TUMIATI, Corrado
– Nacque a Ferrara il 9 settembre 1885, figlio di Gaetano, avvocato, e di Eda Ferraresi, ultimo di sei fratelli dopo Domenico, drammaturgo; Gualtiero, attore; Leopoldo, giurista; Chiara, assistente sociale; e Clelia, suora.
A otto anni e mezzo fu avviato agli studi umanistici a Firenze al collegio barnabita La Querce; scelse di iscriversi a medicina a Ferrara dove frequentò i primi tre anni, per tornare a Firenze a laurearsi a pieni voti con una tesi sul tumore dello stomaco. Subito rifiutò l’assistentato universitario per quello medico. Presso il manicomio di Pesaro, diretto da Antonio D’Ormea, impattò con le rigidità dell’istituzione psichiatrica: guardie di 24 ore a giorni alterni, vita claustrale e un rapporto con i malati tanto drammatico quanto inutile. Così nel 1910 seguì D’Ormea all’ospedale di Siena dove per tre anni approfondì gli studi di anatomia fisiologica, in particolare sul sistema nervoso; in un viaggio di aggiornamento all’ospedale Sainte-Anne di Parigi conobbe Édouard Toulouse, promotore di un programma per l’igiene mentale che lo ispirò; cominciò a collaborare con le prime riviste di settore (Rassegna di studi psichiatrici, che pure fondò; Note e riviste di psichiatria), finché nel 1913, vincitore di concorso, si insediò come psichiatra nell’ospedale dell’isola di San Servolo a Venezia.
Nel giugno del 1915, trentenne, fu richiamato come tenente medico: in prima linea sul Carso (dove gli è tuttora intitolato un itinerario storico-escursionistico tra il Vallone e la dolina delle Caverne), sul Piave e infine a Trieste dove organizzò servizi sanitari per il corpo dei finanzieri; tenendo sempre appunti dell’esperienza di guerra.
Congedato nel settembre del 1919, riprese l’attività a San Servolo. Nel 1922 sposò la veneziana Maria Luzzatto, di diciotto anni più giovane, da cui ebbe Lucia (1926; poi affermata scrittrice per l’infanzia, collaboratrice di Mario Lodi e Gianni Rodari) e di seguito Andrea. Dalla sua postazione veneziana, cominciò a spendersi con sempre maggior impegno per la riforma dei trattamenti psichiatrici, in particolare a seguito dell’importante congresso dei medici dei manicomi pubblici italiani tenuto a Genova del 1920; nel 1921 fondò La voce sanitaria, rivista che si proponeva di «fondere i criteri della medicina sociale con i postulati della psicologia e della patologia nervosa e mentale» (1921, n. 1) e che, al costituirsi della Lega italiana di igiene e profilassi mentale (1924), ne diventò il periodico ufficiale, fino ad assumerne il programma nella stessa testata, L’igiene mentale (1926), fieramente tesa a un «programma di lotta» intorno alle «questioni pratiche scottanti» (VI (1926), 1, p. 1). Tumiati ne fu redattore, amministratore e proprietario, contribuendovi con proposte innovative che egli stesso intanto applicava: nel 1927 fondò a Venezia un patronato per i malati di mente e un dispensario psichiatrico; a Marocco (Mogliano Veneto) creò e condusse per un anno il primo dispensario psichiatrico in Italia per bambini ‘anormali’.
Intanto il carico dolente di umanità di cui aveva fatto esperienza, in ospedale come in trincea, lo spingeva alla scrittura; su suggerimento del giornalista Pietro Pancrazi raccolse e pubblicò una serie di ritratti del manicomio veneziano, già usciti singolarmente su Pegaso a partire dal 1929: il libro I tetti rossi: ricordi di manicomio (Milano 1931), primo nel suo genere – comprendente anche Viaggio d’istruzione (Vetrine d’un mondo nuovo), memoriale americano – ricevette subito il premio Viareggio (Tumiati non poté includervi, causa la censura, un altro diario cui teneva in egual modo: quello Zaino di sanità raccolto in trincea dove appunto la guerra, come la follia, era occasione per contemplare una condizione umana crudelmente liminale fra normalità e patologia).
A quarantasei anni, di cui venti trascorsi in manicomio e quattro al fronte, fu la svolta. Vicino alla pensione minima; contagiato dalle inquietudini di amici pittori della fronda di Ca’ Pesaro (Felice Casorati, Pio Semeghini, Gino Rossi); ma soprattutto spinto dalla delusione di non riuscire a riformare San Servolo per l’opposizione del prefetto fascista e in genere per l’arretratezza dell’istituzione psichiatrica, si trasferì con la famiglia a Firenze (1933) per dedicarsi sempre più alla scrittura creativa.
Il successo del libro e l’amicizia di Pancrazi gli aprirono le porte della terza pagina del Corriere della sera (1930-46); intensificò le collaborazioni con Pegaso e Pan; partecipò del clima antifascista fiorentino con il critico Vittore Branca, il musicista Luigi Dallapiccola, il pittore Giovanni Colacicchi e fra tutti con Piero Calamandrei, di cui restò amico e sodale per il resto della vita. Senza abbandonare la militanza in ambito psichiatrico: nel 1935 iniziò la lunga collaborazione con L’Illustrazione del medico, storica rivista dei laboratori farmaceutici Maestretti; nel 1937 a Parigi partecipò al II Congresso internazionale di igiene mentale con una relazione su L’igiene mentale nell’educazione familiare, al passo con le teorie psicanalitiche invise in Italia; perseguendo quell’idea che aveva sempre cercato di incarnare, di «medico intero, quale cioè i tempi vogliono e consentono. Non più metafisico, non ancora tutto fisico: psichiatra. Sensibile come un artista, dotto come un sapiente» (I tetti rossi, cit., p. 71).
Con il sopraggiungere della seconda guerra mondiale si divise dalla moglie: Maria, di origine ebraica, e Lucia, costrette a vivere nascoste dalle leggi razziali, entrarono fra le staffette partigiane di Giustizia e Libertà tra Padova e Venezia. Pubblicò Il pavone della casa blu (Torino 1940; racconti fantastici, cifrate utopie) e Il miracolo di Santa Dymfna (Firenze 1942; con le gite in bicicletta insieme al fratello Gualtiero); si rifugiò nel giornalismo e negli studi storici, in particolare su Francesco Redi (ambizioso progetto incompiuto), forse rammaricandosi di non riuscire, vista l’età, a dare un esito più pratico alla propria opposizione al fascismo.
Nel 1945, finita la guerra, morta Maria e tornata Lucia a Firenze, ricevette da Calamandrei l’incarico di vicedirettore e redattore letterario della nuova rivista Il Ponte – titolo programmatico, in anni di ricostruzione, la cui la paternità sembra fosse dello stesso Tumiati. Il ritorno a questa nuova militanza e l’incontro con Elisabeth Mann Borgese, figlia di Thomas Mann, con la quale nacque un nuovo legame, furono per lui motivo di un ricominciamento.
Il primo segno fu la riedizione di Tetti rossi (Firenze 1947), finalmente insieme a quello Zaino di sanità che Tumiati sapeva essere il primo diario di guerra nell’ottica di un medico. Seguirono Nessuno risponde (Firenze 1950) sui tempi del collegio; Vite singolari di grandi medici dell’Ottocento (Firenze 1952), raccolta di biografie esemplari già uscite su L’illustrazione del medico; fino all’apologo: Sette storielle di uomini e bestie (Urbino 1961).
In campo medico-psichiatrico, mentre intensificava la collaborazione con L’Illustrazione del medico (1945-63), il suo profilo lo fece candidato ideale per una nuova impresa; nel 1952 contribuì a fondare l’Associazione dei medici scrittori italiani, per la quale assunse la direzione del periodico La Serpe.
Intanto la sua parallela attività di traduttore contribuì a procurargli una teoria di rencontres remarquables. Prima, dall’inglese, portò in Italia le presunte favole sanscrite di Francis William Bain (La giovenca dell’alba, Firenze 1927; La caduta del sole, Torino 1936; La donna del sogno, Firenze 1944); dopo la guerra, dal francese, le avventure picaresche di Jules Renard (Pel di carota, Milano 1951, 1966, 1995; Il pane casalingo e Il piacere di troncare, entrambi Firenze 1952).
Ma le traduzioni più importanti erano legate al teatro. La prima in assoluto, nonché sua prima opera non scientifica, nacque dal viaggio di formazione a Parigi del 1910: conobbe Paul Hyacinthe Loyson e ne tradusse L’apostolo, perché fosse subito dopo messo in scena dalla compagnia Ettore Paladini e pubblicato con prefazione di Renato Simoni (Milano 1912; ma forse pensando al passaggio al capocomicato del fratello Gualtiero che avveniva proprio in quell’anno). Infatti, ‘per Gualtiero’ tradusse Il cavaliere di Seingalt di Lorenzo Azertis (L’illustrazione del popolo, 17 settembre 1922); con lui e con la cognata costumista Beryl Hight partecipò all’inaugurazione della Sala Azzurra di Milano (1924), per cui tradusse ancora Barberina di Alfred de Musset, accompagnandola con un Proemio dedicato a quell’utopia e ai propri rapporti con il teatro (Venezia 1926 circa); fino a farsi decisamente autore sotto lo pseudonimo di Leon M. Lion, con Il rompicapo cinese (commedia in cinque atti, L’illustrazione del popolo, 25 novembre, 2 e 16 dicembre 1923) e finalmente firmandosi con Padre (dramma in tre atti, Torino 17 ottobre 1941, inedito). Le successive traduzioni teatrali, imprese editoriali sempre più sistematiche per Sansoni (di Pierre de Marivaux tradusse Arlecchino dirozzato dall’amore e L’eterna questione, Firenze 1944; La duplice incostanza e Il gioco dell’amore e del caso, Firenze 1952; di Molière, fra il 1952 e il 1960, quasi tutto) misero a punto questa sua esperienza e insieme il suo profondo senso della comédie humaine.
Nel 1965, ottantenne, quasi in forma testamentaria, ricompose questo suo pantheon intitolandolo Collezione privata. Profili e ritratti (Firenze), dove, a corollario delle figure più amate e studiate di medici e artisti – Adelaide Ristori, Amelia Rosselli, Jules Renard, Francesco Redi, Vincenzo Chiarugi, Ludwig van Beethoven, Torquato Tasso, Caravaggio, Alexandre Borodine, Mungo Park, Georges Clemenceau, Isidoro Falchi, Agostino Bertani –, pose Calamandrei, che intanto Tumiati aveva sostituito alla direzione della rivista Il Ponte dopo la sua morte nel 1956.
Nello stesso anno dismise tutti gli incarichi, la direzione dei periodici Il Ponte e La Serpe. Quasi cieco, come il fratello Gualtiero, morì a Firenze il 16 febbraio 1967.
Casa Tumiati, al numero 31 di via Palestro a Ferrara, acquistata da Gaetano intorno al 1870, dal 1998 reca una lapide che lo ricorda con i tre fratelli Domenico, Gualtiero e Leopoldo e con il nipote Gaetano, martire della Resistenza; ad ammonire forse, con Corrado, che «la vita ha meno bisogno di dottrine che di giustizia» (I tetti rossi, edizione del 1931, p. 53).
Fonti e Bibl.: L’archivio di Corrado Tumiati è stato destinato dalla figlia Lucia a tre diversi centri: nel 2007 la parte relativa all’attività psichiatrica (diciassette estratti di articoli, le annate 1952-2003 della rivista La Serpe, varie) al Centro di documentazione per la storia dell’assistenza e della sanità di Firenze, http://www.centrosanita. net/it/biblioteca-e-archivi/biblioteca-del-centro/ fondo-tumiati.html ; nel 2008 la parte di carattere letterario (sei faldoni di traduzioni inedite, opere per il teatro, corrispondenza, libri) al Centro manoscritti dell’Università di Pavia fondato da Maria Corti, https://lombardiarchivi. servizirl.it/groups/ UniPV_CentroManoscritti/ fonds/45398; nel 2016 una residua raccolta fotografica (diciassette fascicoli di documenti 1924-59 e fotografie 1912-67) all’ASPI - Archivio storico della psicologia italiana, https:// www.aspi.unimib.it/collections/object/detail/1350/.
C. T.: medico e scrittore (1885-1967) nel centenario della nascita, a cura di L. Tumiati - A. Tumiati, Campi Bisenzio 1985 (contiene A. Cherubini, C. T., medico e scrittore, pp. 15-25; C. Cordiè, C. T., traduttore, pp. 26-28; testimonianze di Elisabeth Mann Borgese, Gianna Semeghini, Giovanni Colacicchi, Giuseppe Bonaviri, Leonida Repaci, Enzo Mazza, Vittore Branca, Alessandro Galante Garrone, Giovanni Grazzini, Nora Rosanigo; una bibliografia completa delle sue opere a cui si rimanda). Si vedano ancora G. Tumiati, Una lapide in via Palestro, in Ferrara. Voci di una città, 1998, n. 9, https://rivista.fondazionecarife. it/index.php/luoghi/item/347-una-lapide-in-via-palestro.html (24 ottobre 2019); G. Bock Berti, Medico, soldato e scrittore. C. T. (1885-1967) tra medicina, guerra e letteratura, in Ferrara. Voci di una città, 2006, n. 24, https://rivista.fondazionecarife.it/it/2006/24/item/13-medico-soldato-e-scrittore (24 ottobre 2019); P. Gaspari, La vita di guerra di T., in C. Tumiati, Zaino di sanità, Udine 2009, pp. 8-24; la scheda C. T. nell’ASPI - Archivio storico della psicologia italiana, https:// www.aspi.unimib.it/collections/ entity/detail/273/ (7 novembre 2019); L. Tumiati Barbieri, Farfalle, da un racconto di mio padre C. T., illustrazioni di F. Zoboli, Milano 2017.