CORROSIONE
. Chimica. - È il fenomeno chimico-fisico per cui la superficie degli oggetti viene intaccata dagli agenti chimici. S'indica invece con erosione l'intacco mediante confricazione meccanica (erosione per azione delle correnti d'acqua sabbiosa, dei venti con sabbie in sospensione, ecc.). Particolare importanza ha la corrosione degli oggetti metallici per contatto con gli agenti chimici che esistono nell'atmosfera in condizioni normali (ossigeno, vapor d'acqua, anidride carbonica), o in condizioni speciali (gas provenienti da camini di íabbriche, come: anidride solforosa, cloro, ecc.) oppure per contatto con liquidi. Talvolta la corrosione è soltanto superficiale poiché lo straterello di ossido o di altro composto che si forma protegge il metallo sottostante, ma in generale la corrosione si propaga alla massa metallica producendo escavazioni (pustole, pozzetti, crateri, ecc.) più o meno grandi. In qualche caso arriva anche a produrre una disgregazione del metallo (per esempio, la cosidetta grafitizzazione della ghisa).
I fenomeni di corrosione dei metalli e in particolare del ferro hanno certamente preoccupato gli uomini fino dalla più remota antichità, ma i primi studî sulle cause della corrosione dei metalli datano dagli albori del sec. XIX. H. Davy, M. Faraday, L.-J. Thénard furono i primi a considerare i fattori elettrochimici nei fenomeni di corrosione. Il grande sviluppo degli studî sulla corrosione dei metalli è però recentissimo. Soltanto da pochi anni si sono costituiti laboratorî per lo studio della corrosione dei metalli, e le pubblicazioni scientifiche e tecniche sono numerosissime: vi è anche una rivista speciale. D'importanza fondamentale dal punto di vista tecnico e dal punto di vista economico sono gli studî sulla corrosione dei materiali ferrosi (ferri, acciai, ghise). Il diagramma della fig.1, che è stato disegnato in base ai calcoli dello U. S. Iron and Steel Institute, mostra che nel periodo dal 1890 al 1923, cioè in 33 anni, si ebbe un consumo, per corrosione, di 718 milioni di tonnellate di metalli ferrosi, il che fa, in media, più di 20 milioni di tonnellate annue. Per avere un'idea dell'onere corrispondente, ponendo grossolanamente il costo medio dei metalli ferrosi (acciaio, ghisa, ferro) a L. 500 (moneta d'oggi) la tonnellata, si raggiunge l'enorme cifra di 359 miliardi di lire. Statistiche più recenti, dovute alla direzione della Dupont Company di Chicago, porterebbero l'onere annuo nei soli Stati Uniti a circa 2,5 miliardi di dollari (circa 30 miliardi di lire).
Le teorie relative alle cause e alle modalità con cui avvengono le corrosioni dei metalli sono assai numerose. Bisogna distinguere il caso della corrosione per contatto con sostanze gassose da quella per contatto con liquidi.
Corrosione gassosa. - Se i gas a contatto con il metallo sono secchi o il vapore contenuto non si trova in condizione di condensarsi sul metallo (nel qual caso dà luogo a veli liquidi che portano a corrosioni del secondo tipo), la corrosione avviene per le reazioni dirette fra gas e metallo, ove fra i due esista affinità chimica. Tali reazioni possono essere catalizzate da numerosi fattori, e in particolare sono fortemente accelerate dall'aumento di temperatura.
Per lo studio delle condizioni necessarie alle corrosioni gassose ha importanza fondamentale la considerazione della tensione di dissociazione del composto formato, tensione che cresce al crescere della temperatura. se alla data temperatura questa tensione è superiore alla pressione parziale posseduta dalla specie gassosa agente, la reazione fra metallo e gas non può avere luogo; ove le due pressioni siano eguali si ha equilibrio e la reazione non procede né nell'uno né nell'altro senso; ove la prima sia inferiore alla seconda la reazione corrodente procede, ma lo strato di composto formato (la crosta) protegge più o meno perfettamente il metallo sottostante. Lo stato di compattezza della crosta ha quindi azione fondamentale sul processo delle corrosioni. La valutazione del volume del composto rispetto a quella del metallo entrato in combinazione è necessaria per lo studio di queste azioni protettive; ma le eventuali cricche e sfogliazioni della crosta alterano l'andamento dei fenomeni.
A causa della maggiore densità dei loro ossidi rispetto al metallo e quindi della grande porosità della crosta, il litio, il sodio, il potassio, il calcio, il bario, lo stronzio, il magnesio, ecc., si ossidano rapidamente e profondamente all'aria. In presenza d'ossigeno gassoso a temperatura elevata, la reazione può essere così violenta da dare luogo alla combustione del metallo. Caratteristica è la combustione del magnesio e di alcune leghe ad alto tenore di magnesio.
Molti ossidi di metalli pesanti occupano invece un volume maggiore di quello del metallo entrato in combinazione e quindi viene favorita la formazione di croste compatte, alle quali talvolta sono sufficienti spessori infimi (dell'ordine di frazioni di micron) per avere ottima azione protettiva.
Fra i metalli industriali che meglio resistono, anche per questi fatti, all'ossidazione è da ricordare il nichel. Le leghe di rame e nichel resistono meno del nichel puro mentre quelle di cromo-nichel hanno ottimo comportamento e perciò si fabbricano con esse i resistor per forni elettrici. Lo studio dell'influenza della temperatura sull'ossidazione del ferro è assai complesso a causa della composizione disuniforme degli ossidi prodotti, della formazione di soluzioni solide, ecc.
Importantissimo, anche teoricamente, è il caso dell'alluminio, poiché ossidandosi all'aria, si ricopre con una pellicola che sovente ha lo spessore di uno a due decimillesimi di millimetro, perfettamente impermeabile all'ossigeno. L'aggiunta di alluminio in alcune leghe (p. es., negli ottoni) diminuisce spesso la loro ossidabilità. Pochi metalli, quali l'oro, il platino, l'iridio, ecc., resistono apparentemente all'ossidazione gassosa. In alcuni casi avviene, a temperatura sufficientemente alta, una penetrazione dell'ossigeno (con corrispondente formazione di ossido) fra i grani dei metalli. Questo fenomeno causa fragilità nel metallo e prende il nome di ossidazione infragranulare o infracristallina. Fenomeni analoghi si hanno per effetto di vapori di zolfo. Penetrazioni infracristalline di gas con alterazione del metallo si hanno nei metalli ferrosi anche con l'idrogeno e con l'azoto.
Alle temperature non elevate (inferiori a 100°) moltissimi metalli, benché capaci di ossidazione, non si ossidano apparentemente se sono mantenuti in aria perfettamente secca; ma parecchie ragioni inducono a ritenere che alla loro superficie si formi uno straterello protettore di ossido che è troppo sottile per essere visibilmente rilevabile, anche mediante fenomeni d'interferenza luminosa.
La presenza di vapor d'acqua nell'aria accelera i fenomeni di ossidazione e ciò probabilmente per effetto di fenomeni catalitici.
Corrosione per contatto con liquidi o con sostanze umide.- Per molto tempo è stato ammesso che fosse necessaria nei liquidi corrodenti la presenza di acidi liberi; e all'acido carbonico si attribuì la maggiore importanza nelle corrosioni che si osservano in pratica. Esso infatti è contenuto in moltissimi dei liquidi che vengono abitualmente in contatto con i metalli industriali. Fra gli acidi deboli, spesso considerati, sono da ricordare parecchi acidi organici, e fra questi gli acidi umici, contenuti specialmente nei terreni torbosi.
Agli acidi forti, come l'acido cloridrico e l'acido solforico, corrisponde evidentemente un forte potere corrodente. Essi s'incontrano liberi nelle acque di rifiuto di alcune fabbriche, o provengono da idrolisi di sali contenuti nel mezzo in contatto con il metallo. L'acido solforico talvolta proviene anche dall'ossidazione di solfuri (granelli di pirite, ecc.) contenuti in alcuni terreni. L'acido nitrico può essere generato da fenomeni d'ossidazione in mezzi contenenti sostanze azotate.
La reazione fondamentale che conduce alla corrosione dei metalli per effetto degli acidi, corrisponde alla ionizzazione del metallo con contemporanea neutralizzazione degli ioni idrogeno contenuti nel mezzo acido, e quindi con sviluppo di gas idrogeno alla superficie del metallo. Nel caso d'un metallo atto a dare ioni monovalenti, tale reazione può, schematicaménte, essere rappresentata con:
Perché questa reazione proceda da sinistra a destra è necessario siano verificate alcune condizioni relative alla natura del metallo e alle concentrazioni degl'idrogenioni nella regione ad esso aderente; bisogna, inoltre, che la spesa d'energia necessaria per fare sviluppare le bolle d'idrogeno gassoso sulla superficie del metallo (a cui corrisponde la sovratensione elettrochimica dell'idrogeno rispetto al metallo) abbia valori discretamente bassi. Gli studi sulle reazioni di questo tipo sono numerosissimi.
Ma le teorie che fanno dipendere le corrosioni dei metalli dalla presenza di acidi liberi non possono avere portata generale, poiché fenomeni di corrosione si hanno anche con mezzi che non hanno carattere acido, bensì carattere neutro e persino reazione alcalina. Perciò furono ideate altre teorie, alcune delle quali hanno avuto corta vita a causa delle ipotesi poco verosimili (se ammesse di portata generale) su cui furono fondate. Tale è, ad esempio, la teoria che si fonda su speciali azioni delle sostanze allo stato colloidale, poiché queste sostanze non sempre si riscontrano mentre avvengono le corrosioni. Un'altra teoria fa dipendere l'azione corrosiva del mezzo dalla presenza di acqua ossigenata (perossido d'idrogeno) che sarebbe prodotta da speciali reazioni fra il metallo e il mezzo, reazioni che in alcuni casi fu possibile dimostrare. Sennonché le corrosioni avvengono anche in presenza di sostanze che impediscono la formazione e l'esistenza del perossido d'idrogeno, e quindi anche questa teoria non può valere in generale.
Una teoria, invece, che ha grande generalità è la teoria elettrochimica della corrosione, nella quale si deve comprendere anche quella che, comunemente, viene detta dell'aerazione differenziale. Tale teoria pone come causa fondamentale la generazione di correnti elettriche per forze elettromotrici sviluppate ai contatti fra le diverse parti eterogenee che generalmente esistono nei metalli e quindi anche alla loro superficie, o per eterogeneità dei liquidi conduttori con essi a contatto, o per esistenza di piccole quantità di gas distribuite in modo disuniforme alla superficie metallica. Anche particelle solide (carbone, ecc.), contenute in sospensione nei liquidi che bagnano i metalli, possono quindi contribuire al fenomeno allorquando si depositano sulla superficie metallica.
È noto che i metalli, anche se apparentemente omogenei, generalmente rivelano all'osservazione microscopica notevoli eterogeneità che possono derivare da diversa composizione dei grani o da inclusioni di scorie, di ossidi, ecc. Se, ad es., si osserva con i metodi metallografici la superficie d'una sezione praticata nel ferro puddellato, laminato e ricotto, risulta che il metallo è formato da un ammasso di cristalli allotriomorfi di ferrite (usualmente detti grani di metallo), fra i quali s'insinuano, e nei quali sono incluse, sostanze eterogenee (scorie) in quantità più o meno notevoli.
Nelle ghise grigie e nere sono evidentissimi i cristalli allotriomorfi di grafite oltre a quelli di altri numerosi costituenti: cementite, perlite, eutettico fosforoso, ecc. Negli acciai al carbonio si osservano grani di ferrite e di perlite oltre a scorie (solfuro di manganese, ecc.). Nell'alluminio fuso senza cure speciali, e specialmente in quello rifuso da rottami, si osservano spesso inclusioni d'ossido; inclusioni d'ossidulo si osservano quasi sempre nel rame industriale. Eterogeneità si osservano con la micrografia in quasi tutte le leghe a causa dell'esistenza di eutettici, di eutettoidi, di composti intermetallici, di soluzioni solide non omogenee, di liquazioni e segregazioni di diversa natura.
Possono esistere nei metalli anche eterogeneità fisiche, e quindi diversità nelle proprietà chimico-fisiche, per effetto delle tensioni che si sviluppano all'atto della solidificazione, o per raffreddamenti disuniformi oppure per effetto di sforzi meccanici conseguenti alle lavorazioni a freddo oppure per incrudimenti. Altre eterogeneità nelle leghe possono dipendere da cattiva fabbricazione (deficiente rimescolamento prima della colata, gas occlusi, ecc.).
Se alle superficie di contatto dei metalli con il terreno umido o con altri conduttori elettrolitici (acqua di fonte, di mare, ecc.) esistono eterogeneità di qualsiasi tipo, il diverso comportamento elettrochimico delle parti eterogenee fa sì che si generino forze elettromotrici, per cui alcune regioni della superficie del metallo risultano elettricamente positive e altre negative, rispetto all'elettrolita. Ne segue la generazione di correnti elettriche che da alcune regioni del metallo escono verso l'elettrolita e da altre rientrano nel metallo e in esso si chiudono, con conseguenti corrosioni delle regioni ove si scaricano gli anioni nelle quali perciò intervengono intensi fenomeni di ossidazione.
Perché queste corrosioni avvengano in misura notevole è necessario che le correnti elettriche sopra accennate abbiano sufficiente intensità, cioè è necessario che la resistenza opposta al passaggio della corrente nel metallo e nell'elettrolita sia sufficientemente piccola (cosa frequente, anche in grazia della brevità dei corrispondenti circuiti) e che le forze controelettromotrici e le eventuali sovratensioni abbiano valori assai bassi. Per quanto riguarda le forze controelettromotrici è da tenere presente che quasi sempre esistono, nei casi qui considerati, azioni depolarizzanti, talora intensissime; e fra quelle catodiche è specialmente da considerare l'azione dell'ossigeno, che generalmente è disciolto in sufficiente quantità nei liquidi in contatto con il metallo. Ne segue che anche nel caso in cui le forze elettromotrici agenti siano debolissime (nel caso di eterogeneità per tensioni o per incrudimenti esse raramente sorpassano pochi millesimi di volt), le correnti elettriche possono avere intensità sufficiente per dare luogo a corrosioni visibili.
Ma anche l'elettrolita può avere concentrazione o composizione diversa nelle diverse regioni in cui esso bagna il metallo e, in conseguenza, originare forze elettromotrici e correnti elettriche capaci di produrre corrosioni anche se il metallo ha costituzione omogenea.
Le inomogeneità dell'elettrolita che bagna il metallo sono facilitate dall'esistenza di rugosità superficiali, poiché queste ritardano le diffusioni; nonché dalla presenza di canaletti o di crepe che attraversano la superficie. Ad es., nello zinco, a causa del ritiro all'atto della solidificazione, i cristalli allotriomorfi superficiali si staccano l'uno dall'altro in modo che si generano lacune facilmente osservabili al microscopio. Fenditure analoghe, ma in generale molto più sottili e spesso ultramicroscopiche, si hanno in altri metalli anche quando la superficie è apparentemente liscia (esperienze di Tammann).
Canaletti capillari esistono inoltre nei metalli industriali, in causa di cricche, di soffiature, di particelle di scorie, ecc. Se il metallo è stato sottoposto a laminazione o a trafilatura, questi canaletti si estendono nella direzione della lavorazione e spesso restano aperti a un'estremità. Ne segue che il liquido che bagna la superficie s'insinua in questi canaletti, specialmente a causa delle forze capillari, e quindi, mentre la superficie esterna del metallo risulta bagnata da un liquido nel quale i gas disciolti sono, e facilmente si mantengono, in equilibrio con l'atmosfera, la superficie nel capillare è bagnata da un liquido nel quale la concentrazione dei gas disciolti può essere assai diversa, e tale mantenersi a causa della piccola diffusione nei canaletti. Inoltre, per effetto delle azioni capillari, le concentrazioni dei sali disciolti risultano diverse nei canaletti rispetto a quelle nel liquido esterno. Queste inomogeneità dell'elettrolita sono sufficienti per causare spesso gravi fenomeni di corrosione.
Il gas disciolto nei liquidi in contatto con l'atmosfera, che ha speciale importanza per le corrosioni, è l'ossigeno; e si è dimostrato che se due regioni d'uno stesso metallo si trovano in contatto con uno stesso elettrolita diversamente aerato, la regione più aerata (dove l'ossigeno ha maggiore concentrazione) risulta quasi sempre elettricamente negativa rispetto al liquido, e positiva quella meno aerata, cosicché si genera una corrente circolante nel metallo e nell'elettrolita, la quale dà luogo all'ossidazione della regione meno aerata. Avviene, infatti, in questi casi, che alla ionizzazione dell'ossigeno in contatto con la superficie metallica corrisponde una scissione delle sue molecole biatomiche in atomi e, da parte di questi, un assorbimento di elettroni (i quali vengono ceduti dal metallo); e poiché tale ionizzazione assorbe più elettroni dove maggiore è la concentrazione dell'ossigeno, ivi il metallo, perdendo più elettroni, tende ad assumere un potenziale positivo rispetto al metallo in contatto con la regione meno aerata, e quindi si genera nel metallo un flusso di elettroni dalla seconda alla prima regione, cioè una corrente elettrica che, chiudendosi attraverso all'elettrolita, causa in questo un flusso di ioni, per cui gli anioni vanno dalla regione più aerata alla meno aerata. La scarica degli anioni sul metallo avviene quindi nella regione meno aerata e in conseguenza ivi causa la corrosione.
Una semplice esperienza può convincere di questo fatto, apparentemente paradossale (poiché l'ossidazione elettrochimica avviene dove minore è la concentrazione dell'ossigeno). Basta, infatti, piegare ad U un filo di zinco o di ferro, e dopo averne immerso le estremità in una soluzione disaerata di cloruro di sodio, far gorgogliare dell'aria su una delle gambette dell'U mentre l'altra (p. es., mediante un vasetto poroso) è protetta dal contatto dell'ossigeno. Aggiungendo opportuni reattivi è facile assicurarsi che il metallo entra in soluzione (cioè si corrode) nella regione protetta. E se si inserisce nel circuito un galvanometro si può anche determinare il senso della corrente elettrica generata dalla differente aerazione dei due elettrodi.
La fig. 2 rappresenta la punta di una spina di regolazione per turbina idraulica dopo circa 8 mesi di servizio. Il materiale è acciaio duro, e si osservano non soltanto le erosioni prodotte dal limo in sospensione (acqua di ghiacciaio), ma anche una larga corrosione che è da ritenere dovuta a fenomeni di aerazione differenziale.
Grande importanza hanno i tubercoli ferruginosi, costituiti essenzialmente da ossidi, che talvolta si formano nell'interno dei tubi di ghisa, di ferro e di acciaio, allorquando sono percorsi da acque assai ricche d'ossigeno. Al disotto di questi tubercoli si riscontrano sempre gravi corrosioni.
Nel caso dei tubi di ghisa, i tubercoli raggiungono talvolta grossezze tali da ostruire i tubi anche se del diametro di molti centimetri (fig. 3); nei tubi d'acciaio hanno invece, al massimo, il volume di frazioni di centimetro cubo. Le cause della formazione dei tubercoli som assai complesse. In un primo tempo si ritenne che dipendessero da microrganismi, ma poi si è dimostrato che si formano anche con acque sterili, purché contenenti molto ossigeno disciolto. Naturalmente la presenza di alghe o di speciali microrganismi contribuisce ad aggravare il fenomeno, poiché le prime attaccandosi al metallo favoriscono i fenomeni di aerazione differenziale, e i secondi secernono sostanze acide o di altra natura atte a favorire le corrosioni.
Particolarmente gravi sono le corrosioni per aerazione differenziale le quali si producono nei corpi e nei tubi delle caldaie (fig. 4), poiché l'elevata temperatura accelera per più ragioni i relativi fenomeni. Corrosioni analoghe si producono altresì nei tubi dei condensatori e in quelli dei refrigeranti. La disaerazione, oltre che la purificazione dell'acqua d'alimentazione, è quindi un mezzo fondamentale di diminuire le corrosioni.
Corrosioni assai gravi, spesso con nette forature del metallo, le quali probabilmente derivano da aerazione differenziale, si osservano nelle tubazioni di ghisa e d'acciaio sepolte nei terreni argillosi (fig. 5). Ma in tali casi è anche da tenere presente l'azione specifica di alcune sostanze (p. es., dei granelli di pirite) che possono trovarsi a contatto della superficie metallica.
Nel caso di oggetti di rame o di leghe del rame si è trovato che la direzione delle correnti elettriche dovute all'aerazione differenziale può risultare invertita, cioè la parte più aerata può essere la più corrosa. Ciò avviene quando lo scorrimento del liquido è molto intenso sulla superficie del metallo. Corrosioni di questa natura si generano spesso nelle eliche di bronzo delle navi e hanno talvolta importanza eccezionale.
Nel caso di tubi d'ottone la corrosione della lega genera ioni rame e ioni zinco, e i primi tornano a scaricarsi sul metallo a spese di nuovi ioni zinco che si liberano. Si generano così depositi di rame pulverulento o spugnoso che alterano il procedere dei fenomeni. Inoltre i sali basici del rame, che spesso rivestono parte della superficie corrosa, nonché il diverso stato di compattezza della superficie dell'ottone trafilato, rispetto al metallo sottoposto (che viene a trovarsi allo scoperto là dove una corrosione si è iniziata), portano a inomogeneità di comportamento chimico e fisico, le quali hanno grande azione sui fenomeni di corrosione. Se poi si aggiungono le azioni delle particelle solide conduttrici (carbone) o non conduttrici (sabbia, ecc.) che eventualmente esistono in sospensione nell'acqua di refrigerazione e che possono depositarsi nelle eventuali anfrattuosità della superficie metallica, nonché le diversità nelle temperature locali, risulta che il problema delle corrosioni dei tubi d'ottone per condensatori e per refrigeranti assume talvolta complessità tale da rendere cosa estremamente ardua lo studio delle cause come la ricerca dei rimedî.
Fra le azioni inibitrici o ritardatrici della corrosione, è necessario fermare l'attenzione sul cosiddetto stato passivo dei metalli, stato che già richiamò l'attenzione di M. Faraday, e la cui spiegazione ha dato e dà tuttora luogo a numerosissime ricerche.
La complicazione delle cause da cui deriva la passività ha condotto a teorie varie, e spesso contraddittorie. Ma è assodato che lo stato passivo dei metalli si può generalmente provocare mediante enenici ossidanti (p. es., acido nitrico) o mediante ossidazione anodica, e in alcuni casi si è potuto dimostrare che tale stato passivo è dovuto alla formazione di straterelli superficiali di ossidi (sovente dello spessore di frazioni di micron) capaci di azione protettiva. Questi ossidi possono talvolta formare soluzioni solide con il metallo, il che facilita la loro perfetta aderenza alla superficie. In altri casi, invece che a veri ossidi (intesi nel senso di composti chimici definiti fra atomi del metallo e atomi di ossigeno), o a soluzioni solide, lo stato passivo è dovuto a uno straterello d'ossigeno, di spessore monoatomico o poliatomico, che aderisce al metallo a causa di forze analoghe a quelle che reggono i fenomeni di adsorbimento. È evidente che una netta differenziazione tra questi diversi tipi di passivazione è ben difficile stabilire allorquando, a causa dell'esiguo spessore degli strati protettori, sia impossibile isolare e analizzare chimicamente la sostanza che causa la passivazione. Ne segue che, in generale, bisogna ricorrere a ricerche indirette le quali lasciano largo campo alle ipotesi.
Un comportamento delle superficie metalliche, che rispetto alla corrodibilità è simile, per alcuni riguardi, a quello impartito dalla vera passività, può essere generato da composti salini pochissimo solubili che in talune circostanze si formano alla superficie di alcuni metalli e bene vi aderiscono. Tale è, ad esempio, il caso del solfato di piombo che bene protegge il piombo dalla corrosione dell'acido solforico; quello dei fosfati nel caso della parkerizzazione del ferro, ecc.
Dagli studî eseguiti sui diversi metalli è risultato che alcuni (p. es., il platino) possiedono quasi costantemente lo stato passivo, altri (cromo, nichel, stagno, ecc.) lo acquistano molto facilmente, altri (p. es., ferro, alluminio, cadmio, rame, ecc.) soltanto in condizioni speciali, altri infine (p. es., i metalli alcalini) si può dire che non lo possiedono mai.
Speciale importanza per la tecnica hanno le leghe del rame con il nichel e quelle del ferro con il cromo insieme con il carbonio ed eventualmente con altri elementi sussidiarî (silicio, manganese, ecc.) perché possiedono in grado elevato la capacità di passivazione e quindi una elevata incorrodibilità. Negli acciai al cromo l'elemento passivante è essenzialmente il cromo e quindi per ottenere leghe capaci di passivazione è necessario che il tenore in cromo abbia valori superiori a determinati limiti (legge di Tammann).
La passività dell'alluminio è dovuta a un vero straterello d'ossido che in molti casi viene prodotto artificialmente trattando gli oggetti d'alluminio con opportuni ossidanti, oppure ossidandoli elettroliticamente. Anche lo stato passivo della superficie di oggetti d'acciaio viene in molti casi prodotto artificialmente mediante ossidazione elettrolitica in mezzi alcalini.
Lo stato passivo delle superficie metalliche viene generalmente distrutto allorquando il metallo è bagnato con i liquidi che contengono ioni cloro (per es., soluzioni di cloruro di sodio, ecc.), oppure la superficie è soggetta a intense azioni riduttrici, quali ad esempio quelle catodiche nelle elettrolisi. L'applicazione di tensioni elettriche alternative (invertite) contribuisce quindi a distruggere la passività se le inversioni della tensione applicata avvengono in modo che il metallo acquista polarità negativa, rispetto all'elettrolita, almeno durante frazioni di semiperiodo. È inoltre da ricordare che le alte temperature facilitano generalmente la distruzione della passività.
La sola passivazione non è però sufficiente per difendere in ogni caso i metalli dalle corrosioni. S'impiegano perciò, a seconda dei casi, rivestimenti con vernici di vario tipo, oppure con materiali diversi, e talvolta con metalli protettori (zincatura, stagnatura, ecc.).
Per quanto riguarda le vernici è da ricordare che non sempre l'effetto corrisponde alle apparenze. Esistono infatti vernici di bell'aspetto, le quali, o perché di spessore troppo esiguo e quindi permeabili o semipermeabili specialmente rispetto ad alcuni liquidi, o perché cosparse di minutissimi forellini, spesso microscopici, o perché attraversate da fessurazioni microscopiche, non solo non impediscono, ma in qualche caso aggravano le corrosioni locali.
Se infatti esistono parti coperte e parti scoperte del metallo (anche se di area piccolissima) possono intervenire fenomeni di aerazione differenziale per cui il metallo ricoperto si corrode al disotto della vernice, e l'aumento di volume che ne consegue stacca la vernice formando delle bolle, o danneggiandola altrimenti, aggravando così, ancor più, le corrosioni del metallo. Risulta quindi indispensabile l'impiego di vernici elastiche, non soggette a grandi ritiri durante l'essiccamento e durante l'invecchiamento, e per loro natura perfettamente impermeabili sopra tutto all'umidità. Inoltre è necessario siano distese in più strati, anche per diminuire la probabilità che i forellini dell'uno strato corrispondano a quelli del successivo, costituendo canaletti che diano adito all'aria e all'umidità. Bisogna inoltre che le vernici aderiscano perfettamente alla superficie metallica, e quindi è necessario che questa sia asciutta e, per quanto possibile, sia liberata dai gas aderenti. Notevole importanza sulla durata delle vernici, di natura organica, hanno spesso le radiazioni cui sono sottoposte le parti verniciate poiché, specialmente in presenza dell'ossigeno dell'aria, esse provocano o accelerano reazioni che alterano lo strato protettore. Molto attive sono le radiazioni ultraviolette.
La protezione più comunemente adoperata per le condutture metalliche immerse nel suolo è la catramatura, talvolta completata con successivo rivestimento di iuta catramata. Questo metodo, e quello analogo della bitumatura, può dare buoni risultati se la iuta è bene imbevuta di catrame e se la catramatura è ben aderente al metallo ed è fatta con catrami che non si fessurino per invecchiamento. In America furono proposti, e talvolta adottati, rivestimenti multipli con carte e tessuti catramati o impregnati con sostanze bituminose, con sostanze resinose, ecc. Questi rivestimenti multipli possono evidentemente dare ottimi risultati se sono protetti dalle abrasioni; ma a loro si oppongono, per le usuali membrature (tubi di gas e d'acqua) ragioni economiche. Per quanto riguarda la catramatura del ferro e del piombo è da tenere presente che i fenoli contenuti negli usuali catrami possono causare corrosioni incipienti il cui effetto può aggravarsi a causa di aerazione differenziale, di azione dell'acido carbonico e dell'umidità, ecc. Un rivestimento per tubi che ora appare molto adatto, per ragioni tecniche e per ragioni economiche, è formato con più strati di cemento e amianto. Esso fu ideato, studiato e realizzato in Italia (rivestiinento Dalmine) e, dove sia necessario, può essere reso impermeabile mediante interposizione di uno o più strati di sostanze catramose. In tale modo anche la sua resistenza elettrica può diventare così alta da portare l'immunità rispetto alle azioni elettrolitiche esercitate dalle correnti vaganti nel suolo. In alcuni casi risultano utili delle fasciature formate con tessuti impregnati con paraffine, ma è da tenere presente che se, come in molti casi avviene, esse non sono perfettamente impermeabili all'umidità, non garantiscono dai fenomeni di elettrolisi. Recentemente furono studiati rivestimenti di lana di vetro (vetroflex) impregnati con sostanze gommose. Nel caso di terreni molto aggressivi, specialmente per proteggere cavi telefonici, si ricorre all'impiego di cassonetti di legno riempiti con catrame o con bitume, o a tubi di eternit, di gres o di cemento. Piccole fenditure del catrame, o dei tubi protettori, lasciando adito all'aria e all'acqua possono tuttavia causare gravi corrosioni, sia perché favoriscono l'aerazione differenziale, sia perché, nel caso di correnti vaganti, localizzano le zone d'attacco e quindi portano più facilmente a corrosioni profonde.
I metalli ricoprenti usati per la protezione di metalli sottoposti, si possono dividere in due categorie: quelli che hanno azione protettiva, in quanto sono di loro natura difficilmente corrodibili o facilmente passivabili (cromo, nichel, stagno, ecc.), e quelli che proteggono il metallo sottoposto in grazia di azioni elettrochimiche che si generano là dove, per una qualsiasi causa, il metallo sottoposto rimanga allo scoperto (p. es., zincatura del ferro). È evidente che l'azione protettiva dei rivestimenti del primo tipo può essere di più lunga durata, ma spesso alla loro applicazione si oppongono ragioni di costo.
Perciò sono molto usati i rivestimenti con zinco. Essi hanno buon comportamento nell'aria anche se umida, non però in vicinanza del mare; inoltre hanno breve durata se in contatto con terreni umidi. I rivestimenti con cadmio hanno funzione simile a quelli con zinco, ma hanno il vantaggio di meglio resistere all'azione corrodente dei cloruri. Non sembra però resistano altrettanto bene all'azione delle nebbie.
Per lo studio dell'azione protettiva dei rivestimenti metallici è da osservare che la corrodibilità dei diversi metalli per effetto degli elettroliti è certamente in relazione con il valore del loro potenziale elettrochimico, ma non è esatto ritenere che in ogni caso di due metalli in contatto con lo stesso elettrolita (p. es., con acqua marina) sia sempre più corrodibile quello che possiede un maggiore potenziale elettrochimico. Il valore del potenziale elettrochimico dei metalli (quale è definito univocamente nell'elettrochimica teorica e quale è dato dalle tabelle numeriche) è infatti relativo soltanto al caso in cui la soluzione che bagna il metallo è costituita dalla soluzione acquosa d'un suo sale con concentrazione unitaria rispetto allo ione metallico considerato, e se varia la concentrazione dello ione metallico nell'elettrolita variano i potenziali del metallo rispetto all'elettrolita, secondo quanto stabilisce (in prima approssimazione) la equazione di Nernst (v. elettrochimica, XIII, p. 722). Ne segue che il senso della polarità relativa assunta da due metalli rispetto a uno stesso elettrolita può risultare invertito secondo la natura dell'elettrolita che li bagna. Se i valori dei potenziali elettrolitici normali dei due metalli non sono troppo differenti, è facile realizzare condizioni per cui il metallo che appare più corrodibile rispetto all'altro in alcune soluzioni è il meno corrodibile in altre (ciò si può facilmente verificare sperimentando con la coppia: piombo-stagno), ma lo stesso fatto si può anche verificare con metalli aventi tensioni di soluzione notevolmente differenti (p. es., zinco e rame) qualora s'immergano in soluzioni nelle quali le concentrazioni dello ione del metallo con minore tensione di soluzione siano estremamente basse (ad esempio, per la coppia zinco-rame, quelle contenenti un eccesso di cianuro di potassio).
D'altra parte se l'elettrolita che bagna i metalli non contiene loro ioni in quantità ben definita, i potenziali di questi metalli non possono essere determinati mediante la teoria di Nernst. Ne risulta che allorquando s'immergono i metalli, p. es., nell'acqua di fonte, essi assumono, rispetto all'elettrolita, potenziali che dipendono da molti fattori casuali, cioè dalle impurezze contenute nel liquido, da quelle contenute alla loro superficie, dai gas occlusi o adsorbiti, ecc. Le forze elettromotrici che in tali casi si misurano, variano col tempo, e tendono in generale a valori limiti che non si possono però assumere come univoci, anche perché altre eterogeneità superficiali, o l'aerazione differenziale, possono generare correnti localizzate e quindi lente ossidazioni con produzione di ioni metallici che entrano in soluzione. Lo stato d'agitazione del liquido, la sua aerazione, ecc., cambiano quindi i risultati delle misure. Ne segue che i risultati delle misure relative della corrodibilità, quali vengono eseguite determinando soltanto le differenze di potenziale elettrico che si stabiliscono fra più metalli quando sono immersi in acqua di fonte, in acqua di mare, ecc., abbisognano di essere accuratamente discussi prima di venir accettati come conclusivi.
Rispetto alle differenze di potenziale che si stabiliscono fra metalli ed elettroliti, quando questi contengono quantità minime degli ioni del metallo bagnato, hanno grande importanza l'ossigeno e l'idrogeno eventualmente adsorbiti dalla superficie del metallo, nonché il contenuto in idrogenioni nell'elettrolita.
Quindi, contrariamente a quanto molti ritengono, non è possibile nella maggioranza dei casi che presentano interesse per la pratica stabilire teoricamente un'unica relazione, valida in ogni caso, fra corrodibilità e potenziale elettrochimico normale dei metalli, allorquando gli elettroliti che li bagnano sono i liquidi con i quali i metalli vengono a trovarsi in contatto.
È interessantissimo ricordare in proposito il caso della corrodibilità del ferro stagnato (della latta). È questo un problema che ha dato luogo a numerosissime ricerche. Se si considera il fatto che lo stagno non solo è molto più nobile del ferro (il potenziale elettrochimico normale dello stagno è − 0,13 volt rispetto all'elettrodo n. a idrogeno, mentre quello del ferro è − 0,44 volt), ma assume anche con grande facilità lo stato passivo, nonché il fatto che, anche in grazia della grande malleabilità e tenacità dello stagno, è facile ricoprire il ferro con uno straterello ben continuo di stagno, sembra che le buone stagnature debbano proteggere in ogni caso il ferro dalla corrosione. Avviene invece che, in contatto con parecchie sostanze organiche, se l'acidità corrisponde a pH minore di 5, lo stagno fortemente si corrode e, restando scoperto in alcuni punti il ferro, la corrosione di questo diventa gravissima, poiché si genera una pila nella quale il ferro ha polarità positiva rispetto all'elettrolita. Ma in altri casi la corrosione riguarda soltanto il rivestimento di stagno in causa di un'inversione nel senso della polarità dei due metalli rispetto all'elettrolita dal quale essi sono bagnati.
Ciò avviene per un complesso di circostanze fra le quali spesso domina, anche in questo caso, l'azione dell'ossigeno gassoso disciolto nei liquidi in contatto con l'aria e quella dell'idrogeno che si sviluppa per reazione catodica.
Nella pratica industriale si impiegano talvolta rivestimenti di piombo, ma oltre che la possibilità d'attacco del piombo per azione dell'acqua distillata e in generale delle acque non contenenti carbonati o solfati (poiché sono i corrispondenti sali di piombo che hanno azione protettiva), è da ricordare la notevole corrodibilità di questo metallo rispetto ad alcuni acidi organici e a sostanze organiche in decomposizione, nonché per contatto con materiali contenenti idrato di calcio allo stato libero o capaci di liberarne per idrolisi, e specialmente la sua corrodibilità all'acqua di mare se questa è fortemente aerata.
Tra i metodi elettrochimici, consigliati per la protezione dei metalli, viene ancora talvolta usato un metodo che è simile a quello proposto da H. Davy, al principio del sec. XIX, per proteggere dalle corrosioni le lamiere di rame con cui si fasciava lo scafo di legno di molte navi. Il Davy aveva proposto di collegare metallicamente a queste lamiere grossi pezzi di zinco che essendo, pur essi, immersi nell'acqua marina costituivano, insieme con le lamiere di rame, una pila voltaica, in corto circuito, la cui corrente veniva ad avere senso tale da corrodere lo zinco (metallo di poco valore), proteggendo il rame in grazia della polarizzazione catodica in esso generata. Analogamente, per ovviare alle corrosioni dei tubi di ottone delle caldaie, dei refrigeranti, ecc., taluni impiegano pezzi di zinco opportunamente collegati ai tubi; altri applicano invece fra il liquido circolante e il metallo dei tubi, una forza elettromotrice generata all'esterno. Ma evidentemente tali disposizioni non possono impedire quelle corrosioni per aerazione differenziale o per effetto delle impurità contenute nell'acqua di refrigerazione, che hanno sede nella parte più interna dei tubi. L'applicazione di metodi analoghi ai corpi non tubulati delle caldaie, può avere invece maggior effetto poiché, se non esistono anfrattuosità, tutta la superficie del metallo può essere portata a una sufficiente polarità negativa rispetto al liquido e quindi essere salvata dalle corrosioni. Metodi simili sono adottati per proteggere le eliche delle navi.
Corrosioni causate da correnti elettriche vaganti nel suolo. - Corrosioni elettrochimiche tipiche sono quelle causate dalle correnti elettriche disperse dagli impianti tramviarî e dalle ferrovie elettriche azionate da corrente continua. Esse specialmente si osservano nei tubi di ghisa, di ferro e di acciaio che costituiscono le condutture per acquedotti e per gas nelle città, nonché nelle armature di piombo dei cavi per la distribuzione di energia elettrica e per servizio telefonico. Anche le armature di ferro del cemento armato subiscono corrosioni di natura elettrochimica, ma in tal caso il danno più grave è causato dall'aumento di volume del ferro per la formazione dell'ossido nelle regioni anodiche, con conseguente rottura del cemento. La fig. 6 mostra ad esempio le gravi fenditure dei pilastri di cemento armato delle sale di formazione in una fabbrica di accumulatori elettrici, le cui armature erano percorse da correnti disperse a causa degl'inevitabili difetti d'isolamento nelle batterie in formazione. Ma si possono avere danni nel cemento per effetto di correnti elettriche, anche in vicinanza delle regioni catodiche delle sue armature, e ciò quando il cemento contiene sali alcalini (provenienti, per es., dall'acqua d'impasto), poiché gl'idrossidi di sodio e di potassio che si formano al catodo producono una degradazione delle proprietà meccaniche del cemento.
Per quanto riguarda l'azione delle correnti alternate sulla corrosione dei metalli, non è esatta l'opinione, molto diffusa, che esse non abbiamo alcuna azione elettrolitica.
Le correnti alternate, a parità di condizioni, hanno certamente azione molto minore delle correnti continue, specialmente se la loro frequenza è uguale o superiore alle ordinarie frequenze industriali, e spesso la loro azione corrodente è trascurabile, ma non è nulla, se gli elettrodi sono ad es. di ferro, di ghisa o d'acciaio e l'elettrolita è costituito da acqua di mare o da terreno umido contenente sali solubili. Avviene infatti, che gli ioni negativi scaricandosi durante una fase della corrente sull'elettrodo metallico lo intaccano, e se gli ioni del metallo corroso si diffondono rapidamente nell'elettrolita (p. es., in causa dell'agitazione del liquido), ovvero se entrano in reazione con il mezzo ambiente formando composti insolubili (generalmente sali basici) o ioni complessi, l'ione metallico non è più riscaricato sull'elettrodo corroso nel successivo semiperiodo della corrente, e quindi la corrosione permane. Sono invece scaricati sull'elettrodo, in luogo dei cationi del metallo corroso, altri cationi contenuti nell'elettrolita, i quali, reagendo con il mezzo, possono generare condizioni di ambiente che facilitano le corrosioni. In altre parole il fenomeno dell'elettrolisi con correnti alternate è generalmente dominato da fenomeni irreversibili che impediscono a ogni periodo della corrente di ricostituire le condizioni che esistevano all'inizio del periodo precedente; e poiché, se in un metallo è stata iniziata una corrosione per qualsiasi causa, la corrodibilità del metallo generalmente cresce, avviene che una piccola corrosione di origine elettrolitica, anche per correnti alternate, può portare a conseguenze assai gravi. Inoltre le correnti alternate, come fu prima accennato, hanno la proprietà di facilitare la distruzione degli eventuali stati passivi posseduti dalle superficie metalliche.
Come fu detto, pressoché la totalità dei danni causati dalle correnti elettriche disperse nel suolo è dovuta alle correnti continue (o meglio unidirezionali). La fig. 7 mostra un caso tipico di corrosioni di tale natura prodotte in tubi di ghisa dalle correnti elettriche disperse da impianti tramviarî. La fig. 8 mostra un analogo caso di corrosione della ghisa, con sua trasformazione in un ammasso incoerente di carburo di ferro, di ossidi di ferro e di grafite (fenomeno che comunemente vien chiamato, assai impropriamente, grafitizzazione della ghisa).
Correnti elettriche circolanti nel suolo sono causate anche da fenomeni tellurici (cosmici e geo-termici) e da fenomeni galvanici; ma per quanto riguarda le coirenti telluriche, è da ricordare che esse causano nel suolo delle cadute di potenziale che non furono mai trovate superiori a 0,2 millivolt per metro (cioè 0,2 volt-kilometro), e quindi la loro azione è trascurabile laddove esistono impianti di trazione a corrente continua che causano generalmente differenze di potenziale enormemente maggiori.
In assenza d'impianti di questa natura, e nel caso in cui le membrature metalliche attraversino terreni con diversa costituzione, possono avere notevole azione le correnti d'origine galvanica generate da forze elettromotrici che, per effetto di reazioni elettrochimiche, o per altre cause, possono sorgere fra i metalli delle membrature (armature di cavi elettrici o telefonici, tubazioni di ghisa o di acciaio, ecc.) e i terreni in contatto.
Corrosioni per correnti galvaniche furono spesso osservate nelle armature dei cavi telefonici extraurbani, e furono anche riscontrate nelle lunghissime condutture d'acciaio per trasporto di olî minerali (pipe lines) che sono largamente impiegate in America.
Le correnti elettriche disperse nel suolo dagl'impianti di trazione, si chiamano vagabonde perché i loro cammini sono molto variabili; esse seguono infatti le vie che volta per volta, presentano una minor resistenza elettrica. Le piogge intense, la fusione delle nevi, le eventuali perdite da fogne, ecc., hanno quindi una grande influenza, sia sui percorsi delle correnti disperse dalle rotaie, sia sulle loro intensità. La distribuzione delle correnti elettriche tramviaríe (correnti di ritorno) fra le rotaie e le condutture di acqua e di gas è generalmente assai complicata, anche perché, se nella vicinanza di una rotaia esistono più condotte di acqua e di gas, le correntí elettriche disperse passano dall'uno all'altro tubo e seguono i tubi in modo assai diverso.
Se si considera il caso generale della distribuzione dei potenziali e delle correnti nelle città, è facile convincersi che il calcolo delle singole correnti nel sistema conduttore formato dalle rotaie, dal terreno e dalle membrature metalliche con esso in contatto, non può esser fatto, in modo sufficientemente approssimato, applicando le leggi classiche dell'elettrotecnica. Infatti l'esistenza delle forze elettromotrici di polarizzazione, delle forze elettromotrici locali di diversa natura, delle differenze di resistività del terreno a seconda della sua umidità locale e della salinità, le diverse foime dei conduttori metallici, ecc., causano complicazioni tali, da rendere impossibile la soluzione teorica di questo problema. È tuttavia facile dedurre che nel caso di una città dove esiste una sola installazione di tramvie elettriche a corrente continua alimentata da una sola stazione centrale il cui polo negativo è unito direttamente alle rotaie senza altri cavi di ritorno, si può considerare una regione dove i tubi sono sempre positivi rispetto alle rotaie (è la regione più vicina alle macchine alimentatrici) e una regione in cui i tubi sono sempre negativi rispetto alle rotaie. Fra queste due regioni esiste una regione in cui le rotaie sono talora positive e talora negative rispetto ai tubi.
Evidentemente nella prima regione si avranno gravi corrosioni nelle condutture di acqua e di gas, ma non bisogna credere (come taluni affermano) che la regione in cui i tubi sono negativi rispetto alle rotaie sia da considerare immune dalle corrosioni causate dalle correnti vagabonde. E infatti anche in questa regione avvengono spesso corrosioni talvolta gravissime.
Ciò dipende dal fatto che le correnti che entrano nelle tubazioni laddove queste sono più vicine alle rotaie possono uscirne (anche nella regione in cui le tubazioni sono negative rispetto alle rotaie) per entrare in altre condotte di acqua e di gas, o nelle armature metalliche di cavi elettrici, se queste altre membrature metalliche costituiscono linee di minor resistenza per la chiusura dei circuiti. E quindi si generano gravi corrosioni nelle prime membrature, nei punti ove le correnti da esse fuoriescono verso il terreno.
Numerosissimi studî furono e sono tuttora compiuti per eliminare, o almeno diminuire, le corrosioni causate dalle correnti vaganti, i cui danni sono ingentissimi, non soltanto per quanto riguarda la sostituzione del materiale corroso, ma soprattutto per i disastrosi effetti che possono derivare dalle fughe di acqua e di gas attraverso le forature dei tubi. Si ebbero infatti, in moltissime città ove esistono impianti tramviarî azionati dalla corrente elettrica continua, cedimenti di terreno dovuti a fughe d'acqua per corrosioni dei tubi degli acquedotti, con conseguenti danni ai fabbricati. In altri casi (come recentemente a Londra) si ebbero graví fughe di gas e disastrose esplosioni. Ciò nonostante si è dovuto riconoscere che non vi è alcun mezzo attuabile in pratica per impedire in modo completo le dispersioni di corrente dalle rotaie delle tramvie e ferrovie elettriche, né per isolare perfettamente dal terreno le membrature metalliche sepolte. Il rimedio più sicuro consiste nel limitare le differenze di potenziale che si stabiliscono fra punti diversi delle rotaie in causa delle correnti che le percorrono, e nel ridurre a valori minimi le differenze di potenziale che si stabiliscono fra le rotaie e le tubazioni e le armature dei cavi interrati, allorquando le prime sono percorse dalle correnti tramviarie. A questi risultati si può arrivare progettando in modo opportuno gl'impianti tramviarî, suddividendo l'alimentazione e il ritorno delle correnti alle macchine in zone di piccola estensione, prendendo opportuni provvedimenti agli attraversamenti dei tubi rispetto alle rotaie (isolando questi dal suolo quanto è possibile), e infine esercitando una rigorosa sorveglianza sui giunti elettrici delle rotaie. Per rendere minori i danni causati dalle correnti elettriche disperse nel suolo dalle tramvie e dalle ferrovie alimentate da correnti continue (unidirezionali) furono studiate e adottate in parecchie nazioni delle regole alle quali debbono attenersi gl'impianti di trazione elettrica.