CORRIDA (sp. corrida de toros)
Questo spettacolo, prettamente spagnolo, si svolge in un'arena chiamata ruedo, circondata da un recinto (barrera); tra questa e le gradinate per gli spettatori vi è uno spazio detto callejón, destinato ai toreros durante il loro riposo, agli aiutanti e agli altri inservienti che prendono parte alla fiesta nacional. Non v'è solennità più o meno importante che non sia accompagnata da una corsa di tori, grandiosa o meno secondo l'importanza dei luoghi dove si celebra. Così mentre nei villaggi i combattimenti di vacche e di tori sono spettacoli piuttosto brutali, le vere corridas, che hanno luogo per lo più nelle domeniche e negli altri giorni festivi, si svolgono nelle città importanti, e giungono al massimo dello splendore nelle celebri fiere di Siviglia, di Pamplona, di Valenza, di San Sebastiano, ecc.
Storia. - Sull'origine delle corride si è molto discusso; alcuni vogliono farle risalire ai tempi della dominazione musulmana, mentre altri le fanno nascere in Grecia o a Roma, dove si celebravavano giuochi di cui erano elemento principale i tori e gli uomini. Certo è che durante il Medioevo cavalieri cristiani e musulmani occupavano i loro ozî rincorrendo a cavallo i tori per trafiggerli con la lancia; in questa corsa, che era soprattutto gradita ai nobili spagnoli, anche i più notabili tra i musulmani facevano sfoggio della loro abilità. È provato da documenti che verso il 1040 Rodrigo Díaz de Vivar cavalcando uccise con la lancia diversi tori, e che da quell'epoca quest'esercizio non mancò più nelle feste che si celebravano per solennizzare avvenimenti importanti. Così si sa che ebbe luogo una giostra di tori con gran pompa in occasione del matrimonio di donna Urraca con don García di Navarra. Questo genere di feste giunse al suo apogeo al tempo di Giovanni II, e allora cominciarono a costruirsi le plazas de toros, ossia edifici speciali, perché fino allora avevano servito da arene le piazze più grandi delle città, e, in tempi più remoti, i circhi romani. Tali spettacoli, che erano eseguiti solo da nobili, e a cui non disdegnarono di prender parte anche i re, ebbero sempre maggiore sviluppo, fino a che coi Borboni non ebbe principio un periodo di decadenza.
Filippo V, a cui non piacevano queste corse, allontanò la nobiltà dall'esercitarvisi, cosicché esse caddero a poco a poco in dimenticanza, fino a perdersi completamente. Ma siccome lo spettacolo piaceva al popolo, questo si sostituì ben presto ai nobili, e furono visti drappelli di giostratori percorrere città e villaggi eseguendo vere corridas di tori e combattimenti di torelli (novilladas) e di vacche. Sicché può ben dirsi che all'epoca in cui il popolo entrò in lizza deve fissarsi l'origine di questi spettacoli, quali si svolgono oggidì.
Francisco Romero, nato a Ronda (Malaga) nel sec. XVIII, fu probabilmente il primo che compì l'uccisione del toro - ch'era allora l'unica cosa a cui si riduceva la festa - nel modo stesso in cui si pratica oggidì, cioè con la bandierina e lo stocco: istrumenti che egli stesso avrebbe inventato. La monotonia dello spettacolo venne rotta da Juan Romero, figlio di Francisco, con la creazione di squadre complete e col dare alla festa un'animazione molto simile all'attuale. Carlo III vietò questi spettacoli, ma poco caso si fece del suo decreto; anzi, tale opposizione contribuì forse alla loro diffusione, che fu però arrestata dall'invasione francese. Poi le corride ripresero con maggior vigore, e risorsero con grande slancio quando ritornò sul trono di Spagna Ferdinando VII. Questo re vietò bensì le corse di tori, nel 1814; ma l'anno seguente tolse la proibizione, e volle in seguito portarle a maggiore dignità, tanto che con decreto del 28 maggio 1830 fondò a Siviglia una scuola di tauromachia, a capo della quale furono Pedro Romero e Jerónimo José Cándido. L'istituzione di questa scuola venne molto criticata; la sua vita fu effimera, e la medesima sorte toccò a tutte le scuole particolari fondate in seguito. Da quell'epoca, ossia dalla metà del sec. XIX, le giostre di tori non hanno subito trasformazioni sostanziali.
Le corse di tori sogliono aver luogo, come si è detto, le domeniche e i giorni festivi nel pomeriggio, benché se ne tengano anche in giorni feriali e di sera; ma queste ultime sono sempre le meno importanti e generalmente senza picadores. Durante l'inverno non si celebrano corse in Spagna e i toreri vanno in America.
Tecnica. - Ecco brevemente come si svolge una corrida. Da una delle porte che dànno sull'arena, dirimpetto al palco del presidente, al suono d'un allegro paso doble, fanno il loro ingresso nel ruedo le squadre (cuadrillas) precedute da due valletti (alguaciles) a cavallo, talvolta in costume dell'epoca di Filippo IV, i quali poco prima hanno finto di sgomberare l'arena e di chiedere al presidente la chiave della stalla dei tori (toril): il presidente suol essere una delle autorità del luogo ed è assistito da un tecnico, per lo più un ex-torero. Questa sfilata delle squadre, detta paseillo, dà un brillante inizio alla festa, perché i matadores, i banderilleros, i picadores e gli altri aiutanti formano un quadro magnifico pieno di colore e leggiadria.
Giunte dinanzi al palco della presidenza, le squadre salutano, e i toreri si tolgono la cappa da passeggio, che per lo più va ad ornare qualche palco o recinto occupato dai loro ammiratori.
Quando tutti si sono ritirati dall'arena, a un segnale del presidente si fa uscire il toro, e i peones (giostratori a piedi) con la cappa ne richiamano l'attenzione per eccitarlo a correre; allora il matador o espada (caposquadra a cui spetta uccidere l'animale) si fa innanzi per contendere il passo al toro, e, se questo vi si presta, eseguisce abilmente diversi movimenti, come verónicas, navarras, gaoneras, lances de costadillo, ecc., terminando il maneggio della cappa con qualche figura scultoria ed emozionante. Allorché il toro è stato così arrestato, entrano in lizza i picadores (giostratori a cavallo), che per eseguire questa prima fase della giostra, detta suerte de varas (fase delle lance), sono provvisti di puya, asta terminata con una punta d'acciaio a tre tagli, munita d'arresto; ai loro cavalli si adatta presentemente al petto un'armatura per proteggerli dalle cornate. Lo scopo di questa mossa è d'indebolire l'ardore del toro, lasciandogli però forze sufficienti per le mosse successive. La suerte de varas dà luogo alla figura bella e interessante dei quites o parate di colpi, in cui i matadores, che li eseguiscono a turno, prodigano spesso tutta la grazia e la squisitezza della loro arte. Secondo il regolamento il numero dei colpi di puya da infliggersi a un toro è di quattro o al più cinque; ma se l'animale per la sua codardia non ha potuto riceverli tutti, viene castigato con le banderillas de fuego, cioè bandierine munite di petardi che scoppiano nel momento in cui il ferro colpisce l'animale. Quest'uso, soppresso nel 1927, è stato poi ripristinato. Dopo che il toro è morto gli si pone a un corno un nastro nero, in segno di disdoro per la rimessa da cui proviene.
La terza fase della giostra è chiamata suerte de banderillas. La banderilla è un'asticciola adorna di carta e strisce di varî colori, terminata con un piccolo uncino. Anticamente s'infiggevano una alla volta, ma alla fine del sec. XVII s'introdusse l'uso di collocarle due a due. Il peón, e talvolta lo stesso matador, con una di queste bandierine in ciascuna mano, si avanza verso il toro, oppure lo incita ad avvicinarsi, e nel momento in cui avviene l'incontro, evitando l'urto del proprio corpo, lo colpisce sul collo alla parte superiore della groppa. Questa fase viene eseguita in varî modi, e quindi prende nomi diversi, per es.: al quiebro (col corpo inchinato), defrente (di fronte), al sesgo (di sghembo).
Ottenuto il permesso dal presidente, il matador si avanza allora con lo stocco e una bandierina rossa (muleta), che serve a provocare il toro; spesso egli rimane solo nell'arena con l'animale. Se questo è ancora in buone condizioni, il matador, come preparazione dell'ultima fase o suerte suprema, eseguisce tutta una serie di "passi" emozionanti, ora in piedi, ora in ginocchio; e quando il toro resta immobile egli, abbassando la bandierina, con lo stocco in resta passa all'ultima fase, cercando d'introdurgli la lama tra le due spalle. Questa mossa riceve varî nomi secondo i diversi modi in cui viene eseguita. Generalmente il toro non muore al primo colpo dello stocco, e allora il matador ripete tutta l'ultima fase, ovvero l'uccide introducendogli la punta tra le due prime vertebre del collo (descabellar). Morto il toro, se al pubblico è piaciuto il lavoro del torero e se la stoccata finale è stata un bel colpo, il vincitore è invitato con grandi ovazioni a fare il giro dell'arena e riceve in premio una o due orecchie e la coda dell'animale.
La giostra a cavallo da molto tempo fu abbandonata nella Spagna e rimase solo nel Portogallo; ma ora torna a rinascere, grazie all'entusiasmo e alla grande abilità del rejoneador (giostratore con la lancia) Cañero. Il giostratore corre a cavallo verso il toro e al momento dell'incontro, schivando abilmente l'urto, gl'infigge con arte il rejón (specie di lancia) e le due bandierine. Se il colpo di rejón non uccide il toro, il cavaliere scende a terra e lo finisce nel modo indicato più sopra. Ma questo genere di giostra, nonostante la sua bellezza e l'abilita che richiede, non riesce a riprender piede definitivamente nelle arene spagnole, talmente il pubblico ha perduto l'abitudine di assistervi e di gustarlo.
Da qualche anno, con gran divertimento degli spettatori e con buon successo finanziario, sono state introdotte le charlotadas o corse di tori comiche: squadre di toreri burleschi eseguiscono con vitelli tutte le fasi e le mosse della giostra.
Nel 1928, in occasione del centenario di Goya, è stata eseguita la corrida chiamata goyesca, la quale non è altro che una giostra normale, con l'unica variante che i toreri e gli altri partecipanti allo spettacolo indossano il genuino costume di majo, cosicché il teatro presenta un aspetto magnifico coi suoi ornamenti e coi fazzoletti di Manila.
Il torero. - Gl'inizî di questa pericolosa professione sono difficili. Il periodo della lotta per la conquista della fama è quello della vita d'apprendista; il torero, giovane e forte, stimolato ed eccitato dalla speranza della gloria e della fortuna, mette in gioco ogni domenica la propria vita. Se esce trionfante da questa prova, durante una corrida, riceve l'alternativa, ossia l'investitura, dalle mani di un matador, entrando così in questa categoria. Ed eccolo in cammino per divenire "asso" o idolo del pubblico; e se per la sua abilità e destrezza vi riesce presto, si vedrà l'umile figlio del popolo diventar milionario, perché il compenso di questi toreri non è mai inferiore a parecchie migliaia di pesetas per ogni spettacolo. L'Andalusia è stata sempre la culla fecondissima di eccellenti giostratori, ma oggi non le sono seconde in questo altre provincie spagnole: vengono in prima linea i toreri di Madrid, di Aragona, di Valenza, ecc.
Il toro. - La combattività del toro è un elemento di grande importanza per la piena riuscita della festa, perché quando il toro è mansueto, anche se il torero lo domina con un lavoro intelligente, ne proverà soddisfazione il dilettante, ma la massa del pubblico non ne sarà mai appagata, perché essa ama ed è pronta ad applaudire solo i colpi di grande effetto. Fino a pochi anni or sono i tori provenivano generalmente dai campi dell'Andalusia, ma ora molti allevamenti sono stati impiantati anche nelle campagne di Salamanca, che hanno acquistato fama di produttrici di tori scelti e nervosi. Citiamo alcuni degli allevamenti più rinomati: Miura, Pablo Romero, Veragua, Guadalest, Parladé, Saltillo, Muruve, Concha y Sierra, Aleas, Coquilla, ecc. L'allevamento da cui proviene un toro si riconosce dal marchio a fuoco e dal nastro colorato (divisa) che si applica alla groppa dell'animale quando entra nell'arena. Anche il bestiame portoghese serve per le giostre, ma raramente, e ne è assolutamente escluso quando entrano in lizza gli "assi"; il migliore è quello dell'allevamento di Palha, che si distingue per la forza e per la grandezza veramente imponente dei suoi tori. Nel 1928, per la prima volta in Spagna, ha avuto luogo a San Sebastiano una corsa con tori messicani del famoso allevamento di Piedras Negras.
La sorveglianza di questi spettacoli spetta al Ministero dell'interno e in particolare alla direzione generale della sicurezza, la quale ha annunziato una riforma del regolamento ora in vigore. Tra le disposizioni che contiene, si ricordano le seguenti: l'età dei tori è fissata a 4 anni; invece del nastro nero che, come abbiamo detto, si mette ora al toro codardo, gli si applicheranno le bandierine ordinarie, ma con carta di color rosso; i picadores non solo saranno muniti d'un attestato che li dichiari buoni cavallerizzi, ma prima di ricevere l'alternativa dovranno aver fatto diversi anni di pratica; si dànno anche norme per la giostra a cavallo, che finora si è sempre eseguita in modo libero e disordinato; finalmente si riforma pure il sistema di sostituzione nel caso che un espada sia ferito durante il combattimento e non possa finire il toro: quest'ufficio, che attualmente spetta al matador della classe più elevata presente nell'arena, verrà invece ripartito fra tutti quelli che ancora vi rimangono.
Bibl.: J. Delgado, La tauromaquía ó arte de torear, Cadice 1796, Madrid 1804, Madrid 1827, Barcellona 1834, Madrid 1879; F. Montes, Tauromaquía completa ó sea arte de torear en plaza tanto á pié como á caballo, Madrid 1836; J. Redondo, El lidiador perfecto, Madrid 1851; J. Corrales Mateos, Los toros españoles y tarumaroquía completa, Madrid 1856; J. Sanchez de Neira, Gran diccionario taurómaco, Mdrid 1879 e 1896; M. Serrano García Vao, Catecismo taurino, Madrid 1913; A. Carmona, Consultor indicador taurino universal, Madrid 1923; H. de Montherlant, Les bestiaires, Parigi 1926; J. de la Tixera, Las fiestas de toros, Barcellona 1927; Uno al sesgo (pseud.), El arte de ver los toros. Guía del espectador, Barcellona 1929.