COSA IN SÉ
. L'idea tradizionale della "cosa in sé" può essere, con sufficiente esattezza, indicata con l'esse in re degli scolastici, in quanto esso si distingue dall'esse in intellectu. La cosa in sé è la cosa nella sua realtà di cosa e non soltanto nel pensiero che se ne ha. Tutti, fino a Kant, parlavano di questo esse in re nel suo distinguersi dall'esse in intellectu, senza riflettere che questo loro parlarne era pur un fare, in qualche modo, essere in intellectu quel che doveva essere soltanto in re.
Kant dimostrò che questa difficoltà era superabile mediante la distinzione tra il pensare e il conoscere. Noi possiamo e dobbiamo col pensiero affermare la cosa in sé; ma non possiamo conoscerla in alcun modo e cioè né col senso, né con l'intelletto, né con la ragione. Infatti, col senso noi abbiamo non la cosa in sé, ma l'apparenza qualitativa di essa, spazieggiata e temporalizzata; con l'intelletto si ha non la cosa in sé, ma l'oggetto universalizzato dalle categorie; con la ragione quella traccia di cosa in sé che ancora persisteva nella conoscenza intellettiva si perde, e solo la forma di questa conoscenza è elevata all'incondizionatezza che è l'esigenza della ragione.
La cosa in sé è dunque assolutamente inconoscibile. Ma, per fortuna, di tale conoscenza noi non abbiamo bisogno: ci basta l'esperienza. Della cosa in sé è soltanto indispensabile l'affermazione fatta col pensiero, appunto perché non sia possibile scambiare l'esperienza con la conoscenza assoluta dell'esse in re. La cosa in sé, in quanto così affermata dal pensiero, è un noumeno che, in quanto tale, si distingue dal fenomeno. La difficoltà del pensiero tradizionale è pertanto superata mediante la distinzione tra il pensare e il conoscere.
Ma Kant non dice mai che cosa sia e possa essere un pensiero che non sia senso, né intelletto, né ragione; e così ricade nella difficoltà del pensiero tradizionale. E la ricaduta si fa più manifesta, quando egli triplica addirittura il noumeno determinandolo nelle tre idee di Dio, anima e mondo. L'assoluta inconoscibilità della cosa in sé, mediante cui si doveva superare la difficoltà tradizionale, appare in tal modo sempre meno rigorosa.
La cosa in sé, così, è una contraddizione; e Kant, col pensiero tradizionale, continuava a credere che per pensare non ci si dovesse contraddire. Si credette, dalla scuola kantiana pura, di eliminare la contraddizione, sviluppando il concetto di limite già accennato da Kant e mostrando come la cosa in sé sia un concetto-limite. È evidente che, qual concetto che sia, essa rimane contradditoria proprio per questo suo essere un concetto; rimane sempre un concetto impossibile.
La contraddizione della cosa in sé fu messa in evidenza da Fichte, il quale credette di superarla accettandola nel suo aspetto puramente negativo. La cosa in sé, appunto perché tale, rimane fuori del pensiero, che ne riceve solo l'urto necessario allo sviluppo della propria dialetticità. Ma se dal pensiero, fece considerare Hegel, è impossibile uscire, la cosa in sé, come esse in re distinto dall'esse in mente, non risulta se non come negazione che è essenziale al pensiero. La distinzione, quindi, non è che oppozione tra la res e la mens, tra l'esse e il cogito. La contradditorietà della cosa in sé è l'essenza stessa del pensare, è l'idea nella sua dialetticità contradditoria. E la dialettica trascendentale, che per Kant era una falsa logica perché antinomica, diventa la vera logica proprio per questa sua antinomicità.
Con Hegel, quindi, può considerarsi chiusa la vera e propria storia del concetto di cosa in sé; memtre il problema generale, a cui esso si riferisce, è ancora vivo anche per la filosofia più recente, nelle sue concezioni del puro "oggetto" del pensiero.
Per la soluzione data dalla filosofia scolastica, v. concreto.
Bibl.: Per la storia del concetto di cosa in sé, v. le opere filosofiche di Kant, Jacobi, Reinhold, Maimon, Schulze, Fichte, Schelling, Hegel. Tra gli scritti critici v., in genere, tutte le opere sul pensiero kantiano e, in particolare, E. Adickes, Kant und das Ding an sich, Berlino 1924. Per uno sviluppo ulteriore del concetto, v. P. Carabellese, La filosofia di Kant, I, Firenze 1927; id., Il problema teologico come filosofia, Roma 1931.