Corpo maschile e corpo femminile
Il dimorfismo sessuale è il fenomeno per il quale gli individui dei due sessi presentano un insieme di caratteristiche fisiche, di tipo morfologico e funzionale, diverse, dovute a quelli che vengono genericamente detti caratteri sessuali.
I caratteri sessuali vengono distinti in primari e secondari. I caratteri sessuali primari sono le gonadi, cioè i testicoli nell'uomo e le ovaie nella donna (v. Genitale, apparato), dove si originano le cellule riproduttive e vengono secreti gli ormoni sessuali. I caratteri sessuali secondari possono essere distinti in genitali ed extragenitali: i primi sono rappresentati dagli organi riproduttivi accessori (pene, vagina, utero ecc.), mentre i secondi sono costituiti dalle molte differenze esteriori che non sono direttamente implicate nella riproduzione. Il sesso dell'individuo è irrevocabilmente determinato su basi genetiche, ma la differenziazione sessuale presenta una tipica evoluzione nel corso della vita. Le gonadi e gli organi riproduttivi accessori, differenziati nei due sessi fin dalla nascita, ma non completamente sviluppati nel bambino, nell'età puberale subiscono un rapido sviluppo, che culmina con il raggiungimento della maturità sessuale, cioè della capacità riproduttiva. Anche i caratteri sessuali secondari extragenitali rimangono poco distinti prima della pubertà e si rendono più manifesti solo dopo tale processo di maturazione. Lo sviluppo delle differenze sessuali è condizionato, oltre che da fattori genetici, anche da alcuni ormoni, in particolare quelli sessuali, che vengono principalmente prodotti dalle gonadi. Gli ormoni sessuali appartengono al gruppo degli steroidi, sostanze di grande importanza biologica di cui fanno parte anche il colesterolo, gli acidi biliari, le vitamine del gruppo D e gli ormoni prodotti dalla corteccia surrenale. Gli ormoni che promuovono lo sviluppo e il mantenimento dei caratteri sessuali femminili sono detti ormoni estrogeni, mentre a quelli che agiscono sui caratteri sessuali maschili viene dato il nome di androgeni. Il meccanismo di azione degli ormoni sessuali è affidato ad azioni di tipo stimolante o inibente nei confronti di specifiche caratteristiche biologiche preesistenti e la loro azione non si evidenzia fino a che essi non abbiano raggiunto una determinata concentrazione nel sangue. È ormai ben accertato che l'azione degli ormoni sessuali è di tipo specifico (mascolinizzante o femminilizzante) indipendentemente dal sesso dell'individuo in cui essi agiscono; inoltre, benché gli androgeni predominino nel maschio e gli estrogeni nella femmina, gli ormoni sessuali che caratterizzano un sesso non sono assenti, né sono privi di effetto, nell'altro. Gli androgeni e gli estrogeni presentano proprietà comuni, la cui spiegazione deve essere ricercata nella loro parentela chimica. In entrambi i sessi essi non scompaiono dopo l'asportazione delle gonadi, poiché sono prodotti, sia pure in piccola quantità, anche dalla corteccia surrenale. L'azione degli ormoni sessuali, inoltre, è sotto il controllo di fattori extragonadici, il più importante dei quali è rappresentato dall'ipofisi. Nell'uomo praticamente tutti i caratteri sessuali secondari sono sotto l'influenza del testosterone, il principale ormone gonadico maschile, ma anche altri androgeni, prodotti dalle ghiandole surrenali, hanno un effetto non trascurabile. I testicoli elaborano testosterone anche durante la vita fetale e ciò determina, già in questo periodo, lo sviluppo delle caratteristiche maschili. La secrezione di ormoni sessuali avviene comunque in misura alquanto ridotta fino alla pubertà, epoca in cui la loro concentrazione ematica va progressivamente aumentando fino a raggiungere, nel periodo della maturità sessuale, un valore costante, che si ridurrà solo con l'avvento della vecchiaia. Tuttavia, la conclusione della vita sessuale e riproduttiva del maschio (climaterio maschile) non è affatto regolare né certa come lo è nella femmina: sono stati documentati casi di uomini che avevano conservato una vita sessuale attiva e feconda fino all'età di 70 anni e anche oltre. Gli androgeni stimolano potentemente la sintesi proteica in parecchi organi del corpo, e non solamente negli organi riproduttivi, e lo slancio accrescitivo dell'adolescente in entrambi i sessi è dovuto almeno in parte a questi effetti anabolici.
Tuttavia, anche se, come conseguenza del loro effetto anabolico, gli androgeni aumentano la velocità di accrescimento, essi determinano anche l'inattivazione delle placche epifisarie, e in tal modo finiscono per arrestare la crescita (effetto autolimitante). Nei maschi all'epoca della pubertà si verificano ampi cambiamenti che riguardano anche i caratteri sessuali secondari, per es. il mutamento della configurazione del corpo, lo sviluppo dei peli, l'accrescimento dei genitali, la modificazione della voce ecc. Il maggiore sviluppo dell'apparato osteomuscolare che si riscontra nei maschi rispetto alle femmine è una delle espressioni della maggiore disponibilità di androgeni. Gli ormoni sessuali femminili secreti dall'ovaio sono gli estrogeni e il progesterone. Quest'ultimo è presente nel sangue in quantitativi rilevanti solo in coincidenza della fase luteinica del ciclo ovarico e i suoi effetti sui caratteri sessuali extragenitali sono di scarsa rilevanza. Al contrario, gli estrogeni nella femmina hanno effetti analoghi a quelli che il testosterone induce nel maschio, in quanto possiedono un'azione determinante sugli organi sessuali e sui caratteri sessuali secondari extragenitali. Oltre a esercitare i loro effetti sull'apparato riproduttivo femminile, gli estrogeni inducono tutti quei cambiamenti nell'aspetto femminile che caratterizzano la fase puberale: l'ingrossamento delle mammelle, la distribuzione di tipo femminile dei peli, la conformazione rotondeggiante dovuta all'accumulo di grasso sottocutaneo in determinate regioni del corpo (anche, addome ecc.). Nonostante gli estrogeni esercitino sui tessuti non appartenenti all'apparato riproduttivo un effetto anabolico meno potente rispetto a quello del testosterone, essi contribuiscono tuttavia in modo non trascurabile alla spinta accrescitiva generale del corpo che si verifica durante la pubertà. Il declino della funzione sessuale e riproduttiva nella donna avviene assai più drasticamente di quanto non accada nell'uomo. Lo stadio della vita nel quale le gonadi vanno incontro a modificazioni degenerative o senescenti viene detto climaterio (dal greco κλιμακτήρ, "gradino"), proprio a causa della repentinità con cui si manifesta. A quest'epoca il ciclo mestruale cessa e tale evento viene detto menopausa. Poiché nel climaterio gli ormoni sessuali vengono ormai prodotti soltanto in quantità assai modeste, sia gli organi riproduttivi sia i caratteri sessuali secondari vanno incontro a profonde modificazioni, così che le differenze dell'aspetto fisico che caratterizzano l'uomo e la donna in età adulta si attenuano progressivamente.
Come si è detto, il dimorfismo sessuale si manifesta in modo più distinto in corrispondenza dello sviluppo puberale. Le modificazioni che caratterizzano la pubertà consistono essenzialmente nell'accelerazione dell'accrescimento scheletrico, nella trasformazione della composizione corporea, con particolare riferimento alla quantità e alla distribuzione del grasso corporeo, nello sviluppo degli apparati circolatorio e respiratorio, delle gonadi e dell'intero apparato riproduttivo. Dal punto di vista biologico, come conseguenza di queste modificazioni, l'individuo si avvia ad acquisire le caratteristiche fisiche e le capacità funzionali dell'adulto, compresa quella riproduttiva. Per quanto concerne lo scheletro, l'accrescimento termina nelle ragazze a circa 18-20 anni di età e nei ragazzi a 21-23 anni. Confrontando le caratteristiche scheletriche generali di soggetti adulti di sesso diverso, le principali differenze riguardano soprattutto la robustezza, la lunghezza e il grado di mineralizzazione delle ossa lunghe, che risultano maggiori nei maschi, nei quali anche le articolazioni e le superfici articolari sono più grandi: a causa della maggiore lunghezza delle ossa, l'uomo raggiunge una statura che in media supera quella della donna di circa 9-13 cm. Le differenze antropometriche riguardano anche le proporzioni tra i vari segmenti corporei. Anche la composizione corporea è generalmente diversa nei due sessi, particolarmente rispetto alla quantità di grasso corporeo (massa corporea grassa) e alla sua relazione con la massa corporea magra, quest'ultima rappresentata essenzialmente dai muscoli, dalle ossa e dagli organi interni. Il grasso corporeo si deposita in vari siti dell'organismo, ma è soprattutto quello sottocutaneo che contribuisce in modo determinante a rendere più palesi le differenze sessuali. Nella donna il grasso sottocutaneo si accumula nelle regioni del bacino e delle spalle, nelle mammelle e nella parte posteriore delle braccia. Complessivamente il grasso costituisce nella donna il 22-25% della massa corporea, nell'uomo il 13-15%. Per quanto riguarda la massa muscolare, mentre prima della pubertà non ci sono sostanziali differenze tra i sessi, successivamente queste diventano assai vistose. Nell'età adulta il maschio è dotato di una muscolatura maggiore di quella della femmina, ma non vi sono differenze qualitative nelle caratteristiche contrattili delle fibre che compongono il muscolo. Le maggiori dimensioni dello scheletro e della muscolatura del maschio contribuiscono in modo sostanziale alla differenza di peso mediamente riscontrabile tra individui di sesso diverso. L'uomo in media pesa circa 11-13 kg più della donna e, se si considera soltanto il peso della massa corporea magra, la differenza diviene ancora più evidente, assumendo il valore di 18-20 kg. Diversità anatomiche tra i sessi si riscontrano anche nelle dimensioni e nel peso di alcuni organi interni. Particolarmente rilevanti per le implicazioni funzionali a esse collegate sono le differenze riguardanti il cuore e i polmoni. In tutti i mammiferi il peso del cuore è in media direttamente proporzionale al peso corporeo e può essere calcolato moltiplicando quest'ultimo per il valore 0,0066; in accordo con il maggiore peso corporeo, il peso del cuore dell'uomo è maggiore di quello della donna. Nel rapporto tra peso corporeo e peso del cuore si rilevano però anche delle differenze in relazione all'età: nell'arco di vita compreso tra 12 e 60 anni, nelle donne il valore medio di tale rapporto è inferiore del 10-15% rispetto agli uomini, mentre dopo i 60 anni i valori divengono simili. Anche le dimensioni dei diametri cardiaci sono diverse tra i due sessi: per es., il diametro trasverso è mediamente di circa 12 cm nell'uomo e di 10,5 cm nella donna. Così come per il cuore, anche le dimensioni del polmone sono direttamente proporzionali alla taglia corporea, pertanto i polmoni della donna sono più piccoli di quelli dell'uomo. Tale differenza si riflette sul valore delle grandezze respiratorie e in modo particolare sulla capacità vitale, cioè sul volume di aria che può essere espirato con un'espirazione massimale dopo aver eseguito un'inspirazione massimale. In soggetti adulti giovani la capacità vitale è in media di 2-3 litri nella donna e di 3-4 litri nell'uomo. Tra le varie misure antropometriche l'area della superficie corporea è quella più attendibilmente correlata con la capacità vitale. Nell'adulto il rapporto tra capacità vitale e area della superficie corporea è 2,6 l/m2 nell'uomo e 2,7 l/m2 nella donna.
Le differenze strutturali sopra descritte svolgono un ruolo assai rilevante principalmente nel determinare quelle differenze funzionali che riguardano la capacità dell'individuo di eseguire un esercizio fisico intenso. Sebbene importanti fattori socioculturali possano essere almeno in parte considerati responsabili della diversa capacità fisica tra uomo e donna, è tuttavia ormai ben dimostrato che la capacità di lavoro muscolare della donna è approssimativamente minore del 20% rispetto a quella dell'uomo. Questa differenza viene in larga misura attribuita alle diversità di dimensioni e composizione corporea, mentre i meccanismi cellulari che controllano la maggior parte delle risposte fisiologiche e biochimiche all'esercizio fisico sono gli stessi per entrambi i sessi. Le differenze riscontrabili devono pertanto essere interpretate come dipendenti da fattori quantitativi piuttosto che qualitativi. Forza muscolare Prima dello sviluppo puberale non ci sono tra i due sessi sostanziali differenze nella forza muscolare ma, come comunemente dimostrato mediante test specifici, esse emergono chiaramente durante la pubertà, si mantengono nell'età adulta, e declinano nella vecchiaia. La differenza di forza è chiaramente correlata con lo sviluppo della massa muscolare, che nell'uomo, favorito dall'intensa azione anabolizzante del testosterone, può superare quella della donna perfino del 50%. Grazie alla maggiore massa muscolare, evidente soprattutto negli arti superiori, nelle spalle e nel tronco, l'uomo risulta avvantaggiato in tutte quelle attività fisiche che richiedono elevati livelli di forza, velocità e potenza. Esaminando la differenza di forza in termini assoluti, cioè senza considerare le diversità riguardanti la taglia fisica e la composizione corporea, risulta che nella donna la forza muscolare è pari a circa il 75% di quella dell'uomo. Si deve tuttavia tenere conto che la differenza può variare notevolmente a seconda dei gruppi muscolari considerati: generalmente essa è maggiore per i muscoli delle braccia che per quelli delle gambe.
Come per altre capacità funzionali, la differenza di forza tra maschio e femmina si riduce se viene rapportata ad alcune caratteristiche strutturali dell'individuo, quali la massa corporea totale o la massa corporea magra. Se si elimina l'influenza del primo fattore, cioè la differenza legata alla diversa taglia corporea, la forza muscolare della donna raggiunge l'80% di quella dell'uomo e la differenza si riduce ulteriormente se si rapporta la forza alla sola massa corporea magra. Infatti il rapporto tra la forza e la massa corporea totale è favorevole all'uomo non tanto a causa di una qualche differenza inerente il tessuto muscolare stesso, quanto, come indicato precedentemente, per la maggiore adiposità relativa della donna. Se si elimina anche l'influenza di questo fattore, sebbene permangano ancora differenze riguardanti la forza sviluppata dai muscoli degli arti superiori, esse si annullano completamente nel confronto tra i muscoli degli arti inferiori. Infine, prendendo in considerazione esclusivamente il rapporto tra la forza sviluppata da un muscolo e la sua dimensione, espressa come area della sua sezione trasversale massima, si rileva che la forza per unità di superficie è la stessa per l'uomo e per la donna e varia tra 4 e 8 kg/cm2 a seconda del muscolo considerato. Ciò indica che i processi funzionali che si attuano nella fibra muscolare per lo sviluppo della forza sono qualitativamente analoghi nei due sessi.
L'energia necessaria all'organismo per lo svolgimento delle varie forme di lavoro biologico, quale per es. il lavoro muscolare, viene fornita da reazioni chimiche di carattere demolitivo, che nel loro insieme costituiscono il metabolismo energetico. Poiché la quantità di lavoro eseguibile nell'unità di tempo da un organismo vivente può aumentare di molte volte nel passare dalla condizione di riposo assoluto a quella di esercizio muscolare strenuo, anche l'intensità del metabolismo energetico può presentare analoghe variazioni. Una condizione di minimo impegno del metabolismo energetico è quella definita come basale. Questa prevede che il soggetto abbia dormito per 8 ore, sia digiuno da 12-18 ore, sia in completo riposo fisico e mentale da almeno mezz'ora e si trovi in un ambiente a temperatura confortevole. La quota metabolica relativa a questa condizione assai speciale di riposo viene indicata con il termine metabolismo basale. Al fine di comparare tra loro le quote metaboliche basali di individui di taglia fisica diversa, esse vengono espresse in rapporto all'area della superficie corporea. Il metabolismo basale della donna è minore di quello dell'uomo a tutte le età; nella donna giovane esso è mediamente di circa 37 kcal/ora per m2 di superficie corporea, mentre per l'uomo è di circa 40. È probabile che il fattore che maggiormente contribuisce a determinare tale differenza sia la diversa composizione corporea nei due sessi e, in particolare, la massa grassa relativamente più abbondante della donna. A conferma di ciò, se il metabolismo basale viene rapportato alla sola massa corporea magra, invece che alla superficie corporea, le differenze sessuali scompaiono del tutto. Come si è detto, durante l'esercizio fisico il metabolismo energetico aumenta notevolmente in accordo con l'aumento dell'energia erogata dall'organismo. Se la prestazione deve essere protratta nel tempo (minuti o ore) l'unica via metabolica in grado di sostenere l'azione muscolare è quella che contempla la demolizione delle sostanze energetiche mediante l'impiego dell'ossigeno (metabolismo ossidativo o aerobico). La massima quantità di lavoro muscolare aerobico che può essere eseguita nell'unità di tempo (massima potenza aerobica) è sinteticamente rappresentata dal massimo consumo di ossigeno (VO2max) che può essere raggiunto dall'individuo durante l'esercizio fisico. Questo parametro fisiologico è un efficace indicatore della capacità degli apparati respiratorio e circolatorio di fornire ossigeno alle cellule attive e della capacità di queste ultime di utilizzarlo per eseguire un lavoro. La massima potenza aerobica nella donna è minore di circa il 20% rispetto a quella dell'uomo, differenza che, pressoché trascurabile nell'età infantile, diviene però evidente nell'adulto. Anche in questo caso, il fenomeno viene attribuito a differenze sessuali postpuberali concernenti la massa corporea e la sua composizione. Se anche per questo parametro funzionale si elimina infatti l'influenza della taglia corporea rapportando il VO2max alla massa corporea, la differenza si attenua e ciò è ancora più evidente se si esprime il consumo massimale di ossigeno in funzione della sola massa corporea magra. Nondimeno, anche dopo quest'ultima normalizzazione, lo svantaggio della donna non si annulla completamente e l'ulteriore differenza viene attribuita a fattori che riguardano la diversità dell'apparato cardiovascolare. A tal proposito, si tenga presente che né la funzione respiratoria né l'utilizzazione dell'ossigeno da parte dei muscoli vengono considerati fattori limitanti per il VO2max, essendo il limite costituito invece dalla funzione cardiocircolatoria. L'apparato cardiocircolatorio della donna si differenzia da quello maschile per alcuni aspetti particolarmente rilevanti ai fini della fornitura di ossigeno ai tessuti, quali le minori dimensioni delle camere cardiache, la minore concentrazione ematica di emoglobina e il minore volume di sangue circolante. Il volume cardiaco ha una rilevanza notevole sul valore della gittata cardiaca massima, cioè sulla massima quantità di sangue ossigenato che il cuore invia ai tessuti in un minuto. A causa del minore volume cardiaco la gittata cardiaca massima della donna è minore di circa il 25% rispetto a quella dell'uomo. Tale differenza si accompagna anche a una minore capacità di trasporto di ossigeno da parte del sangue femminile. Infatti, a causa del minore numero di globuli rossi per mm3 di sangue circolante (in media, 4,5 milioni nella donna e 5 milioni nell'uomo), e quindi del minore quantitativo di emoglobina, il contenuto di ossigeno in 100 ml di sangue arterioso è circa 16,5 ml nella donna e 19,5 ml nell'uomo.
La differenziazione sessuale segue le tappe di sviluppo e di maturazione dell'organismo. Nel neonato e nei primissimi anni di vita, le differenze sessuali sono visibili solo a nudo, poiché i tratti della faccia e le proporzioni corporee sono, per così dire, antropologicamente neutri. Solo nel periodo prepubere, che nella femmina inizia di norma intorno a dieci anni, un paio di anni prima che nel maschio, cominciano a verificarsi tutti quei cambiamenti connessi con l'avvento della crisi puberale che portano l'individuo alla maturità sessuale. Sotto la scarica degli ormoni sessuali responsabili di questi fenomeni, la morfologia corporea si rimodella, acquisendo, con i caratteri sessuali secondari, il definitivo status di uomo o donna. Durante le fasi dell'accrescimento, i fattori genetici che ne controllano tempi e modalità interagiscono in misura significativa con i fattori ambientali, non solo fisici, in primo luogo climatici, ma anche culturali in senso lato. Il tipo di alimentazione, lo status socioeconomico, l'ambiente familiare interagiscono contribuendo alla definizione dell'assetto morfofunzionale e psichico dell'individuo. Nelle società industriali i modelli femminile e maschile del corpo umano possono subire nell'arco di poche generazioni profondi cambiamenti sotto la spinta dei costumi sociali. Solo nelle società preindustriali, ancora molto legate alle proprie tradizioni culturali, gli originari modelli comportamentali si mantengono pressoché immutati.
Dall'assetto morfofunzionale che risulta dal processo di sviluppo deriva la diversità di proporzioni corporee che differenzia profondamente il corpo femminile da quello maschile. Già Aristotele, nell'Historia animalium (IV, 11), a proposito del dimorfismo sessuale osserva che in tutti i generi animali in cui c'è distinzione tra maschile e femminile, e quindi anche nell'uomo, la natura ha differenziato nettamente il carattere delle femmine da quello dei maschi. Aristotele aggiunge una descrizione delle differenze tra i due sessi, notando per es. che la femmina, rispetto al maschio, è meno muscolosa, ha articolazioni meno robuste e peluria più fine, ha carne più umida, gambe più sottili e piedi più delicati, e la sua voce è più esile e acuta; e ancora che la femmina ha testa più piccola del maschio, faccia più stretta, collo più sottile, petto più debole e minuto, femore e coscia più in carne. A queste differenze nella morfologia si associa una diversa costituzione 'umorale', dalla quale dipendono differenze di comportamento e di valore, dalle quali Aristotele fa derivare un giudizio di inferiorità della donna rispetto all'uomo. All'esatta quantificazione dei caratteri somatici si arriva nell'Ottocento con la nascita dell'antropometria, quando le dimensioni lineari e angolari del corpo umano vengono misurate, mettendo così in luce le diversità antropologiche tra i due sessi. In termini generali, lo scheletro femminile è meno robusto di quello maschile, e infatti le differenze tra i due sessi possono essere sfruttate per determinare il sesso nei resti scheletrici. Per tale diagnosi alcune parti si rivelano più significative: in primo luogo il bacino, quindi il cranio e le ossa delle braccia e delle gambe. Nella donna il bacino è più basso e più largo rispetto a quello maschile, per permettere il contenimento del feto e la sua espulsione attraverso il canale del parto. Inoltre, il bacino femminile è caratterizzato dalla presenza del solco preauricolare e dalla maggiore ampiezza della grande incisura ischiatica. Nell'uomo, invece, è la gabbia toracica a essere di dimensioni maggiori, in conformità del maggiore sviluppo dell'apparato respiratorio. Nel cranio femminile i rilievi sopraorbitari sono poco marcati, così come lo è la glabella, cioè il punto antropometrico mediano tra essi. Il processo mastoideo è piccolo e nella regione nucale la superficie è liscia e la linea nucale superiore è poco rilevata. Nella faccia, il processo zigomatico è basso e minuto, la conformazione della mandibola è anch'essa minuta, il mento è piccolo e arrotondato. Come regola generale, le ossa degli arti nella donna sono meno lunghe e più gracili di quelle dell'uomo e presentano dei rilievi (creste e tuberosità) meno marcati in relazione alla minor potenza dei muscoli che vi si inseriscono. Insignificante è invece il dimorfismo sessuale dei denti, che sono soltanto un po' più piccoli nella donna. Nel corso dell'evoluzione i canini si sono molto ridotti in entrambi i sessi: l'uomo, infatti, non ha più avuto bisogno di spaventare i predatori con la minaccia dei canini, come fanno i maschi di alcune specie di primati non umani, in particolare il babbuino. All'interno di una popolazione i caratteri morfometrici non sono necessariamente stabili nel tempo. Per es., nei paesi industrializzati si è verificato nell'ultimo secolo un aumento della statura, che è stato particolarmente marcato nelle generazioni più recenti, nate dopo la Seconda guerra mondiale. Questi cambiamenti mettono in evidenza il positivo effetto che condizioni ambientali favorevoli, l'alimentazione in primo luogo, possono avere sul fenotipo.
Il dimorfismo sessuale delle parti molli riflette evidentemente quelle che sono le caratteristiche scheletriche del corpo maschile e femminile. Tuttavia, mentre non è possibile modificare le caratteristiche scheletriche, è possibile intervenire sulle parti molli per migliorarne l'aspetto estetico, con la cosmesi e, nei casi estremi, ricorrendo alla chirurgia plastica, il che contribuisce ad arricchire, pur se con artifici, il quadro della diversità. Lasciando l'Africa, dove si ritiene siano originati, i nostri antenati si sono dispersi in tutte le regioni del globo trovandosi di fronte alle più diverse situazioni ambientali, alle quali hanno risposto in modo diverso con le più varie forme di adattamento, biologico e culturale. Come risultato di questi adattamenti, oggi osserviamo una straordinaria diversità fisica dell'uomo che, anche se non direttamente riconducibile a precise categorie sistematiche, si basa sull'esistenza di popolazioni biologicamente, ma soprattutto culturalmente diverse distribuite nelle differenti aree geografiche. Durante questo percorso evolutivo, la specie umana ha però mantenuto inalterato un complesso di pulsioni emotive, prima fra tutte l'attrazione sessuale. Attraverso alcune strutture anatomiche non direttamente coinvolte nella funzione riproduttrice, ma funzionanti da segnale sessuale, tale pulsione ha assunto toni ed espressioni diverse in relazione ai mutamenti dei costumi sociali, contribuendo così alla variabilità della specie. Nel corso della storia dell'uomo, i diversi aspetti del dimorfismo sessuale hanno dunque assunto enfasi diversa in relazione ai mutamenti dei costumi sociali, ai quali si è adeguato il modo di presentare le parti del corpo più scoperte (come la faccia) o quelle più direttamente connesse con la sessualità (come il seno o i fianchi nella donna, la potenza muscolare e la virilità nell'uomo). Il concetto di bellezza, di per sé relativo, ha portato a idealizzare differenti modelli dei corpi maschile e femminile. È soprattutto quest'ultimo che nel corso dei secoli ha risentito maggiormente dei mutamenti ambientali, della struttura sociale, del clima culturale e della maggiore o minore attenzione data alla corporeità o alla spiritualità. Nel Medioevo trucco e ornamenti del corpo femminile venivano trascurati per evitare che l'esteriorità avesse il sopravvento sui valori spirituali; non a caso il diavolo era spesso rappresentato con forme femminili, a sottolineare la continua fonte di trasgressione che esse costituiscono per l'uomo. In altri periodi storici, invece, cosmesi, abbigliamento e accessori hanno messo in risalto quelle parti del corpo che, pur non essendo direttamente coinvolte nel processo riproduttivo, possono fungere da segnali sessuali supplementari (caratteri epigamici) e incidere sulle scelte sessuali. Tra i caratteri più soggetti a essere artificialmente modificati vi sono i capelli, che nella storia del costume sono stati grandemente utilizzati per accentuare le diversità tra i sessi, attraverso acconciature elaborate che hanno seguito le mode imposte dai tempi. Le arcate sopraorbitarie hanno subito nel corso dell'evoluzione un processo di forte riduzione: nell'australopiteco e nei primi uomini esse erano tanto sviluppate da costituire una sorta di visiera sopraorbitaria. Attualmente, esse sono di norma poco accentuate nell'uomo e pochissimo nella donna, nella quale anche le sopracciglia sono molto meno folte. Negli anni Trenta la donna prese l'abitudine di depilarsi le sopracciglia, marcando così ancor più questa differenza. Senza alcun dubbio gli occhi rappresentano uno dei caratteri più importanti per l'espressività e la comunicazione non verbale umana. Fin dai tempi della civiltà egizia, la donna ha cercato di dare risalto all'intensità e alla profondità dello sguardo attraverso il trucco del contorno degli occhi e della palpebra superiore. Al giorno d'oggi, le donne asiatiche perseguono questo stesso obiettivo ricorrendo all'opera del chirurgo per eliminare il restringimento della rima palpebrale dovuto alla plica mongolica, un carattere genetico distintivo delle popolazioni dell'Asia orientale. Nella donna il naso è relativamente piccolo e meno prominente di quello maschile, analogamente a quanto avviene nei bambini. Il naso piccolo, il mento debole, l'assenza di rilievi sopraccigliari e le guance in genere più paffute costituiscono un insieme di caratteri infantili che contribuiscono alla capacità di attrazione del volto femminile. Allo stesso tempo, le labbra carnose, eventualmente sottolineate dal trucco, rappresentano un forte richiamo sessuale. In alcune popolazioni subsahariane, quali i Tupuri e i Podoko del Camerun settentrionale e i Murzu dell'Etiopia sudorientale, si inseriscono sin dall'infanzia piattelli o bastoncini nelle labbra delle donne per aumentarne il valore quale richiamo sessuale. Nella conformazione delle spalle e del torace il corpo maschile si differenzia decisamente da quello femminile. Nel maschio, le spalle sono più larghe e sono sormontate da un collo relativamente più corto e massiccio; le braccia sono adatte a produrre una grande forza muscolare e il torace è ampio e ben sviluppato e spesso ricoperto da una certa pelosità. Nella donna il carattere epigamico più marcato è rappresentato dal seno che, oltre ad avere una funzione nell'allattamento, costituisce un indubbio richiamo sessuale, da sempre tenuto in grande considerazione anche dalla moda, che lo ha esaltato oppure mortificato a seconda del periodo storico. La sua forma emisferica nella donna è del tutto peculiare: nei primati non umani, infatti, la mammella è piatta con lunghi capezzoli sporgenti, una condizione che l'uomo considera esteticamente poco attraente, ma che rende più agevole l'attività di suzione. Nella donna le anche sono più larghe, sia per la maggior ampiezza del bacino sia per la presenza di più abbondante tessuto adiposo. Una maggiore ampiezza del cinto pelvico facilita la gestazione e assume quindi sia un significato simbolico, quale espressione di fecondità, sia un esplicito valore di attrazione sessuale. Lo sviluppo di natiche sporgenti è un carattere comparso nei primi Ominidi in seguito alle modificazioni morfofunzionali che hanno accompagnato lo sviluppo della postura eretta e dell'andatura bipede e divenuto nel tempo un segnale evocatore della sessualità. Un caso estremo è rappresentato dalle donne ottentotte dell'Africa meridionale, che presentano uno sviluppo straordinario delle natiche e una particolare morfologia dei genitali esterni, consistente in una ipertrofia delle piccole labbra. Diverse interpretazioni sono state avanzate per spiegare questo carattere sessuale: per es. Darwin affermò che esso è particolarmente apprezzato dagli uomini e sulla base delle sue osservazioni alcuni antropologi considerano tali caratteristiche frutto della selezione naturale. I piedi femminili sono mediamente più corti di quelli maschili e i costumi sociali e le tradizioni hanno contribuito ad accentuare queste differenze; in Oriente per secoli i piedi femminili sono stati compressi con strette fasciature per ridurne il più possibile lo sviluppo in lunghezza.
Nella rappresentazione artistica del corpo femminile la frequente focalizzazione sui caratteri sessuali secondari non risponde a una scelta esclusivamente estetica, ma riflette anche una generale predisposizione a ideologizzare i caratteri fisici femminili, secondo una visione che ruota intorno agli stereotipi della donna-madre, della donna-seduttrice e della musa-ispiratrice di alti ideali. Nelle prime forme di simbolismo magico-rituale espresse nell'arte rupestre del Paleolitico superiore, i caratteri sessuali assumono un significato traslato legato alla fertilità della terra e alla maternità. Nelle celebri statuine delle Veneri steatopigie ('dalle natiche grasse'), diffuse in Europa nel tardo Paleolitico (circa ventimila anni fa), le mammelle, le anche e le natiche sono esageratamente sviluppate, in quanto probabilmente costituiscono un simbolo di fecondità. Le statuine femminili in alabastro rinvenute in sepolture infantili in Iraq, risalenti a circa ottomila anni fa, simboleggerebbero invece la figura materna consolatrice che accompagna il bambino nell'oltretomba. Nel Neolitico, con la domesticazione di piante e di animali e lo sviluppo dell'agricoltura, il simbolo della donna quale Dea madre assume valore universale in tutte le culture fiorite nel bacino mediterraneo nell'arco di cinquemila anni. Per chi vive dei frutti della terra è essenziale assicurarsi i favori celesti per ottenere migliori raccolti e maggiore fecondità della donna e del bestiame. Simbolicamente la donna viene a rivestire il ruolo di intermediario tra il mondo sensibile e il mondo celeste, come ancora si verifica in molte culture africane. Nel mondo classico i caratteri sessuali secondari costituiscono un elemento importante nella rappresentazione artistica del corpo femminile, come è esemplificato con grande forza espressiva dai vari tipi di Veneri, in primo luogo quella callipigia ('dalle belle natiche'). Se nel Medioevo il modello ideale di femminilità è la donna dalla bellezza interiorizzata, con caratteri sessuali poco appariscenti, le donne rappresentate dagli artisti rinascimentali ‒ basti solo pensare a Tiziano ‒ incarnano perfettamente, con le loro rotondità, il mutato ideale di femminilità; persino nelle figure di madonne gli artisti tendono a rappresentare una maternità dai tratti opulenti. Anche l'abbigliamento tende a esaltare questo tipo di femminilità, contribuendo a diversificare sempre più la donna dall'uomo. Nella seconda metà dell'Ottocento l'ideale di bellezza femminile è rappresentato dal 'vitino di vespa', che unisce un busto fiorente a fianchi altrettanto generosi, mentre nell'uomo l'abbigliamento si fa via via più severo. Dall'inizio del nostro secolo si è andata progressivamente affermando un'idea meno 'sessuata' del corpo femminile e meno legata all'attività riproduttiva, in conseguenza anche di una nuova formulazione dei ruoli maschile e femminile.
La diversità nelle costituzioni somatiche di uomo e donna viene generalmente interpretata su base adattativa. Si ritiene che le attività dei più antichi Ominidi, legate a una economia di sussistenza basata su caccia e raccolta, abbiano contribuito in larga misura al processo di differenziamento della costituzione fisica del maschio e della femmina e nello stesso tempo alla diversificazione dei loro ruoli sociali. Tra i maschi sarebbero stati favoriti gli individui in grado di sviluppare una più grande forza muscolare a livello delle braccia e del torace e, come adattamento ai lunghi inseguimenti, degli arti inferiori. Tra le femmine, dedite invece alla raccolta e soprattutto alle cure parentali, sarebbero state selezionate quelle con caratteri più specificamente femminili. Questa interpretazione si basa sull'assunto che nel corso del processo evolutivo siano emerse due figure culturali ben differenziate: da una parte l''uomo cacciatore' dall'altra la 'donna raccoglitrice', ognuna con precisi compiti e doveri sociali. Anche trascurando il caso di quelle società preindustriali, soprattutto dell'Africa, in cui alcuni aspetti simbolici (quali riti di iniziazione, tabù sessuali, celebrazioni per i diversi cicli di produzione agricola legati alla sessualità femminile) sono più strettamente connessi con le differenze sessuali, è evidente l'esistenza di un legame tra dimorfismo sessuale (a base biologica) e ruolo sociale (a base culturale). Ma quanto sia stato stretto questo legame, quale sia stato il ruolo giocato dai due sessi nell'evoluzione biologica e culturale, è tuttora oggetto di un acceso dibattito. L'assenza di testimonianze dirette sul comportamento sociale dei primi Ominidi rende comunque necessariamente provvisorie le nostre risposte. Per ricostruire il modo di vita degli antichi Ominidi ci si basa sul metodo analogico, sfruttando da un lato le osservazioni sul comportamento sociale delle moderne popolazioni di cacciatori-raccoglitori (analogie etnografiche) e dall'altro le osservazioni sulle società di alcune specie di primati non umani, in particolare dello scimpanzé (analogie filogenetiche). Tali analogie vanno naturalmente considerate con cautela e integrate con lo studio dei resti scheletrici e archeologici (strumenti litici, esistenza di un campo base e organizzazione dello spazio abitativo). Questi dati, valutati nel contesto paleoambientale, ci permettono di costruire un quadro abbastanza realistico del comportamento sociale dei primi Ominidi. La determinazione del sesso di resti scheletrici presenta spesso delle difficoltà a causa della frammentarietà e del cattivo stato di conservazione del materiale disponibile. Tale determinazione viene effettuata sulla base dei criteri classici dell'antropometria o per mezzo di formule matematiche che permettono di stabilire funzioni discriminanti, che non hanno però valore universale ma devono essere adattate a ciascuna serie di ossa. Nel caso in cui si rinvengano parti del bacino, la determinazione del sesso è resa più facile dalla presenza di strutture anatomiche diverse, oltre che dalle differenze nelle dimensioni e nella forma complessive.
È proprio in base a questi elementi che i resti scheletrici trovati ad Afar (Etiopia), risalenti a più di tre milioni di anni fa, sono stati attribuiti a una donna, o meglio a una femmina di Australopithecus afarensis, il primo Ominide. Di questo individuo, cui venne dato il nome familiare di Lucy, è stato ricostruito l'intero scheletro a partire dai resti di più del 40% delle ossa. Lucy era una giovane di bassa statura (circa 120 cm), con un cervello scimmiesco (la capacità cranica è di circa 400 ml) e una faccia molto grande a causa del notevole sviluppo dell'apparato masticatorio. Il bacino e il femore, invece, tipicamente umani, testimoniano come l'Australopithecus afarensis avesse ormai acquisito la postura eretta e potesse dunque sfruttare gli arti superiori per svolgere attività quali la presa e il trasporto degli oggetti, il lancio di pietre contro i predatori e la raccolta. Non possiamo sapere con certezza quale ruolo svolgesse la femmina nelle bande di australopitechi, ma è verosimile che l'attività di raccolta avesse grande importanza, come testimoniato dai resti dei denti di Lucy, che si rivelano adatti a una dieta vegetariana. Alcuni autori hanno ipotizzato che già in questa fase dell'evoluzione umana vi fosse una divisione dei compiti, per cui i maschi si occupavano prevalentemente dello sfruttamento di carcasse di animali morti, mentre le femmine erano dedite alla raccolta, il che denoterebbe quindi la presenza di una organizzazione sociale tale per cui entrambi i sessi contribuivano, sia pur in modo diverso, al nutrimento della comunità. I due principali modelli comportamentali uomo-cacciatore/donna-raccoglitrice risentono in larga misura dell'atteggiamento mentale degli antropologi e su di essi si sono basate molte speculazioni fuorvianti. Per molti anni, infatti, gli antropologi hanno considerato il maschio cacciatore come il vero protagonista dell'evoluzione culturale, mentre l'attività di raccolta svolta dalla femmina veniva considerata come marginale e ininfluente sul progresso tecnologico. Oggi, invece, il mito dell'uomo-cacciatore, 'scimmia assassina', capace di inventare strumenti per cacciare e di lottare in competizione con i predatori e protagonista della spartizione del cibo tra i membri della comunità, è stato abbandonato. I dati archeologici più recenti hanno definitivamente chiarito come né Australopithecus afarensis né il suo successore, Homo habilis, fossero dei cacciatori e come invece si basassero su un'economia di raccolta. Nelle società preagricole dell'Africa subsahariana l'attività di raccolta di tuberi, bacche e radici integrate da uova e piccoli invertebrati è delegata alla donna, aiutata dai bambini, e rappresenta la fonte principale di cibo. La caccia, prerogativa degli uomini, viene condotta solo occasionalmente, tanto che il successo di una battuta di caccia è un momento di grande festa in tutta la comunità. Nella vita quotidiana è dunque alla donna che compete la distribuzione del cibo, mentre in seguito all'uccisione di una grossa preda sono i cacciatori che spartiscono le carcasse secondo un rituale che rispetta lo status sociale. In analogia a tale comportamento è possibile ipotizzare che anche tra i primi Ominidi, abitanti delle savane, le femmine fossero l'elemento portante per l'economia di sussistenza; nello stesso tempo esse avrebbero promosso la coesione tra i membri del gruppo, rinsaldando i legami di parentela, a partire dalle cure riservate ai figli. In linea generale, appare ragionevole ritenere che nel corso dell'evoluzione umana i due sessi abbiano giocato ciascuno il proprio ruolo e abbiano contribuito in egual misura all'adattamento all'ambiente attraverso le innovazioni culturali. Questo modello, che ammette che il progressivo miglioramento delle strategie di sussistenza sia dovuto sia alla femmina sia al maschio, può essere definito 'integrato'. Analizzando il materiale dei ritrovamenti fossili relativi ai primi Ominidi, gli antropologi sono stati in grado di affermare che essi presentavano dimorfismo sessuale (a livello di lunghezza dei segmenti degli arti, lunghezza totale dello scheletro, forma e dimensioni del bacino, morfologia dei canini e degli altri denti) in misura molto maggiore delle forme umane successive e, soprattutto, dell'uomo attuale.
L'interpretazione di tale fenomeno potrebbe essere legata a fattori culturali. Infatti, l'invenzione di industrie litiche sempre più efficienti avrebbe reso meno importanti per il maschio, da un punto di vista adattativo, quei caratteri che nella fase che ha preceduto l'affermarsi della caccia lo rendevano più idoneo a difendere il gruppo o allo sciacallaggio. Nel periodo compreso tra quattro milioni (comparsa dell'Australopithecus afarensis) e un milione di anni fa (comparsa dell'Homo erectus) il dimorfismo sessuale si è andato riducendo, e nell'uomo di Neanderthal, il primo Homo sapiens eurasiatico, sarebbe stato solo un po' più accentuato che nell'uomo moderno. Nello stesso tempo però si è dato progressivamente più valore all'aspetto esteriore, con l'esaltazione dei caratteri più appariscenti della sessualità. I neandertaliani si trovarono a dover affrontare una situazione climatica e ambientale molto diversa da quella degli abitatori della savana. Il clima si faceva sempre più freddo, gran parte dell'Europa era ricoperta di ghiacci fino alle regioni centrali (glaciazione di Würm) e la vegetazione era scarsa per gran parte dell'anno: in tale situazione, non adatta a un'attività di raccolta, la caccia rappresentò una valida alternativa per procurarsi il cibo. Il fisico dei neandertaliani appare adatto a sopportare il freddo e a resistere negli inseguimenti. La statura, stimata con formule biometriche a partire dai resti di ossa degli arti, era compresa tra 156 e 160 cm, con uno scarto di un paio di centimetri fra uomo e donna. A giudicare dalle ossa, nell'uomo il corpo doveva essere particolarmente robusto e massiccio. È possibile ipotizzare che l'abilità nella caccia e nella costruzione degli strumenti abbiano rappresentato fattori importanti nella scelta sessuale da parte della donna, mentre, per parte sua, l'uomo avrebbe privilegiato quelle donne da cui poteva aspettarsi un maggior numero di figli. Successivamente, in seguito a una più attiva scelta sessuale, entrambi i sessi elaborarono decorazioni corporee tese a esaltare le differenze sessuali. Allo stesso tempo si rinsaldarono i legami parentali: l'identificazione di spazi abitativi semipermanenti conduce infatti a ipotizzare l'esistenza di primi nuclei familiari. In tempi storici, i fattori puramente anatomici hanno perduto parte della loro importanza nella scelta sessuale, pur conservando il loro ruolo simbolico. Nella donna sessualità e ruolo sociale si identificano: in quanto 'femmina' e 'madre' le viene assegnato un ruolo marginale, da svolgersi nell'intimità della famiglia. Può essere considerato un esempio tipico lo status sociale femminile nell'antica Grecia, dove la donna occupava una posizione intermedia fra quella del cittadino maschio, unico detentore dei diritti politici e giuridici, e quella degli schiavi e dei 'barbari'. Ma mentre gli schiavi e i barbari potevano acquisire i diritti politici, la donna, a causa della sua natura 'vile', conseguenza dei suoi caratteri fisici quali descritti da Aristotele, non aveva alcuna possibilità di modificare il suo status. Dimorfismo sessuale e ruolo sociale sono divenuti due facce di una stessa medaglia, secondo una concezione rimasta inalterata per secoli.
d. ferembach, i. schwidetzky, m. stloukal, Raccomandazioni per la determinazione dell'età e del sesso sullo scheletro, "Rivista di Antropologia", 1977-79, LX, pp. 5- 51.
c. frugoni, La donna nelle immagini, la donna immaginata, in La storia delle donne, a cura di G. Duby, M. Perrot, 2° vol., Il Medioevo, a cura di Ch. Klapisch-Zuber, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 424-57.
i. glynn, La spartizione del cibo negli Ominidi protoumani, in "Quaderni de Le Scienze", a cura di F. Fedele, 1984, 17, pp. 30-41.
s.m. grieco, Corpo, aspetto e sessualità, in La storia delle donne, ed. G. Duby, M. Perrot, 3° vol., Dal Rinascimento all'età moderna, a cura di N.Z. Davis, A. Farge, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 63-99.
r. hall, p. droper, m. hamilton, d. mcguiness, ch. otten, Male-female differences. A bio-cultural perspective, New York, Pareger, 1982.
m. iscan., k. kennedy, Reconstruction of life from the skeleton, New York, Alan Liss, 1989.
d. johanson, m. edey, Lucy the beginnings of humankind, New York, Simon & Schuster, 1981 (trad. it. Milano, Mondadori, 1981).
y. knibiehler, Corpi e cuori, in La storia delle donne, a cura di G. Duby, M. Perrot, 4° vol., L'ottocento, a cura di G. Fraisse, M. Perrot, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 307-54.
d. morris, Bodywatching. A field guide to the human species, New York, Crown, 1985 (trad. it. Il nostro corpo, Milano, Mondadori, 1986).
d. rasmussen, The origin and evolution of human and humanness, London, Jones and Bartlett, 1993.
m. sassi, La scienza dell'uomo nella Grecia antica, Torino, Bollati Boringhieri, 1988.
n. tanner, On becoming human, Cambridge, Cambridge University Press, 1981.
a. zihlman, The human evolution, San Francisco, Barnes and Noble books, 1982.