CORPORAZIONE
. Questa voce è usata in due accezioni completamente diverse. Secondo la prima, tradizionale, è un soggetto di diritto e obbligazioni patrimoniali (persona giuridica) costituito da un'associazione di uomini che intendono a un medesimo fine. Secondo l'altra accezione, propria del sistema sindacale italiano, corporazione è invece l'organo di collegamento fra i sindacati dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro.
La corporazione come persona giuridica.
Diritto. - Alla corporazione, nel senso di universitas personarum, si contrappone nel diritto privato la fondazione (v.), che è costituita da un complesso di beni (universitas rerum). Le corporazioni come persone giuridiche consentono il raggiungimento di scopi che né la breve durata della vita umana né l'energia di un singolo consentirebbero di raggiungere.
Quando si consideri che il normale soggetto di diritti è la persona fisica, s'intende come la prima applicazione del concetto di persona giuridica si sia fatta nel confronto della corporazione, di cui quei normali soggetti sono il substrato. Ne deriva che la teoria romana della persona giuridica è una teoria della corporazione. La personalità giuridica delle corporazioni s'inizia all'epoca imperiale e trova completa applicazione nell'estensione a tutte le corporazioni, fatta da Giustiniano, della possibilità d'essere istituite eredi, ch'era un privilegio soltanto di alcune. La duplice caratteristica della corporazione è bene espressa nel Digesto (III, 4, Quod cuiuscumque, 7,1 e 2): si quid universitati debetur singulis non debetur, nec quod debet universitas singuli debent; in decurionibus vel aliis universitatibus nihil refert, utrum omnes iidem maneant vel omnes mutati sint.
La Glossa considera la corporazione come l'insieme degli associati, disconosce cioè la persona giuridica. Il concetto di fondazione è un portato del cristianesimo e della mentalità spirituale, capace di astrazioni, che gli si accompagna.
La distinzione fra fondazione e corporazione non è facile per le forme limite. L'analogia fra i due concetti è condotta all'estremo dalla teoria individualistica della persona giuridica (Jhering) per la quale i varî soggetti sono, anche nelle fondazioni, delle persone fisiche: i destinatarî dei benefici che arreca l'ente. Cosi gli ospedali son considerati collegi di malati, i ricoveri di mendicanti collegi di poveri. La distinzione qui si riduce al dominio dell'amministrazione. Allo stesso estremo ravvicinamento taluno (Enneccerus, Behrend) giunge per altra via, estendendo a tutte le persone giuridiche il concetto d'istituzione, vale a dire considerando personalizzato lo scopo giuridico, e gli associati servi di questo scopo. Ma anche prescindendo da queste concezioni, la difficoltà della distinzione permane, perché l'elemento patrimoniale si accompagna al personale e non è agevole il dire quando l'uno prevalga sull'altro. Spesso il medesimo ente è passato dalla forma corporatizia a quella di fondazione o d'istituzione (p. es., le università che erano in origine delle corporazioni di studenti). Una delle principali differenze consiste nell'essere la corporazione un organismo internamente animato che si regge con volontà propria mentre la fondazione è retta dall'esterno per la volontà del fondatore. Alla sede della volontà corrisponde quella dell'interesse, che per le corporazioni risiede negli associati. Essi decidono dell'esistenza e dell'attività della corporazione. Nelle istituzioni e fondazioni le persone fisiche che le amministrano sono invece organi serventi lo scopo per cui quelle furono fondate. Dove amministrazione e interesse non si raccolgono negli stessi soggetti sorgono quelle forme ibride, di confine, fra corporazioni e istituzioni, che rendono difficile il distinguerle. Ciò avviene quando la funzione delle corporazioni trascende gl'interessi dei singoli consociati, e dove l'istituzione è amministrata da un gruppo d'individui eletto dagl'interessati. Esempî della prima forma abbiamo negli ordini dei medici, della seconda, nelle mutue fra impiegati. Ciò attesta generalmente un processo di evoluzione recente, e tuttora spesso incompiuto, come per le casse di risparmio.
La distinzione fra corporazioni pubbliche e private appare ancor più ardua. Essa non corrisponde alla linea di separazione fra diritto pubblico e privato, perché le corporazioni di natura pubblicistica, pur essendo regolate dal diritto pubblico, hanno capacità privata di diritto patrimoniale. Non è vero invece l'inverso: le corporazioni di diritto privato mancano di capacità pubblica. E questo è un primo carattere distintivo. Forse fra i varî criterî di distinzione adottati dalle diverse teorie, meno fallace è quello che riguarda il modo di costituzione della corporazione, se sia statale o privato (Enneccerus, Crome, von Thur). Altre teorie ravvisano la distinzione nell'aver le corporazioni pubbliche lo ius imperii (Ferrara), nell'aver diritti di potestà pubblica verso i terzi (Jellinek), nel godimento da parte di esse di privilegi. Certamente erronea è la teoria che ricorre al criterio dello scopo, perché spesso lo stato abbandona ai privati la persecuzione di scopi di pubblica utilità; né di molto si migliora con l'aggiunta che l'adempimento dello scopo debba essere obbligatorio (Rosin).
Le corporazioni si formano naturalmente, per volontà dello stato e per volontà privata. Alla prima forma appartengono lo stato e i comuni; alla seconda le corporazioni che lo stato istituisce per legge (collegi dei notari; ordini dei sanitarî); alla terza le corporazioni chiamate in vita da un accordo fra privati. Tale accordo è un atto collettivo e complesso in cui si raccolgono in fascio più volontà parallele miranti al medesimo fine. Con l'atto di costituzione si accompagna di solito la redazione dello statuto che della corporazione disciplina l'ordinamento costituzionale.
La corporazione per essere persona giuridica deve possedere un patrimonio, senza di che non potrebbe concepirsi soggetto di diritto patrimoniale. La capacità, come dicemmo, patrimoniale, almeno prevalentemente, presuppone piena responsabilità contrattuale ed extra-contrattuale, esclusa quella penale, difficilmente concepibile senza una persona fisica. Lo scopo può essere di varia indole: ideale o economico, religioso o laico, transitorio o permanente. Naturalmente dev'essere lecito.
Per il diritto romano i membri devono essere almeno tre, quanti bastano a prendere una deliberazione a maggioranza, ma, costituita che sia, la corporazione persiste anche con un solo socio. La qualità di membro può derivare dall'iscrizione nominale nell'albo o dal fatto d'essere portatore di un titolo cui è incorporata. Il criterio di ammissione può esser vario: d'età, di sesso, di culto, di territorio. Può riposare su una situazione di fatto, o derivare da una richiesta di ammissione del soggetto, cui corrisponde la dichiarazione di ammissione da parte dell'ente. L'appartenenza può risultare obbligatoriamente, per volontà di legge, da un determinato stato del soggetto. La perdita di questa qualità avviene, salvo il caso dell'espulsione contro la quale può ricorrersi alle ordinarie vie giudiziarie, di solito nello stesso modo dell'acquisto. La collettività può essere o no limitata a un numero chiuso d'individui.
La corporazione si amministra attraverso i suoi organi. Essi sono: l'assemblea generale, in cui la volontà dei singoli si fonde nella volontà collettiva dell'ente, sovrana nei rapporti interni; l'ufficio di amministrazione, a capo del quale sta un presidente che esercita internamente la propria autorità, agisce esternamente quale rappresentante dell'ente; gli organi di vigilanza. In diritto romano le corporazioni acquistavano personalità giuridica naturalmente, senza intervento diretto dello stato. Nel diritto moderno è sempre necessario l'intervento dello stato nella forma del riconoscimento.
Molto discussa è la natura del riconoscimento e ad esso attribuiscono diverso valore i sostenitori delle diverse teorie della personalità giuridica. Per alcuni ha carattere dichiarativo, per altri confermativo, per altri ancora creativo. Si dice riconoscimento congenito quello delle corporazioni create dallo stato che per il fatto stesso di crearle le riconosce. Il riconoscimento successivo può esser dato in forma generale e per atto speciale. In forma generale quando, come avviene per le società di mutuo soccorso (legge 15 aprile 1866) e per le società commerciali (art. 82 segg. cod. di commercio), lo stato dichiara di riconoscere tutte le corporazioni che abbiano una data conformazione. La constatazione della conformazione prescritta, fatta caso per caso dall'organo amministrativo (consorzî), o dall'organo giudiziario, conferisce la personalità giuridica alla singola corporazione. Il riconoscimento è dato per atto speciale, quando avviene da parte del potere esecutivo con decreto reale. A base di quest'ultimo riconoscimento sta un'indagine di convenienza che esula naturalmente dal primo. Tra le associazioni mancanti di riconoscimento vanno distinte quelle cui manca la coesione necessaria a costituire il substrato corporatizio, e che non possono dirsi corporazioni in senso privatistico, da quelle cui manca semplicemente il riconoscimento da parte dello stato, che cioè sarebbero persone giuridiche per il diritto romano. Perciò l'espressione corporazioni non deve indurre confusioni con le forme di aggregati sociali, quali le compagnie medievali di artisti, di monaci (v. ordini religiosi; congregazione) e le forme corporatizie italiane (v. sotto). Il che naturalmente non esclude che esse possano, quando raggiungano la coesione necessaria, diventar persone giuridiche, cioè corporazioni nel senso di diritto privato.
Alle associazioni non riconosciute si è concessa nel passato una capacità ora più ora meno limitata; né più sicura è la loro sorte nell'attuale ordinamento giuridico italiano. Costruite come un contratto di associazione nella loro struttura, considerate come rappresentanza dei singoli consociati da parte di ognuno di essi nella loro amministrazione, si muovono fra le infinite difficoltà nascenti da una contraddizione fra lo stato di fatto e quello giuridico. Difficoltà sensibili specialmente nei rapporti con i terzi, non vincolati dalle volontà private che diedero vita al contratto d'associazione.
L'estinzione delle corporazioni può avvenire per la scomparsa del substrato corporatizio, se i membri scompaiono, e si discute se una speranza di rinascita basti a mantener viva la personalità dell'ente. La situazione che si verifica quando un sol membro rimane a far parte della corporazione, è, nel diritto attuale, oggetto di controversia. Inoltre, l'estinzione può avvenire per scioglimento volontario o imposto, per fusione, per mancanza dello scopo perché raggiunto o irraggiungibile o illecito.
Bibl.: Heise, Grundriss eines Systems des gem. Civilrechts; F.D. de Savigny, Sistema del diritto romano attuale, trad. di V. Scialoia, II, Torino 1887, p. 85 segg.; O. Gierke, Die Genossenschaftstheorie und die deutsche Rechtsprechung, Berlino 1887; G. Giorgi, La dottrina delle persone giuridiche, Firenze 1895-1900; F. Ruffini, La classificazione delle persone giuridiche, Torino 1898; v. Thur, Allg. Theil des bürgerl. Rechts, I, Lipsia 1910, p. 452; R. Saleilles, La personnalité juridique, Parigi 1910; G. Bonelli, La teoria della persona giuridica, Milano 1910; F. Ferrara, Teoria delle persone giuridiche, Napoli 1915; id., Trattato di diritto civile italiano, I, Roma p. 597; L. Enneccerus, Lehrbuch des bürgerl. Rechts, I, 7ª ed., Marburgo 1920, p. 96; R. Jhering, Geist. d. röm. Rechts, III, 7ª ed. Lipsia 1924.
Storia del diritto. - Corporazioni (corpora, collegia), sono per il diritto romano le unioni di persone legate, con vincolo volontario, per la comunanza delle funzioni o della professione.
Fin dalle età più remote di Roma, vediamo designate col titolo di collegia le unioni dei sacerdoti a fine di culto, e si ha ricordo dei collegi dei pontefici, degli auguri, dei feziali, dei luperci, degli arvali, dei salî, delle vestali, le quali conducevano vita comune; e subito, con lo stesso titolo, vediamo designate anche le unioni di coloro che esercitavano talune pubbliche funzioni (collegia apparitorum). Secondo la testimonianza di Plutarco (Numas, c. 17), fin dall'età regia sarebbe stato riconosciuto carattere ufficiale a taluni collegia opificum, ossia alle unioni di persone esercitanti lo stesso mestiere (falegnami, stavigliai, cuoiai, calzolai, tintori, calderai, orefici e suonatori di flauto), i quali costituirono le prime corporazioni delle arti (v. arti).
Accanto a queste forme, che erano legate più o meno direttadi mente a pubbliche funzioni, troviamo anche il ricordo frequente di unioni conviviali (sodalitates, fratriae), come unioni libere di buoni camerati, che ebbero larga diffusione in Roma e nelle città antiche e che degenerarono più tardi finché, ai tempi di Silla e di Cesare, furono sciolte e proibite.
Tra queste varie specie di unioni di persone, la maggiore importanza era tenuta dai collegi degli artigiani, che avevano varî scopi di tutela del lavoro e di reciproca assistenza. A somiglianza di queste, anche fuori dal quadro degli esercenti uno stesso mestiere, si formano società con fini economici (funeraticii), o di soccorso (collegia tenuiorum) o con fini finanziarî, e tra queste ultime furono famose le societates publicanorum, formate da coloro che prendevano in appalto la riscossione delle entrate dello stato, lo sfruttamento dei suoi terreni, l'esecuzione dei lavori pubblici, ecc.
Tutte queste varie associazioni, sorte in base al regime di libertà dell'età repubblicana, formarono un vasto tessuto di persone giuridiche, più o meno autorizzate, che furono tutte in grado di godere del diritto delle corporazioni. Ma, poiché molte di queste associazioni degenerarono in circoli politici, travolti nei dissidî dei partiti, una lex Iulia di Cesare o di Augusto (Sueton., Caes., c. 42; Oct., c. 34) intervenne con una proibizione d'ordine generale, la quale non lasciò sussistere che una parte delle antiche associazioni: le corporazioni artigiane, i collegi sacerdotali e le società dei publicani, e subordinò a un' autorizzazione preventiva la creazione di associazioni nuove. Così nell'età imperiale, accanto alle corporazioni artigiane tradizionali, si costituirono, con la maggiore varietà, altri collegi di artefici e di mercanti, come i calzolai (caligarii), i mercanti di vino (collegium vinariorum), di legumi (lupinariorum), ecc.
Tutti questi corpi ebbero una costituzione interna abbastanza simile: i proprî capi (defensores, priores), i proprî patroni, i proprî statuti (statuta, capitula); una cassa comune (arca), e anche una giurisdizione interna, che era esercitata dai capi delle corporazioni.
Nello sviluppo dell'età imperiale, questa rete di associazioni, dipendenti sempre più strettamente dallo stato, si estese anche in tutte le città del mondo greco-romano, che intanto avevano avuto una simile evoluzione. Allora lo stato, divenuto sempre più vasto e più complesso, assoggettò al suo controllo diretto o indiretto la larga rete delle associazioni di mestiere, e si ebbe così un sistema corporativo, che organizzò tutte le forze del lavoro e che servì ad assicurare gli approvvigionamenti a Roma, a Costantinopoli e alle altre citta imperiali, oltreché ad assicurare la continuità dell'esercizio dei mestieri necessarî alla vita delle città e alla resistenza delle forme economiche. Si entrò così, dai tempi di Diocleziano, nell'età dell'organizzazione coattiva del lavoro, delle industrie e dei traffici, per cui l'Impero si sforzò di fronteggiare la profonda crisi economica che, dal sec. III, travolse il mondo romano. I capi delle corporazioni furono fatti responsabili del buon andamento dell'arte, tutti gli affiliati furono tenuti a un vincolo verso la corporazione, e le forze economiche furono indirizzate al fine del benessere comune, mentre la crisi imperversava più profonda e i barbari urgevano ai confini dell'Impero.
Si ebbero così tre gruppi di corporazioni, a seconda che si trovavano in una dipendenza più o meno diretta dallo stato. Anzitutto si ebbero le corporazioni costituite presso le grandi manifatture tenute dallo stato in regime di monopolio o di quasi monopolio; ossia le saline, le miniere (fodinae, metallarii), la monetazione (monetarii), le oreficerie (aurarii, argentarii), le tessiture di stato (gyneciarii, textrini), le tintorie, le fabbriche d'armi. Tutte queste manifatture, dirette da funzionarî e da capi officine, avevano per operai schiavi affrancati e uomini liberi, tenuti stabilmente al mestiere e molti segnati con ferro rovente.
In secondo luogo, vi erano talune professioni, giudicate necessarie ai servizî o all'alimentazione delle città, ossia all'annona, nel senso più largo della parola (v. annona). Le leggi, contenute nel Codice Teodosiano (XIV, 2-6), si riferiscono principalmente alle città regie, Roma e Costantinopoli; ma è da presumere che una disciplina abbastanza simile si costituisse, sotto la vigilanza dei municipî, anche nelle altre città. Queste professioni costituivano taluni corpi, reputati indispensabili; e particolarmente: i pistores, che, sotto la vigilanza dello stato e con le prestazioni pubbliche dei grani, fornivano il pane, a prezzo ordinario, ridotto o gratuito; i boarii, suarii, pecuarii, che fornivano le carni; i nautae o navicularii, che provvedevano al trasporto dei grani e del bestiame, insieme coi caudicarii, che erano tenuti ai trasporti fluviali da Ostia a Roma, i saccarî, che provvedevano a scaricare e portare il grano nei porti e via via. A queste corporazioni necessarie si apparteneva per origine (successione necessaria nei mestieri), per adlectio, fatta dalla corporazione, o per nominatio, fatta dalle autorità competenti; e anche per pena, in seguito a certe condanne giudiziarie. Bisogna però avvertire che tutti costoro, in virtù dell'appartenenza alla corporazione, di fronte ai carichi, godevano anche di taluni privilegi, e in particolare avevano un'organizzazione riconosciuta dallo stato, sotto la direzione di patroni, con sostanze proprie (Cod. Theod., XIV, 2; XIV, 4, g) e con autorità di creare decreti nell'interesse delle corporazioni (Cod. Theod., XIII, 6,1).
Finalmente vi erano altri artigiani, che esercitavano mestieri non assolutamente necessarî alle esigenze primarie della vita e che, in passato, erano stati ritenuti liberi. Ormai anche questi artigiani erano organizzati in corporazioni, soggette alla vigilanza dei corpi pubblici, con forme obbligatorie quasi simili: anche per esse venivano emanate leggi, con cui lo stato si sforzava di trattenere un aggregato civile, che, di fronte alle minacce esterne e sotto la pressione della crisi perdurante, minacciava di disciogliersi. Entravano in questo novero tutte le varie categorie dei mestieri, rapidamente cresciuti nello sviluppo delle forme civili: i costruttori o fabbri" (fabri, ferrarii), i falegnami (tignarii), i fabbricanti di scale (scalarii), i lanieri (fullones), i drappieri (centonarii), e via via, oltreché gli osti e i navicellai. In queste categorie, entrano anche talune professioni liberali: i medici e i veterinarî.
Tutte queste corporazioni avevano un'organizzazione abbastanza simile. I membri di esse si dicevano corporati o collegiati; avevano proprî amministratori, per lo più eletti nell'assemblea (actores, syndici, curatores), tra i quali meritano menzione speciale i tesorieri (quaestores). Attesa la durata della carica, questi amministratori si dicevano anche quinquennales. Le corporazioni avevano un'arca communis, che attesta la continuità e la stabilità del rapp0rto fra un gruppo di persone, e che dà luogo a un'entità risultante dal complesso dei singoli e pur da essi distinta.
Ma, mentre si perfezionavano così il concetto e le forme della corporazione, il mondo romano era travolto nella decadenza e nella rovina, e venivano meno le condizioni necessarie al fiorire di queste forme associative. I collegiati cercavano di uscire dai vincoli della corporazione, divenuti troppo pesanti; si sforzavano di sfuggire agli oneri, rinunciando anche ai privilegi; si mettevano in fuga. Lo stato interveniva con rigorose proibizioni e con gravi pene; ma non poteva impedire la dissoluzione (Cod. Theod., XIV, 2 segg.).
Quando i barbari si fissarono nelle città romane, molte delle antiche corporazioni dovettero andare disperse o disciolte. D'altra parte, anche nelle città rimaste o ritornate sotto il dominio romano, dovettero venir meno le condizioni per la vita delle corporazioni. Tuttavia, ai tempi di Gregorio I v'era a Napoli una corporazione di saponai (Greg. I, Epist., IX, 113), e a Roma un'ars tinctorum (Greg. I, Dial., IV, 54); mentre in Roma e in Ravenna, anche in tempi più tardi, dall'antica corporazione si svolge la schola, che stringe in un vincolo unitario, con proprî capi (capitularii), con propria sede, con proprio statuto, con propria cassa, tutti coloro che esercitano un determinato mestiere (schola piscatorum di Ravenna; schola hortolanorum di Roma e via via); e a Piacenza, a Pavia, a Verona si ha traccia di organizzazioni di navicularii, di pescatori, di pistores, di corarii, di monetarii, che continuano ancora le forme antiche di dipendenza verso la corte regia e verso il conte o il vescovo, succeduti nelle funzioni di sorveglianza degli antichi municipî dell'età romana.
Da alcune disposizioni dell'editto longobardo sembra anche che sussistesse un vincolo tra gli esercenti delle arti edificative (magistri comacini), che, nel Medioevo, raccolsero l'eredità della sapienza costruttrice dell'età antica; e che i saponai di Piacenza, ancora nel sec. VIII, fossero tenuti a un tributo verso la pubblica autorità, il quale era un avanzo dell'organizzazione romana.
La scarsità dei documenti dell'alto Medioevo non consente forse di riconoscere una serie più ampia di queste testimonianze; ma sta di fatto che, nel sec. XII, noi troviamo ancora, nelle città italiane e francesi e altrove, gli avanzi delle antiche arti, fornai, navicellai, cuoiai, saponai, monetieri, tuttora in vincolo di dipendenza diretta dal re, dal conte o dal vescovo, nelle forme dei ministeria o mestieri, e quindi in quella posizione di subordinazione dagli enti pubblici, che caratterizza le corporazioni dell'ultima età imperiale.
Ma ormai uno spirito nuovo penetra nella vita del Medioevo. Gli ardimenti delle città marittime italiane, le crociate, i comuni sorgenti hanno dato ai rapporti civili un nuovo impeto: gli scambî sono moltiplicati, le istituzioni protettive del commercio hanno aumentato la loro forza; ritornano più attivamente le merci raffinate dell'Oriente sui mercati dell'Europa occidentale e il lavoro riprende tutta la sua forza. Come già nell'età antica, anche nella nuova, i mercanti, i lavoratori, i professionisti cercano nell'associazione i sussidî della difesa comune e dell'aiuto reciproco, e sorgono le nuove corporazioni. In esse si aggiunge un senso nuovo, quello della fede, che distingue le corporazioni medievali dalle antiche; le nuove associazioni si pongono sotto la tutela di un santo, hanno tra i loro fini principalissimo quello delle preghiere in comune, dei suffragi per i defunti, degli accompagnamenti funebri e delle sepolture; ma, insieme, come nelle antiche corporazioni, si vuole dare aiuto reciproco agli affiliati, tutelare il prodotto, garantire la condizione giuridica degl'iscritti con la conquista e la difesa degl'interessi comuni e dei privilegi. Nelle nuove corporazioni alita uno spirito di libertà e di conquista, che gli avanzi delle antiche non potevano recare e che era suggerito dal principio di autonomia, che nelle città aveva dato vita ai comuni e che nelle classi sospinge alla creazione delle molteplici forme di corporazioni: consorterie nobiliari, corporazioni mercantili e professionali, corporazioni artigiane, che solcano in mille modi il quadro variato della vita delle città medievali. Sarebbe difficile, pertanto, garantire la continuîtà delle antiche forme e la loro diretta innervazione nelle forme dell'età medievale; ma, d'altra parte, si può sicuramente asserire che la tradizione corporativa, ereditata dall'età romana, non è rimasta senza influenza nella formazione delle nuove corporazioni del Medioevo (v. anche comune).
È noto che il nuovo movimento dell'autonomia, da cui sbocciano tutte le corporazioni del Medioevo, abbraccia tutto l'occidente (v. arti). Mentre in Italia si formano le unioni dei mercanti e dei professionisti (compagnie, mercadantia, societas mercatorum, collegia notariorum, ecc.) o le fratellanze artigiane (fratalea e "fraglie", paratica, ministeria, artes, officia), sorgono in Francia le confraternitates o confréries tra i mercanti e gli artigiani e i collegia dei professionisti; si formano in Inghilterra le corporazioni religiose, mercantili e artigiane, che si dissero "gilde" o guilds, non meno che nella Svezia e nei Paesi Bassi; si moltiplicano in Germania le associazioni giurate, che si dissero Innungen, Gilden, Zünften, non altrimenti che i gremios della Spagna e della Sardegna. E già in Sicilia, in connessione con l'antica tradizione, continuata dagli Arabi, si trovano le maestranze artigiane (magisteria, ministeria), che si moltiplicano poi nelle città libere, già avanti la conquista normanna.
Si ha così una vasta e potente fioritura di associazioni, che trasformano il tessuto della nuova società medievale, sospingendola verso arditi e sicuri progressi. E da queste associazioni varie e multiformi, tutte più o meno fondate sull'antica tradizione, sul nuovo spirito religioso cristiano, sul vincolo protettivo e cavalleresco della società germanica, ravvivate ora dal nuovo impeto della vita medievale, pronta agli ardimenti e ricca di fascino, si compone e si perfeziona la nuova corporazione del Medioevo.
Tra questi elementi formatori, dev'essere indicata la confraternita (v.), che, uscita dallo spirito religioso del Medioevo, rientra nella vasta categoria delle corporazioni. D'altra parte, conviene anche non dimenticare un altro impulso, venuto dalle classi gentilizie, legate alle istituzioni feudali della società germanica, con la creazione delle società delle torri, dette consorterie o unioni nobiliari. Col moltiplicarsi delle linee di discendenza, in cui svanivano quasi i vincoli parentali, si veniva sostituendo un'associazione volontaria di difesa, che si legava a un castello gentilizio, e più spesso alle torri nobiliari in città. Si formava così una società gentilizia, che prendeva il nome di turris, domus,consortium o consorteria, in cui si possono riconoscere tutti gli estremi della corporazione: un vincolo associativo volontario, una proprietà comune, un'assemblea deliberante, qualche capo direttivo liberamente eletto (consul, rector, capitaneus), una norma comune dettata nello statuto (statutum, capitula). A Pisa, nel 1088, veniva emanata una legge, che imponeva un limite all'altezza delle torri; e questa legge mostra già in pieno sviluppo anche questa forma associativa. Nel sec. XII, le consorterie nobiliari sono frequentissime in Italia, nelle campagne e nelle città, e sono dotate di privilegi imperiali, hanno proprî statuti, vantano una precisa organizzazione interna. E ad esse si contrappongono, specialmente nelle città, le compagnie d'armi, costituite dal popolo, contro le prepotenze dei signori; compagnie, che hanno anch'esse statuti e regole interne, e che possono essere rassegnate tra le nuove forme corporative del Medioevo. Tanto le consorterie nobiliari, quanto le compagnie d'armi, oltre le proprietà comuni, esercitano anche il diritto di patronato su una chiesa o cappella, istituita a cure sociali, la quale induce, in queste associazioni, i freni e le virtù del sentimento religioso.
Così non possiamo meravigliarci che, col nuovo impulso dato ai commerci, anche le classi mercantili si stringano in cerchi associativi, che prendono rapidamente le forme della corporazione. Già nell'età longobarda, i mercanti (mercatores, negotiatores) avevano guadagnato una posizione privilegiata, ed erano stati chiamati da Astolfo, secondo una divisione in tre categorie (maiores, sequentes, minores), al servizio militare (Ed. Ahist., c. 3). I mercanti di Venezia e di Comacchio, designati anche come milites e già riconosciuti da Liutprando, avevano guadagnato posizione di privilegio, nelle piazze commerciali dell'Italia e dell'estero; i mercanti di Pavia avevano ottenuto dagl'imperatori un diploma di protezione, per cui dovevano essere liberi da ogni tributo in certi mercati e dovevano essere privilegiati nelle persone e negli averi. Quando si formò il comune, anche i mercanti dovettero sentire l'esigenza di stringersi in vincoli più saldi, per la difesa dei comuni interessi e per l'esecuzione dei compiti ad essi affidati: cura delle strade, costruzione e tenuta dei navigli, vigilanza sui pesi e sulle misure. Occorreva, per tutto ciò, una disciplina interna, una proprietà comune, capi responsabili, un'organizzazione precisa. Sorgono così nelle città le associazioni mercantili, che formarono il paraticum mercatorum, detto anche mercadantia e più tardi universitas mercatorum. Fin dal principio del sec. XII, l'organizzazione mercantile è costituita a Genova, a Pavia, a Milano, a Piacenza, a Roma; e questa organizzazione ha i proprî capi (consules, priores), ha una assemblea, ha una casa comune (domus mercatorum, mercadantia), ha uno statuto, una cassa propria, diretta da un camerarius o massarius. Essa guadagna una posizione importante nell'amministrazione del comune, fino a tenervi talora la prevalenza, come avviene a Genova, a Rouen, a Bruges. Coi progressi del concetto della persona giuridica, la corporazione dei mercanti prese la figura di universitas, di collegium, di corpus: la sua evoluzione era completa. Ebbe proprî statuti, distinti da quelli del comune; talvolta, come negli statuti milanesi, lo speciale statuto dei mercanti entrò a far parte dello statuto generale del comune. Sopratttto essa ebbe una propria giurisdizione, sviluppando così il tribunale speciale della classe, che divenne poi il tribunale speciale delle materie commerciali (v. camera di commercio). Nelle città marittime, si ebbe la corporazione dei mercanti del mare, con la speciale giurisdizione marittima (p. es., la Tabula amalphitana; v. amalfi).
Intanto si erano formati nelle città i collegi delle professioni liberali: giudici, notai, medici. Già dal sec. X, col prevalere delle consuetudini locali, si era formata nelle città un speciale categoria di iudices civitatis, particolarmente esperti nel diritto cittadino. Forse questi giudici, preparati dalle scuole giuridiche locali, frequenti nelle nostre città (v. università), avevano formato già un corpo, con una propria disciplina. Sul principio del sec. XII, col fiorire delle nuove scuole giuridiche, troviamo ricordati i collegi dei giudici, con una propria organizzazione corporativa, non soltanto come ars iudicum, ma anche come universitas e collegium. Così dovettero sorgere le arti e i collegi dei notai e dei medici, allargando sempre più la sfera delle forme corporative.
Finalmente, con perfetta contemporaneità con queste forme, sorsero le corporazioni artigiane (v. arti). Si deve ricordare che alcune di queste arti avevano conservato taluni dei vincoli della tradizione romana, rivelati dall'uso di collocarsi in determinate contrade della città (la via degli Spadari in Milano è documentata da un atto del sec. X, e questo ci fa presumere l'esistenza fin d'allora delle vie degli speronarii, degli armorarii; e per tutte le città sono attestate vie distinte per molta parte dei mestieri e delle arti); dalla dipendenza verso il conte o verso il vescovo, cancellata soltanto lentamente per la progressiva prevalenza del comune; dalla denominazione di ars, di schola, di fraternitas, che troviamo anche nell'età antica. Ma dal sec. XII tutte le arti, nella minuta frantumazione del Medioevo, sono attestate per la maggior parte delle città; e ognuna di esse svolge i diritti della corporazione. Si può ricordare una distinzione tra la condizione giuridica delle corporazioni artigiane di taluni stati monarchici o repubblicani forti, come i regni di Francia o di Borgogna, di Catalogna o di Valenza, o la repubblica veneta, dove le arti furono tenute in diretta dipendenza dai pubblici poteri (giustizia, giustizieri), da quella che fu propria delle corporazioni d'arte nei comuni a sistema democratico, come Milano, Firenze, Pisa, Perugia, dove queste arti riuscirono a guadagnare una posizione di privilegio e talvolta a superare il comune.
Anche le corporazioni artigiane acquistano i caratteri della persona giuridica: hanno proprî capi (priores, consules, rectores e anche gastaldiones, decani, massarii); hanno un proprio statuto, un proprio patrimonio, una propria chiesa.
Ma col sec. XIV s'inizia la decadenza del sistema corporativo. L'eccessiva partecipazione alla vita politica propria delle arti persuage i signori, i principi, i re, a limitare i privilegi e la forza delle corporazioni, onde queste divennero semplici organismi di regolamento industriale e commerciale, senza poteri politici e con limitata giurisdizione. In queste condizioni vissero in Italia i collegi delle professioni e le corporazioni d'arte nell'età delle signorie e delle preponderanze straniere. Si riproduce il fenomeno dell'ultima età imperiale romana: le arti si moltiplicano con la specializzazione dei mestieri, ma perdono quasi ogni influenza politica. Gli statuti sono sottoposti all'approvazione del principe, che può anche modificarli e annullarli. Le funzioni della corporazione si limitano al regolamento delle professioni e delle arti e alla difesa industriale e commerciale.
Nei secoli XVI e XVII, la decadenza si accentua: mentre l'aumento della popolazione e il progresso tecnico esigerebbero una rinnovazione delle forme ormai decrepite delle corporazioni, queste invece resistono, negli antichi quadri, e sono causa d'inceppamento e d'impedimento allo sviluppo delle arti. Una posizione privilegiata e una funzione più attiva conservano i grandi collegi dei mercanti, dei giudici, dei notai, dei medici, che il favore del principe assicura e premia, considerandoli come un sussidio al trono; ma le corporazioni delle arti e dei mestieri non sono che depositarie di vincoli e di privilegi ormai odiosi. La vita dei traffici e delle industrie, che aveva esteso a tutti i mari e a tutti i continenti le sue manifestazioni, si trovava impedita dalle prerogative e dalle tradizioni, che le corporazioni vantavano. Si muove così, prima nella letteratura, poi nelle riforme pratiche, quella battaglia contro le corporazioni, che è tra i più caratteristici movimenti del sec. XVIII.
Cadono così le numerose corporazioni ecclesiastiche e tutte le corporazioni artigiane; ma non vengono meno l'idea e la forma corporativa, che restano affidate ai collegi professionali, generalmente rispettati; alle università degli studî; a talune corporazioni religiose, in molti luoghi conservate; oltreché a forme varie di unioni di persone, per cui si ammette la legittimità, le quali continuano il movimento delle corporazioni.
La proibizione della costituzione corporativa riguarda, più che altro, il campo del lavoro industriale, in cui si proibiscono le unioni degli artigiani e degli operai, come coalizioni contrarie al principio della libertà del lavoro. Il sistema industriale moderno si fonda quindi su nuovi principî, che a quello si legano. Ma l'esigenza delle unioni dei datori di lavoro e dei lavoratori dà vita in Inghilterra, quasi subito, alle associazioni di lavoro, che son vive già nel 1836, nel movimento politico del cartismo (v.).
Bibl.: T. Mommsen, De collegiis et sodalitiis Romanorum, Kiel 1843; J.P. Waltzing, Études historiques sur les corporations professionnelles chez les Romains, Lovanio 1895 seg., voll. 4; E. Ziebharth, Das griechische Vereinswesen, Lipsia 1896; F. Poland, Geschichte d. griechischen Vereinswesens, Lipsia 1909; G. Giorgi, La dottrina delle persone giuridiche o corpi morali, Firenze 1897, voll. 6; G. Gozzadini, Le torri gentilizie di Bologna, Bologna 1875; A. Alberti, Le corporazioni d'arti e mestieri e la libertà del commercio, Milano 1891; A. Gaudenzi, Statuti delle società del popolo, Roma 1896, voll. 2; G. Arias, Sistema della costituzione economica e sociale dei comuni italiani, Torino 1905; F. Ferrara, Le persone giuridiche, Napoli 1912; E. Verga, La Camera dei mercanti di Milano, Milano 1914; L. Simeoni, Gli antichi statuti delle arti veronesi, Venezia 1914; G. Martin Saint-Léon, Histoire des corp. des métiers, 2ª ed., Parigi 1920; R. Ciasca, L'arte d. medici e d. speziali nella storia e nel commercio fiorentino, Firenze 1926; G. Gandi, Le corp. dell'antica Firenze, Firenze 1929; F. Valsecchi, Le corporazioni nell'organ. polit. del Medioevo, Milano 1931.
Corporazioni di mestiere musulmane. - Lo scarsissimo sviluppo dell'artigianato nell'Arabia preislamica (salvo forse il Yemen), dove anzi alcuni mestieri, quali l'oreficeria e la lavorazione d'oggetti di metallo, erano in mano di non Arabi, ci assicura che le corporazioni di mestiere, diffusissime in tutto il mondo musulmano, non furono un portato degli Arabi conquistatori; i quali, del resto, nel sec. I dell'ègira (VII d. C.) apparvero nel mondo non arabo esclusivamente sotto la veste di uomini di stato, di funzionarî e di guerrieri. D'altro canto tracce sicure di un ordinamento corporativo si hanno, p. es., anche nella città d'al-Qairawān (nella moderna Tunisia), nell'anno 155 èg. (772 d. C.). Quindi, contro il von Kremer (Culturgeschichte des Orients unter den Chalifen, II, Vienna 1877, pp. 186-187), che vi vede un riflesso della trasformazione della società araba basata sull'ordinamento per tribù in altro tipo sociale, e il Massignon che, senza prove e anacronisticamente, collega il sorgere delle corporazioni musulmane di mestiere con il movimento eretico dei Carmati (v.) nei secoli IX-X d. C., il Nallino pensa che in origine le suddette corporazioni siano state formate appena si ebbero numerosi artigiani e professionisti di razza non araba convertiti all'islamismo, i quali non facevano se non trasportare nel nuovo ambiente musulmano l'ordinamento corporativo fiorentissimo in tutte le provincie strappate all'impero bizantino (Palestina, Siria, Egitto, Africa settentrionale) e probabilmente anche in quelle tolte all'impero dei Sassanidi (Mesopotamia, Persia) per le quali ci mancano informazioni. Il modo con cui l'islamismo concepisce i rapporti fra i musulmani e i non musulmani impediva la formazione di corporazioni interconfessionali; d'altro canto il precetto coranico inculcante a ogni credente di vegliare a che altri compia il bene e non commetta il male (precetto che sta alla base di varie importantissime istituzioni pubbliche) dovette contribuire fortemente a dare ai capi delle corporazioni ampî poteri disciplinari e di sorveglianza anche nel campo della condotta privata. La corporazione assume quindi anche un aspetto religioso e morale: cosicchè non fa meraviglia che con il diffondersi del sūfismo (v.) e delle associazioni fra religiose e cavalleresche che vanno sotto il nome di futuwwah, cerimonie simboliche siano state stabilite anche nel seno delle corporazioni di mestiere nelle parti orientali del mondo musulmano e in Egitto per il passaggio dell'apprendista a operaio e dell'operaio a maestro, e che in quelle regioni le singole corporazioni siano state poste sotto il patronato spirituale di compagni di Maometto o d'altri antichi venerati personaggi.
La corporazione è chiamata ṭā'ifah (Egitto, Turchia), ṣinf (Siria, Persia), ḥirfah (Siria, Tunisia, Algeria), eṣnāf (Turchia), ḥanṭah (al plur. hanātī, Marocco); il suo capo è detto shaikh (Egitto, Siria ecc.), mukhtār (Egitto), amīn (Africa settentrionale), kehayā (Turchia). Il capo è designato dalla corporazione, ma in varî paesi, come in Tunisia e nel Marocco, deve ricevere la sanzione dell'autorità governativa (per l'Egitto nell'età dei Fāṭimiti e degli Ayyūbidi v. i diplomi conservati da al-Qalqashandī, X, pp. 360-361 e 401-404). LaTunisia negli anni 1863-1913 ha emanato una serie di regolamenti beilicali sulle corporazioni di mestiere.
L'europeizzamento dell'Egitto ha ivi ridotto di molto dopo il 1880 circa, anzi ha fatto quasi completamente sparire la vita corporativa: in altri paesi, dal 1917, si manifesta qualche tendenza a sostituire la vecchia corporazione con il sindacato comunista affiliato alla III Internazionale.
Bibl.: Mancano lavori d'insieme, tranne gli articoli di L. Massignon in Encicl. dell'Islām (ed. fr., IV, pp. 254-55 e 445-56). Per alcuni lati del sistema corporativo considerato dal punto di vista religioso: H. Thorning, Beiträge zur Kenntnis des islam. Vereinswesens, Berlino 1913 (Türkische Bibliothek, XVI); I. Goldziher, Abhandlungen zur arab. Philologie, II, Leida 1899, LXXVI-LXXXIX (sui patroni). Per singoli paesi: A. Atger, Les corporations tunisiennes, Parigi 1909; M.-S. Mzali, L'évolution économique de la Tunisie, Tunisi 1921, pp. 75-80; G. Martin, Les bazars du Caire et les petits métiers arabes, Parigi 1910 (pp. 586-676 del suo Cours d'économie politique tenuto nell'Università Egiziana); M. Gavrilov, Les corps de métiers en Asie Centrale, in Revue des études islamiques, Parigi 1928, pp. 209-230; E. Qoudsî, Notice sur les corporations de Damas (in arabo), in Actes du 6e Congrès int. des orientalistes, Leida 1885, II, pp. 1-34; L. Massignon, Enquête sur les corporations musulmanes d'artisans et de commerçants au Maroc, in Revue du monde musulman, LVIII, Parigi 1924 (tutto il volume); H. Schurtz, Türkische Bazare und Zünfte, in Zeits. für Sozialwissens., 1903, fasc. 2°; L. Massignon, Annuaire du monde musulman, III, Parigi 1930, passim.
Le corporazioni nel sistema sindacale italiano.
Le più notevoli fonti legislative del sistema sindacale-corporativo italiano sono costituite dalla legge 3 aprile 1926, n. 563, sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro e dalle relative norme di attuazione, contenute nel r. decreto 1 luglio 1926, n. 1130. A questi due testi fondamentali, numerosi altri ne sono seguiti, tra i quali ci limitiamo a citare il r. decr. 26 febbraio 1928, n. 471, contenente le norme per la decisione delle controversie individuali del lavoro; il r. decr. 29 marzo 1928, n. 1003, sulla disciplina nazionale della domanda e dell'offerta di lavoro, integrato da successive disposizioni, il quale prevede l'istituzione di uffici pubblici per il collocamento gratuito della mano d'opera; il r. decr. 6 maggio 1928, n. 1251, contenente norme per il deposito e la pubblicazione dei contratti collettivi di lavoro; e, infine, l'importantissima legge costituzionale del 20 marzo 1930, n. 206, riguardante la riforma del Consiglio nazionale delle corporazioni, e le relative norme di attuazione emanate con r. decr. 12 maggio 1930, n. 908. Tralasciamo le numerose disposizioni relative alle funzioni del Ministero delle corporazioni e alla sua riorganizzazione in seguito all'assorbimento di parte dei servizî già dipendenti dal soppresso Ministero dell'economia nazionale. Accanto alle dette fonti legislative, occorre menzionare la Carta del lavoro (v.) che, pur non avendo natura legislativa, costituisce lo statuto politico-giuridico dei produttori nella società nazionale italiana.
Il sistema sindacale s'incardina sui seguenti capisaldi: 1. riconoscimento legale delle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei prestatori d'opera e attribuzione a esse d'una competenza di diritto pubblico; 2. disciplina giuridica dei contratti collettivi di lavoro; 3. magistratura del lavoro; 4. divieto di sciopero e serrata.
L'organizzazione professionale o sindacale è libera: ciò deve intendersi nel senso che la facoltà di promuovere il legale riconoscimento di un'associazione professionale per qualsiasi attività economica può svolgersi in condizioni di perfetta libertà.
Il divieto d'associazione è stabilito solo per alcune categorie di dipendenti dello stato e di enti pubblici e principalmente per coloro che appartengono ai corpi armati; mentre per le altre categorie dei dipendenti medesimi sono previste speciali associazioni, dette autorizzate. Lo stato e gli enti medesimi sono, parimente, sottratti al sistema sindacale.
Soltanto il sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello stato rappresenta tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori per cui è costituito, ne tutela, di fronte allo stato e alle altre associazioni professionali, gl'interessi, stipula contratti collettivi di lavoro obbligatorî per tutti gli appartenenti alla categoria, impone loro contributi ed esercita, rispetto a essi, funzioni delegate d'interesse pubblico. Le altre associazioni lecite, prive di riconoscimento giuridico, cioè le cosiddette associazioni di fatto, non possono esercitare alcuna di tali funzioni e operano nella sfera del diritto comune, con le restrizioni da questo stabilite.
Le associazioni sindacali di datori di lavoro e di lavoratori, intellettuali e manuali, possono ottenere il riconoscimento legale, quando dimostrino l'esistenza delle seguenti condizioni: a) se si tratta di associazioni di datori di lavoro, che gli aderenti impieghino almeno il decimo dei lavoratori dipendenti da imprese della specie per cui esse sono costituite; o, se si tratta di associazioni di lavoratori, che gli aderenti rappresentino almeno il decimo dei lavoratori della categoria per cui esse sono costituite; b) che, oltre gli scopi di tutela degl'interessi economici dei loro soci, si propongano e perseguano effettivamente scopi di assistenza, d'istruzione e di educazione morale e nazionale dei medesimi; c) che i loro dirigenti diano garanzia di capacità, di moralità e di sicura fede nazionale. Lo statuto deve, inoltre, stabilire l'organizzazione interna del sindacato che deve avere i tre seguenti organi: il presidente o segretario responsabile; il consiglio direttivo da eleggersi, in ogni caso, dal corpo sociale; l'organo disciplinare, agli effetti delle norme disciplinari che lo statuto medesimo deve contenere.
Il riconoscimento giuridico - che avviene mediante decreto reale, insieme con l'approvazione degli statuti - attribuisce alle associazioni sindacali la personalità giuridica e la rappresentanza legale di tutti i datori di lavoro o lavoratori per cui esse sono costituite, vi siano o non vi siano inscritti, nell'ambito della circoscrizione territoriale dove operano.
Il carattere politico e pubblicistico si rivela specialmente in tale rappresentanza legale, a esse attribuita, di tutta la categoria professionale, indipendentemente dal fatto volontario dell'inscrizione. Gli articoli 5 e 10 della legge 3 aprile 1926 hanno reciso per sempre il nodo gordiano dell'estensione rappresentativa del sindacato e dei limiti dell'efficacia obbligatoria dei contratti colletavi di lavoro - intorno ai quali tuttora si affannano la legislazione e la dottrina negli altrì paesi - rendendo necessaria la rappresentanza sindacale non in . virtù della volontà dell'individuo, ma di una sua determinata condizione giuridica.
La competenza di diritto pubblico dei sindacati implica una funzione normativa e una potestà tributaria. La prima si esplica col "regolamento collettivo" dei rapporti di lavoro, di cui appresso si dirà e che delle associazioni sindacali costituisce il principale obiettivo istituzionale. La potestà d'imporre un contributo obbligatorio annuo a tutti i rappresentati, siano o non siano inscritti, è rigidamente determinata dalla legge, per quel che riguarda la misura e le modalità dei contributi, i quali devono essere commisurati, per i datori di lavoro, alla retribuzione di una giornata di lavoro per ogni lavoratore impiegato, e, per i lavoratori, alla retribuzione di una giornata di lavoro; per la loro riscossione si applicano le norme vigenti per la riscossione delle imposte comunali. Speciali disposizioni legislative limitano altresì la facoltà dei sindacati d'imporre contributi facoltativi ai proprî soci.
Dal punto di vista della loro ampiezza territoriale, le associazioni sindacali possono essere nazionali, interregionali, regionali, provinciali, circondariali e comunali.
Poiché tutto l'ordinamento dei poteri ha, nello stato corporativo fascista, carattere gerarchico, anche le associazioni sindacali vengono disposte, attraverso un'organizzazione, per così dire verticale, in varî gradi successivi di formazione. Si possono perciò distinguere: associazioni di primo grado o unitarie, costituite per una categoria professionale omogenea; associazioni di grado superiore o composte (federazioni e confederazioni) risultanti dalla unione di più associazioni di grado inferiore. Le confederazioni nazionali corrispondono ai principalissimi rami della produzione. La legge prevedeva, altresì, la possibilità di due confederazioni generali, rispettivamente per tutte le associazioni di datori di lavoro e per tutte le associazioni di lavoratori; ma, all'atto pratico, esse non sono state costituite.
Presentemente esistono dodici confederazioni nazionali corrispondenti alle grandi ramificazioni dell'attività economica (agricoltura, industria, commercio, banche, trasporti marittimi e aerei, trasporti terrestri e navigazione interna): sei inquadrano tutte le associazioni di datori di lavoro e sei tutte le associazioni di lavoratori, appartenenti rispettivamente ai detti rami di produzione. Una tredicesima confederazione inquadra le associazioni di coloro che esercitano una libera professione o un'arte.
Particolari federazioni nazionali inquadrano agli effetti sindacali, le associazioni d'imprese cooperative, mentre le associazioni medesime aderiscono all'Ente nazionale della cooperazione per quel che riguarda il coordinamento, lo sviluppo e il progresso dell'attività cooperativa. Le associazioni dei lavoratori artigiani sono inquadrate in una federazione nazionale autonoma aderente alla Confederazione nazionale dei datori di lavoro dell'industria.
Le funzioni delle associazioni sindacali legalmente riconosciute sono correlative ai loro fini istituzionali e ai poteri che la legge attribuisce loro. Esse assicurano l'uguaglianza giuridica fra datori di lavoro e lavoratori, mantengono la disciplina del lavoro e della produzione e ne promuovono il perfezionamento; perseguono scopi di tutela degl'interessi economici, nonché di assistenza, d'istruzione e d'educazione morale e nazionale dei propri soci. Accanto a tali finalità e funzioni generali ed essenziali stabilite dalla legge, ciascuna associazione persegue quelle finalità ed esplica quelle funzioni particolari e specifiche che il suo statuto determina.
Le associazioni sindacali nell'esercizio delle funzioni loro attribuite sono sottoposte al controllo statale che si esplica nelle ordinarie forme della vigilanza e della tutela ed è affidato al Ministero delle corporazioni se si tratta di associazioni che operano in due o più provincie, ai prefetti se si tratta di associazioni che operano nell'ambito di una sola provincia. Le funzioni di controllo sulle associazioni di grado inferiore possono peraltro venire delegate alle associazioni di grado superiore, da cui dipendono.
Gli organi di controllo approvano i bilanci delle associazioni, i quali, ove si tratta di confederazioni nazionali, vengono presentati al Parlamento in allegato al bilancio del Fondo speciale delle corporazioni, costituito presso il ministero. L'organo di controllo può, inoltre, ordinare il compimento degli atti cui le associazioni sono tenute per legge e che abbiano omesso di compiere. Gli atti compiuti illegalmente possono essere annullati su denuncia o d'ufficio. Il ministro per le Corporazioni può, in taluni casi, sciogliere i consigli direttivi delle associazioni, per un tempo non superiore a un anno, concentrandone i poteri nel presidente 0 nel segretario o affidandoli a un suo commissario. Con decreto reale, può, infine, nei casi più gravi, essere disposta la revoca del riconoscimento giuridico.
La funzione normativa delle associazioni sindacali si esplica principalmente nel contratto collettivo di lavoro. Questo è l'accordo stipulato tra due associazioni sindacali legalmente riconosciute, l'una di datori e l'altra di prestatori d'opera, e approvato dallo stato, per regolare i rapporti di lavoro intercedenti tra i singoli individui da esse rappresentati.
Il contratto collettivo è caratterizzato dalla qualità dei soggetti che non sono più i singoli, ma le associazioni che li rappresentano. Esso ha, come la norma giuridica, i caratteri della generalità e dell'astrattezza, in quanto si riferisce a una serie indefinita d'individui e ad una serie indefinita di rapporti, o, più precisamente, a soggetti e a rapporti individuati, in via astratta, dalle categorie cui sono pertinenti.
I contratti collettivi di lavoro, regolarmente depositati e pubblicati a norma di legge, hanno effetto rispetto a tutti i datori di lavoro e a tutti i lavoratori a cui si riferiscono e che le associazioni stipulanti rappresentano. L'organo competente a ricevere il deposito e a disporre la pubblicazione dei contratti collettivi, dopo averne accertato la validità di forma e di sostanza, è il Ministero delle corporazioni per i contratti aventi efficacia per un territorio più ampio della provincia, il prefetto per i contratti provinciali: nel primo caso, essi vengono pubblicati nella Gazzetta ufficiale del Regno, nel secondo caso, nel Foglio degli annunzi legali della provincia.
I contratti individuali di lavoro stipulati dai singoli datori di lavoro e lavoratori, soggetti al contratto collettivo, devono uniformarsi alle disposizioni contenute in quest'ultimo. I datori di lavoro e i prestatori d'opera che non osservino le norme stabilite dai contratti collettivi, cui sono soggetti, incorrono anzitutto in sanzioni penali e inoltre rispondono civilmente della loro inadempienza, nei confronti di entrambe le associazioni le quali hanno stipulato il contratto.
Le associazioni stesse rispondono dei danni: per l'inadempimento degli obblighi eventualmente assunti in proprio nel contratto collettivo; per l'inadempimento da parte dei loro rappresentati, per omessa o insufficiente vigilanza; per l'inadempimento da parte degli stessi rappresentati e nella qualità di fideiussori solidali, se ciò sia stato convenuto espressamente nel contratto. La legge prescrive al riguardo che almeno il decimo del provento dei contributi sindacali deve essere annualmente prelevato e devoluto a costituire un fondo patrimoniale destinato a garantire le dette obbligazioni.
I contratti collettivi possono tacitamente rinnovarsi, salvo denuncia espressa da parte di una delle associazioni interessate, e di essi si può chiedere la revisione alla Magistratura del lavoro, allorché si sia verificato un notevole mutamento dello stato di fatto esistente al momento della stipulazione.
La disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro è completata dalla Magistratura del lavoro, istituto particolarmente originale della legislazione fascista, e che supera di gran lunga tutte le forme di arbitrato, facoltativo o obbligatorio, introdotte negli altri paesi per la soluzione dei conflitti del lavoro.
L'opportunità di affidare a un organo che offrisse le maggiori garanzie d'imparzialità e d'indipendenza la soluzione delle vertenze collettive del lavoro ha indotto il nostro legislatore a non costituire una giurisdizione speciale, ma a deferire le controversie medesime a una speciale sezione della Corte di appello, funzionante come Magistratura del lavoro. La quale è costituita da tre magistrati cui sono aggregati, di volta in volta, due cittadini esperti nei problemi della produzione e del lavoro e giudica secondo equità, contemperando gl'interessi dei datori di lavoro con quelli dei lavoratori e tutelando, in ogni caso, gl'interessi superiori della produzione nazionale.
La competeriza della Magistratura del lavoro è costituita da tutte le controversie relative alla disciplina dei rapporti collettivi del lavoro, che concernono sia l'applicazione dei contratti collettivi esistenti (controversie giuridiche), sia la richiesta di nuove condizioni di lavoro (cosiddette controversie economiche). Le controversie individuali del lavoro, cioè quelle che sorgono tra i singoli soggetti dei contratti individuali del lavoro, sono invece demandate, nei limiti della rispettiva competenza per valore, ai pretori e ai tribunali, assistiti da due cittadini esperti. Tutte le giurisdizioni anteriori speciali in materia di lavoro sono state soppresse.
Dall'istituzione della magistratura del lavoro è logicamente derivata la repressione dell'autodifesa delle singole categorie di datori di lavoro e lavoratori. Lo sciopero e la serrata sono colpiti come reati dalla legge, che prevede per essi sanzioni penali di carattere pecuniario, più gravi per i datori di lavoro, meno gravi per i prestatori d'opera. È prevista, altresì, una pena restrittiva della libertà personale per i capi, promotori e organizzatori di tali manifestazioni illecite, mentre sanzioni ancora più gravi sono comminate per lo sciopero da parte dei dipendenti di servizî pubblici o di pubblica necessità e per lo sciopero di carattere politico.
Proprie funzioni, sia nel campo dei rapporti di lavoro, sia nell'ordine economico, sono poi attribuite dalla legge alle corporazioni che collegano, mediante una gerarchia comune, le organizzazioni sindacali dei varî fattori della produzione, datori di lavoro, lavoratori intellettuali e manuali, per un determinato ramo della produzione o per una o più determinate categorie d'imprese.
Tali organi centrali di collegamento possono, innanzi tutto, previo accordo con le rappresentanze dei datori di lavoro e dei lavoratori formulare norme generali sulle condizioni di lavoro nelle imprese a cui si riferiscono. Hanno, inoltre, facoltà: a) di conciliare le controversie che possono sorgere tra gli enti collegati; b) di promuovere, incoraggiare e sussidiare tutte le iniziative intese a coordinare e meglio organizzare la produzione; c) di regolare il tirocinio o garzonato, emanando a tale scopo norme obbligatorie e vigilando sulla loro osservanza. Alle norme emanate dagli organi corporativi - come alle sentenze contenenti la formulazione delle condizioni di lavoro - si applicano tutte le disposizioni sui contratti collettivi di lavoro.
Le corporazioni non sono associazioni, sibbene consigli, cioè commissioni nelle quali le rappresentanze dei sindacati sono chiamate a collaborare per l'organizzazione e la disciplina dell'economia nazionale, al fine d'un più completo coordinamento delle rispettive competenze.
La legge stabilisce che la corporazione non ha personalità giuridica e costituisce un organo dell'amministrazione dello stato.
All'apice dell'ordinamento sindacale e corporativo, il quale costituisce una materia costituzionale a termini della legge 9 dicembre 1928, n. 2690, risiede il Consiglio nazionale delle corporazioni che dalla legge 20 marzo 1930, n. 206, è stato trasformato da organo consultivo del Ministero delle corporazioni in organo costituzionale, rappresentativo e normativo dello stato. Sono organi del Consiglio: le sezioni e le sottosezioni, corrispondenti ai grandi rami della produzione e della libera attività professionale e artistica (professioni libere ed arti, industria e artigianato, agricoltura, commercio, trasporti terrestri e navigazione interna, trasporti marittimi e aerei, banche); le Commissioni speciali permanenti, eventualmente istituite per la trattazione di singole materie di carattere generale e d'ordine prevalentemente tecnico; l'Assemblea generale, costituita dal complesso delle sezioni e sottosezioni e chiamata a deliberare sulle questioni che interessano l'intero ordinamento sindacale e corporativo e nei casi tassativamente prescritti dalla legge; il Comitato corporativo centrale, avente il compito di coordinare l'attività del consiglio, di sostituire, nell'intervallo delle sue riunioni, l'assemblea generale per tutte le deliberazioni di urgenza, eccetto alcune di particolare importanza, e di dare, infine, pareri sulle questioni riflettenti gli ordinamenti politici dell'azione sindacale rispetto ai problemi nazionali della produzione e ai fini morali dell'ordinamento corporativo.
Il Consiglio è presieduto dal Capo del governo o, per sua delega, dal ministro per le Corporazioni. Si compone di rappresentanti delle associazioni sindacali legalmente riconosciute e delle altre organizzazioni ed associazioni indicate dalla legge, da esse designati, e inoltre di membri di diritto, indicati dalla legge stessa, a cagione della loro funzione. Con decreto reale su proposta del Capo del governo è riconosciuta e può essere revocata la qualità di membro. I membri devono prestare giuramento. Il direttore generale delle corporazioni è il segretario generale del Consiglio.
Le funzioni del Consiglio sono di un duplice ordine: consultivo e normativo. Sotto il primo aspetto, il Consiglio dà il suo parere - per alcune materie obbligatorio, per altre facoltativo - circa l'attività legislativa dello stato nel campo sindacale e corporativo, l'organizzazione dell'ordinamento sindacale e corporativo e il suo funzionamento concreto, i ricorsi amministrativi in materia sindacale, e infine circa gli orientamenti politici del sistema.
La potestà normativa può esplicarsi: a) nel coordinamento dell'attività assistenziale, esercitata dalle associazioni sindacali, da enti complementari o da istituti corporativi; b) nel coordinamento delle varie discipline dei rapporti di lavoro e d'ogni attività normativa delle corporazioni; c) nella disciplina dei rapporti economici collettivi fra le varie categorie della produzione, rappresentate da associazioni sindacali legalmente riconosciute.
Dette norme - per la cui emanazione è necessaria, in alcuni casi, l'autorizzazione del Capo del governo, in altri, la richiesta delle associazioni interessate - sono obbligatorie per le associazioni interessate e per i singoli soggetti da esse rappresentati e appartenenti alle categorie cui si riferiscono.
Il Consiglio, inoltre, autorizza le associazioni sindacali di categoria a determinare le tariffe per le prestazioni professionali e ad emanare regolamenti professionali obbligatorî per tutti gli appartenenti alla categoria. Ratifica, altresì, gli accordi intervenuti tra le associazioni sindacali e contenenti norme generali di coordinamento o norme per il regolamento di rapporti economici collettivi.
Alle sezioni e sottosezioni medesime sono state, infine, conformemente alla legge, conferiti con decreto del Capo del governo le attribuzioni e i poteri proprî delle corporazioni, salve le funzioni conciliative, riservate, dalla legge stessa, al Ministero delle corporazioni, per il caso che le corporazioni non siano state istituite.
Tutto l'ordinamento sindacale e corporativo dello stato è considerato espressamente dalla legge come materia avente carattere costituzionale e tutti i disegni di legge che lo concernono devono essere sottoposti al Gran Consiglio del fascismo.
Se si considera il sistema corporativo nel suo spirito più profondo e nelle sue più alte finalità, si scorge che esso, mentre si inspira a superiori principî etici, quali l'autorità statale, la pacifica convivenza e la concorde collaborazione di tutte le categorie produttive, il loro elevamento morale e intellettuale, esprime, al tempo stesso, il più pieno riconoscimento della realtà economica dei nostri giorni, dominata dal fenomeno della concorrenza tra le particolari economie nazionali, di fronte al quale fenomeno il divampare della lotta di classe condurrebbe fatalmente alla sopraffazione economica e politica: si pone, pertanto, l'imperiosa esigenza della maggiore compattezza organica delle singole comunità politiche e della riaffermazione, quindi, dell'unità nazionale, nel senso economico, oltre che in quello politico.
Agl'istituti sopra delineati è affidata una delle più grandiose esperienze politiche del mondo contemporaneo.
Bibl.: B. Mussolini, I discorsi del 1926, I discorsi del 1927, I discorsi del 1928, Milano 1927-29; G. Balella, Lezioin di legislazione del lavoro, Roma 1927; G. Bottai, Commento alla Carta del lavoro, Roma 1926; F. Carnelutti, Teoria del regolamento collettivo dei rapporti del lavoro, Padova 1927; C. Costamagna, Diritto corporativo italiano, 1ª e 2ª ed., Torino 1927-28; id., Diritto costituzionale corporativo fascista, Firenze 1930; G. Gentile, Relazione della Commissione presidenziale per lo studio delle riforme costituzionali, Roma 1925; G. Olivetti, Lezioni di diritto corporativo, Torino 1929; A. Rocco, La trasformazione dello stato, Roma 1928; G. Salemi, Studi di diritto corporativo, Padova 1928; G. Bottai, Sviluppi dell'idea corporativa nella legislazione internazionale, Livorno 1928; G. Bottai, Esperienza corporativa, Roma 1929; L. Barassi, Lezioni di diritto sindacale, Milano 1929; A. Sermonti, Il diritto sindacale italiano, I e II, Roma 1929; A. Turati e G. Bottai, La "Carta del lavoro" illustrata e commentata, Roma 1929; E. Ranelletti, Corso di diritto sindacale e corporativo, Paova 1930; O. Ranelletti, Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1930.
Del sistema corporativo dal punto di vista giuridico o da quello politico-economico si sono altresì occupati D. Guidi, G. Maggiore, S. Panunzio, G. Arias, F. Carli, M. Fovel, C. Arena, G. Napoletano, U. Spirito, ecc.
Tra gli stranieri sono particolarmente notevoli: E. von Beckerath, Wesen und Werden des faschistischen Staates, Berlino 1927; H. Dupeyroux, La Charte du travail en Italie, Parigi 1928; W. Heinrich, Die Staat und Wirtschaftsverlassung des Faschismus, in Nationalwirtschaft, Berlino 1929; H. Schneider, Making the Fascist State, New York 1929.
Cfr. infine varie riviste, tra le quali: Il diritto del lavoro, Rivista di diritto pubblico, Nuovi studi di diritto, economia e politica, Lo stato, Politica sociale, ecc. Le Informazioni corporative, pubblicaizone quindicinale a cura del Ministero delle corporazioni, contengono una diffusa rassegna periodica del movimento sindacale e corporativo.