Così nel mio parlar voglio esser aspro
Questa canzone (Rime CIII), che appartiene certamente al gruppo delle " Rime per la donna pietra ", è costituita di 6 stanze di 13 versi ciascuna (10 endecasillabi e 3 settenari) e di un congedo regolare di 5 versi, che riprende la struttura metrica della sirima. La stanza è divisa in fronte con due piedi di 4 versi ciascuno, e sirima di 5 versi. La disposizione dei versi e delle rime segue lo schema ABbC, ABbC CDdEE. Fra le rime petrose è la sola in cui non siano usate parole-rima.
Fra i codici di più antica tradizione manoscritta che contengono Così nel mio parlar, indichiamo: il codice Martelli, il Chigiano L VIII 305, il Magliabechiano VI 143, il Veronese 445, e i due autografi del Boccaccio (Chigiano L V 176, Toledano 104 6), dove è al primo posto nella serie di 15 canzoni che si chiude con Amor, da che convien, mentre le altre petrose sono raggruppate in appendice all'edizione veneziana di Pietro Cremonese della Commedia (1491) insieme con le altre 14 canzoni della tradizione Boccaccio, che qui corrono dal n. 3 al n. 17. Nell'edizione Giuntina del 1527 è nel libro III della sezione dantesca, al primo posto della serie di 9 " canzoni amorose e morali ", mentre le altre tre petrose occupano gli ultimi tre posti. Nell'edizione del 1921 il Barbi la collocò col n. CIII al quarto e ultimo posto del libro IV, che contiene soltanto le " Rime per la donna pietra ". Per un breve accenno alle questioni riguardanti il numero, l'ordine, la cronologia (con ogni probabilità, prima dell'esilio, intorno al 1296-98), la donna (reale, immaginaria, allegorica) delle rime petrose, si veda quanto si è detto per la sestina Al poco giorno. Per quanto riguarda la cronologia della canzone Così nel mio parlar in particolare, è opportuno segnalare che il Pézard ha proposto di considerarla la prima e non l'ultima delle rime petrose, le quali " ne sont peut-être ni du même temps, ni écrites pour la même dame " (p. 192).
La dichiarazione di poetica che irrompe senza preamboli all'inizio della prima stanza per promettere che il linguaggio della canzone sarà aspro, come sono aspri gli atti della donna amata, sembra presupporre nel poeta la coscienza di esperienze poetiche precedenti nelle quali l'atteggiamento più o meno ostile della donna non aveva impedito un linguaggio da dolci rime. Così era stato per la donna fera e disdegnosa della ballata Voi che savete, per la donna dura e orgogliosa della ballata Perché ti vedi e del sonetto Chi guarderà, per quella che non s'innamora, / ma scassi come donna a cui non cale / de l'amorosa mente della canzone Io sento sì d'Amor (vv. 67-69). Anche le altre rime petrose (se sono anteriori, come noi pensiamo, a Così nel mio parlar), che pure fanno largo spazio all'insensibilità, crudeltà e freddezza della donna pietra, non si può dire che siano largamente caratterizzate da un linguaggio aspro. Il fatto nuovo in Così nel mio parlar è che il poeta non è più disposto a ma cerarsi nei suoi martiri in attesa che Amore, da lui invocato e pregato, si muova a pietà e renda innamorata e pietosa l'acerba donna. Pur non rinnegando il suo amore, egli dimostrerà in questa canzone che non è solo capace di sospiri, ma di sdegno, d'istinti violenti, d'insofferenza verso Amore, di ritorsioni contro la donna. Chi sa? Forse è questa la via per farsi amare. Gli aspri sentimenti del poeta, che in questo caso s'accordano con gli aspri atti della donna, richiedono l'asprezza del linguaggio, e D., che è in un momento di larga apertura della sua esperienza poetica ai risultati stilistici della poesia di Arnaldo Daniello, trova felicemente la sua maniera dello stile aspro che, fra le rime petrose, è caratteristico soprattutto di questa canzone. Il realismo in basso stile dei sonetti della tenzone con Forese Donati, fa il suo ingresso, autorizzato dall'esempio di Arnaldo, nell'alto stile della canzone. L'urgenza passionale stimola il poeta a porsi non più come elegiaco patito della crudeltà della donna e fedele vassallo osservante delle leggi della corte d'Amore, ma antagonista, personaggio comprimario di due protagonisti: la donna e Amore.
La bella petra domina per tutta la prima stanza, ma l'ultimo verso (sì ch'io non so da lei né posso atarme) preannunzia la parte preminente che il poeta avrà nella stanza successiva, che è parte di un antagonista ancora in sordina, che riconosce la forza dell'avversario e il proprio stato d'inferiorità per la mancanza di difesa contro i colpi mortali della donna (e 'l peso che m'affonda / è tal che non potrebbe adeguar rima, vv. 20-21); ma già con la svolta della sirima egli comincia a reagire protestando contro il tormento amoroso (Ahi angosciosa e dispietata lima / che sordamente la mia vita scemi, / perché non ti ritemi / sì di rodermi il core a scorza a scorza... ?, vv. 22 ss.) e vanterà nella prima parte della terza stanza i propri meriti d'innamorato disposto ad affrontare sofferenze mortali per non svelare il segreto sulla donna amata. Di tale sofferenza mortale è causa Amore, l'altro protagonista che campeggia fino a tutta la quarta stanza. Anche nei confronti di Amore il poeta riconosce la straordinaria potenza dell'avversario e la propria debolezza e impossibilità di difesa, ma protesta chiamandolo perverso (che abisso dall'altra petrosa, Amor, tu vedi ben, dove ai vv. 49-50 di Amore si dice con devota ammirazione: Vertù che se' prima che tempo, / prima che moto o che sensibil luce!), e se indugia nel presentarsi prostrato in terra d'ogni guizzo stanco (v. 43), sbiancato per l'accorrere del sangue verso il cuore, è per accusare implicitamente la ferocia e l'ingiustizia di Amore. Ed ecco nelle ultime due stanze la parte dell'antagonista che si pone contro Amore e contro la donna, immaginando prima che gli possa toccare in sorte di assistere a un intervento feroce di Amore contro la donna, la scherana micidiale e latra, che dovrebbe latrare nel caldo borro, invocando aiuto. Per soccorrerla egli metterebbe mano nei suoi capelli biondi e si divertirebbe senza pietà con quelle trecce che per lui son fatte scudiscio e ferza, vendicandosi di tutte le offese ricevute. Poi le renderebbe con amor pace. Il vinto da Amore e dalla donna bella petra si è trasformato, per virtù d'immaginazione esaltata dalla passione esasperata, in un trionfatore, con Amore ligio ai suoi desideri, con la donna ritrosa e ribelle ridotta in suo dominio. Nel congedo il poeta ritorna alla realtà, ma non senza coltivare la speranza che la canzone, andando dritto a quella donna che gli ha ferito il core, possa darle per lo cor d'una saetta, così come aveva desiderato di poter vedere Amore fender per mezzo / lo core a la crudele (vv. 53-54).
D. nel De vulgari Eloquentia (II XIII 12) non ha esitato a giudicare negativamente l'uso eccessivo nella stanza della canzone della risonanza della medesima rima e dell'inutile doppio senso delle parole-rima, come gli era avvenuto di fare nella doppia sestina Amor, tu vedi ben (v.).
Subito dopo, D. dice che la terza cosa da evitare è la rithimorum asperitas, l'asprezza delle rime, a meno che non sia frammista a soavità (lenitati); infatti, per mescolanza di rime dolci e aspre, l'alta poesia acquista splendore (ipsa tragoedia nitescit). Non c'è dubbio che nella canzone Così nel mio parlar, come del resto lascia prevedere l'inizio della canzone stessa, non c'è mescolanza di rime dolci e aspre, non solo, ma nel complesso dei vocaboli in essa usati predominano di gran lunga quelli di suono aspro, che D. voleva che fossero esclusi dal volgare illustre (II VII 5). Che nel De vulgari Eloquentia, senza che la canzone sia nominata, ci sia un'implicita condanna di Così nel mio parlar (" per lo meno in quanto ispirazione e forma esulano dallo stile tragico ", Marigo), è opinione, oltre che del Marigo, di altri critici più recenti, ma è lecito dubitarne.
Bibl. - A. Momigliano, La prima delle canzoni pietrose, in " Bull. " XV (1908) 119 ss.; Contini, Rime 165 ss.; D.A., Rime, a c. di D. Mattalia, Torino 1943, 139 ss.; U. Bosco, Il nuovo stile della poesia dugentesca, in Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1955, 90, 99 ss. (ora in D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 29 ss.); M. Marti, Sulla genesi del realismo dantesco, in " Giorn. stor. " CXXXVII (1960) 497 ss. (poi in Realismo dantesco, Milano-Napoli 1961, 1-32); E. Fenzi, Le Rime per la donna Pietra, in Miscellanea di studi danteschi, Genova 1966, 229 ss.; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster E P. Boyde, Oxford 1967, 273 ss. - Per altre indicazioni bibliografiche, si veda la sestina Al Poco Giorno.