CORREZIONI OTTICHE
La constatazione, fatta sul Partenone (cfr. vol. i, pp. 997, 998) agli inizî del secolo scorso e poi in molte costruzioni antiche, che esse presentano delle anomalie nelle linee rette che ne disegnano le forme, ha portato gli studiosi a spiegare in vario modo il fenomeno.
Un primo gruppo di teorie spiega queste anomalie architettoniche con il desiderio degli architetti di correggere, mediante appropriati accorgimenti, gli errori visuali o, meglio, di compensare con appropriati accorgimenti introdotti nell'architettura gli effetti deformanti che si producono nella visione di un monumento e che la fisica ottica, anche quella antica, conosce e spiega. Tali teorie prendono quindi il nome di "pseudoscopiche" e si potrebbero indicare come "negative" dal momento che, secondo esse, gli accorgimenti tendono a compensare effetti ottici deformativi. Queste teorie poggiano sull'autorità di Vitruvio (iii, 2), Eliodoro di Larissa e Gemino (Heronis definitiones, 135, 13); quest'ultimo dice espressamente: Poiché le cose non appaiono tali quali sono, si cerca di non mostrare gli elementi (di un'architettura) come appaiono da vicino, ma di lavorarli come dovranno apparire. Il fine per l'architetto è quello di rendere l'opera di linee piacevoli all'apparenza e trovare, per quanto è possibile, i rimedî contro gli inganni della vista, curando non l'uguaglianza e l'euritmia secondo la realtà, ma l'uguaglianza e l'euritmia secondo la visuale.
Un secondo gruppo di teorie pseudoscopiche spiega l'introduzione degli accorgimenti nell'architettura con il desiderio degli antichi architetti di accentuare nelle costruzioni alcuni particolari effetti. Queste teorie si possono definire "positive" perché vedono negli accorgimenti un mezzo per produrre delle illusioni ottiche, generalmente quella di ingrandire apparentemente una o più misure di una costruzione. Anche queste teorie si possono, in fondo, ritenere giustificate dal passo di Gemino citato più sopra.
Altre teorie invece, negano la tesi delle correzioni ottiche e spiegano le anomalie architettoniche in vario modo, spesso geniale, ma non conforme a quella aderenza alla realtà pratica che è peculiare caratteristica della sensibilità creatrice degli architetti antichi. Troviamo così chi considera le anomalie dei temperamental refinements, dovuti ad un sentimento estetico piuttosto che ad una doverosa modulazione formale; chi vi vede una vibrazione ottica, ma non apertamente sensibile; chi poi vi trova delle modulazioni delle linee; chi le spiega come una specie di soffio di vitalità infuso nelle architetture, o come breathing life, o come liberazione della loro pesantezza, o come Lebendigkeit che si ispira all'orizzonte marino.
Altri studiosi ancora sono fortemente scettici sulla volontarietà nelle anomalie e le spiegano in modo diverso, vuoi con irregolarità nella costruzione, vuoi con successivi movimenti nelle strutture, casi che sono sempre possibili, ma che nulla tolgono alla più e più volte rinnovata conferma della volontarietà nelle correzioni.
Quanto al periodo in cui le correzioni ottiche siano entrate nell'uso degli architetti antichi e a quelli in cui siano state mantenute o dimenticate, i dati possono essere per ora semplicemente indicativi, pochi essendo a tutt'oggi i rilievi adatti a fornire indicazioni del genere. Le più antiche correzioni negative, cioè adatte a correggere una falsa visione del monumento, sembrano adottate fin dalle prime costruzioni greche. La curvatura dello stilobate sembra usata la prima volta nell'Apollonion di Corinto. Un accorgimento positivo, cioè atto ad illudere sulla realtà di una dimensione, è usato fin dallo Heraion del Sele, dove la cella è più larga al fondo che all'ingresso, in modo da illudere sulla reale sua lunghezza.
Nei templi greci le curvature e gli accorgimenti varî sono calcolati secondo quattro plinti di vista, stabiliti di fronte al centro di ciascun lato; nelle altre costruzioni secondo i punti di vista posti di fronte al centro dei lati più importanti. Dovunque, nella madrepatria e nelle colonie, gli architetti greci hanno usato le correzioni ottiche fino al maturo e tardo ellenismo. Invece le costruzioni repubblicane e del pieno periodo imperiale romano, anche quelle più antiche ispirate all'architettura ellenistica, sembrano non presentare alcun esempio di particolari correzioni, infatti anche la concavità della trabeazione del tempio di Cori, apparentemente unico esempio romano di correzione ottica, sembra attribuita a cause accidentali. Ma forse non si tratta, in molti casi, che di eccessiva esiguità dei resti o di insufficiente osservazione del monumento, perché la testimonianza di Vitruvio è nettamente in contrasto con questa mancanza (iii, 3-6; iv, 4; v, 9). Egli è ben documentato infatti, e dà consigli sulle curvature da ottenere con gli scamilli impares, sul posto e sulle misure da dare alle colonne, sulla inclinazione in dietro dei frontoni per correggere l'impressione della loro caduta in avanti. Comunque, dopo un'apparente interruzione durante tutto il pieno periodo imperiale romano, le correzioni ottiche riappaiono nella tarda antichità, come ci testimoniano la facciata dioclezianea della Curia del Senato sul Foro, ed il cassettonato dell'età di Massenzio del tempio di Venere e Roma. Nella prima, oltre al punto di vista di fronte al centro della facciata, si è tenuto conto, a quanto pare, anche di quelli in corrispondenza dei due spigoli dell'edificio verso il Foro, determinando sottili variazioni nell'andamento della cornice. In diversi altri frammenti dell'architettura romana tarda vediamo però che i singoli elementi compositivi sono variamente disposti, obbedendo alla legge di prospettiva, in modo che le loro successive posizioni rispondano ad una armonica veduta da un determinato punto di vista.
Anche questa particolarità, di inserire cioè ogni singolo elemento dell'architettura nelle linee generali di correzione ottica di un edificio, non è nuova, ma si ritrova ancora nella Grecia arcaica e classica. Troviamo infatti, per esempio, una rotazione sull'asse verticale delle metope più antiche dell'Heraion del Sele, inclinazioni del piano di capitelli di varî templi; ma troviamo anche particolari correzioni nelle teste leonine e nelle maschere dei gocciolatoi, fittili e marmorei, nelle palmette e nei meandri dipinti dei fregi, nelle antefisse. Ma che, nel tempio greco, almeno fino all'epoca di Mirone, si tenesse conto delle correzioni ottiche secondo i citati punti di vista anche negli acroteri angolari figurati, nei rilievi delle metope e nelle statue frontonali, è dimostrato da tutto quanto di quell'epoca è giunto fino a noi. Queste anomalie furono credute per lungo tempo effetto di inesperienza o di mancanza di marmo o, come per le architetture, frutto di infusione di Lebendtgkeit o di movimento nascosto e solo recentemente è stata provata la loro origine quali correzioni "negative". Identico l'atteggiamento della critica verso la statuaria.
Alle correzioni non sono sottratte neanche le figure di cariatidi, statue inserite in una architettura, e, in generale, anche la statuaria libera, scolpita tenendo presente, caso per caso, il più comune o il più favorevole punto di osservazione. Dopo l'età di Mirone, una più sapiente modellazione ha evitato troppo marcate distorsioni, pur non dimenticando, anche nella statuaria, le correzioni, come è testimoniato da una testa ellenistica di Helios di Rodi.
Queste correzioni nella statuaria sono, del resto, note anche a Gemino, il quale, in continuazione del passo citato più sopra, dice: Questi calcoli deve farli anche lo scultore di opere più grandi del vero (o, aggiungerebbe Vitruvio, vi, 2, poste in alto, o in determinate posizioni), dando la proporzionalità che apparirà dell'opera compiuta, affinché sia di linea piacevole alla vista, ma l'artista non lavori (una statua) inutilmente proporzionale secondo la realtà.
In Etruria, troviamo, come nel mondo greco, molto usate le correzioni ottiche in tutta la decorazione fittile dei templi, ivi comprese le statue frontonali e quelle sul columen del tempio di Veio (queste appaiono probabilmente studiate per una veduta dal più elevato pianoro della città). A Roma, dove peraltro non si sono fatte finora osservazioni su larga scala, esse risultano usate nel periodo repubblicano e fino alla prima età augustea, specialmente nei ritratti di togati e nei ritratti femminili dei rilievi funerari. Un esempio ottimo è dato dalle statue del gruppo in bronzo dorato di Cartoceto nel museo di Ancona. Tra i frammenti architettonici ornamentali, di piena età imperiale, cioè di un'epoca in cui, tanto nella struttura architettonica che nella statuaria, gli esempi sembrano assenti, si possono citare alcune antefisse marmoree a palmetta del palazzo imperiale sul Palatino. Diverso è invece il discorso per il rilievo romano di questo periodo, nel quale, specialmente dove è più pronunciato, si è fatto uso quasi costante delle correzioni, specialmente evidenti dalla metà del II secolo in poi. Nel III e nel IV secolo d. C., le correzioni tornano sovente in uso anche nella statuaria, come nei ritratti bronzei del museo di Brescia, mentre sono comunissime nei rilievi dei sarcofagi.
Bibl.: H. Goodyear, in The Architectural Record, IV, 1895, p. 466 ss.; R. Koldewey-O. Puchstein, Die griechischen Tempel in Unteritalien u. Sizilien, Berlino 1899, p. 25 s.; R. Delbrück, Beiträge zur Kenntnis der Linienperspektive i. d. grieck. Kunst, Bonn 1899; G. Giovannoni, in Röm. Mitt., XXIII, 1908, p. 109 ss.; J. Durm, Die Baukunst der Griechen, 3a ed., Lipsia 1910, p. 125 ss.; H. Goodyear, Greek Refinements, Londra 1912; P. Marconi, Studi agrigentini, Roma 1930, p. 94; G. R. Levy, The Greek Discovery of Perspective, in Journal R. I. B. A., Londra 1942-43; A. Choisy, Histoire de l'architecture, I, Parigi 1943, (rist.), p. 321 ss.; W. B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, Londra-New York 1950, p. 164 ss.; K. A. Rhomaios, Κέραμοι τῆς Καλυδώνος, Atene 1951; S. Stucchi, Nova introduttiva sulle correzioni ottiche nell'arte greca fino a Mirone, in Annuario Atene, XXX-XXXII, 1952-54, pp. 23-73; id., ibid., pp. 75-129; id., in Bull. Com., LXXV, 1953-55, pp. 11-14; Röm. Mitt., LXIII, 1956, p. 121 e p. 125; L. Crema, in Studi in onore di A. Calderini e R. Paribeni, Milano 1956, p. 569 ss. (con bibl. precedente e molti riferimenti).