FALCONI, Corrado (detto Dino)
Nacque a Livorno il 18 nov. 1902 da Armando e Tina Di Lorenzo, ambedue attori, fra i più celebri della scena italiana. Laureatosi in giurisprudenza a Milano, dove la sua famiglia risiedeva (la madre nel 1921 aveva abbandonato il palcoscenico), si dedicò al giornalismo, ma, soprattutto, fin dal 1923 aveva cominciato a scrivere per il teatro, inizialmente alcuni atti unici rappresentati da filodrammatiche cittadine.
L'esordio vero e proprio avvenne nel 1926 al teatro Arcimboldi, all'epoca diretto da V. Talli, dove era in atto un interessante esperimento, consistente nella rappresentazione di una serie di atti unici che si susseguivano l'uno all'altro con orario continuato dalle 17 alle 24. Del F. all'Arcimboldi fu rappresentato L'influenza di Tristano, con la compagnia Masi-Becci-Barbarisi; in aprile al teatro Diana andò in scena Ma..., sempre in un atto; infine, in novembre, con la compagnia Almirante-Tofano, i tre atti di L'uomo di Birzulah, scritto a due mani con Oreste Biancoli, anch'egli giornalista e commediografo, da allora, per moltissimi anni, pressoché costantemente al fianco del F. come coautore.
I modelli cui il F. si riferisce vanno dalla commedia boulevardière alla pochade: la formula - molto comune sulle scene italiane di quegli anni e che molto era stata frequentata anche dai genitori del F. - è evidentemente di derivazione francese, le fonti, dichiarate, G. Feydeau, A.-N. Hennequin, P. Veber. È il tipico teatro borghese di intrattenimento che copre trasversalmente molti generi, dal giallo al rosa, dalla commedia sentimentale alla farsa, modernizzandosi attraverso riferimenti ad argomenti di immediata attualità. Su questi binari il F. procedette da allora agevolmente, talvolta lodato per il garbo e il ritmo di cui dava prova nell'utilizzare i suoi risaputi ingredienti, talvolta accusato di artificiosità e convenzionalismo.
Negli anni immediatamente successivi lavori del F. apparvero con regolarità sulle scene milanesi (altri atti unici all'Arcimboldi: nel 1927 Si cerca un giovinotto e Marietta, oh mia Marietta, sempre con la compagnia Masi; nel 1929, in maggio, Peso massimo, in novembre, Crisi). Un tentativo non troppo riuscito sul versante di un teatro appena più serio fu, nel marzo 1927, Cento donne nude, in tre atti, con la compagnia del padre, Falconi-Borboni, coautore L. Ridenti, al teatro Olimpia. Nel maggio 1929 la compagnia Gandusio-Marchetti (in scena anche E. Viarisio e L. Braccini) rappresentò al teatro Diana una commedia degli equivoci dal tono farsesco, coautore O. Biancoli, che ebbe invece notevole successo: La casa di tutti.
Nel 1930 il F., insieme con Biancoli, tenne a battesimo un nuovo tipo di spettacolo, frutto in realtà di una commistione di generi, una sorta di "fantasia musicale" interpretata da attori di prosa. La pièce, I triangoli, fu rappresentata in febbraio dalla compagnia Niccodemi (in scena L. Cimara, E. Merlini, R. Lupi) al teatro Manzoni.
Utilizzando lo schema del "teatro nel teatro", si immagina che durante le prove gli attori, in attesa dell'autore, D. Niccodemi, che tarda ad arrivare, si lamentino della ripetitività dei loro ruoli, quelli classici del triangolo amoroso, e si abbandonino, cantando, parodiando, ai loro segreti sogni artistici. La trama si riduce, dunque, ad un filo sottile che collega molteplici piani di spettacolo: numeri musicali, sketch rivistaioli, brani di recitazione.
Si trattava, in sostanza, di una rivista, ma depurata dagli eccessi del varietà e dell'avanspettacolo, resa con ciò più accettabile al pubblico benpensante - amante di una comicità garbata e annacquata - e inoltre agibile ai protagonisti della prosa leggera, di cui arricchiva il repertorio sempre più ripetitivo ed esangue. Ebbe quindi immediato successo e notevole avvenire.
Destinataria principale di questa fortunata innovazione fu di fatto la più importante "impresa" di prosa leggera allora attiva in Italia, la Za Bum di M. Mattoli e L. Ramo; particolarmente felice si rivelò l'idea di utilizzare come protagonisti U. Melnati, G. Rissone e, soprattuto, V. De Sica (fu proprio il F., amico di famiglia dell'attore, ad avallarne il nome), cui si aggiunsero, o si sostituirono, in seguito C. Pilotto, N. Besozzi e molti altri ancora.
Per la Za Bum-prosa il F. e Biancoli avevano composto vari atti unici (Il sabato del villaggio; Soldati 1898; Visitare gli infermi); secondo la nuova formula scrissero per loro: Lucciole della città, una parodia di Luci della città - la parodia era uno degli elementi portanti di questo genere dì spettacolo, sia a livello di struttura generale sia di numero particolare -, andata in scena all'Olimpia di Milano il 18 apr. 1931, cui seguirono Tredes corn, con Pilotto e la Rissone, nel 1932, e Le nuove lucciole, nel 1933, compagnia Rissone-Melnati-De Sica. Nel 1935, sempre per la stessa compagine e sempre coautore Biancoli, al Lirico di Milano esordì Dura ancora (con riferimento ad un celebre sketch degli spettacoli precedenti "Dura minga", divenuto pressoché proverbiale).
L'attività del F. nel corso di questi anni non si limitò comunque al teatro; secondo un costume assai diffuso, allora come oggi, gli autori trasmigravano agevolmente dal giornalismo alla rivista, dal cinema alla radio. Appunto alla radio fin dal 1927 il F. aveva condotto con Biancoli la rubrica Facciamo due chiacchiere, cui si aggiunsero più tardi riviste quali Ciribiribin o il programma di quiz Attenti al fiasco.
Nel cinema il F. lavorò a lungo come sceneggiatore e soggettista, quasi sempre in collaborazione con altri autori, spesso a fianco del padre che, con l'avvento del sonoro, aveva intrapreso una fortunata carriera di attore cinematografico.
Come Falconi padre, sullo schermo, non esce fondamentalmente dal suo "carattere" di simpatico ganimede anzianotto, così il F. gli cuce addosso sceneggiature e soggetti rimanendo sul terreno abituale della commedia degli equivoci e dei travestimenti, in puro stile "telefoni bianchi" (tra i titoli della coppia Falconi ricordiamo: Rubacuori di G. Brignone; L'ultimaavventura di M. Camerini; Patatrac di G. Righelli, tutti del 1931; Sette giorni cento lire di N. Malasomma, del 1932; nel 1936 Joe il Rosso di R. Matarazzo, da una commedia di grande successo dello stesso F.; nel 1940 Alessandro sei grande di C. L. Bragaglia). Senza il padre nel cast il F. appare fra gli autori di Nozze vagabonde di G. Brignone (1938); La mazurca di papà di O. Biancoli (da una rivista sua e di Biancoli, sempre 1938); Piccolo alpino, di Biancoli (1940).
Nel 1940 il F. esordì anche come regista con due film: Vento di milioni, protagonisti U. Melnati e Vivi Gioi, e Scarpe grosse, con A. Nazzari e L. Silvi, cui seguì nel 1942 Don Giovanni, con R. Morelli, A. Rimoldi, D. Sassoli. Fu un'attività occasionale e di scarso rilievo.
Preso da altri numerosi impegni, il F. seguiva il set discontinuamente; a proposito di Scarpe grosse, ad esempio, Nazzari raccontò di essersi spesso sostituito al regista assente e di aver pressocché diretto lui stesso il film (Savio), forse la migliore delle tre pellicole firmate dal F. (la storia di un semplice contadino, entrato in possesso di una ricca eredità, che sbaraglia con la sua furbizia le manovre dei raffinati e malevoli parenti).
Costante fu invece il suo impegno di giornalista, con collaborazioni a periodici e quotidiani: critico cinematografico al Popolo d'Italia dai primi anni Trenta, ne diresse a lungo la pagina settimanale dedicata appunto al cinema, continuando a scrivervi anche quando questa passò sotto il diretto controllo di Vittorio Mussolini, nel 1936. Da quello stesso anno, anno della fondazione, fece parte del comitato direttivo del periodico umoristico Bertoldo, dove seguitò a pubblicare fino alla chiusura del foglio nel 1943.
Continuò ad essere presente sulle scene di prosa (particolare successo ebbero due commedie scritte su misura per il padre, il già ricordato Joe il Rosso, andato in scena nel gennaio 1934 all'Odeon, e, l'anno seguente, Rollo il grande, sempre all'Odeon, storia di un vecchio attore, di cui viene abilmente messa in luce la tipica, esibizionistica psicologia), ma il fulcro della sua attività, fino ai tardi anni Cinquanta, si orientò sul teatro di rivista, apparendo al suo fianco come collaboratori abituali anche A. Frattini e O. Vergani.
Prima della guerra andarono in scena nel 1936-37, al Lirico di Milano, Bertoldissimo, scritta con Frattini, musiche di C. A. Bixio e V. Mascheroni, protagonisti i De Rege e la celebre compagnia austriaca Schwarz, nella sua ultima tournée italiana. L'anno seguente Op-là, coautore Frattini, all'Excelsior, con le "32 bellissime gambe di Rosy Barsany".
Gli anni della guerra, quelli in cui fu più attivo come regista cinematografico, spinsero il milanesissimo F. al Sud, sulle scene romane, dove, fra il '40 e il '42, furono ripresi, con qualche modifica, i suoi più grandi successi del passato: La città delle lucciole, nella stagione 1940-41, con Viarisio, G. Porelli, I. Pola, al teatro Argentina; nella stagione seguente, al Quirino, I triangoli, con Cimara e la Pola.
Con il dopoguerra si affacciarono sulle scene del teatro di prosa e di rivista le nuove leve: nuovi attori, autori, organizzatori. Il ricambio, tuttavia, non fu né totale né immediato e i vecchi nomi, tra cui quello del F., continuarono a tenere banco ancora per parecchi anni. La comicità superficiale e disinvolta del F., il suo sperimentato artigianato, trapassarono, quindi, senza difficoltà dagli anni Trenta ai Cinquanta, dai duetti De Sica-Melnati alle riviste di lusso, ricche di coreografie, musica e belle donne dei vari E. Macario, Wanda Osiris, C. Dapporto.
Si susseguirono così con regolarità sui palcoscenici milanesi, stagione dopo stagione fino ai primi anni Cinquanta, titoli quasi tutti di successo: Evviva fra' Diavolo (1945-46, comp. Rascel-De Mola-Brignone, regia L. Ramo, al Mediolanum); Ah ci risiamo (coautore Biancoli, stessa stagione, comp. De Sica-Gioi-Besozzi, in scena anche A. Bonucci e V. Caprioli, all'Olimpia: alle solite parodie si aggiunge una satira all'acqua di rose sugli argomenti del giorno: gli Alleati, i partiti politici, le elezioni, il ritorno di A. Toscanini); Che male ti fo' (1946-47, coautori Marchesi, Frattini, A. Cavaliere, in comp. Pilotto, Melnati, P. Renzi, F. Tommei, il pezzo forte era una parodia dei romanzi di Carolina Invernizio); Fortissimo (1948-49, coautore Frattini, al Lirico, più che una rivista una vera e propria fantasia musicale di canzoni sceneggiate, sostenuta dal maestro Gorni Kramer e dal Quartetto Cetra, secondo una formula che prenderà piede sia al cinema - e il F. sarà anche sceneggiatore e soggettista di film di questo tipo: Canzoni per le strade di M. Landi del 1949, Canzoni di mezzosecolo di D. Paolella del 1952, Gran varietà dello stesso regista nel 1953 - sia più tardi in televisione); Quo vadis? (1949-50, coautori Frattini, Biancoli e Vergani, al Nuovo, un aggiornamento della vecchia rivista per attori di prosa con Dina Galli, Viarisio, F. Scandurra, Milly); Votate per Venere (1950-51, coautore Vergani, con E. Giusti, Macario - accompagnato dalle sue celebri donnine che allora si chiamavano L. Masiero, D. Gray, F. Lillo - e G. Bramieri come spalla, costumi di Schubert; andata in scena al Sistina di Roma la rivista ebbe un tale successo che si tentò di esportarla a Parigi dove però resse pochissimo).
L'ultima rivista in cui appare il nome del F., fra quelli di molti altri autori, è Caccia al tesoro, una produzione di R. Paone del 1953, regia di P. Garinei e S. Giovannini per la compagnia di Billi e Riva. Da allora il F., che in questi anni non aveva mai abbandonato la radio, si dedicò per un certo periodo alla televisione, che in Italia aveva iniziato la programmazione regolare nel 1954. In realtà egli si limitò a trasferirvi alcuni spettacoli già collaudati alla radio o in teatro. Nel gennaio 1954 il F. tenne a battesimo il primo telequiz Attenti al fiasco, in passato prodotto per la radio; seguirono, sempre nel campo dei giochi a premi, Fortunatissimo, condotto da un giovane presentatore di belle speranze, Mike Bongiorno, e quindi Per favore dica lei, di cui il F. fu il conduttore con la regia di V. Molinari.
Il F. fu ovviamente attivo anche nel campo della rivista televisiva, pure qui con riprese dalla radio (Ciribiribin, coautori Frattini, Nelli, G. Simonetta, regia di R. Tarabusi, con F. Parenti, G. Durano, D. Fo) o dal teatro (Al tempo delle lucciole, antologia del buonumore, coautore Biancoli, l'orchestra di G. Boneschi, e S. Mondaini, Melnati, F. Conti, la Renzi; o la fantasia musicale I cinque sensi son sei).
Sulle scene di prosa il F. era tornato nel 1949 tentando il teatro serio con esiti negativi sia di pubblico sia di critica: Vivere così (teatro Odeon con la compagnia Cimara-Bagni-Cortese) si rivelò una scialba imitazione del Giacosa di Come le foglie.
Ebbe giustamente a scrivere D. Buzzati, in veste di critico teatrale: "... Falconi è per definizione un umorista, umorista mondano, garbato, senza pretese di satira o inquietanti audacie... in Vivere così ha voluto per la prima volta fare sul serio... voleva essere una commedia forte e amara genere Anouilh... ma quadro d'ambiente e personaggi riescono convenzionali e falsi". Il F. ebbe il buon gusto di non insistere e pochi mesi dopo esordì con successo all'Olimpia con una delle sue classiche commedie leggere, Paparino (compagnia Besozzi-Tabody).
In seguito le sue apparizioni si fecero sempre più rare, salvo una ripresa negli anni Sessanta, con un paio di commedie imperniate sulla classica figura del "cummenda" milanese, per la compagnia dialettale di P. Mazzarella che operava al teatro Gerolamo (Galbusera e figli del 1961, replicata nel 1975; Su e giù del 1967).
Negli ultimi anni, prima di ritirarsi a vita privata (1966), il F. si dedicò prevalentemente al giornalismo - che del resto non aveva mai abbandonato avendo ripreso a collaborare sin dal 1945 sia come critico cinematografico prima alla Libertà, poi a Milano sera, sia come umorista, ad esempio su Stampa sera - nei periodici Mondadori, dove aveva diretto la rivista femminile Grazia e fu a lungo caporedattore del settimanale Epoca. Insieme con A. Frattini aveva scritto una Storia della rivista, Milano 1949.
Il F. morì a Milano il 17 febbr. 1990.
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