CORRADO IV
Figlio dell'imperatore Federico II di Hohenstaufen e di Isabella di Brienne, C. nacque il 25 (o 26) aprile 1228 ad Andria. La madre morì dieci giorni dopo averlo dato alla luce lasciando in eredità al figlio il Regno di Gerusalemme. Il principe, più amato dal padre del primogenito Enrico (VII), crebbe a corte educato dal cavaliere napoletano Landolfo Caracciolo. Prima della crociata Federico II lo nominò nel suo testamento erede sostituito di suo figlio Enrico. Nel 1233 fu creato signore di Gaeta, nel 1234 Federico lo offrì in ostaggio al papa a riprova della sua buona condotta. Nel 1235 C. accompagnò il padre in Germania e fu testimone della deposizione del fratellastro Enrico di cui prese il posto. A Worms partecipò alle fastose nozze tra suo padre e Isabella d'Inghilterra e a Magonza assistette all'emanazione della pace civile. Non fu possibile in questo periodo concludere l'elezione di C. a re di Germania, tuttavia prima di abbandonare il paese nel 1236 l'imperatore lo nominò vicario imperiale. Poco più tardi Federico lo chiamò a Vienna, dove era impegnato a regolare gli affari del ducato d'Austria, e nel febbraio 1237 lo fece eleggere re dei Romani dai principi presenti; pochi mesi più tardi una dieta di principi riunita a Spira accordò anche il suo consenso. Da questo momento C. si denominò imperatoris Friderici filius dei gratia Romanorum in regem electus et heres regni Ierusalem. Non era quindi incoronato ‒ diversamente da suo fratello Enrico ‒ e tale doveva restare per il resto della sua vita.
L'imperatore nominò procuratore imperiale l'arcivescovo di Magonza Sigfrido di Eppstein. Inoltre affiancò al figlio di nove anni un consiglio di ministeriali e baroni di provata competenza ai quali erano affidate l'educazione di C. e la gestione degli affari correnti. A capo del consiglio stava Goffredo di Hohenlohe, che per lunghi anni aveva seguito l'imperatore nei suoi spostamenti in Italia e in Germania e che C. ricordò con animo grato per tutta la vita. Il giovane re, grazie a questa guida, non fu avviato solo all'attività di governo, ma fu anche iniziato alla cultura di corte, soprattutto all'arte poetica. Lo stesso Goffredo compose un romanzo dedicato a re Artù. Un altro membro del consiglio, Corrado Schenk di Winterstetten, procuratore del ducato di Svevia ‒ che C. eletto re potrebbe aver ricevuto ‒ era un noto mecenate: fu lui a mettere in contatto C. con Rodolfo di Ems, che nel suo Alexander aveva celebrato lo Svevo come re pacificatore e che fu incaricato da C. di comporre una cronaca universale, nella quale elogiò il giovane sovrano come successore di Davide. Non è chiaro se lo stesso C. abbia coltivato la poesia; i due Minnelieder tramandati sotto il nome di C. nel codice di Manesse (Codex Palatinus Germanicus 848, conservato nella Universitätsbibliothek di Heidelberg) sono di suo figlio Corradino. C. si dedicò anche a piaceri più robusti, tanto che il padre preoccupato dovette esortarlo per lettera alla virtù.
Nell'esercizio della sua funzione Federico non lasciò un grande spazio di manovra al figlio, come testimonia, fra l'altro, la rudimentale cancelleria del re. Era lo stesso imperatore a prendere gran parte delle decisioni importanti; con frequenti ambascerie guidava e teneva sotto controllo il figlio, che da parte sua dichiarò in molti documenti di agire con l'approvazione del padre. Il giovane re trascorse l'inverno del 1237-1238 a Hagenau, la residenza prediletta dell'imperatore, dotata di una ricca riserva di caccia e di una rinomata biblioteca. Gli anni successivi, che portarono alla rottura fra Federico II e papa Gregorio IX, scossero anche la posizione di C. in Germania. Dopo il fallimento dell'assedio di Brescia, che segnò un punto di svolta nella storia dei successi di Federico, C., che aveva dato il suo appoggio al padre, nell'autunno 1238 rientrò rapidamente nella Germania meridionale attraverso Berna, valicando probabilmente il passo del S. Gottardo. La reggenza imperiale accolse la scomunica dell'imperatore da parte del pontefice, nella primavera del 1239, con una proposta di mediazione per la quale C. richiese personalmente il sostegno dei principi. Riuscì a ottenerlo, ma per lo più con la riserva della fedeltà alla Chiesa e talvolta in cambio di cospicui privilegi. La mediazione naufragò già nell'estate del 1240, ma la minaccia dell'invasione mongola richiese una concentrazione di tutte le forze e rinviò ancora una volta il conflitto fra avversari e sostenitori degli Svevi. Fu proprio il procuratore imperiale a dare impulso al dissidio. L'arcivescovo di Magonza, infatti, giudicò l'avvicinamento a Federico II del conte palatino e duca di Baviera Ottone ‒ che era in lite con lui per il possesso dell'abbazia di Lorsch e ostile all'imperatore ‒ un segno di sfavore da parte di quest'ultimo, tanto più che era in contrasto anche con il consiglio reale e per questa ragione era stato ammonito dall'imperatore. Dopo la morte di Gregorio IX gli arcivescovi alleati di Magonza e di Colonia invasero con le loro truppe la regione di Wetterau nel 1241 e con quest'azione diedero inizio a una guerra che nell'arco di un decennio annientò la posizione degli Svevi in Germania. C., ormai giunto alle soglie della maggiore età, affrontò con risolutezza la lotta, appoggiato da Goffredo di Hohenlohe, dal fratello di questi, Corrado, e da altri esperti comandanti che l'imperatore aveva affiancato al figlio. Tuttavia alcuni nobili lo abbandonarono, insieme a ministeriali imperiali che erano stati fedeli agli Svevi, spinti di frequente da interessi particolari o coinvolti in conflitti locali. La posizione sveva, malgrado le sconfitte iniziali, si mantenne comunque abbastanza salda, soprattutto grazie a città imperiali come Francoforte, e in particolare per l'impegno militare di Worms. Con l'elezione al soglio pontificio di Innocenzo IV la posizione di C. peggiorò. L'arcivescovo di Magonza, divenuto legato papale, nella primavera del 1244, grazie a consistenti offerte, riuscì ad attirare dalla sua parte il langravio di Turingia Enrico Raspe, che dopo il tradimento dell'ecclesiastico gli era succeduto nella carica di procuratore imperiale. A Torino, a fianco del padre, C. apprese che il concilio di Lione il 17 luglio 1245 aveva deliberato la deposizione dell'imperatore. Per iniziativa del papa, che fece anche predicare la crociata contro Federico II, il 22 maggio del 1246 Enrico Raspe fu eletto antiré da numerosi principi, soprattutto ecclesiastici. C., nel tentativo di sbarrare la strada per Francoforte al suo avversario, subì una pesante sconfitta sul Nidda (5 agosto 1246). La causa principale dell'insuccesso fu il tradimento dei conti di Württemberg e di Grüningen, che abbandonarono il campo militare del re in seguito all'offerta del ducato di Svevia. La dieta imperiale riunita da Enrico Raspe dichiarò quindi deposto C. come re e duca di Svevia e gli tolse tutti i possedimenti in Germania. Un'offensiva di Enrico costrinse C. a ritirarsi da Norimberga e solo il fallimento dell'assedio di Ulma scongiurò il pericolo militare. La notizia della morte di Enrico Raspe, il 16 febbraio 1247, non procurò grande sollievo a C. perché, per iniziativa dell'arcivescovo di Magonza, in ottobre era subentrato come antiré il conte Guglielmo d'Olanda, che proseguì la guerra nel territorio del Reno-Meno. A causa della condotta del papa e di Guglielmo la posizione di C. subì un tracollo anche nella terra d'origine sveva. Signori laici ed ecclesiastici lo abbandonarono colpiti da revoca dei beni, sospensione, deposizione e scomunica o semplicemente intimoriti da questa minaccia, o ancora conquistati da feudi ecclesiastici, prebende e privilegi. Solo pochi dinasti come Rodolfo d'Asburgo, o città imperiali come Berna e Zurigo non si fecero intimidire dall'interdetto e si mantennero fedeli a C., non da ultimo in quanto potevano imporre più vantaggiosamente con il re i propri interessi politici contro le pretese dei vicini. C. dovette la sua salvezza al legame con Ottone di Baviera, di cui aveva sposato la figlia Elisabetta il 1o settembre 1246. Nel 1250 stipulò una tregua con i suoi avversari e lasciò la Svevia per appoggiare il suocero nella sua battaglia contro il clero di Ratisbona. In questi frangenti rimase vittima di un tentativo di omicidio per mano di ministeriali del vescovo che lo assalirono nella notte del 28 dicembre a S. Emmerano.
La morte del padre in Puglia, il 13 dicembre 1250, di cui venne a conoscenza probabilmente in gennaio, procurò a C. la successione in tre Regni ma peggiorò anche notevolmente la sua posizione. Aveva ormai completamente perduto l'area settentrionale dell'Impero, a sud del Meno la sua sfera di dominio non era più compatta, i suoi possedimenti erano devastati e i suoi sostenitori si erano assottigliati. I principi, che percepivano qualsiasi rafforzamento del potere regio come una sgradita concorrenza, erano quasi interamente schierati contro C., e il finanziamento della guerra si faceva sempre più difficile a fronte dell'onere economico. Quindi C., scomunicato dal papa il 13 aprile 1251, decise di partire per l'Italia per trasferire la sua base nel Regno di Sicilia, del quale rivendicava l'eredità. Durante l'estate riunì le truppe ad Augusta, si procurò denaro impegnando possedimenti imperiali e familiari, e nominò suo rappresentante in Germania il duca Ottone di Baviera. In autunno valicò il Brennero e organizzò a Goito una dieta con i ghibellini dell'Italia settentrionale, poi da Latisana, sul Tagliamento, si recò al porto di Adria e di lì salpò per Pola, dove lo attendevano le galee del fratellastro Manfredi (v. Manfredi, re di Sicilia), reggente del Regno, con un illustre seguito. In primo luogo assoggettò l'Istria direttamente all'Impero, per crearsi un punto d'appoggio ad Adria situata nel Settentrione. Durante la traversata invernale alla volta della Sicilia i suoi accompagnatori ‒ Gualtiero d'Ocra, cancelliere del Regno e conoscente di vecchia data, il siniscalco margravio Bertoldo di Hohenburg e Fulco Ruffo, nipote del maresciallo Pietro Ruffo di Calabria, entrambi rivali di Manfredi ‒ gli descrissero la situazione nel Regno. Manfredi lo accolse con grande solennità a Siponto il 6 gennaio 1252. Alla dieta di Foggia in febbraio C. prese subito in mano energicamente le redini del governo. Obbedendo alle ultime volontà del padre, abolì la gravosa imposta annuale, la collecta, e con proprie costituzioni proseguì l'opera legislativa di Federico. Per punire la ribellione di Napoli ne trasferì l'Università a Salerno e si assicurò contemporaneamente i professori più valenti, come Pietro d'Ibernia. Prese al suo servizio gli alti funzionari di suo padre: così Riccardo de Montenigro rimase gran giustiziere, Giovanni Mauro camerario e Gualtiero d'Ocra cancelliere. Il maresciallo Pietro Ruffo fu nominato conte di Catanzaro e capitano di Sicilia e Calabria. Il fratellastro Federico di Antiochia ottenne la conferma dei suoi feudi. Diverse furono le decisioni nei confronti di Manfredi: C. gli tolse in un primo tempo Monte S. Angelo e Brindisi, in seguito le contee di Montescaglioso, Tricarico e Gravina, e ridusse i suoi diritti di sovranità in quel che restava del principato di Taranto. Inoltre negò il proprio consenso ad alcuni provvedimenti di governo di Manfredi, in primo luogo i ricchi infeudamenti dei Lancia, suoi parenti per parte di madre. In estate C. diede inizio all'offensiva contro i ribelli; dopo aver occupato Sessa, Calvi e San Germano fu ordinato cavaliere. Poi ottenne la sottomissione dei conti Tommaso II d'Aquino e Riccardo di Caserta, suo fratellastro. Nel febbraio 1253 C. aveva bandito i Lancia dal Regno minacciandoli di punizioni, con la sola esclusione di Bertoldo di Hohenburg, marito di Isotta Lancia. L'occasione per questo provvedimento fu verosimilmente la nomina di Manfredi Lancia a podestà di Milano, che C. giudicò un tradimento. Il motivo più profondo, tuttavia, potrebbero essere state le ambizioni personali di Manfredi. No-nostante ciò i due fratelli in questo stesso anno espugnarono insieme Capua e Napoli, i centri della resistenza, che ricevettero punizioni piuttosto miti. Nel frattempo C. coltivò intensi rapporti con i suoi alleati, i ghibellini italiani: il senatore romano Brancaleone de Andalò, Siena e i ghibellini fiorentini, nell'Italia settentrionale Cremona, Piacenza, Pavia, Ezzelino da Romano e Uberto Pallavicini, che nominò vicario generale del Regno in Lombardia e che gradualmente cominciò a preferire a Ezzelino.
C. mantenne ugualmente i legami con i suoi sostenitori in Germania, pur non potendo impedire i progressi dell'antiré Guglielmo d'Olanda. Riprese anche le trattative con Innocenzo IV, dopo che la sua ambasceria nel 1252 era rientrata da Perugia senza aver ottenuto alcun risultato. Il papa inviò dapprima allo scomunicato una convocazione al processo; tuttavia in seguito alla replica di C. si dichiarò di-sposto a spostare la data al 22 marzo 1254. Così facendo il papa guadagnò tempo per le trattative già in corso per infeudare la Sicilia a Edmondo, figlio del re d'Inghilterra Enrico III, che si conclusero il 6 marzo. Il 9 aprile il papa rinnovò la scomunica di C., che aveva già subito altri colpi: il 29 novembre 1253 era morto il suocero e vicario imperiale Ottone di Baviera, in dicembre a Melfi era scomparso il fratellastro Enrico, nipote del re d'Inghilterra, una circostanza che sollevò subito il sospetto che lo stesso C. l'avesse fatto uccidere. Comunque il re aveva stabilizzato la sovranità sveva nel Regno e con la fondazione dell'Aquila era riuscito ad assicurare il confine settentrionale, tanto da poter progettare una spedizione contro i guelfi italiani. A questo scopo raccolse le sue truppe a Lavello, fra Venosa e Melfi, alle quali si unì anche Manfredi. Ma in maggio C. ebbe una ricaduta dell'attacco di febbre (forse malaria) che già l'aveva colpito in febbraio. Morì il 21 maggio 1254, e si disse che fosse stato avvelenato da Manfredi. Nelle sue disposizioni testamentarie nominava come proprio successore il figlio Corradino di Svevia (v.), nato in Baviera il 25 marzo 1252 dopo la sua partenza per l'Italia. L'amministrazione del Regno di Sicilia non veniva affidata a Manfredi, ma a Bertoldo di Hohenburg. Inoltre C. chiedeva al papa di farsi garante dei diritti del figlioletto.
Il sovrano morto prematuramente lasciò di sé un ricordo sbiadito: gli mancò il fulgore degli Svevi. Oltre al Regno tedesco perse anche il Regno di Gerusalemme che aveva avuto in eredità e con cui non ebbe mai alcun legame; solo nel 1254 ne nominò cancelliere Gualtiero d'Ocra, un'iniziativa che non ebbe alcun seguito. Nonostante ciò non fu un sovrano inetto: i suoi provvedimenti si dimostrarono energici e coerenti; gli italiani lo considerarono un uomo giusto, ma severo e talvolta crudele. Apprezzava le feste allegre, ma non sembra rispondere a verità che conducesse una vita dissoluta. I guelfi italiani gli rimproverarono di essere smodato nel bere, ma si tratta di uno stereotipo usato abitualmente contro i tedeschi. Oltre al figlio nato dal suo matrimonio, C. lasciò ‒ come tanti altri suoi contemporanei ‒ un figlio naturale, anch'egli di nome Corradino, che tuttavia non svolse mai alcun ruolo di rilievo e fu giustiziato da Carlo d'Angiò nel 1269 dopo la capitolazione di Lucera. Una prerogativa del carattere di C. fu la lealtà: malgrado i tentativi della Curia per attirarlo dalla propria parte, la sua fedeltà nei confronti del padre rimase incrollabile. Grazie al valore e al talento militare che lo contraddistinsero, egli riuscì ad assicurare ancora per un decennio il possesso del Regno di Sicilia agli Svevi.
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Traduzione di Maria Paola Arena