaio. Nonostante il parere favorevole, rimasero aperti contenziosi sulla retribuzione che ne bloccarono l’attuazione. Nel frattempo una nuova e più grave denuncia venne rilasciata da tale Giovanni Francesco Tanna, che conosceva Cornelio Sozzini «per più gran Lutherano» (Stella, 1967, p. 152). Essa fu sufficiente a giustificare un nuovo ordine di arresto emanato il 23 ottobre 1578. Questa volta il S. Uffizio romano si mosse con decisione, probabilmente nella speranza di procedere attraverso Cornelio anche contro ciò che rimaneva della famiglia Sozzini. Il 21 novembre il nunzio pontificio a Venezia Alberto Bolognetti richiese ufficialmente al doge Nicolò Da Ponte l’estradizione del prigioniero. Cornelio fu imbarcato e condotto a Ravenna dove giunse, dopo alcune vicissitudini, il 15 dicembre. Da lì proseguì per Roma via terra. Abbiamo poche notizie anche di quest’ultimo processo. Sappiamo che gli interrogatori del prigioniero, di amici e parenti proseguirono sino al gennaio del 1581 e che, trovandosi l’imputato nella condizione del relapso, l’esito prevedeva quanto meno il carcere a vita.
Una lettera del nipote Fausto Sozzini da Cracovia datata 30 gennaio 1587, riguardante i diritti della figlia Porzia sull’eredità del padre, testimonia dell’avvenuta scomparsa di Cornelio (Tedeschi, 1964).
Fonti e Bibl.: J. Tedeschi, A question of inheritance in an Italian letter of Fausto Sozzini, in Bibliotheque d’humanisme et renaissance, XXVI (1964), pp. 154-161; Italian reformation studies in honour of Laelius Socinus, a cura di J. Tedeschi, Firenze 1965, passim; A. Stella, Dall’anabattismo al socinianesimo nel Cinquecento veneto. Ricerche storiche, Padova 1967, pp. 144-187; V. Marchetti, Gruppi ereticali senesi del Cinquecento, Firenze 1975, pp. 165-168, 199 s., 211-227, 235-244 e passim; Aggiunte all’epistolario di Fausto S. (1561-1568), a cura di V. Marchetti - G. Zucchini, Warszawa-Lodz 1982, passim; L. Sozzini, Opere, a cura di A. Rotondò, Firenze 1986, p. 287; M. Valente, I Sozzini e l’Inquisizione, in Faustus Socinus and his heritage, a cura di L. Szczucki, Kraków 2005, pp. 29-51; G. Dall’Olio, S. C., in Dizionario storico dell’Inquisizione, Pisa 2010, pp. 1465 s.