CORTE COSTITUZIONALE
(App. II, I, p. 702; III, I, p. 441; IV, I, p. 535)
Il giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi, ovvero quella che, con più comprensiva espressione, viene definita la giustizia costituzionale, comprendendo non solo il sindacato di costituzionalità delle leggi, è ormai un tratto distintivo comune di molti ordinamenti costituzionali contemporanei. In particolare sempre più frequente è il conferimento in via monopolistica delle rispettive funzioni a un organo giurisdizionale istituito al di fuori del potere giudiziario, i cui componenti vengono per lo più designati da autorità politiche, secondo quello che viene comunemente definito il modello europeo di C. c., oggi presente in Austria (1920), Repubblica Federale di Germania (1949), Italia (1948), Francia (1958), Spagna (1978), Portogallo (1976), Belgio (1980), Iugoslavia (1963), Polonia (1982), Ungheria (1983) e Turchia (1961). Pur prevista dalla Costituzione del 1968 la C. c. non è mai entrata in funzione in Cecoslovacchia; hanno, invece, concretamente seguito il modello europeo alcuni paesi dell'America Latina (Guatemala 1965, Perù 1982 e Chile, ove la Costituzione del 1980 ha ridato vita alla Corte prevista dalla costituzione del 1971 e soppressa nel 1973) e la Repubblica del Madagascar (1959).
Sfruttando contemporaneamente la posizione di giudice inappellabile, la legittimazione che loro deriva dalla nomina a opera di sovrani organi costituzionali dello Stato e la funzione loro confidata di interpreti di carte costituzionali poste al vertice della gerarchia delle fonti del diritto, le C. c. appaiono come organi sovrani, la cui giurisprudenza si caratterizza per una sempre intensa creatività nella elaborazione e bilanciamento dei valori fondamentali espressi in Costituzione. Questo è vero anche per la C. c. italiana, che è stata protagonista di un enlargement of functions (L. Elia) sorretto − fra l'altro − dalla predisposizione di una ricca tipologia di sentenze (interpretative di rigetto, interpretative di accoglimento, additive o integrative, manipolative) e di un ricco arsenale di altri strumenti processuali.
Essa ha riaffermato l'esclusività del suo potere di sindacato sulla costituzionalità delle leggi, facendo valere la propria competenza a giudicare di quelle regionali siciliane impugnate dallo Stato e ritenendo così assorbita nella propria la competenza già dell'Alta Corte per la Regione siciliana (sent. n. 38, 1975), cui, del resto, ha anche disconosciuto, in nome di principi fondamentali della Costituzione, il potere di giudicare i membri del governo regionale siciliano (sent. n. 6, 1970). D'altra parte, il Parlamento ha inteso riaffermare il proprio potere conformativo dell'assetto della C., seppure per la via della revisione costituzionale, modificando con legge cost. 22 novembre 1967, n. 2, l'art. 135 Cost. La durata in carica dei giudici è stata ridotta a nove anni: essi non possono essere nuovamente nominati; non vi è più prorogatio giacché alla scadenza del termine i giudici cessano dalla carica e dall'esercizio delle funzioni. Eletto fra i componenti della C., il presidente rimane in carica per un triennio ed è rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dall'ufficio di giudice.
In questi anni il ricorso alla C. ha sempre tenuto ritmi molto elevati, tant'è che in particolare a cavallo fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta non si è assicurato un pari andamento delle definizioni rispetto alle sopravvenienze. Il fenomeno è stato imputato al blocco del lavoro della C. causato dal cosiddetto ''processo Lockheed'' (1977-79) che per la prima volta ha visto la C. esercitare le sue funzioni di giudice penale nei confronti di ex ministri (e, per connessione, di altri soggetti diversi). Ma, in realtà, i primi ritardi nello smaltimento dell'arretrato sul fronte del contenzioso Stato - Regioni si sono manifestati già attorno alla metà degli anni Settanta, essendo addebitabili a carenze organizzative cui si è posto mano solo con le ultime presidenze.
Nonostante i ritardi nelle decisioni delle questioni proposte in via incidentale, i rapporti fra la C. e gli organi delle magistrature ordinaria e amministrative non hanno dato luogo a contrasti negli ultimi tempi. La C. si è attestata sulla prassi di attenersi all'interpretazione consolidata delle norme di legge ordinaria sottoposte al suo giudizio, addottando quella che essa stessa definisce la dottrina del ''diritto vivente'' (G. Zagrebelsky, 19882), con questo identificando il risultato dell'interpretazione data alle leggi ordinarie dalle supreme magistrature. Si fa, quindi, ricorso alle sentenze interpretative di rigetto soltanto allorché le norme impugnate non hanno ancora la 'copertura' di un'interpretazione consolidata e si prestano a differenti letture. Il che non significa che la C. rinuncia a utilizzare la variegata tastiera della tipologia delle sue sentenze elaborata in questi anni: anzi, si è esteso l'uso delle stesse sentenze interpretative di rigetto anche ai giudizi in via principale, e si sono fatti alcuni tentativi di sentenze manipolative del termine di decorrenza degli effetti delle decisioni della C. così come disciplinati dall'art. 136 Cost. (sent. nn. 266 e 501, 1988).
Nel complesso l'andamento di questo attivismo del giudice di costituzionalità non ha destato pesanti reazioni negative in sede parlamentare. In questi ultimi anni non si sono udite censure così severe come quelle espresse per l'aggravio degli oneri di bilancio prodotto dall'equiparazione disposta dalla C. del trattamento economico dei professori universitari a quello dei funzionari statali della carriera direttiva (sent. n. 219, 1975), ovvero per il riconoscimento alle sezioni di controllo della Corte dei conti del potere di sollevare incidenti di costituzionalità in sede di registrazione degli atti di governo (sent. n. 226, 1976). Del resto anche in quelle due occasioni il Parlamento si è astenuto dal contraddire la C. adottando una legislazione costituzionale o ordinaria correttiva degli orientamenti espressi dalla stessa Corte. Ma questa prudenza delle Camere è forse anche un riflesso dell'inerzia con la quale Camera e Senato accolgono tante delle sue decisioni. Benché l'art. 136 Cost. disponga che la decisione della C., dopo la sua pubblicazione, deve essere comunicata alle Camere e ai Consigli regionali interessati "affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali", e benché gli art. 108 Reg. Camera e 139 Reg. Senato disciplinino le procedure per dare un seguito parlamentare alle sentenze della C., queste hanno spesso trovato scarsa rispondenza, anche quando creavano pericolosi vuoti legislativi (si ricordi il caso della sent. n. 5, 1980, sul calcolo dell'indennità di espropriazione delle aree fabbricabili). Non per questo la C. ha rinunciato a lanciare moniti al legislatore nelle sue sentenze, secondo una prassi risalente ai suoi primi anni di funzionamento.
Largamente innovativa viene ritenuta la giurisprudenza della C. in materia di richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell'art. 75 Cost., la cui ammissibilità spetta alla C. di giudicare ai sensi dell'art. 2 legge cost. 9 febbraio 1953, n. 1. Con una serie di fondamentali sentenze essa ha ridefinito la stessa figura dell'ammissibilità delle richieste di referendum, indicando al di là delle cause espresse di inammissibilità una serie di cause inespresse, che vanno oltre quanto esplicitamente disposto dall'art. 75 Cost. (sent. n. 16, 1978); ha definito i rapporti fra l'intervento di sua competenza e quello dell'Ufficio centrale per il referendum, a questo riservando ogni decisione relativa all'incidenza sulle operazioni referendarie di una legge che abroghi la legge oggetto della richiesta di referendum, ovvero − più in generale − concernente gli effetti nel tempo di quest'ultima (sent. nn. 35, 1985, e 68, 1978); ha limitato la cessazione delle operazioni referendarie a seguito del sopravvenire di una nuova disciplina della materia regolata dalla legge oggetto del referendum "con modificazione dei principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente o dei contenuti normativi essenziali dei singoli precetti" (sent. n. 68, 1978).
Anche il comitato dei promotori di una richiesta di referendum firmata da un gruppo di elettori in numero non inferiore a 500 mila costituisce potere dello Stato ai fini della elevazione di conflitto di attribuzione fra poteri (ord. n. 17, 1978). Questa affermazione si colloca accanto a numerose altre che hanno dato concretezza in questi anni alla figura del conflitto: si ricordino, soltanto a titolo di esempio, quelle che hanno ritenuto ammissibili conflitti di cui parti siano commissioni parlamentari d'inchiesta, ovvero giudici anche di primo grado nell'esercizio della funzione giurisdizionale (ord. nn. 228 e 229, 1975). In qualche modo la definizione delle fattispecie di conflitto ha poi risentito delle elaborazioni della giurisprudenza costituzionale in materia di conflitto fra Stato e Regioni, per cui non si ragiona più soltanto di vindicatio potestatis ma anche di menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente riservata (V. Crisafulli).
Infine la C., tenendo fermo il suo orientamento che non spetta a essa giudicare della legittimità dei regolamenti comunitari, lascia al giudice ordinario di applicarli, conoscendo della eventuale incompatibilità con leggi statali che li precedano o li seguano (sent. n. 170, 1984). Ma la C. si riserva di verificare se nella sua applicazione il trattato di Roma resti nell'ambito di una perdurante compatibilità "con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona umana" (sent. n. 183, 1973). Per la revisione della giustizia penale, v. processo costituzionale, in questa Appendice.
Composizione della corte dal 1977. − Presidenti: Leonetto Amadei, avvocato; Leopoldo Elia, prof. di Diritto costituzionale all'università La Sapienza di Roma; Livio Paladin, prof. di Diritto costituzionale all'università di Padova; Antonio La Pergola, prof. di Diritto pubblico generale all'università La Sapienza di Roma; Francesco Saja, avvocato generale di Cassazione; Giovanni Conso, prof. di Procedura penale all'università di Torino; Ettore Gallo, prof. di Diritto penale all'università La Sapienza di Roma; Aldo Corasaniti, avvocato generale di Cassazione (Amadei, Elia e Gallo giudici eletti dal Parlamento; Paladin, La Pergola e Conso di nomina presidenziale; Saja e Corasaniti eletti dalle Magistrature). Giudici: Antonio La Pergola, prof. di Diritto pubblico generale all'università La Sapienza di Roma; Virgilio Andrioli, prof. di Diritto processuale civile all'università La Sapienza di Roma; Giuseppe Ferrari, prof. di Diritto pubblico generale all'università La Sapienza di Roma; Giovanni Conso, prof. di Procedura penale all'università di Torino; Antonio Baldassarre, prof. di Diritto costituzionale all'università di Perugia; Mauro Ferri, avvocato; Luigi Mengoni, prof. di Diritto del lavoro all'Università Cattolica S. Cuore di Milano; Enzo Cheli, prof. di Diritto costituzionale all'università di Firenze; Giuliano Vassalli, prof. di Diritto penale all'università La Sapienza di Roma (nominati dal presidente della Repubblica); Ettore Gallo, prof. di Diritto penale all'università La Sapienza di Roma; Renato Dell'Andro, prof. di Diritto penale all'università di Bari; Ugo Spagnoli, avvocato; Francesco Paolo Casavola, prof. di Storia del diritto romano all'università di Napoli; Vincenzo Caianiello, presidente di sezione del Consiglio di Stato (eletti dal Parlamento); Francesco Saja, avvocato generale di Cassazione; Aldo Corasaniti, avvocato generale di Cassazione; Giuseppe Borzellino, presidente di sezione della Corte dei Conti; Francesco Greco, presidente di sezione della Corte di Cassazione; Gabriele Pescatore, presidente del Consiglio di Stato (eletti dalle Magistrature).
Bibl.: La rivista Giurisprudenza costituzionale, Milano, pubblica tutte le sentenze e ordinanze della C., nonché − annualmente − i testi delle conferenze di fine d'anno dei Presidenti della Corte.
Accanto alle numerose trattazioni monografiche in materia, si segnalano V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Padova 19845, e G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna 19882. Inoltre: La Corte costituzionale tra norma giuridica e realtà sociale, a cura di N. Occhiocupo, Bologna 1978; Corte costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, a cura di P. Barile, E. Cheli, S. Grassi, Bologna 1982; Strumenti e tecniche di giudizio della Corte costituzionale, Atti del Convegno di Trieste 26-28 maggio 1986, Milano 1988.