Corte costituzionale e CEDU
A più di dieci anni dalle note sentenze gemelle, il “disorientamento” dei giudici comuni nella risoluzione delle antinomie tra Costituzione e CEDU conferma le evidenti difficoltà interpretative e applicative nel difficile raggiungimento del delicato bilanciamento tra istanze costituzionali e obblighi internazionali, in un sistema multilivello di protezione dei diritti. In tale contesto, la giurisprudenza costituzionale dell’anno in corso, ancora in parte ondivaga e altalenante, mostra quanto sia indispensabile la ricerca di un nuovo equilibrio tra Carte e Corti, tra giudici interni e sovranazionali.
Indubbia, inconfutabile e attuale, ancor oggi, la definizione con cui Mauro Cappelletti nell’ormai lontano 1955 qualificava la Corte costituzionale quale «giurisdizione costituzionale delle libertà». Eppure non è sempre agevole e chiaro comprendere strumenti e modalità tramite i quali il giudice costituzionale si muove, nell’ormai indiscusso sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali, per garantire, nell’esercizio delle proprie funzioni, la “massima espansione” dei diritti. La giurisprudenza costituzionale del 2018, relativa ai rapporti tra Costituzione e Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ne è una sicura conferma. Appare ondivaga e non sempre coerente rispetto alla giurisprudenza degli ultimi anni. Vero è che atteggiamenti altalenanti non sono certo una novità: è assai noto quanto gli orientamenti dell’ultimo decennio siano stati caratterizzati ora da momenti di grande apertura alla penetrazione nel nostro ordinamento dei diritti garantiti a Strasburgo, ora da atteggiamenti più diffidenti, se non proprio, come da alcuni ipotizzato, di estrema chiusura, a strenua difesa della «cittadella costituzionale»1. Tuttavia, quel che desta maggiore preoccupazione è il consequenziale e indubbiamente problematico “disorientamento” dei giudici, derivante da siffatta giurisprudenza, nel raggiungere il difficile e delicato equilibrio tra Costituzione e CEDU, tra «prevalenza assiologica» della Costituzione (sentenza 26.3.2015, n. 49) e massima espansione della tutela dei diritti e dal – non sempre univoco – grado di vincolatività delle pronunce della Corte di Strasburgo. In tale panorama, la giurisprudenza costituzionale del 2018 sembra nuovamente ribadire la distinzione tra “giurisprudenza consolidata” e singole decisioni, non ancora espressione di un orientamento conforme, circoscrivendo la rilevanza del vincolo conformativo, prodotto dalla giurisprudenza C. eur. dir. uomo, «a carico dei poteri interpretativi del giudice nazionale [solo] quando può considerarsi consolidata» (sentenza 2.3.2018, n. 43), tenuto conto della funzione della Corte di Strasburgo, quale «interprete eminente del diritto convenzionale» (sentenza 27.4.2018, n. 93)2. Fuori dalle ipotesi in cui la questione venga risolta dal giudice costituzionale, avvalendosi della CEDU, quale parametro interposto, interpretato alla luce di sentenze «espressione di un approdo giurisprudenziale stabile», ma allo stesso pienamente conforme ai principi costituzionali (sentenza 13.6.2018, n. 120), sembra proprio che il rapporto tra giudice comune e Corte costituzionale, nella tutela dei diritti fondamentali, passi attraverso il crinale del più o meno rigido vincolo ermeneutico derivante dalle pronunce della C. eur. dir. uomo.
Per delineare i confini non del tutto chiari e definiti del grado di vincolatività della giurisprudenza europea gravante sui giudici nazionali, occorre ripercorrere i vari momenti che hanno contribuito a costruire la “forza” e il “valore” della CEDU, laddove per forza si intende quel che siffatta Convenzione è in grado di “fare” nell’ordinamento nazionale, vale a dire la capacità della stessa di penetrare a livello interno e per valore si intende il “trattamento” che essa riceve tramite l’operato del giudice. Prima della riforma costituzionale del 2001, tutti i Trattati internazionali, senza distinzione alcuna, producevano effetti nell’ordinamento italiano solo tramite l’atto di recepimento, costituito di solito da un ordine di esecuzione adottato con legge ordinaria. Cambia, in parte, lo scenario quando, a seguito della riforma costituzionale del 2001, il novellato articolo 117, co. 1, Cost. formalizza espressamente il vincolo derivante dagli obblighi internazionali, suscitando problemi applicativi di non poco momento e rendendo, di lì a poco, ineluttabile l’intervento della Corte costituzionale. È con le sentenze gemelle, 24.10.2007, nn. 348 e 349, che la Corte costituzionale, intimorita se non fortemente preoccupata, a causa della distorta applicazione dell’art. 117, co. 1, Cost., interveniva per porre un argine a quella tendenza, allora sempre più diffusa tra i giudici comuni, di disapplicare norme interne antinomiche con norme della CEDU. Le norme internazionali pattizie – precisava la Corte – non implicano alcuna limitazione di sovranità nazionale e dunque, pur vincolando lo Stato, «non producono effetti diretti nell’ordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello stesso tempo le norme interne in eventuale contrasto» (C. cost. n. 348/2007). Diverse, dunque, le strade, alternative alla “disapplicazione”, che ciascun giudice deve percorrere. Indispensabile, in primo luogo, l’esperimento del tentativo di “interpretazione convenzionalmente conforme” «entro i limiti in cui ciò è permesso dai testi delle norme» (C. cost. n. 349/2007). Soltanto poi «ove l’adeguamento interpretativo, che appaia necessitato, risulti impossibile o l’eventuale diritto vivente che si formi in materia faccia sorgere dubbi sulla sua legittimità costituzionale», l’unica strada da percorrere è il giudizio di costituzionalità, in riferimento all’art. 117, co. 1, Cost., integrato con le norme della CEDU, quale parametro interposto.
È a questo punto che compete al giudice costituzionale un doppio controllo. In primo luogo, le normepattizie devono superare una sorta di «esame di ammissione»3: in quanto integrazione del parametro costituzionale non devono contrastare con la Costituzione, pena la necessità per la Corte di espungere dall’ordinamento la norma che ne consente l’ingresso, in forza del «controinteresse costituzionale» al rispetto del vincolo sovranazionale (C. cost. n. 348/2007, 349/2007 e 26.10.2012, n. 238)4. In secondo luogo – posto che il primo controllo abbia esito positivo – spetta alla Corte vagliare la legittimità della norma censurata rispetto alla norma interposta, frutto dell’interpretazione della Corte di Strasburgo, ai fini di un’eventuale dichiarazione di illegittimità della norma oggetto (C. cost., 7.4.2011, n. 113 e 10.6.2011, n. 181). Tutti i giudici, dunque, compresa la Corte costituzionale, devono applicare la CEDU. Ma la CEDU non vive di vita propria, esiste in quanto “animata” dalle pronunce della Corte di Strasburgo, insindacabili quanto al significato da esse ascritto alle disposizioni della CEDU stessa (C. cost. n. 348/2007, n. 349/2007, 27.2.2008, n. 39). Invero, però, l’idea che la Corte europea potesse godere di un monopolio assoluto nell’interpretazione della CEDU e che le sentenze della stessa fossero assistite da una sorta di «autorità di cosa interpretata, intesa come autorità giuridicamente vincolante», è stata ben presto smentita dalla successiva giurisprudenza costituzionale5. Le diverse esperienze oltralpe, le difficoltà di enucleare principi generali da una giurisprudenza propriamente casistica, qual è quella della Corte di Strasburgo, l’assenza del principio dello stare decisis cd. orizzontale, l’auspicio della dottrina hanno (forse) influenzato il giudice costituzionale a puntualizzare e ridefinire in maniera meno rigida i confini del rapporto tra giudici interni e Corte sovranazionale. La valorizzazione del vincolo interpretativo nei confronti della giurisprudenza della C. eur. dir. uomo è stata fortemente mitigata dal ruolo ascritto al “margine di apprezzamento” che, pur nel rispetto della “sostanza”, opera come «temperamento alla rigidità dei principi formulati in sede europea» (C. cost., 26.11.2009, n. 311 e 4.12.2009, n. 317). Il modello così delineato dal giudice costituzionale è quindi volto a realizzare un’equilibrata integrazione tra sistemi, nazionale ed europeo, in una prospettiva di reciproco scambio e dialogo tra giudici, tale da garantire l’«adeguamento» al diritto sovranazionale, da un lato, l’opportunità di salvaguardare «le peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata ad inserirsi», dall’altro (C. cost., 22.7.2011, n. 236).
Fin qui, nulla quaestio.
Maggiori e più problematiche le perplessità derivanti dalla successiva precisazione, rectius distinzione, elaborata dalla Corte in relazione al grado di vincolatività della giurisprudenza europea: «è … solo un “diritto consolidato” … che il giudice interno è tenuto a porre a fondamento del proprio processo interpretativo, mentre nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento ormai divenuto definitivo» (C. cost. n. 49/2015). Il vincolo ermeneutico della giurisprudenza della C. eur. dir. uomo opera dunque solo in presenza di un diritto consolidato o di una sentenza pilota, obbligando, in tali casi, il giudice comune a sollevare questione di legittimità costituzionale, ove il tentativo di interpretazione conforme si riveli infruttuoso. A fronte invece di singole pronunce isolate o comunque non espressive di un orientamento conforme, viene meno qualsiasi obbligo conformativo nei confronti del giudice, chiamato ad attenersi, in tal caso, al solo rispetto dell’interpretazione conforme a Costituzione. Se la giurisprudenza costituzionale degli anni successivi ha mostrato qualche segno di attenuazione rispetto ai condizionamenti interpretativi derivanti dalla distinzione introdotta con la sentenza n. 49/2015, definendo genericamente e in modo più sfumato l’obbligo del giudice di interpretare la CEDU sulla base dei principi espressi dalla Corte (19.2.2016, n. 36 e n. 11.5.2017, n. 109), la giurisprudenza dell’anno in corso è tornata a ribadire l’obbligatorietà del vincolo ermeneutico quando proveniente da una giurisprudenza europea consolidata (C. cost. n. 43/2018 e 120/2018).
Due, i profili problematici di maggior interesse attorno ai quali gravitano dubbi e perplessità sull’utilizzo della giurisprudenza europea.
In primo luogo, in chiave “negativa”, si colloca il diniego del vincolo interpretativo in assenza di una giurisprudenza europea consolidata o di una sentenza pilota. Ciò significa che, a fronte di un orientamento non definitivo, il giudice comune non è obbligato «a condividere la linea interpretativa adottata dalla Corte EDU» (C. cost. n. 49/2015). Una precisazione che, in una prospettiva sovranazionale, innalza «un nuovo steccato»6, introduce «un brusco mutamento di indirizzo» verso «una posizione di estrema chiusura» rispetto a un «assetto realmente pluralista del sistema delle fonti»7, tale da potersi ripercuotere, a livello interno, in un sacrificio dei diritti fondamentali8. Sulla base di questa prima, critica, severa e inflessibile lettura della sentenza, il principio della massima espansione della tutela dei diritti che dovrebbe guidare l’operatore giuridico subirebbe una battuta d’arresto, potendo precludere – in assenza di una giurisprudenza consolidata – quanto in precedenza affermato dalla Corte stessa, ovvero che «dall’incidenza della singola norma Cedu sulla legislazione italiana deve derivare un plus di tutela per tutto il sistema dei diritti fondamentali» (C. cost. n. 317/2009). Ben più cauto e tale da ridimensionarne la lettura critica e l’impatto innovativo è il tentativo di contestualizzare siffatta precisazione tenuto conto delle peculiarità della giurisprudenza della C. eur. dir. uomo9. In base a tale ricostruzione sembrerebbe che la Corte voglia soltanto negare valore interpretativo e parametrico a quelle – non infrequenti – sentenze che introducono bruschi revirement rispetto a precedenti orientamenti. Se è vero che ci sono «rondini che non fanno primavera»10, si vuole evitare che il meccanismo interno di adeguamento al diritto sovranazionale consenta, una volta attivato, l’annullamento di leggi nazionali antinomiche rispetto a pronunce isolate e non indicative di un orientamento consolidato. Si tratta quindi di un monito che, muovendo dalla “concretezza” del giudizio di Strasburgo, è indirizzato al giudice comune, al fine di arginare un uso distorsivo dei precedenti e dei principi espressi dalla giurisprudenza europea (C. cost., 24.7.2009, n. 239 e 12.10.2012, n. 230)11, se non addirittura, sia pur indirettamente, un monito rivolto alla Corte europea al fine di «salvaguardare la continuità dei propri indirizzi giurisprudenziali»12. La seconda questione riguarda invece, in chiave “positiva”, l’operato del giudice. Qualora, in assenza di uno stabile indirizzo interpretativo della Corte di Strasburgo su di una disposizione CEDU, il giudice dubiti della conformità della norma convenzionale alla Costituzione, è indispensabile che questi provveda a garantire la «prevalenza assiologica» della Carta costituzionale, vuoi attraverso l’interpretazione costituzionalmente conforme, vuoi – nel caso in cui tale criterio ermeneutico non sia possibile – sollevando incidente di costituzionalità sulla CEDU, per il tramite della relativa legge di esecuzione (C. cost. n 49/2015, 12.10.2016, n. 219, n. 109/2017). Di non poco momento – ed espressione di un timore ancor oggi paventato – sono le perplessità derivanti da siffatta precisazione. Molti i dubbi che, per effetto di tale giurisprudenza, si incrementi oltremisura lo spazio di autonomia del giudice comune nel valutare il grado di stabilità della giurisprudenza europea e quindi, consequenzialmente, nella risoluzione delle antinomie tra Costituzione e CEDU. Destabilizzanti gli effetti, tenuto conto della possibilità di incentivare l’uso, già piuttosto disinvolto, dell’interpretazione convenzionalmente orientata, se non addirittura di autorizzare, paradossalmente, l’applicazione diretta della CEDU, per evitare responsabilità sul piano internazionale o di consentire, sul versante opposto, di opporre «direttamente i ‘controlimiti’ agli obblighi discendenti dalla Convenzione», pur di conformarsi ai dicta della Corte costituzionale13.
La giurisprudenza comune rende sin troppo evidente un dato ormai inconfutabile: le molte, tante, arbitrarie applicazioni dirette della CEDU, disapplicazioni mascherate sotto forma di interpretazioni conformi confermano che il modus operandi richiesto dalla Corte al giudice è ancora avvolto in un’aura di incertezza tale da pregiudicare il raggiungimento di quel delicato equilibrio tra dovere di obbedienza alla Costituzione e obbligo di fedeltà ai vincoli internazionali, tra interpretazione costituzionalmente conforme e lettura convenzionalmente orientata14. Ecco allora che se la ratio sottesa alle sentenze gemelle era la necessità di arginare ulteriori disapplicazioni di norme nazionali antinomiche con la CEDU e il leit motiv della distinzione tra giurisprudenza consolidata e singole pronunce va individuato nell’uso arbitrario dei precedenti della C. eur. dir. uomo, l’attuale e persistente disorientamento giurisprudenziale, probabilmente anche imputabile a una giurisprudenza costituzionale ancora a tratti altalenante, rende impellente – come da più parti auspicata – «la ricerca di nuovi, migliori equilibri» tra giudici e Corti, nel sistema integrato di tutela, costituzionale e convenzionale, dei diritti15.
1 Così Ruggeri, A., La Cedu alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologico-sostanziale d’inquadramento sistematico, in www.forumcostituzionale.it., 2007; Mazzarese, T., a cura di, Disordine delle fonti del dritto (inter)nazionale e tutela dei diritti fondamentali, in Diritto e questioni pubbliche, 2017, 7 ss.
2 Corsivi aggiunti. Tra le sentenze in cui, nell’anno 2018, da gennaio a settembre, si richiama la CEDU, cfr., ex plurimis, C. cost., 18.1.2018, n. 5, 9.2.2018, n. 22, 19.4.2018, n. 77, 26.4.2018, n. 89, 31.5.2018, n. 114, 20.7.2018, n. 167.
3 In tal senso, cfr. Silvestri, G., Rapporti tra diritto interno e diritto internazionale: l’efficacia delle Cedu nell’ordinamento giuridico italiano, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, Torino, 2010, 71.
4 Così, Manes, V., La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, in www.dirittopenalecontemporaneo.it., 13.4.2015, 9.
5 Così, Lamarque, E., Il vincolo alle leggi statali e regionali derivante dagli obblighi internazionali nella giurisprudenza comune, in Corte costituzionale, giudici comuni e interpretazioni adeguatrici, Milano, 2010, 192.
6 Così, Viganò, F., La Consulta e la tela di Penelope, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2015, fasc. 2, 338.
7 In tal senso, cfr. Colacino, N., Obblighi internazionali e ordinamento costituzionale a dieci anni dalle sentenze gemelle: breve cronaca di un lungo assedio, in www.penalecontemporaneo.it., 2017, 260 ss.
8 Così, Donati, F., Il rilievo delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento interno: problemi e possibili soluzioni, in www.osservatoriosullefonti.it., 2018, 15.
9 Così, Sorrenti, G., Sul triplice rilievo di Corte cost., sent. n. 49/2015, che ridefinisce i rapporti tra ordinamento nazionale e CEDU e sulle prime reazioni di Strasburgo, in www.forumcostituzionale.it., 2015, 10 ss.
10 Così, Manes, V., La “confisca senza condanna”, cit., 15.
11 Manes, V., op. ult. cit., 13.
12 Sorrenti, G., Sul triplice rilievo di Corte cost., cit., 10.
13 Viganò, F., La Consulta, cit., 340.
14 Basti pensare alle molteplici, diverse e sotto più profili censurabili strade percorse dai giudici nazionali successivamente alla sentenza C. eur. dir. uomo, 23.2.2017, de Tommaso c. Italia; cfr., ex plurimis, Trib. Milano, 13.3.2017; Trib. Palermo, 28.3.2017; App. Napoli, 14.3.2017; Cass., 5.9.2017, n. 40076.
15 Sorrenti, G., op. ult. cit., 16.