CORRADO I D'ANTIOCHIA
Nacque tra il 1240 e il 1241, da Federico, a sua volta figlio illegittimo dell'imperatore Federico II di Svevia, e da Margherita di Poli.
C. fu sempre presente sulla scena italiana della seconda metà del sec. XIII. Pur all'ombra di 'grandi' quali Manfredi e Corradino, fu protagonista del suo tempo. Sopravvissuto all'olocausto dei partigiani degli Hohenstaufen, alla fine della sua vita divenne addirittura un simbolo, ricordo vivente dell'età sveva e punto di riferimento, almeno ideale, di tutti i ghibellini italiani. La sua esistenza fu segnata dall'avventura: feudatario e cavaliere, corsaro e principe gentiluomo, per quattro volte riuscì a fuggire dalla prigionia e per tre volte venne scomunicato. Vincenzo Pacifici (1919) ha scritto che C. fu "un uomo di cui il fato par che si balocchi". Tuttavia egli fu capace di fondare una dinastia in Val d'Aniene ‒ ad Anticoli Corrado che ancora oggi lo ricorda nel suo nome ‒ e di morire di vecchiaia, riconciliato con la Chiesa.
C. conobbe sconfitte e vittorie. Sempre fedele alla causa imperiale, in un mondo in cui la scelta della 'parte' sembrava essere solo dettata dalle maggiori probabilità di un suo successo, C. fu raro esempio di una coerenza spiegabile anche alla luce di un'infanzia e di un'adolescenza trascorse a diretto contatto con quel mondo ghibellino in cui, per legami di sangue, occupava già un posto importante. Legami che le vicende tumultuose del suo tempo rafforzarono tanto da renderli fili conduttori della sua esistenza.
Quando nel 1256 il padre morì, C. si trovò ad essere conte di Albe, Celano e Loreto Aprutino e signore di possedimenti feudali nel versante nord dei Monti Ruffi, sull'Aniene e la Marsicana, come Anticoli, Saracinesco, la sottostante Mola, Sambuci, la Rocca dei Sorci, la Rocca dei Murri ed altre località come il Castello del Piglio.
Sulla sua infanzia e giovinezza non abbiamo informazioni. Poco dopo la morte del padre, tra il 1258 e il 1261, C. sposò Beatrice Lancia, figlia di Galvano, il gran maresciallo del Regno. Da lei ebbe otto figli, cinque maschi e tre femmine. Due dei maschi, Bartolomeo e Francesco, divennero arcivescovi di Palermo. Due delle figlie, Giovanna e Costanza, andarono spose rispettivamente ai fratelli Cangrande e Bartolomeo della Scala.
La prima notizia certa è riferita dal Chronicon Lauretanum ed è relativa al 1258, anno in cui C. si trovava al parlamentum di Foggia, convocato da Manfredi, ove ebbe confermati i possedimenti della contea di Albe, di Celano e di Loreto Aprutino, a cui Manfredi aggiunse la contea di Abruzzo e alcuni beni in Calabria.
Il re di Sicilia Manfredi, zio di C., nell'autunno del 1256 aprì le ostilità contro la Chiesa decidendo di rivendicare i vecchi diritti svevi sulla Marca, sulla Romagna e sul ducato di Spoleto. In un colloquium generale tenutosi a Napoli, Manfredi affidò a C. il vicariato della Marca dove, nell'ottobre del 1261, lo inviò al comando di un formidabile esercito formato quasi esclusivamente da soldati saraceni. Nell'estate del 1262 C. portò un vano assalto a Spoleto e nel dicembre dello stesso anno, con l'appoggio di Matelica, tolse ai camerinesi la rocca di S. Maria in Monte. Con un comportamento intimidatorio, ma anche con promesse di privilegi e donazioni, C. riuscì a riconquistare l'appoggio delle città più potenti della Marca. Ma nel dicembre del 1263, nel tentativo di assedio del comune di Montecchio (oggi Treia), fu catturato con uno stratagemma e tradotto nelle prigioni del locale cassero. Vani risultarono i successivi tentativi militari per liberarlo condotti dal suocero Galvano Lancia, che con il suo esercito attaccò ripetutamente Montecchio. Ma dove fallì la forza riuscì la frode. Galvano Lancia ricorse alla corruzione del podestà di Montecchio, Baglione Baglioni, che in una notte del gennaio 1264 agevolò la fuga di Corrado. Costui si trattenne nella Marca per tutto l'anno 1264 finché non lo raggiunse la scomunica di Urbano IV. Durante l'invasione angioina del Regno C., per accordi presi a Lucera nel 1265 con Manfredi, si trovava presso i suoi feudi d'Abruzzo a reclutare milizie d'appoggio all'esercito svevo. Ma il 26 febbraio del 1266, giorno della decisiva battaglia di Benevento, C. non fece in tempo a portar soccorso a Manfredi perché impegnato in scontri con i guelfi abruzzesi. Per qualche tempo C., insieme ai fratelli Lancia, Galvano e Federico, si nascose tra le montagne d'Abruzzo. Di qui cercò di offrire, ma inutilmente, la sua sottomissione a Carlo d'Angiò che, al contrario, lo faceva braccare da spie e sicari. C. decise di rivolgersi direttamente al papa Clemente IV, offrendo precise garanzie di sottomissione, affinché si interponesse come mediatore fra lui e Carlo d'Angiò e lo riabilitasse assolvendolo dalla scomunica. Ma il Chronicon Lauretanum riferisce che Carlo d'Angiò, accantonando ogni riguardo per il papa, catturò e fece rinchiudere C. in una località segreta. Nel gennaio del 1267 C. riuscì ad evadere dalla prigione insieme al compagno Giovanni di Mareri e andò a rifugiarsi nel suo castello di Saracinesco. La fuga suscitò l'ira di Carlo d'Angiò che pensò di vendicarsi sulla figlia di C., da lui tenuta in ostaggio. Ma le notizie sull'imminente arrivo nel Regno di Corradino di Svevia distolsero l'angioino da quel proposito e lo costrinsero a rivolgere i suoi pensieri a problemi politici e militari ben più gravi.
Pasquale Ridola (1886) afferma che C. nell'ottobre del 1267 era sicuramente a Verona dove incontrò per la prima volta il cugino Corradino, dal quale ottenne la conferma dei beni già posseduti con in più il titolo di principe d'Abruzzo. Nel novembre dello stesso anno il senatore di Roma, Enrico di Castiglia, con un tranello riuscì a catturare i più importanti personaggi della nobiltà guelfa, tra cui i due principi Napoleone e Matteo Orsini, fratelli del potente Giangaetano, futuro papa Nicolò III. I due prigionieri vennero rinchiusi proprio nel castello di Saracinesco dove risiedeva Beatrice Lancia, moglie di Corrado.
Intanto il papa il 25 aprile del 1268, in die coena Domini scomunicò Corradino e i suoi seguaci, tra cui C. che, all'età di ventotto anni, ricevette la seconda scomunica.
Da Verona C. mosse al seguito del giovane cugino e giunse a Roma ove, il 24 luglio 1268, prese parte ai festeggiamenti per il rampollo svevo, che sostò anche a Saracinesco. Sempre al seguito di Corradino C. entrò nel Regno alla guida di uno schieramento composto da milizie toscane. Nella tragica battaglia di Tagliacozzo del 23 agosto 1268 C. combatté da valoroso, ma fu preso prigioniero da Carlo d'Angiò e rinchiuso in un carcere presso Palestrina. Anche in questa occasione C. riuscì a salvare la vita grazie all'intercessione del cardinale Giangaetano Orsini, che lo volle utilizzare come merce di scambio per liberare i due fratelli rinchiusi a Saracinesco. Lo scambio avvenne nel settembre del 1268 con l'impegno di papa Clemente IV di tenere in custodia C. presso la Curia papale di Viterbo. Qui rimase fino al 1272, quando il nuovo papa Gregorio X lo rimandò libero dopo avergli fatto giurare fedeltà e ubbidienza. Assolto anche dalla scomunica, C. si ritirò allora nel suo feudo di Anticoli.
Nel marzo del 1272 moriva a Bologna Enzo, l'ultimo figlio superstite di Federico II. Enzo, che nel 1239 aveva tentato come C. di assediare Montecchio, lasciò per testamento a C. la contea del Molise di cui egli era titolare. Era una precisa indicazione rivolta all'ultima persona ancora in grado di ricostruire la grandezza degli Svevi, e proprio nel Molise C. proseguì la sua azione antiguelfa occupando il castello di Macchia, vicino Isernia.
Fino al 1282 i documenti non forniscono notizie dirette su Corrado. Sicuramente fu uno dei protagonisti dei maneggi politici che dovevano condurre all'occupazione della Sicilia da parte degli Aragonesi. C., insieme a Giovanni da Procida, più volte sollecitò Pietro d'Aragona alla conquista dell'isola. Lo stesso Pietro nell'ottobre del 1282 scrisse da Messina proprio a C. per indurlo ad invadere i territori dell'Abruzzo. Invito che egli accolse con entusiasmo.
Il papa Martino IV richiamò più volte all'ubbidienza C., ma inutilmente, e alla fine, il 23 novembre 1282, gli scagliò la terza scomunica. C., insieme con altri fuorusciti, cercò di riprendere il possesso di castelli e località di frontiera, come Petrella, Antrodoco, Mareri e Frontino, e questo irritò molto Carlo d'Angiò. Scomunicato dal papa e ricercato dagli Angioini, C. divenne in quel periodo una specie di corsaro, quasi sempre nascosto ma pronto ad organizzare agguati. Il suo covo era la Rocca dei Sorci, fuori dall'abitato di Anticoli.
All'indomani della battaglia del golfo di Napoli tra l'aragonese Ruggero di Lauria e il reggente angioino Carlo lo Zoppo, in cui quest'ultimo venne catturato, la lotta si fece più accesa. C. cercò di varcare i confini del Regno e puntò verso la sua contea di Albe, ma fu fermato presso la rocca di Colle da Stefano Colonna, signore di Genazzano, che il papa aveva indotto ad agire contro Corrado. Lo smacco subìto non fermò C. che, utilizzando anche gli aiuti in denaro inviatigli dalla Sicilia dalla regina Costanza, riprese a lottare in maniera sempre più accanita.
Nel 1286, approfittando dei subbugli scoppiati nel Regno dopo la morte di Carlo d'Angiò, C. occupò vari castelli d'Abruzzo tra cui la sua tanto amata contea di Albe. Ma, ancora una volta, dovette affrontare l'ostilità del papa che gli mandò contro un esercito guidato dal capitano Giovanni d'Appia. C. venne sconfitto e costretto ad abbandonare le posizioni conquistate e a ritirarsi nuovamente ad Anticoli.
Dal 1286 C. restò nell'ombra per alcuni anni. Taluni studiosi (Carosi, 1983; Meriggi, 1990), con riferimento alla Historia Augusta di Albertino Mussato e alle affermazioni di Ferdinando Gregorovius (1901, p. 226), si dicono convinti che tra i ghibellini che andarono a Roma a porsi sotto le insegne di Enrico (VII) di Lussemburgo, il 7 maggio del 1312, c'era anche C., giunto in città alla testa di cinquanta cavalieri.
Dopo la sua morte, della quale non si conosce l'anno, la discendenza di C. si divise in due ramificazioni: una restò nel Lazio (Anticoli, Piglio) e l'altra si trasferì in Sicilia nella contea di Capizzi, avuta in concessione da Pietro d'Aragona. Il ramo siciliano si estinse nel Quattrocento mentre quello dell'Italia centrosettentrionale scomparve un secolo più tardi.
Fonti e Bibl.: Treia, Archivio Storico Comunale, Rotolo pergamenaceo contenente gli atti delprocesso contro il podestà Baglioni (1278-1296): nel documento, conservato presso l'Accademia Georgica di Treia, sono inserite due bolle apostoliche di Clemente IV, del 16 novembre 1268, e di Nicolò III, del 28 marzo 1278. Anonymi Vaticani Historia Sicula a Normannis ad Petrum Aragonensem, in R.I.S., VIII, 1726, coll. 745-780; Saba Malaspina, Rerum Sicularum Historia, ibid., coll. 799-858; G. Colucci, Treia oggi Montecchio illustrata, Macerata 1780; Niccolò di Jamsilla, Historia de rebus gestis Friderici II imperatoris eiusquefiliorum Conradi et Manfredi Apuliae et Siciliae regum ab anno MCCX usque ad MCCLVIII, in Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi e inediti, a cura di G. Del Re, II, Napoli 1868, pp. 101-200; B. Capasso, Historia diplomaticaRegni Siciliae inde ab anno 1250 ad annum 1266, Neapoli 1874; Chronicon Lauretanum, in Monumenti storici edartistici degli Abruzzi, a cura di V. Bindi, Napoli 1889, pp. 587-589. P. Ridola, Federico d'Antiochia e i suoi discendenti, "Archivio Storico per le Province Napoletane", 11, 1886, pp. 198-284; F. Gregorovius, Storia di Romanel Medio Evo, III, Roma 1901; B. Feliciangeli, Di alcune rocchedell'antico Stato di Camerino, "Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Province delle Marche", 1, 1904, p. 158; K. Hampe, Urban IV. undManfred, Heidelberg 1905, p. 43; E. Jordan, Les origines de la domination angevine en Italie, I-II, Paris 1909: I, pp. XCVI, CXXIII s., 153 ss., 178, 189, 266; II, pp. 315 ss., 323; H. Arndt, Studien zur inneren Regierungsgeschichte Manfreds, Heidelberg 1911, pp. 18, 37, 64, 82, 97, 119, 134, 176, 201; V. Pacifici, Tivoli e Corrado d'Antiochia, "Archivio della R. Società Romana di Storia Patria", 41, 1919, pp. 269-288; F. Gregorovius, Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter, I-IV, Dresden 1926: II, pp. 1377 s., 1387, 1389; III, pp. 31, 41, 52 ss., 60 s., 210, 214; K. Hampe, Geschichte Konradins von Hohenstaufen, Leipzig 1940, passim, v. indice s.v. Konrad von Antiochien; R. Morghen, Il tramonto della potenza sveva in Italia, Roma-Milano 1940; P.F. Palumbo, Contributi sulla storia dell'età di Manfredi, Roma 1959; R. Manselli, Antiochia, Corrado d', in Dizionario Biografico degli Italiani, III, ivi 1961, pp. 467-469; C. Pierattini, Gli Antiochia, ultimi ghibellini della Val d'Aniene, in LunarioRomano 1979: fatti e figure medievali, ivi 1979, pp. 487-502; G.P. Carosi, Discendenti delBarbarossa: Signori (1240-1430) di Anticoli Corrado, Casamari 1983; A. Meriggi, Corrado Id'Antiochia. Un 'principe' ghibellino nelle vicende della seconda metà del XIII secolo, Urbino 1990.