COCCONATO, Corrado di
È probabile che si debba identificare il C. con il "Conradus de Cochonato acolitus" ricordato nel 1243 fra i componenti del capitolo di Vercelli; egli avrebbe dunque avuto la sua formazione nell'ambito di quella canonica. Più difficile riconoscere il C. nel Corrado di Cocconato rettore della canonica di Sleaford (Lincoln) nel 1244, poiché sin dal 22 novembre di quello stesso anno egli risulta far parte del capitolo della cattedrale di Asti, quando da pochi mesi Bonifacio di Cocconato, prevosto di quello stesso capitolo, era stato eletto alla cattedra episcopale. Ad atti di governo del consanguineo (forse cugino, ma i documenti non consentono di precisare il grado di parentela) egli fu presente nel 1247 e nel 1255; compì inoltre una missione di rilievo nel 1258 come arbitro nella controversia fra il vescovo eletto, Bonifacio appunto, e i Bressano di Mondovì. Gli atti capitolari in questo periodo si occupano con una certa frequenza della sua prebenda canonicale di Montilieto, ed è proprio in un documento del 21 febbr. 1260 ad essa relativo, che il C. appare per la prima volta come vescovo eletto di Asti; nei suffragi degli elettori aveva sostituito così Bonifacio di Cocconato il quale tornò al semplice incarico di prevosto del capitolo. Dalla designazione del C. risultava comunque rafforzato il potere del Cocconato sulla Chiesa astigiana, grazie anche all'appoggio fornito da un altro autorevole membro della casata, Uberto di Cocconato, cappellano papale e poi, dal 1261, cardinale di S. Eustachio. Il 5 ag. 1260 il C. aveva già ricevuto la consacrazione episcopale.
Prima preoccupazione del nuovo presule fu la difesa del patrimonio vescovile, proseguendo in questo la politica già iniziata da Bonifacio, in un momento in cui il pericolo della penetrazione angioina veniva ad aggiungersi alle tendenze centrifughe locali e alle violenze del Comune cittadino. Non era trascorso molto tempo dalla sua elezione allorché egli ricevette il giuramento degli uomini di Torre (8 marzo 1260) ed insediò suoi funzionari a Roburent e a Montaldo (9 marzo); il 5 agosto provvide alla ricognizione dei luoghi che il marchese di Monferrato teneva feudalmente dalla Chiesa d'Asti. Iniziò, con buoni frutti, una nuova politica per conservare i redditi vescovili nel borgo di Mondovì: riconvertì le prestazioni dovute alla Chiesa dal Comune locale in possessi fondiari, in mulini e battitoi, e cercò nel contempo la solidarietà delle popolazioni dipendenti con la diminuzione dei banni. Il pericolo angioino, se da un lato aveva portato ad un riaccostamento fra il C. e il Comune, dall'altro - nonostante la riconferma ottenuta nel 1266da Clemente IV - favoriva il distacco dall'autorità vescovile dei possessi geograficamente più lontani. Dopo un periodo di tensioni con gli ufficiali angioini che avevano occupato non pochi luoghi di spettanza vescovile, grazie anche all'interessamento del cardinale Uberto di Cocconato, si pose termine alle divergenze e il C. poté rientrare nel 1270 in possesso di parte dei beni che gli erano stati sottratti. Per quanto riguarda il governo più specificamente ecclesiastico della diocesi, il C. intervenne nell'infeudazione di decime, nella scelta dei sacerdoti per le chiese periferiche e nella ricostruzione del campanile della cattedrale, crollato nel 1266.
La presenza in Asti di membri della famiglia del Cocconato, solo sporadica al tempo del vescovo eletto Bonifacio, nei ventidue anni di governo del C. si fece sempre più massiccia: dal 1260 al 1270 compaiono frequentemente negli atti vescovili Emanuele ed Alemanno di Cocconato, fratelli di Bonifacio e del cardinale Uberto, ed altri membri della casata, di cui non è ben precisabile il grado di parentela con il C., come Guglielmo e Manfredo (quest'ultimo detto anche di Brozolo); mentre nel capitolo della cattedrale vengono ricordati i canonici Alberto (dal 1260) e Bonifacio (dal 1269), entrambi nipoti del cardinale Uberto ed espressamente da lui raccomandati per il canonicato astigiano: ad essi subentrò dopo il 1279 un Francesco di Cocconato. Sappiamo inoltre dell'esistenza di stretti legami fra gli entourages del C. e del cardinale, indice dellerelazioni che quest'ultimo continuava a mantenere con la propria casata. Nel 1270 il C. ricorse all'aiuto finanziario del canonico Bonifacio di Cocconato col quale contrasse un mutuo obbligandogli i redditi vescovili in Montemagno. Dato il sostanziale monopolio che i Cocconato esercitavano sulle cose ecclesiastiche di Asti, un simile contratto non può essere guardato senza sospetto di interesse privato, soprattutto perché in quel momento il cardinale Uberto stava trattando l'acquisto di alcuni luoghi di proprietà vescovile ancora occupati dagli Angioini, luoghi che passarono poi al suo patrimonio personale. Dopo il 1276, anno in cui scomparve il cardinale, tuttavia, il predominio del Cocconato su Asti andò scemando; se ancora in quell'anno venne superata definitivamente la crisi provocata dalla stretta angioina, nuove ribellioni che scoppiarono nei luoghi sottoposti e le continue controversie, mai del tutto sopite, con il Comune di Mondovì, tennero occupato il C. sino alla morte, avvenuta il 31 ott. 1282.
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