MIGRATORIE, CORRENTI
(XXIII, p. 249; App. I, p. 848; II, II, p. 312; III, II, p. 110)
Teorie e tendenze delle migrazioni umane. − Le migrazioni rappresentano solo una delle forme con cui si realizza la mobilità della popolazione sul territorio. Gli spostamenti periodici tra il luogo di residenza e quello di lavoro o di studio, i trasferimenti temporanei di residenza, i movimenti occasionali (vacanze, viaggi) costituiscono altre forme importanti di mobilità connaturate al convivere sociale. "La mobilità è fisiologica perché funzionale all'equilibrio sociale... Una società cristallizzata nella sua distribuzione territoriale non sopravviverebbe a lungo e, in ogni caso, sopravviverebbe male" (Livi Bacci 1981). Le diverse forme di mobilità non sono indipendenti, anzi spesso sono strettamente interdipendenti. Si pensi, per es., ai movimenti pendolari che, a seconda dei casi, possono essere complementari o sostitutivi di spostamenti di residenza. Ne consegue che lo studio della mobilità della popolazione nella sua complessità dovrebbe prendere in considerazione contemporaneamente tutti questi eventi e le loro interconnessioni.
Se si considerano soltanto i movimenti che vengono definiti ''migrazioni'', la complessità del fenomeno mobilità si riduce notevolmente anche se permangono numerosi problemi concettuali e di misura di non facile soluzione. Con il termine migrazioni vengono indicati in effetti solo gli spostamenti associati al trasferimento della residenza abituale di un individuo da un'unità amministrativa a un'altra. Solo questi spostamenti sono, di regola, oggetto di rilevazione statistica. I trasferimenti di residenza si realizzano nel tempo (si possono sperimentare uno o più spostamenti in un certo periodo, per es. un anno) e nello spazio (ci si può spostare di pochi metri o di molti chilometri). Ne consegue che i problemi di misura e di rilevazione di questo fenomeno hanno una duplice dimensione: temporale e spaziale.
Per quanto riguarda l'osservazione del fenomeno nel tempo ci sono due principali modi di concepire un cambio di residenza. Si possono considerare gli eventi (spostamenti) in quanto tali e registrati man mano che si verificano, oppure si possono considerare le persone che sperimentano questi eventi. Il primo approccio è possibile solo nei paesi che posseggono sistemi di registrazione e di aggiornamento continuo della popolazione (anagrafi). In questo caso, il trasferimento di residenza viene registrato dalle autorità amministrative della località (nel nostro paese, il comune) di destinazione (iscrizione) e della località di origine (cancellazione). Queste iscrizioni e cancellazioni avvengono in modo analogo a quelle che si fanno per le nascite e le morti.
Quando questi sistemi di registrazione non esistono (e questo accade in molti paesi sviluppati e in quasi tutti i paesi in via di sviluppo) i trasferimenti di residenza vengono rilevati chiedendo alle persone quali fossero i loro indirizzi ad alcune date anteriori. Quelli che in questo caso vengono registrati non sono i trasferimenti di residenza (migrazioni), ma le persone che sperimentano almeno un trasferimento durante l'intervallo di tempo considerato (migranti). Questo approccio, che è tipico dei censimenti, classifica in sostanza la popolazione enumerata in due gruppi: migranti e non migranti. Il quesito più comunemente usato nel censimento (e adottato anche in quello italiano) è quello relativo al luogo di residenza a una precisa data anteriore (1 o 5 anni prima del censimento, al censimento precedente). In questo caso, vengono definiti migranti le persone il cui luogo di residenza alla data del censimento differisce da quello alla specifica data anteriore. Possono essere adottati anche altri quesiti per ottenere dal censimento informazioni sulle migrazioni, ma, anche quando non vi sono specifici quesiti, dal censimento possiamo ricavare una misura (sia pur sommaria) dei movimenti migratori confrontando il luogo di nascita, quasi sempre rilevato, con il luogo di residenza corrente. La distinzione tra migrazioni (eventi) e migranti (persone) è fondamentale per lo studio analitico del fenomeno migrazione e per le analisi comparative (Courgeau 1973, 1988).
La fonte anagrafica e il censimento danno informazioni importanti (intensità, direzione) sui movimenti migratori che interessano i membri di una popolazione, ma non consentono i desiderati approfondimenti dei meccanismi causali, operanti soprattutto a livello di individui e di famiglie. Per questa ragione si vanno sviluppando in tutte le parti del mondo numerose inchieste sul comportamento migratorio, basate essenzialmente sulle storie residenziali degli individui e delle famiglie e sulle interconnessioni tra eventi migratori e altri eventi fondamentali del corso della vita (occupazione, nascita dei figli, pensionamento).
Per quanto riguarda le caratteristiche spaziali del fenomeno migratorio, occorre anzitutto che il luogo di residenza abituale (prima e dopo il trasferimento) sia geograficamente definito. In generale, come si è detto, si considerano migrazioni solo i trasferimenti da un'unità amministrativa all'altra (nel nostro paese i comuni), escludendo tutti quei movimenti che non comportano l'attraversamento dei confini amministrativi. La discrepanza tra le migrazioni e il totale dei trasferimenti di residenza può quindi essere anche rilevante e dipende dall'ampiezza dell'unità territoriale considerata. Secondo il raggio dello spostamento, si usa distinguere tra migrazione a breve distanza (all'interno di una regione, di una provincia, di un'area urbana) e migrazioni a media, lunga, lunghissima distanza (tra regioni, tra grandi ripartizioni territoriali, tra paesi diversi). La distinzione è utile perché al crescere della distanza cambiano l'intensità, le caratteristiche, le cause e le implicazioni delle migrazioni.
Teorie. - Allo stato attuale non esiste una teoria ideale delle migrazioni, ossia una serie di concetti logicamente ordinati che spieghino l'intera costellazione dei fenomeni migratori a una varietà di scale, che possano rendere conto delle tendenze passate, di quelle presenti e prevedere quelle future. Una teoria, cioè, capace di dirci quante e che tipo di persone migreranno, in quale direzione, fra quali regioni, quali saranno le conseguenze sui luoghi di origine e di destinazione, sulle persone stesse e sull'intero sistema sociale di cui esse fanno parte. Vi sono comunque tante teorie ''parziali'' che privilegiano a seconda dei casi differenti approcci al fenomeno, da quello economico a quello storico, da quello sociologico a quello psicologico.
Una distinzione sempre più seguita è quella tra teorie macro e teorie micro. Le prime cercano di spiegare le manifestazioni del fenomeno a livello aggregato, vale a dire il volume delle migrazioni che si verificano in un certo periodo, la proporzione di persone che si spostano da un'area all'altra, e così via. Le teorie micro, invece, ricercano la spiegazione in fattori che operano a livello degli individui o delle famiglie; prendono cioè in considerazione il comportamento migratorio del singolo individuo mettendolo in relazione con le sue caratteristiche, le sue esperienze passate, le sue scelte e le sue aspettative per il futuro. Una tipica domanda nell'approccio macro è quella relativa alla quota di popolazione che ci si attende che migri da un'area all'altra. L'analoga domanda nell'approccio micro è quale sia la probabilità che una persona con certe caratteristiche migri in un certo periodo.
Lo sviluppo delle teorie sulle migrazioni deve molto alle ricerche pionieristiche di E. Ravenstein (1885) che, un centinaio di anni fa, sulla base di osservazioni empiriche, formulò una serie di ''leggi'' che hanno influenzato molto gli approcci teorici successivi. Tra questi, uno dei più importanti è quello che assume che le migrazioni siano provocate da una forza gravitazionale che diminuisce con la distanza. Secondo questa teoria, che s'ispira a una ben nota legge fisica, il numero di persone che si spostano tra due aree è direttamente proporzionale all'ammontare delle due popolazioni di origine e di destinazione e inversamente proporzionale alla loro distanza.
Nelle formulazioni originarie di questa teoria non si tiene conto delle caratteristiche dei luoghi di origine e destinazione e neppure di quelle dei migranti. Dopo vari miglioramenti si è giunti alla versione più completa di questo approccio teorico, dovuta a E.S. Lee (1966), che fornisce uno schema interpretativo in cui operano quattro categorie di fattori: fattori associati al luogo di origine, fattori associati al luogo di destinazione, ostacoli che si frappongono allo spostamento, caratteristiche personali del potenziale migrante (sesso, età, grado d'istruzione).
Un'altra importante teoria è quella che va sotto il nome di ''transizione della mobilità'', formulata da W. Zelinsky (1971). L'idea centrale di questo approccio è che le migrazioni rappresentano uno dei tanti processi irreversibili che fanno parte integrante del generale avanzamento della società. Le moderne società, dopo una lunga fase di mobilità (fase pretransizionale), hanno sperimentato un rapido processo di transizione da una bassa a un'alta mobilità e da un modello predominante di insediamenti rurali a uno di insediamenti urbani (fase transizionale). Secondo questa teoria, fenomeni come la controurbanizzazione od oscillazioni della mobilità indotti dal ciclo economico si considerano variazioni di minore importanza o perturbazioni. Nella fase più avanzata dello sviluppo economico-sociale (fase post-transizionale) le migrazioni rurali-urbane sono gradualmente sostituite da altre forme di mobilità, come le migrazioni interurbane e intra-urbane, che diventano le componenti più importanti dei processi redistributivi della popolazione.
Esistono poi le teorie di natura puramente economica, secondo cui le migrazioni agiscono sostanzialmente come fattore di aggiustamento del mercato del lavoro, cioè come un meccanismo di riequilibrio che porta a un'allocazione ottimale sul territorio della domanda e offerta di lavoro. Modelli di analisi che s'ispirano a queste teorie sono stati impiegati frequentemente per lo studio delle cause e delle conseguenze delle migrazioni interregionali. Per una vasta rassegna di questo approccio macro alle migrazioni si rimanda a M. Greenwood (1975).
Quando si pone l'accento sui meccanismi che agiscono a livello individuale o familiare, ossia a livello micro, il discorso diventa ancora più complicato perché sono tanti i fattori da cui può dipendere la decisione dell'individuo o della famiglia di migrare (o di non migrare). La migrazione non è fine a se stessa, ma un mezzo per realizzare determinate aspirazioni. Il miglioramento delle condizioni economiche (reddito più alto e più stabile) e sociali (lavoro più prestigioso, grado d'istruzione più elevato), il perseguimento di determinati stili di vita, la costituzione di rapporti familiari, sono le ragioni che più frequentemente spingono l'individuo a migrare. Questa natura strumentale delle migrazioni è sottolineata in molte teorie sui comportamenti migratori individuali.
Tra queste, un posto importante è occupato dalla teoria del capitale umano. Secondo questa teoria, dovuta a L.A. Sjaastad (1962), la migrazione è vista come risultato di una decisione razionale d'investimento in capitale umano. La migrazione rappresenta così un mezzo con cui l'individuo accresce il suo reddito nell'arco di vita. La decisione di migrare verrebbe presa quando il valore attuale dei benefici futuri attesi nel luogo di destinazione per tutto l'arco della vita residua attesa meno i costi (monetari e psichici) dello spostamento superano il valore analogo nel luogo di origine.
La natura strumentale dell'atto migratorio implica che la scelta di migrare sia presa proprio subordinatamente ad altre scelte relative al conseguimento di determinate aspirazioni dell'individuo. Vi sono stati diversi tentativi di utilizzare i fondamenti della teoria delle scelte, sviluppata nell'ambito della psicologia cognitiva, per gettare le basi teoriche del processo che porta l'individuo a prendere (o a non prendere) la decisione di migrare. Tra questi molto attraente è il modello dell'''aspettativa di valore'' o della ''utilità attesa'' (value-expectancy model), proposta da G.F. De Jong e J.T. Fawcett (1981). Il comportamento migratorio è visto come il risultato finale di un processo decisionale composto da varie fasi, in cui vengono pesate e vagliate tutte le conseguenze della decisione. Il risultato della decisione dipende dall'aspettativa che dopo la migrazione verrà conseguito un determinato obiettivo e dal valore che questo obiettivo ha per l'unità che prende la decisione (individuo o famiglia).
Il modello dell'utilità attesa fornisce lo schema concettuale per studiare le motivazioni a migrare e la formazione della relativa decisione. Questo approccio risulta molto più utile quando viene visto in senso dinamico, ossia viene inserito nel contesto della storia della vita dell'individuo (Willekens 1985). La prospettiva di collocare l'evento migratorio nel corso della vita rappresenta del resto il fondamento di un altro approccio micro alle migrazioni, il ''modello del ciclo di vita'' (life cycle model). Nel corso della vita ci sono periodi in cui una persona è più portata a migrare che in altri. Per comprendere meglio il comportamento migratorio dobbiamo allora individuare gli stadi del ciclo di vita in cui la propensione a migrare è più alta. La vita, com'è noto, è strutturata in un'alternanza di periodi di relativa stabilità e periodi di transizione. La decisione di migrare viene presa in genere durante questi periodi di transizione, ed è subordinata ad altre decisioni critiche che vengono prese nella vita (ingresso nel mondo del lavoro, matrimonio e formazione della famiglia, acquisto di una casa, ritiro dalle forze di lavoro). Il fatto che questi periodi di stabilità e di passaggio dipendano strettamente dall'età spiega il particolare profilo della curva migratoria per età empiricamente osservata.
Modelli. - Una prima distinzione è quella tra modelli descrittivi e modelli esplicativi. Lo scopo dei primi è essenzialmente quello di analizzare i dati e descrivere le caratteristiche del fenomeno migratorio (sistema dei flussi, relazioni fra le componenti di questo sistema, variazioni nel tempo). Con i modelli esplicativi si vogliono invece ricercare le cause delle migrazioni. Le determinanti delle migrazioni possono essere studiate a livello aggregato (modelli macro) o al livello degli individui o delle famiglie (modelli micro). Tipici esempi di modelli micro sono quelli applicati nello studio delle storie migratorie individuali. In queste analisi il verificarsi dell'evento migratorio è messo in relazione con le caratteristiche dell'evento stesso, di eventi precedenti, delle persone che lo sperimentano, del contesto di riferimento. Nei modelli esplicativi a livello macro le correnti migratorie sono generalmente messe in relazione con le caratteristiche della popolazione dell'area di residenza e delle altre aree, con quelle delle persone che migrano e con variabili proxies dell'accessibilità delle altre aree.
Un modo molto seguito per identificare l'importanza dei diversi fattori nelle migrazioni è quello di ricorrere a modelli di regressione con cui misurare statisticamente la relazione (negativa o positiva) tra i flussi migratori (d'immigrazione e di emigrazione) e alcune variabili economico-sociali e ambientali (reddito, disoccupazione, clima). Per investigare sulle interrelazioni tra variabili migratorie e variabili economico-sociali vengono spesso usati anche modelli di regressione complessi in cui la variabile migratoria è incorporata simultaneamente come variabile da spiegare (dipendente) e come variabile esplicativa (modelli di equazioni simultanee).
Un'altra prospettiva secondo cui studiare le migrazioni è quella di considerarle come fattori di evoluzione, insieme alla fecondità e alla mortalità, di un determinato sistema territoriale. Un modo utile per studiare il complesso delle relazioni che, in virtù dei movimenti migratori, s'instaurano tra diverse aree o regioni, è quello di ricorrere a modelli di tipo markoviano, che, sulla base di una matrice di probabilità di transizione (proporzione di popolazione che in un certo periodo si sposta da un'area all'altra), descrivono l'evoluzione del sistema. Il modello markoviano semplice si può considerare il precursore del modello demografico multiregionale (Rogers 1975) che ha aperto prospettive molto interessanti nello studio delle migrazioni interregionali. L'idea centrale di questo modello è che, invece di esaminare singolarmente ciascuna regione, si considerano simultaneamente tutte le regioni in un sistema unico di interrelazioni spaziali.
Tendenze. - A partire dagli inizi degli anni Settanta, nei paesi più sviluppati il comportamento migratorio (interno) ha subito nette quanto inattese inversioni di tendenza. La prima riguarda il livello globale di migratorietà interna che, dopo una fase di crescita, comincia a sperimentare una fase di declino che era difficile prevedere. Il secondo cambiamento imprevisto riguarda le modificazioni del modello spaziale delle migrazioni interne. Fino agli anni Settanta c'era una correlazione positiva tra dimensione demografica dei centri e tasso d'immigrazione netta. Successivamente la relazione diviene negativa, le grandi città perdono popolazione, mentre i centri più piccoli sperimentano i saggi più elevati d'immigrazione netta. Profonde modificazioni si verificano anche nei modelli di redistribuzione interregionale di popolazione: regioni che a lungo hanno rappresentato le aree più attrattive del paese hanno ceduto questo ruolo ad altre regioni emergenti dove si registrano attualmente i più alti tassi di crescita migratoria. Le cose vanno diversamente nei paesi in via di sviluppo dove la straordinaria crescita delle città, alimentata dai flussi di migrazioni rurali-urbane, non mostra inversioni di tendenza. Lo sviluppo urbano in questi paesi avviene tuttora a ritmi sostenutissimi, non solo per l'alto tasso di migrazioni rurali-urbane, ma anche per il rapido incremento della popolazione a cui questo tasso viene applicato.
In Italia, dopo un lungo periodo di massicce correnti migratorie interne che hanno sconvolto l'assetto distributivo della popolazione (Golini 1974), si stanno verificando negli ultimi 15÷20 anni nuove tendenze in linea con quanto sta avvenendo negli altri paesi industrializzati. Declina il tasso di migratorietà interna, soprattutto di quella a più lunga distanza (interregionale), diminuisce la capacità redistributiva delle migrazioni interregionali, migliora la posizione migratoria delle regioni meridionali, le regioni centrali e nord-orientali diventano le aree più attrattive del paese. Le grandi città, specialmente quelle del Centro-Nord, dopo un regime di forte crescita demografica sono passate a un regime di contrazione della popolazione, a causa di un'inversione di segno della componente migratoria.
Migrazioni internazionali. - Se dal punto di vista quantitativo i movimenti migratori internazionali hanno esercitato un'influenza minore dei massicci spostamenti di popolazione avvenuti all'interno dei singoli paesi, non altrettanto si può dire per il significato che essi hanno avuto e per i problemi che hanno sollevato in determinati periodi storici e in specifiche aree geografiche. Si pensi, per es., ai massicci spostamenti dall'Europa verso l'America e l'Australia della seconda metà del secolo 19° e del primo quarto del 20° secolo. Nei primi quindici anni del 20° secolo, quando l'emigrazione è stata particolarmente intensa, l'Europa ha perduto qualcosa come un terzo dell'incremento naturale.
Il volume e la direzione dei flussi migratori tra paesi sono funzione di un contesto internazionale che cambia. Le migrazioni internazionali risentono quindi delle trasformazioni economiche e politiche, a volte rapide e rilevanti, che si verificano nei paesi di origine e di accoglienza. Per es., nell'Europa del dopoguerra il quadro migratorio internazionale è cambiato profondamente. La fine della grande espansione economica dell'Europa del Nord, che è fatta risalire alla prima metà degli anni Settanta, quando il rialzo del prezzo del petrolio ha determinato una recessione su scala mondiale, ha provocato, anche per effetto di politiche restrittive, un grosso rallentamento dei flussi d'immigrazione provenienti dai paesi dell'Europa meridionale (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia), che avevano caratterizzato fino a quel momento i flussi internazionali all'interno dell'Europa. I paesi dell'Europa meridionale, anche per effetto del forte miglioramento nella loro struttura economica e di cambiamenti politici, cessano di essere paesi di emigrazione e cominciano a divenire la meta di crescenti flussi di popolazione, provenienti dai paesi extraeuropei che si affacciano sulla riva meridionale e orientale del Mediterraneo (Algeria, Tunisia, Marocco, Egitto, Turchia).
Quello che sta accadendo nel bacino del Mediterraneo merita una particolare attenzione. In quest'area, come conseguenza delle rilevanti differenze nei ritmi di crescita della popolazione, si stanno verificando profondi sconvolgimenti degli equilibri demografici, con uno spostamento rapido del baricentro del popolamento verso le rive meridionali-orientali. Il peso della popolazione dei paesi della riva settentrionale del Mediterraneo, che era due terzi del totale alla metà del 20° secolo, diventerà infatti meno di un terzo alla fine del primo quarto del prossimo secolo. Questa circostanza, unitamente a quella del macroscopico divario nel livello dello sviluppo economico, rafforzerà la pressione demografica dell'area meno sviluppata sull'area più sviluppata, accrescendo inevitabilmente il potenziale migratorio dalla prima verso la seconda (Livi Bacci 1987).
Attualmente il maggiore interesse sulle migrazioni internazionali riguarda soprattutto i problemi che si pongono nei paesi di accoglienza per i movimenti di lavoratori stranieri e per l'immigrazione irregolare. La maggior parte degli studi e delle analisi sulle migrazioni internazionali ha l'obiettivo di comprendere meglio le dimensioni, la natura e il significato di questi movimenti di forza lavoro. Indubbiamente il tema centrale è quello delle relazioni tra migrazioni internazionali e sottosviluppo, e della necessità di ricorrere alle migrazioni verso un altro paese per migliorare il proprio stato o per sopravvivere.
Bibl.: E. Ravenstein, The laws of migration, in Journal of the Royal Statistical Society, 48 (1885), pp. 167-227; L. A. Sjaastad, The costs and returns of human migration, in Journal of Political Economy, 70 (1962), pp. 80-93; E. S. Lee, A theory of migration, in Demography, 1 (1966), pp. 47-57; W. Zelinsky, The hypothesis of the mobility transition, in Geographical Review, 61 (1971), pp. 219-49; D. Courgeau, Migrants et migrations, in Population, 28,1 (1973), pp. 95-129; A. Golini, Distribuzione della popolazione, migrazioni interne e urbanizzazione in Italia, Roma 1974; M. Greenwood, Research of internal migration in the United States: a survey, in Journal of Economic Literature, 8 (1975), pp. 397-433; A. Rogers, Introduction to multiregional mathematical demography, New York 1975; G. F. De Jong, J. T. Fawcett, Motivation for migration: an assessment and a value-expectancy research model, in Migration decision making. Multidisciplinary approachs to microlevel studies in developed and developing countries, a cura di G. F. De Jong e R. W. Gardner, New York 1981, pp. 13-58; M. Livi Bacci, Introduzione alla demografia, Torino 1981; F. Willekens, Migration and development. A micro-perspective, in IUSSP (International Union for the Scientific Study of Population), Seminar on internal migration and regional development, Montreal 1-3 April 1985; M. Livi Bacci, Demografia e società: un mondo a due velocità, in Alle soglie del 2000, a cura di E. Todisco, Milano 1987; D. Courgeau, Méthodes de mesure de mobilité spatiale, Parigi 1988.
Le migrazioni animali (v. XXIII, p. 259). - Dopo gli anni Settanta, specialmente gli studiosi di Vertebrati hanno usato il termine migrazione per indicare un regolare movimento di andata e ritorno tra aree definite. Al contrario, spostamenti tesi a evitare occasionali condizioni sfavorevoli (sovrappopolazione, mancanza di cibo) sono stati indicati come emigrazioni; dispersioni sono stati definiti i movimenti senza ritorno dei giovani o degli immaturi via dalle aree di nascita, mentre con nomadismo si sono intesi i movimenti di Mammiferi (specialmente Ungulati) che tendono a spostarsi continuamente lungo itinerari determinati e ripetitivi. Gli entomologi, pur riconoscendo che molti dei movimenti degli Insetti sono di natura dispersiva, hanno ritenuto questo termine sinonimo di migrazione intesa come un cambiamento adattativo dell'habitat di riproduzione.
Da quest'ottica sembrano non discostarsi gli studiosi di demografia e di antropologia, quando definiscono migrazioni gli spostamenti umani da antichi centri di ''dispersione'' oppure dalle campagne alle città o verso regioni a più alto tenore di vita. Così gli etnologi hanno sempre chiamato nomadi e non migranti quei popoli che mostravano regolari cicli di spostamento tra aree definite occupate in successione.
La difficoltà di definizione univoca anche all'interno delle scienze zoologiche è senz'altro dovuta al fatto che il comportamento migratorio è un fenomeno multiforme, con modalità di svolgimento assai differenti tra gruppo e gruppo e che non è certamente da ascrivere al livello specifico, bensì popolazionistico. È ormai accertato che la divisione tra specie migratrici e non è spesso artificiale, giacché la medesima entità può presentare popolazioni che non esprimono che movimenti di scarsa portata, accanto ad altre che regolarmente compiono viaggi di andata e ritorno su lunga distanza. Variabile è la scala temporale su cui la migrazione si manifesta (giornaliera, annuale, in concomitanza di fasi lunari o di marea) così come spesso il viaggio migratorio interessa diversamente adulti e stadi larvali oppure generazioni differenti di individui. A volte le distanze percorse sono brevi, a volte di migliaia di chilometri, sicché si è usato e si usa il termine migrazione per definire sia i movimenti stagionali degli Uccelli, sia il ciclico cambio di localizzazione della Fillosera della vite fra radici e foglie, o ancora i movimenti giornalieri dei Crostacei planctonici tra fasce di profondità diversa.
Guardando all'enorme variabilità del fenomeno, se ne sono tentate definizioni onnicomprensive, come quella data da Baker (1982), per cui è migrazione "l'atto di muoversi da una unità spaziale a un'altra". Il risultato è tuttavia troppo riduttivo, dal momento che, così definita, la migrazione non assume nessun carattere distintivo rispetto a movimenti banali e non specializzati. Migliore in questo senso quanto espresso da Dingle (in Gauthreaux 1980) che intende per migrazione "un comportamento specializzato evoluto specificatamente per la dislocazione dell'individuo nello spazio". Definizione in cui si sottolinea il fatto che l'individuo ha messo in atto un comportamento specializzato, su cui la selezione naturale ha potuto lavorare, andando quindi a interessare aspetti morfologici e fisiologici specifici. In termini descrittivi la migrazione è lo spostamento del centro di gravità di una popolazione, ma cosa si debba intendere per reale migrazione nel regno animale è maggiormente precisabile quando si guardi agli elementi comportamentali, fisiologici, e ai riflessi ecologici insiti in essa. Si può sottolineare allora che la migrazione è un attivo fenomeno di massa, iniziato spontaneamente dall'individuo e compiuto in gruppi socialmente organizzati o in folle senza coesione. In essa lo spostamento avviene secondo direttrici o rotte definite e l'orientamento dei singoli è, almeno a livello statistico, simile. Punto caratterizzante la migrazione è una periodicità definita del movimento che riflette l'esistenza di ritmi endogeni regolati prossimamente da stimoli esterni. Ciò si traduce in un comportamento di andata e ritorno tra aree definite che vengono periodicamente abbandonate e riguadagnate, e quindi in un cambiamento almeno temporaneo dell'habitat specifico. In ogni caso si deve tener presente che se il comportamento migratorio può essere considerato come la risposta prossima a un determinato sinergismo di elementi intrinseci ed estrinseci (scatenamento della risposta migratoria), esso è pur sempre un elemento comportamentale complesso, con una sua storia evolutiva, risultato delle pressioni selettive che hanno agito sugli individui, e per essi sulla specie, modellando il loro intero ciclo biologico. La migrazione è una delle strategie che l'individuo ha dovuto mettere in atto per sopravvivere e riprodursi, sfruttando in modo ottimale ogni risorsa che l'ambiente rendeva disponibile. In senso puramente evolutivo, la migrazione può allora essere descritta come la strategia adattativa che consente all'animale di mantenersi in regioni a produttività massima sfruttando i periodi di maggior disponibilità di risorse in più ambienti. Specialmente negli Uccelli, che vanno a ricercare, sia in luoghi di sosta che di arrivo migratorio, situazioni di fisionomia vegetale comparabili − che quindi facilitano la ricerca del cibo − ciò si traduce in una forte diminuzione della competizione.
Tecniche di studio delle migrazioni animali. - L'entità, direzionalità e periodicità della migrazione animale sono stati studiati soprattutto con metodi di cattura, marcatura e ricattura degli individui (inanellamento degli uccelli; targhe auricolari, tatuaggi nei mammiferi; targhette sulle pinne o taglio combinato di esse per i pesci; colorazioni per gli insetti). Più recentemente si è fatto ricorso alla telemetria per ottenere dati più continui e precisi; sono state usate sia le tecniche di rilevamento radar (in particolare per gli uccelli i cui stormi vengono letti da questo strumento), sia quelle di radioinseguimento, catturando e munendo gli individui di radioemittenti. Quest'ultima metodologia è di facile applicazione nei grossi mammiferi, anche marini, mentre è più difficoltosa e limitata negli uccelli, dove pur si sono raggiunti significativi risultati. Analogamente si stanno sviluppando sistemi di rilevamento via satellite e di registrazione automatica della rotta, questi ultimi basati sulla registrazione delle variazioni angolari tra l'asse dell'animale e la componente orizzontale del campo geomagnetico. Per marcare sciami di cavallette si è fatto ricorso anche a isotopi radioattivi, fatti assumere con il cibo o per contatto. Aspetti importanti del comportamento migratorio degli uccelli sono stati studiati con la registrazione della durata e della direzionalità della inquietudine migratoria, un comportamento mostrato anche nel chiuso di un laboratorio, che consiste in un significativo aumento dell'attività motoria in corrispondenza del reale periodo di migrazione. Si è visto che l'inquietudine ha durata proporzionale al viaggio da compiere e una direzionalità comparabile a quella della vera rotta migratoria.
Il problema dell'orientamento. - Uno spostamento migratorio attivo e direzionato dev'essere necessariamente sostenuto da capacità di orientamento nello spazio, in modo che l'animale sappia scegliere e mantenere rotte determinate, spesso dirigendosi verso luoghi sconosciuti, come capita per es. ai giovani uccelli al primo viaggio migratorio. Per mantenere una direzione nello spazio, gli animali possono usare stimoli verso cui orientarsi direttamente (clino-, tropo-, telotassie; v. etologia, App. IV, i, p. 740) oppure varie sorgenti di informazioni bussolari da cui derivare direzioni spaziali non semplicemente coincidenti con quelle della fonte di stimolazione (menotassie). Queste ultime divengono preminenti nell'orientamento a distanza e sono rappresentate principalmente dal sole e dalla luce polarizzata (bussola solare), dal campo magnetico terrestre (bussola magnetica), dalla lettura di patterns stellari che individuano l'apparente asse di rotazione della volta celeste (bussola stellare). Di uso più limitato possono essere altre fonti stimolanti lontane come la luna, la direzione dei venti, il punto di tramonto del sole o gli infrasuoni. Per quanto è noto da ricerche sugli Uccelli, la bussola magnetica avrebbe caratteri di primarietà e sarebbe innata, mentre quella solare e quella stellare dovrebbero essere apprese dall'animale. Meccanismi bussolari basati sul sole e sul campo magnetico hanno una larga (se non generale) distribuzione tra gli animali, sia Vertebrati che Invertebrati, e la stessa abilità nel derivare informazioni direzionali dal sole si ritrova in un piccolo Crostaceo Anfipode (Talitrus saltator) come negli Uccelli. La bussola stellare è invece patrimonio di animali che migrano la notte come molti Passeriformi, mentre la luna è sicuramente usata solo da certi Artropodi (Ragni, Crostacei); mancano sicure evidenze per i Vertebrati. Nell'orientamento a distanza sono implicati tuttavia anche meccanismi di apprendimento come l'imprinting (v. etologia, App. IV, i, p. 741) o l'apprendimento latente, ossia che non dà luogo a modificazioni prossime del comportamento ma che permette, per es., la memorizzazione di particolari topografici. La funzione dell'imprinting nell'orientamento è particolarmente rilevante in varie specie di salmoni, nelle tartarughe marine, negli Anfibi Anuri e Urodeli. Queste specie, che usano tornare a riprodursi laddove nacquero, hanno componenti di orientamento largamente basate sul riconoscimento delle caratteristiche olfattive dei luoghi natii, memorizzate per imprinting. Ciò permette al salmone di ritrovare il preciso ruscello da cui partì anni prima e alla tartaruga Chelonia midas di ritornare all'isola atlantica di Ascensione, partendo dai luoghi di foraggiamento sulle coste brasiliane. Accanto ai reperti olfattivi che guidano gli animali nell'ultima parte del viaggio, esistono meccanismi direzionali basati soprattutto sul sole, usati nei più estesi momenti di avvicinamento alla meta. Sia in questi casi sia in quelli delle migrazioni degli Uccelli, la scelta delle direzioni verso cui orientare il viaggio migratorio è affidata a un fattore innato e quindi fissato geneticamente. Ciò rappresenta una delle maggiori acquisizioni sullo svolgimento della migrazione guadagnate in questi anni. In particolare per alcuni Uccelli migratori transequatoriali della fauna Paleartica (beccafico, capinera) allevati a mano in laboratorio, è stato dimostrato che sia la direzione da intraprendere alla prima migrazione che la durata del viaggio sono fissate nel patrimonio genetico. Si tratta di un caso di polimorfismo genetico che spiega assai bene le diverse abitudini migratorie di popolazioni site in diverse regioni. Almeno nei giovani, dunque, il primo viaggio potrebbe essere portato a termine con un meccanismo di navigazione vettoriale, così detto perché lo spostamento sarebbe equiparabile appunto a un vettore di cui l'animale conosce lunghezza e angolo polare, in base a un programma genetico di migrazione. Un meccanismo vettoriale, tuttavia, non permette di compensare deviazioni accidentali dalla rotta programmata, mentre c'è l'evidenza che gli uccelli adulti possono navigare, compensando deviazioni naturali o artificiali, e riorientandosi verso la giusta meta. Quali elementi e quali vie sensoriali siano coinvolti in questa capacità di realizzare la propria posizione rispetto al punto di arrivo (o all'asse migratorio) non è oggi noto. Contemporaneamente, ipotesi del coinvolgimento nella determinazione della posizione di elementi quali il sole o il campo magnetico non hanno ricevuto alcuna conferma sperimentale. Estesi studi sul colombo viaggiatore (non migratore ma capace di ritorno al nido da luoghi sconosciuti), condotti da F. Papi e collaboratori (1982), hanno dimostrato un preciso coinvolgimento nella navigazione del senso dell'olfatto di questo uccello, che, se privato di sensibilità olfattiva, non sa ritrovare la via di casa da luoghi sconosciuti.
Bibl.: J. Dorst, Les migrations des oiseaux, Parigi 1956 (trad. it., Firenze 1972); C. G. Johnson, Migration and dispersal of insects by flight, Londra 1969; R. E. Moreau, The Paleartic-African bird migration systems, ivi 1972; J. Cloudsley-Thompson, Animal migration, ivi 1978 (trad. it., Novara 1980); K. Schmidt-Koenig, Avian orientation and navigation, Londra 1979 (trad. it., L'enigma della migrazione degli uccelli, Milano 1985); S. A. Gauthreaux jr., Animal migration, orientation and navigation, New York 1980; R. R. Baker, Migration, Londra 1982; Avian navigation, a cura di F. Papi e H. G. Wallraff, Berlino 1982; R. R. Baker, Bird navigation, Londra 1984; N. E. Baldaccini, Il colombo viaggiatore, Bologna 1986; P. Berthold, Orientation in birds, Basilea 1991; F. Papi, Animal homing, Londra 1992.