correzione di bozze
Con la locuzione correzione di bozze si indicano complessivamente i diversi tipi di intervento eseguiti sulle prove (o bozze) di stampa per preparare un testo in vista della sua pubblicazione. Si tratta di una serie di operazioni che nell’attuale industria tipografico-editoriale sono affidate a persone e/o figure professionali diverse.
Dopo una prima correzione dei meri errori tipografici (detti refusi) eseguita direttamente in tipografia dalla tradizionale figura del correttore di bozze (che, nel caso ormai generalizzato di impiego di programmi informatici di videoscrittura, opera spesso con il ricorso a sistemi di correzione automatica), il testo giunge, in forma di ‘bozze in colonna’, nelle redazioni editoriali (o giornalistiche) per il trattamento editoriale (revisione ed editing). Il testo rivisto dai redattori editoriali viene poi composto in pagine (impaginato) con la distribuzione di eventuali illustrazioni, e sulle bozze impaginate vengono effettuati gli ultimi controlli ed eventuali ulteriori correzioni (talora eseguite in tipografia).
Si procede così alla verifica dell’impaginazione del testo e della sua resa tipografica eliminando gli spazi bianchi verticali nella pagina stampata (dette in gergo tipografico vermi, serpenti, canali o sentieri), gli spazi troppo ampi tra una parola e l’altra (nidi) e le righe mozze (inferiori cioè a un terzo della lunghezza totale della riga) a fine o inizio di pagina o colonna (dette, rispettivamente, orfani e vedove). Si correggono poi eventuali refusi ancora presenti: omissioni, duplicazioni e/o inversioni di lettere o parole (pesci); ripetizioni di righe (gamberi) o salti di una o più righe; mancanza o usi impropri degli accenti e dei segni diacritici.
Particolare attenzione, infine, viene (o dovrebbe essere) prestata alla correzione dei tipici refusi da computer, conseguenti, cioè, all’adozione di sistemi di videoscrittura. In particolare, quelli assai insidiosi derivati da interventi normalizzanti del correttore automatico (normari viene corretto in normali, Cornelio Nepote e Petrarca in Cornelio Nipote e Tetrarca, ecc.) e soprattutto le sviste derivanti dall’abitudine di correggere direttamente i testi al computer, rileggendoli velocemente o non rileggendoli affatto in versione stampata: il che a livello morfologico comporta errori di reggenza, mentre a livello sintattico si manifesta solitamente nella creazione di strutture sbilanciate, perlopiù per sovrapposizione di costrutti diversi del tipo non possiamo non ricordiamo, incrocio tra il preesistente non possiamo non ricordare e la correzione ricordiamo (cfr. D’Achille 2001).
Nella preparazione editoriale di un testo per la stampa, dunque, le fasi di correzione di bozze in senso stretto sono integrate nelle attività di revisione ed editing. A loro volta tali attività, pur presentando confini non sempre nettamente demarcabili, possono essere considerate momenti distinti nel trattamento editoriale di saggi, articoli e voci in collane, periodici, opere miscellanee ed enciclopediche. La revisione consiste essenzialmente nella verifica «della correttezza dei dati contenuti nel testo già approvato dalla direzione scientifica dell’opera» (D’Achille 2001: 221), nel raccordo con altre voci o sezioni e con l’apparato illustrativo dell’opera e in eventuali interventi di aggiornamento. Attraverso l’editing si mira più specificamente alla sistemazione redazionale del testo consegnato dall’autore, cioè ad assicurarne la rispondenza agli standard grafico-tipografici e al piano editoriale della collana e/o dell’opera in cui esso è pubblicato (in diverse case editrici i criteri e le regole di intervento sui testi sono fissati in normari redazionali scritti, talora stampati: cfr. D’Achille 2001: 223). Anche se il sostantivo editing e il corrispondente agentivo editor sono anglicismi di diffusione abbastanza recente in Italia (collocabile, per entrambi, agli anni Sessanta del Novecento), il complesso delle operazioni a cui si riferiscono è certo assai più antico, risalendo agli inizi della stampa (➔ editoria e lingua).
Su competenze largamente simili a quelle che caratterizzano le attuali figure professionali del revisore e dell’editor erano incentrate le attività di revisione linguistica ed editoriale esercitate da dotti e letterati che affiancarono gli stampatori sin nelle prime officine editoriali (in primis quella del principe degli stampatori, Aldo Manuzio, coadiuvato dal più influente dei consulenti editoriali, ➔ Pietro Bembo), costituendo, tra l’altro, nel corso del XVI secolo in Italia un fattore di decisiva importanza nella diffusione di una norma linguistica condivisa (cfr. Trovato 1991).
Durante il XVII e il XVIII secolo, l’evoluzione in senso industriale della stampa e il crescente impegno organizzativo richiesto dalla realizzazione di opere collettive e imprese editoriali via via di maggiore complessità (come i vocabolari, le enciclopedie e le prime pubblicazioni periodiche, di carattere giornalistico o scientifico-erudito) comportarono una più articolata composizione delle strutture e delle procedure editoriali. Venne così definendosi la redazione come struttura essenziale della produzione editoriale, con la conseguente diversificazione delle figure del redattore / revisore e del correttore di bozze in senso stretto, le cui competenze erano di solito quelle di un tipografo specializzato (cfr. Carena 1853: 111-148; Pozzoli 1861: 228-262; Landi 1892).
Costante nell’industria editoriale fino ai nostri giorni, tale divisione del lavoro è stata un fattore essenziale di quel processo di stabilizzazione della testualità scritta che è andato svolgendosi sino all’avvento dei sistemi di videoscrittura (cfr. Simone 2000: capp. 5 e 6). La digitalizzazione dei processi di scrittura e stampa, riducendo drasticamente i tempi e semplificando le modalità di intervento, ha profondamente trasformato, ridimensionandole, le attività di correzione e trattamento editoriale dei testi (cfr. Anichini 2003; Teroni 2007), fino agli estremi della eliminazione di ogni forma di intervento redazionale (come nelle enciclopedie interattive in rete, sul tipo di Wikipedia).
Un argine a queste tendenze è costituito dalla formulazione e dalla diffusa utilizzazione, specie nell’editoria enciclopedica italiana, di manuali redazionali (i già ricordati normari), attraverso i quali, in assenza di standard editoriali largamente condivisi (cfr. Di Girolamo & Toschi 1988: 7; D’Achille 2001: 223), si persegue l’obiettivo dell’uniformità del testo in lavorazione, in particolare sotto il profilo della pulizia/correttezza linguistica.
A questo proposito, è stato rilevato come nelle scelte linguistiche suggerite nei normari redazionali, costantemente riferite allo standard scritto dell’italiano contemporaneo (Palermo 1995), risultano prevalenti il rifiuto di forme arcaiche e la tendenza alla semplificazione sintattica, pur non essendo rari i casi di accoglimento di tratti dell’italiano dell’uso medio.
In tali tendenze rientrano le tipologie d’intervento più frequenti e caratteristiche. A cominciare, a livello ortografico e fonetico, dalla scelta del maiuscolo e minuscolo (con prevalente tendenza per la riduzione delle maiuscole), alla segnalazione dell’accento secondo gli standard ortografici correnti (anche nelle maiuscole), all’apposizione dell’apostrofo (evitato di norma nei troncamenti e a fine riga, ma utilizzato più frequentemente che nell’italiano dell’uso medio anche per effetto dei programmi di videoscrittura) e, infine, all’uso della d eufonica, utilizzata costantemente (non solo in ed e ad, come nell’italiano dell’uso medio, ma anche in od) davanti a parola che inizia con la stessa vocale.
A livello lessicale si tende alla riduzione dell’allomorfia (➔ allomorfi) optando sistematicamente per una sola forma tra più concorrenti (medievale invece di medioevale, seicentesco e non secentesco), mentre risulta del tutto evitata la scrittura univerbata (➔ univerbazione) delle preposizioni articolate col e pel.
Un problema morfosintattico di non univoca soluzione è l’attribuzione del ➔ genere a termini stranieri non tradotti, risolto di solito mantenendo il genere della lingua originale (per il neutro greco, latino, tedesco, ecc. l’accordo è al maschile) e, per l’inglese, oscillando tra la scelta generalizzata del maschile e il criterio ‘analogico’ di attribuire il genere della corrispondente parola italiana.
Negli usi pronominali si rileva la piena adesione allo standard tradizionale (con il frequente uso della particella vi in luogo di ci, il ricorso a egli ed essi e alle forme declinabili il quale, la quale, usate prevalentemente nelle relative appositive e costantemente precedute da virgola).
Nella morfologia verbale si segnalano la tendenza a evitare il futuro nel passato (sostituito con il condizionale solo nei casi in cui si formula un’ipotesi e/o una previsione) e l’eliminazione, dettata dall’esigenza di dare impersonalità ai testi, di riferimenti alla prima persona singolare e plurale. In tale quadro rientrano anche l’eliminazione degli elementi deittici, la sistematica espunzione della virgola dopo il soggetto espanso (la cosiddetta virgola prosodica) e la tendenza a evitare la concordanza a senso, le inversioni nell’ordine soggetto-verbo-oggetto e le costruzioni marcate (in particolare, la frase scissa), strutture e costrutti sentiti tutti come tipici del parlato e quindi da evitare, specialmente nel registro referenziale e impersonale delle opere enciclopediche e/o di consultazione.
Carena, Giacinto (1853), Prontuario di vocaboli attenenti a parecchie arti, ad alcuni mestieri, a cose domestiche, e altre di uso comune, per saggio di un vocabolario metodico della lingua italiana, Torino, Stamperia Reale, 1851-1853, 2 voll., vol. 2° (Vocabolario metodico d’arti e mestieri).
Landi, Salvadore (1892), Tipografia, Milano, Hoepli, 1892-1896, 2 voll., vol. 1° (Guida per chi stampa e fa stampare: compositori e correttori, revisori, autori ed editori).
Pozzoli, Giulio (1861), Manuale di tipografia, ovvero Guida pratica pei combinatori di caratteri, pei torcolieri e pei rilegatori di libri, Milano, L. Ciuffi.
Anichini, Alessandra (2003), Testo, scrittura, editoria multimediale, Milano, Apogeo.
D’Achille, Paolo (2001), L’italiano in redazione: aspetti e problemi linguistici dell’editing, in La scrittura professionale. Ricerca, prassi, insegnamento. Atti del I convegno di studi (Perugia 23-25 ottobre 2000), a cura di S. Covino, Firenze, Olschki, pp. 221-244.
Di Girolamo, Costanzo & Toschi, Luca (1988), La forma del testo. Guida pratica alla stesura di tesi di laurea, relazioni, articoli, volumi, Bologna, il Mulino.
Palermo, Massimo (1995), I manuali redazionali e la norma dell’italiano scritto contemporaneo, «Studi linguistici italiani» 21, pp. 88-115.
Simone, Raffaele (2000), La Terza Fase. Forme di sapere che stiamo perdendo, Roma - Bari, Laterza.
Teroni, Mariuccia (2007), Manuale di redazione, Milano, Apogeo.
Trovato, Paolo (1991), Con ogni diligenza corretto. La stampa e le revisioni editoriali dei testi letterari italiani (1470-1570), Bologna, il Mulino.