CORRADO
Figlio del conte Riccardo di Caserta e di Violante, figlia naturale dell'imperatore Federico II, nacque poco prima del 1250: il nome impostogli è di evidente tradizione sveva. C. era appena maggiorenne quando la sconfitta e la morte di Manfredi nella battaglia di Benevento (febbraio 1266) mutarono radicalmente la situazione della famiglia dei conti di Caserta, legata alla dinastia sveva da saldi vincoli politici e parentali.
Tra la fine del 1266 e l'inizio del 1267 - certamente prima del maggio 1267 - C. successe nella contea al padre, che Carlo d'Angiò aveva comunque lasciato nel possesso dei suoi feudi. Già precedentemente però C. (allora detto Corradello) è documentato a fianco del padre in occasione di alcune concessioni e di altri atti.
Data la sua giovane età, C. fu inizialmente affiancato nel governo della contea dalla nonna Siffridina, madre di Riccardo, la quale dopo la morte di Federico II aveva sempre intrattenuto buoni rapporti con la Curia pontificia. Fu sicuramente anche merito suo se C. poté succedere al padre senza difficoltà.
Come conte, C. continuò le tradizioni signorili della sua famiglia nella città di Caserta. Quando, infatti, la diocesi casertana, vacante dal 1264, ebbe un nuovo vescovo, per la nomina dei quale Siffridina si era adoperata personalmente in precedenza, C. gli chiese il tradizionale giuramento di "assicurazione". Il primo vescovo eletto, Giovanni Gayto, non ebbe difficoltà a prestarlo, anche se in un clima di rafforzata libertà ecclesiastica l'opportunità del giuramento poteva essere dubbia. Infatti, quando all'inizio del 1268 (Kamp) il Gayto fu sostituito dal papa con il minorita Filippo, già provinciale del suo Ordine nel Regno di Sicilia, questi rifiutò il giuramento richiestogli da Corrado. Il conte, conoscendo i buoni rapporti della nonna Siffridina con la Curia e credendosi nel suo diritto, espulse dalla città il vescovo che si rifugiò a Napoli. Nuove trattative convinsero, infine, Filippo a prestare il giuramento. Solo allora poté tornare a Caserta e prendere possesso della sua Chiesa con il consenso di Corrado.
Quando nell'estate del 1268 Corradino invase il Regno C. si schierò subito dalla sua parte. È probabile che già in precedenza Corradino avesse stabilito contatti con C., che era suo cugino, mediante emissari, e gli avesse anche conferito l'autorità di agire a suo nome. Come "capitaneus ipsarum partipm pro parte Cotiradini" C. si mise, infatti, alla testa della rivolta antiangioina, diventando il capo di una specie di autogoverno regionale, anche se i promotori diretti della rivolta, i fratelli Capece e Riccardo di Rebursa di Aversa emergevano più di lui. Gli emissari di C., come ad esempio il giudice Paolo Eusafii di Aversa, nell'agosto del 1268 giravano per la Terra di Lavoro incitando gli abitanti di Nola, Palma, Somma e di altre località, a ribellarsi contro Carlo d'Angiò ed a prestare il giuramento di fedeltà a Corradino. Ma questi emissari, pur ottenendo notevoli successi, incontrarono anche molte resistenze, cosicché dopo la sconfitta di Corradino la rivolta si spense rapidamente e fu facilmente domata dalle forze avversarie guidate dall'arcivescovo Aiglerio di Napoli e dal governatore francese Pierre de Beaumont, senza che fosse stato necessario l'invio di rinforzi da parte del re angioino.
Dopo la sconfitta di Corradino C. e la nonna Siffridina riuscirono a concludere un accordo con il luogotenente di Carlo d'Angiò nelle province di Terraferma, Pierre de Beaumont. L'accordo prevedeva per C. un trattamento onorevole e addirittura la restituzione dei feudi a condizione che egli si consegnasse al re, con tutti i feudi e le proprietà, e si sottoponesse al giudizio di un tribunale baronale. Nell'ottobre del 1268 C. e Siffridina furono condotti a Napoli, alla corte regia, da Guillaume l'Estendard; ma il re non usò la clemenza promessa. La sua sentenza privò C. di tutti i suoi beni e feudi e gli inflisse il carcere a vita. Già nel dicembre del 1268 Carlo concesse la contea di Caserta a Guillaume de Beaumont, fratello del luogotenente con cui C. aveva trattato. Siffridina fu rinchiusa nel castello di Trani, C. - insieme con la moglie Caterina di Gebennes - in quello di Canosa dove veniva tenuto prigioniero anche Enrico di Castiglia. Dopo poco più di otto anni Carlo d'Angiò fece trasferire sia C. sia Enrico di Castiglia a Castel del Monte, rendendo loro meno dura la vita nel carcere. Dovettero passare altri diciassette anni prima che, nel 1294, Carlo II concedesse a C. il permesso di mandare qualcuno dai suoi amici e parenti nel Regno per sollecitare sussidi supplementari. Solo nel 1303-04, dopo altri dieci anni, C. poté riottenere la libertà, insieme con la moglie. Aveva passato ben trentasei anni in carcere.
La sentenza di Carlo d'Angiò aveva privato C. di tutto il suo patrimonio ed egli dovette ora affidarsi alla clemenza del re per sopravvivere. Forse anche per riguardo della moglie di C., una nobile borgognona, Carlo II gli concesse per tre anni una rendita di 50 once sulle entrate del baiulato di Sorrento e dal 1° sett. 1304 su quelle del baiulato di Capua, rendita che fu confermata dal re nel novembre del 1305 dopo la morte di Caterina. C. stesso morì non molto tempo dopo la moglie, certamente dopo il 13 dic. 1306 e probabilmente nel corso del 1307. Con C., che non aveva avuto figli dal matrimonio con Caterina de Gebennes, si estinse la sua famiglia.
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