MIGRATORIE, CORRENTI
. Migrazioni internazionali (XXIII, p. 250; App. I, p. 848). - Spostamenti in massa di popolazioni hanno caratterizzato gli anni della seconda Guerra mondiale e dell'immediato dopoguerra: spostamenti forzati di gente in fuga di fronte all'avanzata nemica o ai bombardamenti, di minoranze nazionali trapiantate d'autorità, di deportati, di prigionieri, di lavoratori reclutati a volte con le armi (tipico il drenaggio di mano d'opera praticato dalla Germania, sia nei paesi amici sia in quelli nemici occupati, e in particolare l'afflusso nei campi, nelle miniere e nelle officine tedesche dei cosiddetti "Ostarbeiter"); spostamenti che indubbiamente rientrano nella più larga accezione del termine "migrazioni l', pur non avendo nulla a che fare con quei liberi e pacifici movimenti determinati dal movente economico individuale, caratteristici della seconda metà del sec. XIX e della prima parte del XX, cui comunemente ci si riferisce quando si parla del fenomeno migratorio.
Secondo i calcoli di E. M. Kulischer, più di 30 milioni di Europei furono così sradicati dalle loro sedi dallo scoppio del conflitto all'inizio del 1943, e la sconfitta tedesca, iniziatasi davanti a Stalingrado, determinò poi nuove larghe ondate di trasferimenti di popolazioni, per lo più in senso inverso, mentre l'invasione alleata ad Ovest provocava a sua volta riflusso dai paesi liberati verso la Germania di centinaia di migliaia di Tedeschi civili e di collaborazionisti. Questo flusso da Ovest cessò però subito con la fine delle ostilità e anzi si iniziò un movimento di ritorno verso i paesi di origine dei non Tedeschi, mentre l'ondata da Oriente seguitò a crescere e ai milioni di Tedeschi provenienti dall'Est la via del ritorno alle loro antiche case fu sbarrata per sempre dalle nuove frontiere. Il 1947 ha visto finalmente rallentarsi in Europa il ritmo di questi grandi movimenti migratorî forzati, che nessuno avrebbe mai immaginato potessero verificarsi ancora nel nostro secolo (v. minoranze nazionali; rifugiati; in questa App.). In Asia invece si sono accentuati: la divisione dell'India in due dominî ha provocato migrazioni di ampiezza eccezionale, non ancora ultimate (nel 1947 più di 4 milioni di Indù hanno lasciato il Pakistan e circa altrettanti Musulmani si sono spostati in senso inverso); in Cina il numero di coloro che hanno dovuto abbandonare le loro case per la guerra civile e le calamità si calcolava, ai primi del 1948, in 52 milioni e ad essi andrebbe aggiunto ora il numero incalcolabile dei nuovi profughi.
Il problema della ripresa delle normali migrazioni internazionali a carattere volontario ed economico ha cominciato di nuovo a porsi nel 1946 e con carattere di urgenza, connesso come è al problema della ricostruzione economica dell'Europa e a quello della pace sociale. È l'Europa il teatro principale dei movimenti, sia di emigrazione sia di immigrazione, in seguito agli spostamenti verificatisi nella composizione demografica di molti stati e alla necessità di far fronte alle distruzioni belliche e alla riconversione. La ripresa delle migrazioni continentali, che si afferma indiscutibile nel 1947 e nel 1948 (dalla fine della guerra alla metà del 1948 oltre mezzo milione di persone, soprattutto Italiani, Tedeschi e profughi, hanno lasciato la loro residenza per lavorare in altri paesi d'Europa), presenta due aspetti di particolare interesse: il fatto che tutte le correnti migratorie importanti partono dall'Italia o dai campi di profughi dell'Europa centrale, e la tendenza sempre più accentuata delle migrazioni ad organizzarsi in base ad accordi bilaterali (evoluzione indubbiamente facilitata dal controllo governativo del mercato della mano d'opera realizzato durante la guerra). Le migrazioni tra paesi europei superano per ora la classica emigrazione europea verso paesi d'oltremare, ma sono di gran lunga inferiori al potenziale complessivo di emigranti e lo sarebbero anche se l'intero fabbisogno di braccia dell'Europa potesse essere coperto. È vero che la Polonia e la Cecoslovacchia, in seguito alle gravi perdite demografiche subìte, non alimentano come una volta la corrente degli espatrî, ma l'Italia ha circa 2 milioni di disoccupati e manca di sbocchi coloniali, mentre la Germania, nei suoi più ristretti confini e con l'attrezzatura economica sconvolta, difficilmente potrà riuscire a dar lavoro a tutti i suoi abitanti. C'è poi il problema ancora aperto dei profughi europei non rimpatriati - e quindi probabilmente ormai non più rimpatriabili - di cui alla fine del 1948 circa 550.000 vivevano ancora nei campi dell'IRO (International Refugees Organization) - senza contare quelli che sfuggono non rientrando nelle condizioni previste per tale assistenza - e che l'IRO stesso, un po' alla volta, cerca di aiutare a sistemarsi in altri paesi. Lo squilibrio tra i bisogni europei di mano d'opera e le disponibilità di braccia potrà essere soppresso o attenuato soltanto dall'aumento dell'occupazione in Europa e dalla ripresa dell'emigrazione transoceanica e occorrerà comunque adeguare, anche qualitativamente, l'offerta alla domanda, dato che, sia nei paesi europei, sia in quelli extraeuropei - dove il processo d'industrializzazione è in rapido sviluppo anche nelle economie finora tipicamente agricole - si richiedono per lo più lavoratori qualificati, mentre la gran massa degli europei disposti ad emigrare è composta di semplici manovali. Man mano che le migrazioni si organizzano, sempre più alla libera emigrazione alla ventura si sostituisce l'espatrio di lavoratori già ingaggiati per svolgere funzioni determinate nel paese d'arrivo e lo sviluppo delle migrazioni è quindi intimamente legato alla formazione professionale degli emigranti.
D'altra parte anche paesi extraeuropei soffrono di mancanza di mano d'opera e, ad esclusione degli Stati Uniti, vanno perciò riaffermando la loro intenzione di incoraggiare immigrazioni selezionate di europei. Le migrazioni continentali non costituiscono infatti una fonte rilevante di mano d'opera per questi paesi, tranne che per l'America del Nord, dove esse avvengono in misura sensibile tra Stati Uniti e Canada e con provenienza dal Messico e dalle Antille verso gli Stati Uniti. Le difficoltà di trasporto e soprattutto la carenza di alloggi ostacolano per ora le correnti migratorie transoceaniche, ma ne è prevedibile lo sviluppo e certo a questo potrebbe dare impulso il Congresso americano se adottasse, seguendo la proposta Truman del luglio 1947, una legge speciale per l'ammissione dei profughi. Recentissimamente poi è stato presentato dal deputato repubblicano Ross, all'80a legislatura del Congresso, un progetto di legge, secondo cui la quota di immigranti italiani dovrebbe essere elevata nei prossimi 4 anni di 75.000 unità l'anno, e il deputato Lodge ha proposto di consentire almeno nel 1950-51 un aumento pari alla quota non utilizzata nell'ultimo decennio (36.709). Tra i paesi del Commonwealth, Australia, Canada e Nuova Zelanda hanno già deciso di accelerare l'afflusso di immigranti, ma, per quanto deficitaria dal punto di vista della mano d'opera, è ancora la Gran Bretagna a fornirne la maggior parte.
L'urgenza di sviluppare e organizzare meglio il movimento internazionale delle forze del lavoro, al fine di facilitare il conseguimento effettivo della piena occupazione, è sempre più sentita e lo dimostra il susseguirsi di riunioni internazionali che si sono occupate esclusivamente o prevalentemente del problema migratorio, ponendo, per ora, l'accento sui suoi aspetti europei. Particolarmente importanti: la Conferenza della mano d'opera, tenuta a Roma nel febbraio 1948 e in cui si decise la costituzione a Roma di un Comitato di coordinamento per i movimenti migratorî europei (E. Mi. Co.), le due sessioni dalla Commissione permanente delle migrazioni dell'OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) a Montreal (agosto 1946) e a Ginevra (febbraio-marzo 1948) e la terza, in corso a Ginevra (gennaio 1949). Scartata per il momento l'idea di creare un organismo internazionale, che si occupi esclusivamente delle migrazioni sotto i varî aspetti per coordinare le varie politiche nazionali, si è proceduto intanto a ripartire i compiti (autunno 1947) tra il Consiglio economico e sociale delle N.U. (incaricato di occuparsi del problema migratorio negli aspetti politici e giuridici, oltre che economici e finanziarî, e di coordinare l'attività dei varî organi internazionali) e l'OIL (incaricata di occuparsi dei diritti e della situazione degli emigranti, non in quanto stranieri, ma in quanto lavoratori, e di dare aiuto e consiglio in materia di programmi di migrazione, considerando alla pari con gli altri emigranti i profughi). Un passo avanti si è fatto poi con la creazione in seno all'Ufficio internazionale del lavoro (marzo 1948) di un Centro di informazioni per la raccolta e la diffusione di tutti i dati necessarî ai governi e alle organizzazioni internazionali interessate, con particolare riguardo, per il momento, ai bisogni e alle disponibilità di lavoro dei paesi europei. È in corso la revisione degli atti internazionali che erano stati votati dalla Conferenza internazionale del lavoro del 1939, ma che non furono poi ratificati; dovrebbe risultarne una convenzione contenente disposizioni di carattere generale, atte a facilitare i movimenti migratorî, e affermante la parità di trattamento tra lavoratori stranieri e nazionali, e una raccomandazione, con allegato un accordo-tipo, cui gli stati dovrebbero ispirarsi nello stipulare patti bilaterali.
L'emigrazione italiana. - Lo squilibrio tra fattori demografici e capacità produttiva, che è sempre esistito in Italia, si è accentuato in seguito alla guerra, nonostante le perdite umane; l'accrescimento naturale della popolazione è sempre infatti elevato, gli sbocchi all'emigrazione sono rimasti chiusi per lungo tempo e la produzione interna è diminuita. La forte disoccupazione e un diffuso senso di disagio economico e morale hanno accentuato quindi la tendenza all'espatrio. Mentre la crisi di mano d'opera di molti paesi e l'eliminazione di concorrenti importanti, come la Polonia e la Cecoslovacchia, favoriscono le possibilità di collocamento all'estero del lavoro italiano, la sempre più specifica domanda di mano d'opera qualificata da parte dei paesi d'immigrazione è però di grave ostacolo, dato che l'offerta italiana è sempre stata per lo più inqualificata e che lo stesso mercato italiano ha bisogno dei suoi tecnici e operai specializzati. In attesa che si possano sentire gli effetti di un programma generale per la formazione, l'istruzione e la rieducazione professionale dei lavoratori che tenga conto anche delle necessità di emigrazione, le autorità italiane (Ministeri degli esteri e del lavoro), sono costrette a regolare gli espatrî, in funzione dei bisogni interni oltre che delle richieste estere, e ad imporre che gli espatrianti siano muniti di contratto di lavoro contemplato da accordo di emigrazione o di richiesta nominativa, per lavoro o no, purché debitamente approvata (il che non toglie che oltre alla emigrazione collettiva controllata e a quella individuale libera si verifichi una notevole emigrazione clandestina).
L'assoluta necessità di aprire sempre maggiori sbocchi alla mano d'opera esuberante e di organizzare le correnti di espatrio nel modo più efficiente, evitando delusioni e malcontenti sia negli emigranti sia nei paesi di immigrazione, suscita naturalmente iniziative, programmi e proposte in tutti gli ambienti e dà anche luogo a frequenti discussioni circa la ripartizione dei compiti tra gli organi governativi e il concorso degli organi sindacali. Si ripone poi da molti il problema dell'unificazione dei varî servizî concernenti l'emigrazione in un nuovo Commissariato e una proposta legislativa in tal senso è stata anzi presentata il 15 ottobre 1948 alla Camera da un gruppo di deputati di varie tendenze.
I numerosi accordi bilaterali conclusi nel dopoguerra dall'Italia con la Francia (febbraio 1946, marzo 1947 e febbraio 1948), col Belgio (giugno 1946), la Cecoslovacchia (febbraio 1947), con la Gran Bretagna (gennaio 1947), con la Svezia (aprile 1947), con l'Argentina (febbraio 1947 e gennaio 1948), con la Svizzera (giugno 1948) con l'Olanda (dicembre 1948), oltre che con il Lussemburgo e con il Kenia (1948), hanno portata più limitata dei veri "trattati di lavoro" in quanto si applicano a contingenti di lavoratori numericamente e professionalmente definiti. Il reclutamento, previa selezione fisica e professionale, viene curato dagli Uffici del lavoro, in base a criterî concordati tra i due Ministeri interessati, e i lavoratori reclutati vengono avviati verso i Centri nazionali dell'emigrazione (Milano e Genova), organizzati e amministrati dalle autorità italiane, dove vengono sottoposti a nuovi esami da parte delle autorità competenti dei paesi di immigrazione, e firmano quindi il loro contratto individuale di lavoro. Quanto alle spese di viaggio, i varî accordi o le accollano ai paesi di immigrazione, o consentono almeno degli anticipi agli emigranti, rimborsabili con ritenute mensili; alcuni accordi prevedono inoltre indennità speciali per permettere agli emigranti di fronteggiare le spese d'impianto nel paese di arrivo. Ispettorati dell'emigrazione nei porti di Genova, Napoli, Messina e Palermo, provvedono all'assistenza degli emigranti al momento dell'imbarco, alla visita delle navi, all'assegnazione dei posti, al controllo sulle agenzie di navigazione e alla sorveglianza in genere; l'opera degli ispettori è continuata a bordo dai commissarî governativi, che vigilano sugli emigranti fino al porto di destinazione, anche su navi estere. Controlli avvengono anche ai passaggi delle frontiere terrestri.
Le rilevazioni del fenomeno condotte dall'Istituto centrale di statistica, dal Ministero del lavoro e dal Ministero degli esteri (il quale si serve anche di accertamenti e informazioni raccolte nei paesi d'immigrazione, da parte delle autorità consolari) non coincidono, a causa anche delle differenze tra i criterî seguiti. Le valutazioni per il 1946 e il 1947 vanno da un minimo, rispettivamente, di 50.000 e 150.000 unità a un massim0 di 80.000 e 210.000 (in massima parte verso paesi europei) e nel 1948 si ritiene che siano emigrate circa 200.000 persone, in prevalenza però verso paesi transoceanici. La Francia, la Svizzera e il Belgio offrono attualmente i maggiori sbocchi all'emigrazione italiana (che, nei confronti della Svizzera, ha però un carattere per lo più stagionale) mentre tra gli sbocchi transoceanici è in primo piano l'Argentina, dove si sono trasferiti anche interi "complessi economici", tipo di espatrio di lavoratori, tecnici e capitali insieme, visto con favore da certi paesi di immigrazione.
Assai complessa è la rilevazione delle rimesse degli emigranti provenienti da paesi legati all'Italia da accordi di pagamento, specie se questi prevedono un unico conto di clearing; più facile è quella delle rimesse da paesi a valuta libera. Le sole rimesse provenienti da questi ultimi nel 1947 sono ammontate a 34 milioni di dollari, e l'ammontare complessivo di tutte le rimesse è stato calcolato per il 1948 in 65 milioni di dollari (contro 37 milioni nel 1938), poco più di 1/3 del previsto ammontare delle partite invisibili della bilancia dei pagamenti dell'Italia nel 1948.
Quanto ai movimenti migratorî interni, che rientrano ormai, cessata con il 1943 l'attività del Commissariato delle migrazioni interne, nella competenza del Ministero del lavoro, non si hanno ancora rilevazioni.
Bibl.: Per gli spostamenti di popolazioni causati dalla seconda Guerra mondiale: E.M. Kulischer, Europe on the move - War and population changes, 1917-1947, New York 1948, e la ricchissima bibliografia in esso contenuta. Per la ripresa delle migrazioni a carattere economico, v. soprattutto i Rapports du Directeur général del BIT alle Conf. intern. del lavoro, Ginevra 1947 e 1948, e dello stesso BIT: La deuxième session de la Commission permanente des migrations, Ginevra 1948, e la Revue internationale du travail di questi anni; G. Stammati, U. Giusti e A. Oblath, Problemi internazionali della emigrazione, Roma 1947; A. Oblath, I nuovi compiti dell'Organizzazione internazionale del lavoro nel campo delle migrazioni, in Comunità internazionale, aprile 1948; E. Mi. Co., Inchiesta sull'emigrazione agricola verso la Francia, Roma 1948. A proposito della teoria di F. A. Walker, sulle conseguenze demografiche delle migrazioni, v.: C. Gini, La teoria europea e la teoria americana delle migrazioni internazionali, in Economia e Commercio, marzo-aprile 1946. Le pubblicazioni italiane periodiche dedicate all'emigrazione sono: Gli italiani nel mondo della "Dante Alighieri" (v. M. Gianturco, Emigrazione e cittadinanza e Cooperazione ed emigrazione, ivi 25 settembre e 25 dicembre 1948), il Bollettino quindicinale dell'emigrazione della Società Umanitaria e il Notiziario della Giunta cattolica per l'emigrazione.