Corpo
Dal latino corpus, "corpo, complesso, organismo", corpo è un termine generico che indica qualsiasi porzione limitata di materia, cui si attribuiscono, in fisica, le proprietà di estensione, divisibilità, impenetrabilità. Tale definizione deriva dalla fittizia rappresentazione macroscopica di una materia distribuita con continuità; se si adotta invece la rappresentazione microscopica della realtà, un corpo appare allora come un insieme discontinuo di elementi materiali, formanti a loro volta insiemi piccolissimi - microscopici o ultramicroscopici - generalmente qualificati come corpuscoli o particelle. Con riferimento all'uomo, corpo sta a significarne la struttura fisica e, in questo senso, è spesso contrapposto ad anima e a spirito.
Fabbrica del corpo umano, uomo macchina, discendenza dell'uomo, interpretazione dei sogni, saggezza del corpo, uomo sconosciuto, progetto della vita, posto dell'uomo nell'universo: pochi punti, opportunamente scelti, bastano a indicare lo snodarsi della strada percorsa dalla scienza intorno e dentro al frammento di mondo, dove il soggetto umano abita con il pensiero e la volontà, l'immaginazione e il sentimento. Il cammino è ripreso dopo ogni conquista conoscitiva, affrontando questioni nuove e aprendo prospettive inattese. Qualsiasi tentativo di rispondere alla domanda che l'anziano Kant, nell'introduzione alla Logica (1800), poneva tra i quattro problemi costitutivi del sapere - Was ist Mensch? "Cos'è l'uomo?" -, non può eludere il momento della corporeità, nodo di complesse correlazioni e di evidenze ambivalenti. E tuttavia quel che consta sperimentalmente e teoricamente all'odierno sapere è di tanto cresciuto rispetto agl'inizi dell'Età moderna. È soprattutto più chiara la coscienza di un rapporto sostanziale tra l'Io, alcuni psicologi direbbero il Sé, e ciò che gli conferisce disposizioni e funzioni, identità e visibilità.
Le formule citate all'inizio corrispondono a titoli di opere, che a loro volta rappresentano bilanci di conoscenze o aperture di prospettive, movendo da nuclei di matura consapevolezza. Nel 1543 veniva pubblicato, a Basilea, il De humani corporis fabrica libri septem dell'anatomista Vesalio. Andries van Wesel, latinizzato Andreas Vesalius, nasce a Bruxelles, città del Brabante, nel 1514. Passa per due università insigni, Parigi e Padova, quest'ultima citata nel frontespizio, si direbbe con orgoglio. È medico degl'imperatori Carlo V e Filippo II, e passando al loro servizio trova modo di sottrarsi all'ostilità degli accademici tradizionalisti. Morirà nell'isola di Zante, nel corso di un pellegrinaggio in Terrasanta, nel 1564. La Fabrica vesaliana è un volume in folio, con quasi settecento pagine in elegante lingua latina e splendide tavole, alcune dovute alla scuola di Tiziano. Nello stesso anno della Fabrica vesaliana esce il De revolutionibus orbium coelestium libri sex di Copernico, che ne riceve la prima copia proprio alla vigilia della morte. È il testo dell'astronomia eliocentrica, più esattamente eliostatica. Anche Nikolaus Koppernigk era sceso in Italia, nel 1496, dalla natia Warmja, dopo gli studi geometrici e astronomici iniziati a Cracovia, per conseguire a Bologna il dottorato giuridico: ma nella città dei grandi giureconsulti aveva praticato l'osservazione del cielo con D.M. Novara. I corsi di medicina a Padova, il dottorato in diritto canonico a Ferrara, la venuta a Roma per il giubileo del 1500 e una breve attività didattica concludono la sua esperienza italiana. Volgono anni che esaltano l'universalità e il fervore creativo dello spirito umano: è il Rinascimento, che dall'Italia s'irradia in Europa e attrae nella penisola studiosi e studenti oltremontani presso università, scuole e singoli maestri.Grandi innovatori appariscono ai contemporanei e ai posteri Copernico e Vesalio, anche se nell'uno e nell'altro manca una volontà di netta contrapposizione al passato, come avverrà invece in Galilei. L'innovazione copernicana ha due aspetti: l'importanza attribuita all'osservazione e la libertà razionale di proporre un'alternativa a una tradizione inveterata, il geocentrismo aristotelico-tolemaico. Ma Copernico aveva trovato in Cicerone e nello Pseudoplutarco notizie sui predecessori antichi, pitagorici, dell'intuizione eliocentrica, e forse era giunta fino a lui l'esaltazione astrologico-magica del Sole, un'eliosofia circolante nell'Umanesimo, che proseguirà il proprio corso nel secolo della rivoluzione scientifica giungendo, come vedremo, fino al fisiologo Harvey. Invece Vesalio, nel promuovere l'osservazione sistematica del cadavere, non aveva contezza di precise 'autorità', alle quali richiamarsi. Collaborando all'edizione latina degli Opera omnia di Galeno presso l'editore Giunta di Venezia, aveva riscontrato divergenze delle descrizioni anatomiche rispetto ai suoi rilievi autoptici. Il precedente galenico era da verificare e in parte, forse, da accantonare.
Un gigante, Claudio Galeno, sullo sfondo di quel 2° secolo d.C., che rappresentava il culmine della costruzione politica romana, con l'impero costretto a difendersi, ma ancora capace d'impostare tentativi di espansione. Nato a Pergamo, città dell'Asia Minore fervida di commerci e di studi, vissuto in successivi periodi nella Roma degli Antonini, medico anche lui d'imperatori e in particolare di Marco Aurelio, Galeno aveva praticato l'anatomia sulle scimmie, considerandole simili all'uomo, anzi una sua 'ridicola imitazione': da qui le inesattezze che Vesalio avrebbe notate. In greco era comunque nato il duplice testo anatomico dell'antichità: De anatomicis administrationibus e De usu partium. Le università medievali avrebbero tuttavia conosciuto l'opera galenica attraverso un altro, più modesto lavoro: l'Ars medica o Tegni - "la Tegni di Galieno", si legge nel Convivio di Dante: dal greco τέχνη, "arte" -, con le aggiunte di commentatori alessandrini, latini e arabi. Galeno aveva incarnato l'idealità di una medicina che tornasse a essere, nell'ecumene romana, filosofia e cultura. Com'era stata sette secoli prima nell'Atene periclea attraverso Ippocrate, ma con l'aggiunta inestimabile delle dottrine fisiche e biologiche di Aristotele e con l'influsso, recente, della concezione stoica di un mondo retto da un principio 'egemonico', divino. Il maggior anatomista medievale, Mondino de' Liuzzi, pur effettuando dissezioni, eviterà di contrapporsi formalmente a Galeno nella sua Anathomia del 1316, destinata a divenire testo basilare delle scuole mediche fino alla pubblicazione della Fabrica vesaliana. E Vesalio, pur non trovando la comunicazione asserita da Galeno fra parte destra e sinistra del cuore, si spingerà fino a dubitarne, ma non arriverà a escluderla.Diamo uno sguardo al corpo umano come Vesalio lo vide e, un giorno del 1544, lo mostrò agli studenti di Basilea - dov'era uscito da poco il suo libro -, sezionando il cadavere di Jacob Herre, decapitato per tentato omicidio della moglie. Preparata per una lunga conservazione, la più famosa spoglia anatomica di tutti i tempi fu poi donata all'Accademia della città. Nel corso degli anni ne furono asportati i singoli pezzi, quasi si trattasse di reliquie: un omero giunse a Napoli, al Gabinetto di anatomia, e tuttora si conserva nel Museo anatomico presso l'Ospedale detto degl'Incurabili. Messo a nudo con sottile perizia, il corpo apparve a Vesalio costituito di ossa, legamenti e muscoli, vene e arterie, nervi, organi della nutrizione, cuore e organi collegati, cervello e organi di senso. Sette classi di elementi, corrispondenti ai sette libri della Fabrica. È un progresso inestimabile, e tuttavia non tardiamo a renderci conto che nell'anatomia moderna rimaneva annidata l'antica, sotto forma di un tacito presupposto. Il corpo modernamente osservato e inventariato risulta ben più vario e meglio coordinato di quanto si pensasse, ma la struttura è circoscritta, le parti si suppongono rinvenibili e analizzabili da pochi osservatori o da uno solo, della statura di Vesalio. Si tratta di un'entità mobile nello spazio, così come è considerata movimento, spontaneo o riflesso, la vita. Descrizioni e raffigurazioni di ossa e muscoli sono straordinariamente efficaci, ma l'analisi degli organi è appena schematizzata: quella dell'occhio fa sorridere. Certo, una povera fisiologia affiancava un'anatomia avviata verso lusinghieri traguardi. Ma dai Vesalio, come nel secolo successivo dai Galilei, è giusto attendersi il colpo d'ala, nella forma del dubbio, dell'anticipazione, della congettura. L'astronomia copernicana e l'anatomia vesaliana poggiavano sulla convinzione che mondo e corpo fossero realtà finite: racchiuse in una forma nota, costituite di parti rinvenibili e numerabili, talché una o poche persone avrebbero potuto esaurirne l'indagine.
Dietro al susseguirsi di maestri sulla cattedra di anatomia e nel teatro anatomico dell'università di Padova, dove accorrevano studenti da tutta Europa, c'è stato il convincimento o la speranza di portare a termine l'analisi e la descrizione della corporeità umana. R. Colombo, successore di Vesalio, G. Falloppia, G. Fabrici d'Acquapendente, lo stesso G.B. Morgagni, osservatore degli organi alterati dalle malattie, che nel 1761 ripeterà l'impresa vesaliana con il De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis, sarebbero rimasti fedeli al presupposto o preconcetto di un'entità finita da esplorare e far conoscere. Ma nella lunga durata dell'evo moderno, durante lo svolgersi della scuola anatomica patavina che qui era doveroso ricordare, un'età diversa era subentrata al Rinascimento: l'età del barocco, della moderna meccanica nonché, a pieno titolo, età dell'infinito. Una profonda osservazione del filosofo Hegel sul falso infinito deve renderci cauti nell'uso del concetto d'infinità. L'infinito vero è ciò che non ammette limiti per ragioni sostanziali: il Dio della teologia e l'assoluto della metafisica, nella loro virtuale coincidenza. Ogni altra infinità è arbitraria in radice, se ci riferiamo al concetto, o comporta l'uso improprio di un termine, se consideriamo la parola. Galilei avrebbe ribattuto a Hegel, se il tempo storico non li avesse separati, che "sopra i nomi" non vale la pena di sollevare troppe difficoltà: bisogna invece soffermarsi a chiarire i significati che le parole vogliono esprimere. Dell'infinito come lo concepivano i creatori, succeduti ai precorritori, della scienza moderna, ci parla B. Pascal, matematico sommo, assertore dell'intuizione oltre e sopra i traguardi dell'analisi. La sua è una vita senza confronti: da quando, bambino, partendo da poche definizioni ricrea il primo libro degli Elementi di Euclide, poi ragazzo costruisce la prima calcolatrice numerica, sedicenne scrive il capolavoro del Saggio sulle coniche (1640) avvicinato dai contemporanei ad Archimede, a quando, morente, chiede e non ottiene di essere portato all'ospizio dei poveri, perché vi presagisce la presenza del divino. L'infinito è un'idea fondamentale, una matrice della riflessione pascaliana, nel senso dell'illimitato accrescimento e dell'illimitata riduzione. In una pagina tra le più suggestive dei Pensieri - si tratta dei frammenti di un'Apologia della religione cristiana, mai pubblicata -, Pascal trasferisce la corporeità umana nella nuova prospettiva. Con il suo corpo l'uomo sta in mezzo a due infiniti, l'immensità e l'esiguità, che ne rendono problematica, con parola di Pascal, la "proporzione". A volerla ancora raffigurare in modo tradizionale, l'immensità è paragonabile a una sfera, il cui centro è dovunque mentre la circonferenza massima non sta in alcun luogo. E l'uomo si riduce a nulla finché l'altro infinito, l'infinité en petitesse, "l'infinità di piccolezza", gli restituisce realtà. Il corpo umano è grande rispetto a un moscerino, che pure ha sangue, vene, umori, articolazioni. Qualcuno, prosegue Pascal, pensa di arrivare all'esiguità indivisibile, l'atomo, che invece può essere a sua volta immaginato come pluralità di universi, ciascuno con un cielo, i pianeti, una terra e su di essa un altro moscerino infinitesimo. "Alla fine che cos'è l'uomo nella natura? Un nulla rispetto all'infinito, un tutto rispetto al nulla, qualcosa di mezzo tra nulla e tutto". Ma Pascal non si accorge che l'infinitamente piccolo e i suoi simboli - il moscerino, l'atomo e le immaginarie entità intratomiche - avrebbero costretto a ripensare il tutto relativo dell'uomo, cioè il corpo, se fossero stati collocati non fuori, ma dentro di esso. Il ragionamento minacciava di disintegrare l'unità intermedia, il tutto rappresentato dalla corporeità umana.
La duplice infinità, è lo stesso Pascal a notarlo, si ripercuote con effetti antitetici su tutta la natura: sui punti che cessano d'essere centri e su quelli che possono diventarlo, sulle dimensioni di cose che rispetto ad altre s'ingrandiscono o si riducono, su compagini che si frammentano e su aggregati che si costituiscono. L'involucro sferico dell'universo, che Copernico aveva considerato una necessità razionale, si dissolve nel dubbio, metodicamente fecondo, sul modo di verificarne l'esistenza: perché la circonferenza su un cerchio infinito è indistinguibile da una linea retta, e non si ravvisa un punto centrale che possa mettere in atto la sfericità del cosmo. Anche l'altra infinità è un cammino tutto da percorrere, sebbene il risorgente atomismo del filosofo greco Democrito valga a suggerire un limite nella frammentazione del reale. In tali circostanze, l'osservatore è sollecitato verso il fine concreto di superare il limite della percezione visiva, e vi riesce con l'uso delle 'lenticchie ottiche', poi chiamate lenti. Ma la loro combinazione e impiego nell''occhiale' e nell''occhialino', telescopio e microscopio, avvengono in base a regole ricavate dalla geometria, a principi di ragione. La teoria sollecita l'osservazione, ma resta vigile su ogni passo che si compie. Oggetti lontani si avvicinano e s'ingrandiscono: nel cielo si rivelano stelle mai prima vedute, trasformazioni insospettate, movimenti senza ritorno. Mentre i viventi di piccola dimensione mostrano parti e strutture sconosciute: Pascal aveva assimilato il moscerino a un universo, ma Galilei osserva con il microscopio la pulce, la zanzara, la tignola, scorgendovi strutture sconosciute e provando "infinita ammiratione". Il Copernico dell'età nuova è lui, Galileo Galilei, che assorbe l'eliocentrismo in una concezione della natura basata su un intreccio fecondo di razionalità ed esperienza, congettura e osservazione. Il galileiano Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632) prende atto della frattura che si è consumata fra i moderni e gli antichi, e nel titolo lascia supporre che il motivo vada ricercato, sebbene non sia così, nella sostituzione dell'eliocentrismo copernicano al geocentrismo tolemaico, con il corollario o la premessa dell'immensità cosmica. Provvederà il Galilei degli ultimi anni, cieco e prigioniero dell'Inquisizione che lo aveva condannato per l'affermazione del movimento terrestre e la negazione di un centro del mondo, a rettificare sé stesso passando dall'immensità all'infinitesimo, presente anche nella vita, e dedicandogli le analisi sottili dell'altro capolavoro: quei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, che raggiungono la libera Olanda ed escono, nel 1638, a Leida presso i tipografi Elzeviri.
Nella cornice che abbiamo delineata il problema del corpo non può non riproporsi, e l'ampliamento di quanto risulta ormai osservabile non è l'unico motivo che spinga in tal senso. L'età dell'infinito ha nell'astronomia il suo manifesto, si direbbe il suo momento ideologico, ma quel che ne rappresenta il frutto maturo e le sopravviverà è la scienza del moto, la meccanica. I 'luoghi naturali' verso cui si sarebbero mossi i corpi pesanti e leggeri non esistono: si richiede una diversa scienza del movimento, basata sulla complementarità di definizioni e relazioni. Ma le leggi meccaniche, malgrado ripetuti tentativi, non si possono correttamente scrivere come relazioni tra grandezze, senza annoverarne una prima trascurata, il tempo. Illimitato nei due sensi come lo spazio, il tempo diventa una dimensione inesplorata delle cose e del mondo. Gli organismi viventi sono pervasi di temporalità: nascono, muoiono ed esercitano funzioni continue o periodiche. Non stupisce che i successori secenteschi di Vesalio, W. Harvey e M. Malpighi, entrambi provetti anatomici e il primo formatosi al pari di Vesalio a Padova, nella cerchia del già citato Fabrici d'Acquapendente, passino dall'anatomia tradizionalmente intesa alla fisiologia e all'embriologia. Harvey, come Pascal, incarna e supera l'epoca nella quale vive. È un moderno che vuole osservare e sperimentare, ma senza pregiudizialmente rinunciare all'insegnamento degli antichi, in particolare alla filosofia aristotelica della natura. Invece Harvey chiude la partita con il galenismo, attraverso la scoperta della circolazione del sangue. Galeno riteneva che il sangue fosse prodotto dal fegato elaborando il chilo gastrointestinale, e fosse inviato al cuore e alla periferia del corpo per riparare le parti consunte degli organi: nel cuore il sangue acquisiva una specifica proprietà della vita, il calore, che diffondeva nell'organismo. Non è così: gli 'esaltatori del fegato' vengono smentiti dalla harveyana Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus (1628). Il sangue parte dal cuore e vi ritorna, arterie e vene comunicano attraverso i vasi capillari, e la circolazione è doppia, tra cuore e periferia corporea, cuore e polmoni. La moderna nozione di movimento, l'antica nozione di circolarità si congiungono simbolicamente nel modello harveyano della circolazione sanguigna. E si ripete, il connubio di antico e moderno, nell'altra opera di Harvey, le Exercitationes de generatione animalium (1651). Il campo di osservazione è l'uovo di pollo, le lenti aiutano a scrutarlo, e Harvey scopre che la matrice da cui s'inizia lo sviluppo è la cicatricola e non la calaza, come sostenuto dall'Acquapendente suo maestro. Ma il pollo in miniatura nell'uovo non c'è, e dunque nella formazione dell'individuo vivente si verifica qualcosa di "più grande e più divino" rispetto al semplice aggregarsi e accrescersi di parti materiali. Forse vi esercita un'influenza anche il sole, suppone Harvey, come mostrerebbe l'intensificarsi dei cicli generativi con il ritorno della primavera. "Il vostro grande Harvey", scriverà alla Royal Society Malpighi, antigalenista acerrimo, che invece crede nella presenza di antecedenti miniaturizzati delle parti dell'individuo adulto nell'uovo, e ne riferisce ai colleghi di Londra nell'ampia lettera De formatione pulli in ovo (1672). Con Malpighi può dirsi nata una nuova anatomia, microscopica, che non rinnega quella vesaliana, capace di rivivere nel secolo successivo in Morgagni, ma apre un'ampia prospettiva sulle parti piccole o minime di ogni vivente, animale o vegetale. Il polmone, la lingua, la corteccia celebrale, le papille tattili rivelano una nuova identità sotto la lente malpighiana, mentre G.A. Borelli osserva e descrive il rene. E si capisce che l'anatomia tenti finanche di cambiare la propria etimologia: M.A. Severino, nella Zootomia democritaea (1645), formula il programma della resolutio in indivisibilia, "risoluzione nelle parti indivisibili", e cerca di derivare il termine da ἀνὰ ἄτομα non più da ἀνὰ τομή: cammino scientifico verso le entità atomiche e non procedimento della dissezione. Anche se concepito alla maniera del filosofo antico e non del pensatore moderno, secondo Democrito e non secondo Pascal, l'atomo è entrato come limite virtuale nella corporeità. Atomista, per quell'esigenza ideologica che affianca la prassi scientifica, si dichiara Borelli, allievo indiretto di Galilei attraverso padre B. Castelli, autore di un De motu animalium che uscirà postumo nel 1680-81 e renderà indissolubile il legame tra fisiologia e meccanica. Più anziano di una generazione rispetto a Malpighi, Borelli ne influenza gli orientamenti durante gli anni del comune insegnamento nello Studio di Pisa. Ormai la compattezza del corpo è infranta, si rivelano strutturate le masse solide che lo costituiscono, i 'parenchimi', l'infinitesimo si è insinuato nella vita anche se un vago concetto di atomo ne arresta l'effetto dissolvitore. Come ricomporre l'unità della corporeità?Il nuovo secolo, il Settecento, avverte l'urgenza di provvedere e, a tal fine, deve chiamare in causa non l'osservazione, ma la ragione. All'età barocca è subentrato l'Illuminismo, una stagione della cultura europea, filosofica e scientifica, che nel programma di una razionalità globale e critica associa studiosi e politici, empiristi e assertori della conoscenza filosofica come Leibniz, Vico e Kant. Il merito di sollevare il problema del corpo umano appartiene a un medico, J. Offray de La Mettrie, allievo a Leida di H. Boerhaave - massima autorità della 'iatromeccanica' -, scienziato modesto, ma saggista di fama europea che Federico II di Prussia vuole nell'Accademia delle Scienze di Berlino. Nell'Uomo macchina (1747), da leggere insieme al precedente Trattato dell'anima (1745), si afferma che l'uomo è un insieme di parti tra loro connesse per assolvere funzioni determinate. Un congegno analogo all'orologio, prediletto dal secolo dei lumi prima che nasca la macchina a vapore. Anche Cartesio aveva sostenuto la stessa tesi, ma il suo tentativo di spiegare l'uomo (L'uomo, 1633) aveva urtato contro difficoltà gravi sul terreno dell'embriologia. Perché? Per l'insufficienza del concetto di natura ridotta a estensione, osserva La Mettrie. Più saggi erano stati gli antichi nell'attribuirle dinamismo e sensibilità. Proprio alla natura bisogna riferirsi - il caso non basta ed è eccessivo ricorrere a Dio - per chiarire quanto nel corpo umano, in particolare nel cervello, si manifesta come funzione e organizzazione. Dissente dalle impostazioni materialistiche e meccanicistiche il vitalismo con G.E. Stahl e i suoi epigoni, che attribuiscono a un 'archèo', fattore di natura psichica, la guida dell'organismo vivente. Fra non pochi equivoci, i vitalisti hanno almeno il merito di mettere in evidenza le caratteristiche dell'organismo vivente, capace di riparare le perdite e di ripristinare le sinergie.
La 'fabbrica' del corpo è riuscita comunque a trasformarsi nella 'macchina', senza contraddizioni, anzi mettendo in luce il collegamento unitario che già nell'anatomia vesaliana esisteva tra ossa, muscoli e articolazioni, costituenti l'apparato di locomozione. Il corpo di Vesalio, abbiamo già notato, è corpo che si muove, e motilità spontanea o riflessa è la vita. La dotazione funzionale è minima e affidata a due fattori: gli spiriti e il calore. I primi sono materia sottile, generati dalla fiamma priva di luce che arde nel cuore: una splendida immagine, dovuta a Cartesio. Gli spiriti disgregano la materia compatta, ed è la digestione; penetrano nei muscoli attraverso i nervi, ed è il movimento; trasmettono le affezioni del corpo all'anima, ed è la sensazione. Ma tra A. Haller e L. Spallanzani nasce una dimensione nuova della corporeità, che lo stesso Haller chiama 'fisiologia' dandone, da letterato e poeta qual era, una brillante definizione: animata anatome, descrizione di forme e strutture che svolgono specifiche attività. È imminente la ripresa della rivoluzione scientifica moderna in un territorio marginale, la chimica, che diventa primario per capire come siano fatte la natura inorganica e quella vivente. La 'rivoluzione chimica', così la chiama il suo protagonista, A.-L. Lavoisier, è contemporanea alla rivoluzione politica in Francia e altrettanto ricca di destino. Ai cinque elementi del cosmo aristotelico - aria, acqua, terra, fuoco, etere - se ne sostituiscono decine di altri: uno contenuto nell'aria, l'ossigeno, è attivo nelle combustioni e penetra nell'organismo vivente attraverso la respirazione. Tra gli Elementa physiologiae (1759-66) di Haller e il Trattato elementare di chimica di Lavoisier (1789) viene a stabilirsi un nesso d'integrazione e di capacità esplicativa, da cui scaturisce un più nitido profilo della vita e del suo posto sulla terra ma, in prospettiva, nell'universo. 'Biologia': il nuovo termine è coniato dall'anatomico e fisiologo G.R. Treviranus, in Biologia o filosofia della natura vivente (1802-22), per designare tutte le discipline scientifiche, ormai numerose, volte allo studio della vita e dei viventi. Mentre lo zoologo G. Cuvier, anche lui come Harvey un moderno alla scuola di Aristotele, fissa nel concetto di struttura quella correlazione delle parti - organi, apparati, sistemi - nell'unità dell'organismo, ch'era stata la preziosa conquista dei due secoli trascorsi dal rigoroso Vesalio al versatile, ma perspicace La Mettrie. Con Il regno animale (1815-17) di Cuvier giunge a perfezione l'anatomia comparata, il cosiddetto 'albero della vita', sulle orme di U. Aldrovandi, e secondo la mappa tracciata da C. Linneo: l'uomo con le caratteristiche del suo corpo vi occupa un posto definito e circoscritto all'interno dell'ordine dei Primati, interno a sua volta alla classe dei Mammiferi. La conoscenza del corpo umano come 'fabbrica' si completerà nell'Ottocento con alcune scoperte e osservazioni. Rilevante l'osservazione dell'ovocellula nei mammiferi, avvenuta nel 1826 per merito dell'embriologo K.E. Baer: maschio e femmina sono ormai paritetici nel contributo al processo fondamentale della generazione. Con A. Corti diviene noto l'organo ricettore degli stimoli uditivi, contenuto nell'orecchio interno. E nell'orecchio interno viene anche individuato da più autori l'organo dell'equilibrio posturale e dinamico. C. Golgi e S. Ramón y Cajal alla fine del secolo individuano la cellula nervosa, il neurone. È una simbolica pietra miliare, che segnala il termine vicino dell'itinerario vesaliano e malpighiano.
Ma nell'appropriarsi di tutto quanto ormai le compete, dal meraviglioso insieme di animali e vegetali ripartito in classi, ordini, generi, specie, varietà, alle specie chimiche inesistenti nella natura inorganica e sintetizzate dagli organismi, poi imitate dai laboratori, la biologia compie una di quelle diversioni che rendono affascinante la vicenda storica. Alla corporeità dell'uomo e, successivamente, dei viventi animali viene rivendicata la sensazione: dalla biologia, attraverso la fisiologia, nasce la psicofisiologia, che diventerà etologia specializzandosi nell'analisi degli istinti e dei comportamenti istintuali. Un poeta e naturalista, J.W. Goethe, con la Teoria dei colori (1808), e un fisiologo, J.P. Müller, con La fisiologia comparata del senso della vista nell'uomo e negli animali (1826), sono i protagonisti della svolta. Si apre una terza fase, biopsicologica, della rivoluzione scientifica moderna, mentre è in corso la seconda, chimico-fisica. Al postulato di Newton nella Nuova teoria sulla luce e i colori (1672), per cui "i colori sono qualità della luce", Goethe oppone l'asserto che "il colore è nell'occhio". E Müller traspone nella legge delle energie sensoriali specifiche la genesi e la dinamica di tutte le qualità attestate dai sensi. Il dato percettivo, per lo più sotto stimolazioni fisiche esterne - ma ci sono l'interno del corpo e la 'fantasia' -, si origina nelle strutture nervose, e, per un dato organo di senso, è sempre lo stesso, il colore per l'occhio, il suono per l'orecchio e così via, al variare dello stimolo. All'attività creativa della vita viene ad aggiungersi il sentire: un inserimento del corporeo nel mentale o, viceversa, del mentale nel corporeo, che parrebbe semplice e frammentario, e invece è tanto vasto e articolato, nell'uomo e negli animali, da configurarsi come una rete sconfinata. Un particolare orientamento della ricerca psicofisiologica, la psicofisica di G.Th. Fechner, senza negare la specificità soggettiva della sensazione, cercherà di ricollegarla con gli stimoli esterni al corpo secondo rapporti fissi tra aumento della stimolazione e incremento dell'intensità sensitiva. Ma il limite inerente al programma fechneriano è ovvio: non tutta l'attività sensoriale si origina dall'esterno del corpo. E con S. Freud, pur ammiratore del "grande Fechner", si tornerà alla scena soggettiva del sentire, dall'allucinazione del sogno all'angoscia delle psiconevrosi ossessive, dal delirio delle psicosi alla creazione artistica e alla genesi soggettiva dell'idea scientifica. Ha inizio la psicologia nel senso attuale, dinamico e non semplicemente descrittivo, del termine. La freudiana Interpretazione dei sogni (1900), all'esordio del nuovo secolo, ribadisce la funzione espressiva e significante acquistata dalla vita, in un ulteriore suo diversificarsi e atteggiarsi. Tra corporeità e vita, vita e natura, natura e realtà, tra ciò che ancora può considerarsi cartesianamente esteso e il pensiero, inesteso per essenza, è venuto a stabilirsi un nesso, anzi un plesso di rapporti, di cui il soggetto umano trova l'impronta in sé e tracce fuori, negli altri viventi. E termini che si implicano strettamente, diventano quasi sinonimi: vita sta per natura e corpo, natura per realtà e corporeità, pensiero, anzi mente e in seguito informazione, per tutto il resto, come suo versante interno e momento causale. Nel linguaggio scientifico e quotidiano sull'uomo e il suo mondo resta saldamente radicato il termine 'spirito', per il rinvio che contiene a un fondamento incondizionato, atemporale, creatore. Altri termini - anima, materia - nell'accennata area linguistica si offuscano, perché sembrano echeggiare una separatezza che non trova più riscontro nell'evidenza vissuta. Anche taluni comportamenti animali - la puntura paralizzatrice degli artropodi descritta da J.-H. Fabre, il linguaggio delle api studiato da K. Frisch, la nidificazione delle cinciallegre analizzata da W.H. Thorpe, i corteggiamenti illustrati negli uccelli da K. Lorenz -, con numerosi altri, stupefacenti e per ora inspiegati, attestano una sottile capacità rappresentativa ed emotiva.
Il paradigma etologico diventa il terreno privilegiato di arricchimenti osservativi, di ipotesi innovatrici e di contestazioni verso il persistente meccanicismo di origine cartesiana. I Ricordi entomologici di Fabre (1879-1907), non privi d'imprecisioni, ma affascinanti, affiancano la darwiniana Origine delle specie: gli autori si scrivono, antitrasformismo e trasformismo vengono a confronto. Subentrerà Lorenz con Il cosiddetto male (1963), una storia degl'istinti seduti al loro 'parlamento' nella psiche animale, aggressività accanto a fame, sesso e fuga. Nella forma di sociobiologia, con E.O. Wilson, l'etologia tenterà in anni recenti una nuova sintesi del proprio paradigma con l'ecologia, la genetica e la teoria dell'evoluzione, centrata sulle specie sociali, dal colonialismo dei microrganismi ai Primati superiori. Una sola è la conseguenza: l'acuirsi del problema tuttora aperto della corporeità vivente, la necessità che i tentativi di spiegazione partano da premesse rinnovate, rispetto al dualismo cartesiano di pensiero ed estensione.
Che cosa resta della macchina illuministica? A dirla con un romanziere aperto alla scienza, A. Koestler, nel Fantasma dentro la macchina (1967), si ha ormai l'impressione che essa nasconda una presenza sconosciuta. Ciò equivale a sollecitare la definizione di un altro modello, di un'altra analogia per il corpo: ma si stenta a trovarli. Alcune considerazioni di Freud nell'Interpretazione dei sogni assumono un valore illuminante: "Non è possibile spiegare il sogno come processo psichico, poiché spiegare significa ricondurre al noto, e attualmente non esiste alcuna conoscenza psicologica, alla quale poter subordinare ciò che all'analisi psicologica dei sogni si rivela come fondamento esplicativo". Freud si riferisce alla sua ipotesi interpretativa, per cui il sogno sarebbe un "appagamento del Wunsch", un "desiderio" connotato sessualmente. La riappropriazione della sessualità da parte dell'uomo e della donna del 20° secolo, fra comportamenti intenzionati ed esasperazioni fuorvianti, nate nella cerchia stessa di Freud - lo psicoanalista eterodosso W. Reich, arriva a proclamare La sessualità nel conflitto delle idee (1930) e La rivoluzione sessuale (1945) -; la riappropriazione della sessualità, dicevamo, prende le mosse dalla psicoanalisi, dal suo riuscito tentativo di decifrare il linguaggio del corpo nelle psiconevrosi, superando il paradigma neurologico. La paralisi isterica, osserva Freud, si verifica "come se l'anatomia del sistema nervoso non esistesse", e la sua causa è di natura sessuale. E tuttavia la libido, termine primitivo della sessuologia psicoanalitica, è un'entità psichica e non organica, e finisce con l'avvicinarsi all'Eros platonico nei Tre saggi sulla teoria della sessualità (1905), opera basilare nella prospettiva della corporeità. Causa somatica ed effetto psichico tornano ad allontanarsi, proprio quando accennavano a comporsi in una soddisfacente simmetria. Ma vi sono conseguenze positive: si distinguono e si correlano corporeità maschile e femminile, e un'opera come quella del sessuologo J. Money con A.A. Ehrhardt, Uomo e donna, ragazzo e ragazza (1972), è da ascrivere a un'assunzione di responsabilità che si rifiuta d'ignorare le premesse biopsicologiche della normalità e della devianza. Tornando al tema di fondo, anche K. Jaspers, psichiatra e poi filosofo, nella Psicopatologia generale (1913), dubita dell'Erklären, la possibilità di "spiegare" attraverso cause ciò che accade nel corpo in relazione allo scenario della mente. Ma, caduta la spiegazione causale, si apre un'altra strada, quella del Verstehen, del "comprendere" ciò che si è per immedesimazione e autodefinizione. E l'accennata impronta unitaria di realtà, natura, vita e mente l'uomo può viverla come sentimento della propria non fortuita esistenza, e verso il corpo come ammirazione e conoscenza, finalizzazione e simbolizzazione, rispetto e disciplina, sofferenza e speranza, ispirandosi a universale capacità di amore. Fino a raccogliere gli accenti profondi della prima lettera dell'apostolo Paolo ai cristiani di Corinto (15, 39-44): "Non ogni carne è la stessa [...] Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, e altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri. [...] Se infatti c'è un corpo dotato di psiche, c'è anche un corpo dotato di spirito": corpo da considerare non corruttibile e con il quale la persona può sperare d'identificarsi. Il Leib, il corpo intenzionalmente vissuto che la lingua tedesca distingue dal Körper, l'organismo anatomofisiologico, è orientato verso l'archetipo a cui rimanda il testo citato.
L'elemento unificante della macchina si è trasformato in un'entità diversa: per l'uomo, in un fattore animico capace di prossimità e intrinsecità al corpo. Dalla psicoanalisi rinascerà un paradigma più ristretto e più vicino all'originaria psicofisiologia: la psicosomatica, essenziale alla prassi medica. E la stessa psicologia animale sembra costretta a riproporsi i presupposti delle proprie ricerche, oltre i brillanti sviluppi, già accennati, di un'etologia rimasta comportamentistica. La psiche animale ha percezioni insospettate, e un saggio, Quando gli elefanti piangono (1995), dello psicoanalista J. Moussaieff Masson e S. McCarthy ribadisce la sollecitazione a un riflettere che non può considerarsi concluso.Frattanto la biologia intesa nel senso tradizionale ha subito profonde revisioni teoriche, tali da riflettersi sulla nozione della corporeità umana. Si comincia dalla teoria cellulare. Con le Ricerche microscopiche sulla concordanza nella struttura e nell'accrescimento di animali e piante (1839), Th. Schwann dimostra che i tessuti osservati e descritti da X. Bichat sono costituiti di entità, le cellule, ciascuna delle quali possiede le proprietà della vita: si nutre, si accresce e si riproduce. A questo punto il moscerino di Pascal ha preso stabile dimora nella fabbrica di Vesalio e nella macchina di La Mettrie, riproponendo il problema di un corpo fatto di parti capaci di vivere autonomamente e, alcune, di sopravvivere alla morte del tutto in cui erano inserite. R. Virchow aggiunge un'altra proprietà a quelle riconosciute da Schwann alle singole cellule: l'eccitabilità, ossia la proprietà di rispondere alle stimolazioni. Opera di rigoroso impianto, La patologia cellulare fondata sulla teoria fisiologica e patologica dei tessuti (1859) evita di attribuire facoltà sensoriali alle entità microscopiche della vita. Sono, Schwann e Virchow, allievi del Müller fondatore della psicofisiologia: e qualcosa del maestro è passato in loro. L'eccitabilità virchowiana è, infatti, qualcosa di più e di diverso rispetto all'irritabilità che Haller aveva scoperto nella fibra muscolare: le cellule reagiscono allo stimolo in modo specifico, come gli organi di senso in base alla citata legge delle energie sensoriali specifiche. L'organismo vivente, e il corpo umano ne costituisce un caso particolare, è ormai diventato non soltanto l'unità di una molteplicità vivente, ma anche un sistema di capacità funzionali. E il termine nuovo che il fisiologo C. Bernard sceglie per qualificare la vita e i viventi è 'proprietà'. Tante, innumerevoli proprietà: ed ecco entrare in crisi l'impostazione di La Mettrie, perché la macchina fa una cosa sola o, com'è più esatto dire in termini logici, una sola classe di cose. Meglio laboratorio, se mai: il laboratorio coordinato e finalizzato del corpo sano. Ma l'osservazione anche microscopica, il progresso dell'occhio e della mente verso le strutture minime della vita, non permette di spiegarne la funzionalità e la diversificazione. La vita è creazione, annota Bernard nell'Introduzione allo studio della medicina sperimentale (1865), e nei postumi Principi di medicina sperimentale (1947): testi fra i più profondi che la moderna scienza della vita abbia scritto su sé stessa. Si costruiranno ultramicroscopi e microscopi elettronici, si arriverà con altri metodi di osservazione alla struttura del protoplasma vivente e dei suoi derivati - s'intitola così un'opera di sintesi del biologo A. Frey-Wyssling, Morfologia submicroscopica del protoplasma e dei suoi derivati (1938) -, si riuscirà a fissare la forma elicoidale, duplice e capace di autoreplicazione, delle molecole portatrici dei caratteri ereditari. Con quest'ultima scoperta, dovuta nel 1953 a J.D. Watson e F.H. Crick, si considera nata la biologia molecolare. Ma rimarrà intatta la tesi di Bernard, per cui la vita è un fare che sopravanza l'essere nello spazio, ed è creatività che arriva a produrre l'individuo non come replica, ma come unicità innovativa. Individuo è anche la singola cellula, dopo Schwann e Virchow. E infatti le cellule dell'organismo, a eccezione delle irreversibilmente differenziate, possono sopravvivere alla sua morte in un ambiente artificiale, 'in vitro' dicono gli scienziati. La tecnica si perfeziona all'inizio del secolo, e uno dei suoi ideatori, A. Carrel, ne trarrà l'ispirazione per un saggio affascinante e fortunato, L'uomo, questo sconosciuto (1935). I trapianti d'organo, mirabile conquista sperimentale che produrrà stupendi atti di abnegazione, sono a questo punto diventati concepibili e possibili. E così la "saggezza", wisdom, che il fisiologo W.B. Cannon attribuisce al corpo (La saggezza del corpo, 1932), riferendosi alla capacità autoregolativa di talune funzioni dell'organismo, potrà essere riprodotta nei servomeccanismi di macchine costruite a imitazione dei sistemi viventi. La creazione e la creatività di Bernard rimarranno invece proprietà primarie, ontologiche della natura in quanto vivente.
Contemporanea alla teoria cellulare è la teoria dell'evoluzione. Alla sua base, dopo precorrimenti sagaci come in G.-L. Buffon, o fantasiosi da parte di J.-B. Lamarck, sta un'affascinante opera sulla natura vivente: Sull'origine delle specie per selezione naturale (1859) di Ch. Darwin. Ci sono, per Darwin, le "meravigliose leggi dell'evoluzione correlata degli organi" - vi aveva insistito di recente Cuvier -, ma ciò non impedisce che i viventi si trasformino: non soltanto gl'individui, le varietà, le razze, ma anche i raggruppamenti considerati immodificabili, perché esclusi dalla possibilità di reciproca fecondazione, le specie. Anche la specie umana è derivata da altre, scimmiesche, ape-like: lo sostiene lo stesso Darwin nell'Origine dell'uomo e la scelta in rapporto col sesso (1871). Ma quando si può parlare di uomo e di corpo umano? Ciò avrebbe poca importanza, osserva Darwin, perché si tratta di una transizione insensibile dal progenitore scimmiesco all'uomo come attualmente esiste. Le leggi e i fattori dell'ereditarietà biologica sono ancora ignorati: quando saranno conosciuti, attraverso la riscoperta nel nuovo secolo di ciò che negli anni di Darwin aveva già chiarito J.G. Mendel, si vedrà che i processi ereditari sono discontinui e che i caratteri acquisiti non sono trasmissibili alla discendenza. Possono invece trasmettersi le modificazioni, dette 'mutazioni', del materiale genetico, contenuto nel nucleo delle cellule, germinali e somatiche. La genetica, nuovo ramo della biologia nel senso di Treviranus - il termine viene coniato nel 1906 da W. Bateson -, collegandosi con la biologia molecolare giunge a scoprire il sistema ipercomplesso dei fattori che regolano l'eredità e la funzionalità dell'organismo: il genoma. Osservato attraverso i quarantasei cromosomi contenuti nel nucleo cellulare umano, il sistema pareva prestarsi a un gioco di carte - ricordiamo che la teoria dei giochi è uno dei settori avanzati della matematica odierna - nelle mani della natura, per mettere in atto il corpo dell'uomo. Ma i cromosomi si sono frammentati in un numero elevato di geni, da cinquanta a centomila, e i geni, costituiti di acido desossiribonucleico, a loro volta si sono suddivisi in circa tre miliardi di basi nucleotidiche. Il sistema entro il quale la macchina corporea potrebb'essersi evoluta, e di fatto si sviluppa e funziona, è quello che abbiamo delineato. Impossibile concepirlo senza un programma, senza ricondurre la molteplicità delle parti e dei rapporti che le uniscono a un ordine di priorità, successioni e simultaneità, attivazione e disattivazione nello spazio e nel tempo. Ma prima dell'ordinamento spaziotemporale, un programma presuppone un progetto: la determinazione di far essere qualcosa che non era. Caratteristiche di progetto complesso ha acquistato la vita, nella ricostruzione fattane da R. Dulbecco (Il progetto della vita, 1987). Restando uno sviluppo di lunga durata, aperto a sbocchi alternativi nonché a rischi d'interruzione ed errori di percorso, anche l'evoluzione delle specie viventi sembra implicare una mappa d'itinerari attraverso forme dotate di una preliminare possibilità di esistenza. Così è anche dell'evoluzione umana, un cammino nella storia della vita diretto a far esistere un organismo ipercomplesso, aperto al pensiero cosciente e al linguaggio.
Ho un corpo, sono il corpo: maniere opposte d'impostare il rapporto fra soggettività e corporeità. All'analisi risultano inaccettabili entrambe. Nelle forme che abbiamo accennate e in altre, il corpo s'insinua nel pensiero, nella volontà, nel sentimento, dove l'Io è portato a riconoscere la propria prerogativa. Il sogno, l'esaltazione, la depressione, l'allucinazione, ma già l'intonazione allegra o malinconica della nostra giornata, spesso inaccessibile alla coscienza nei motivi che la rendono tale, ricordano all'Io la sua non 'aseità', direbbe un filosofo medievale: il non essere per sé stesso e l'abitare in altro. E a sua volta l'Io penetra nella dimensione corporea. Ne plasma e corregge la forma; non si limita a usarla strumentalmente, ma v'innesta l'esigenza simbolica con la postura, l'andatura, la gestualità, la modulazione della voce; passa dalla crudità alla cottura e all'elaborazione dei cibi da ingerire; riveste il corpo in fogge espressive e allusive. Ma il corpo non riesce ad assorbire l'Io nello spazio in cui sta e nelle strutture che lo costituiscono. L'Io che pensa dichiara di poter superare spazio, tempo e circostanze: la sua aspirazione è la verità, un frammento di essa da trasporre in oggetto di ricerca e significato di parole. Come tutto ciò che esiste, anche il corpo si traspone in esigenza conoscitiva, problema e infine chiarificazione per la mente che l'indaga. Tolto il pensare, una domanda sulla corporeità non si porrebbe. Ma tolta la corporeità del soggetto che s'interroga - l'unico che finora a noi consti, l'uomo -, il pensare sarebbe un immediato intuire e non, com'è, un laborioso e talvolta penoso indagare.
Dobbiamo a un pensatore contemporaneo, E. Lévinas, un'indicazione acuta, imprevista: corpo dev'essere inteso non come sostantivo, ma come avverbio. Non corpo, dunque, ma corporeamente, in maniera corporea o nella situazione della corporeità. Quanto affermato da Lévinas in Totalità e infinito (1968) è stato riproposto in Scoprendo l'esistenza (1982), con un rapporto chiarificatore ad altra affermazione, del filosofo M. Heidegger: l'umanità dell'uomo non va intesa come sostantivo, ma come verbo. Il verbo, lo aveva notato Aristotele, a differenza del nome contiene, dice il tempo. Vista dalla prospettiva di Heidegger e Lévinas, l'esistenza si precisa come esistere. E l'Io esisto diventa Io esisto in forma di corpo. Ma ecco delinearsi una tensione che sfiora la contraddizione fra il pensiero dell'Io, che può affrancarsi dalla temporalità, e il corpo dell'Io, che ne è intriso dal nascere al morire. Ma si allontana, la contraddizione, di fronte all'evidenza del mio esistere come concreta sintesi di termini distinti, quelli prima indicati: la corporeità, il pensare, a cui possiamo sostituire la coscienza, cioè l'intensificata capacità di comprendere garantita dal saper di sapere. È una sintesi che non può derivare dal caso - torniamo alle opzioni del dissacrante La Mettrie: caso, natura, Dio -, perché il pensiero consapevole estromette da sé la casualità e la domina, circoscrivendola e definendola. La sintesi deve dipendere da un programma e da un progetto: l'abbiamo già accennato, come unica maniera di spiegare le sinergie e l'unità, nell'ipercomplessità che ci costituisce. E tuttavia noi siamo la conseguenza e non la causa della programmazione e della progettazione del soggetto umano. Spiegare i singoli passaggi all'interno della nostra struttura supera le attuali nostre possibilità, a meno di ridurre due fatti distinti che si succedono, il somatico e lo psichico, a uno, di solito il primo, considerando subordinato il secondo. Tra soma e psiche c'è, in particolare, un salto nello spazio concettuale della scienza: ignoriamo la genesi dell'allucinazione, del delirio, delle ecolalie schizofreniche, della depressione e dell'esaltazione maniacale. Qualcosa sappiamo dell'angoscia, emblema dell'esistere, dove i limiti della corporeità e del pensare si corrispondono e si sommano fino ad avvertire, secondo la definizione di Freud, un "distacco dalle potenze del destino". Per il resto, rimane insuperata la distinzione della psicopatologia jaspersiana tra 'processo', che ha radice nella storia psicofisica dell'individuo, e 'sviluppo', improvviso e inesplicabile. Riusciremo a varcare l'abisso? L. Binswanger, psichiatra fenomenologico, è fiducioso: la corporeità può chiarirsi e mostrarsi organizzata, mutandosi in rappresentazione e autocoscienza, in tentativi di riscatto del fallimento esistenziale (Tre forme di esistenza mancata. Esaltazione fissata, stramberia, manierismo, 1956). Anche la funzione e la diffusione che simbolo, simbolismo e simbologia assumono nel pensare soggettivo e nella cultura possono essere riferite alla scissione concettuale che si sostituisce a un'unità reale, che a sua volta fa valere il proprio diritto. È la chiave di lettura che la psicologia analitica di C.G. Jung usa nel suo lungo percorso attraverso la psicologia e la mitologia in Simboli della trasformazione (1912 e 1950). Ma qualcosa abbiamo ottenuto, nel cammino verso il corpo, e ne abbiamo qui raccolto tracce significative. Il corpo non ha assorbito la coscienza, e la coscienza non ha potuto rinnegare la corporeità. La domanda di Kant paradossalmente ci dà motivo di porre il problema del rapporto tra l'uomo e l'universo, divenuto con E.P. Hubble immensità sconfinata di galassie (Il regno delle nebulose, 1936). Il 'principio antropico', nel Mondo dentro il mondo (1988) di J.D. Barrow, è giunto a supporre che l'immensità di un cosmo in espansione derivi dalla sua età, e che l'età sia collegata con l'evoluzione chimica, premessa all'apparizione di Homo sapiens sapiens. La scienza non si oppone alla legittimità dell'interrogativo kantiano. Possiamo chiederci, dunque, con l'occhio volto alla nostra corporeità pensante, se ci sia e quale sia un senso della vita. Possiamo creare cultura e storia, e diffondere tanto più solidarietà e speranza, quanto più denso di contenuti e ricco di aperture è venuto manifestandosi il grumo di vita e di pensiero, rappresentato dall'umanità nello spaziotempo universale.
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