BARTOLI, Cosimo
Nacque a Firenze da Matteo e da Cassandra Carnesecchi (Vitelli, secondo Mancini) il 20 dic. 1503.
Suo padre, che nel 1513 era stato podestà di Pistoia, doveva avere una certa competenza nel fondere il bronzo come tecnico di armi da fuoco, se fu commissario alle artiglierie dello Stato pontificio e fiorentine durante la spedizione che Lorenzo de' Medici effettuò contro il duca d'Urbino; fu anche amico di Michelangelo Buonarroti il quale, come risulta dalle sue lettere, fu aiutato da Matteo nell'impiantare il cantiere di lavoro dove vennero scolpiti i gruppi sepolcrali eretti in onore di Giuliano e Lorenzo de' Medici.
La famiglia Bartoli, di ferventi tradizioni pallesche, caduta in sospetto, si era dovuta tenere in disparte durante l'assedio del 1530 e il giovane B. si era trasferito a Roma dove, disegnatore di qualche talento, si esercitò nell'architettura, non trascurando però la matematica, la musica e le discipline umanistiche (a Firenze era stato discepolo del filosofo Francesco Verini). Avendo abbracciata assai presto la carriera ecclesiastica, pur senza ricevere, a quanto pare, gli ordini maggiori, usufruì di vari benefici. A trentatrè: anni, come confesserà egli stesso in una lettera del 10 maggio 1565 al principe Francesco de' Medici (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo, f.2978), ebbe in Firenze un figlio, Curzio, che per riguardo alla propria condizione, aveva fatto passare per il figlio del fratello Giuliano. Lo allevò tuttavia presso di sé, lo mandò a studiare a Pisa e a Padova, lo tenne come segretario e gli assicurò la successione nella prepositura del Battistero fiorentino, di cui il B. era stato investito verso il 1540.
Secondo le tradizioni della sua famiglia, fu anch'egli partigiano dei Medici, al cui servizio si vantava di essere stato trent'anni (lett. a Cosimo I del 1571, ibid. Mediceo 2980, c. 349); ma in realtà un incarico preciso e continuo gli fu affidato solo nel 1560, quando il pontefice Pio IV fece cardinale Giovanni de' Medici, il diciassettenne figlio di Cosimo I. Il B. divenne allora segretario del giovane prelato col quale andò a vivere a Roma, tornando solo saltuariamente a Firenze per curare i propri affari. Divenuto membro della famiglia cardinalizia, egli si fece esonerare dal pagamento delle decime e brigò per ottenere altre prebende.
Nel giugno del 1562 Cosimo I lo nominò suo agente a Venezia dove rimase dieci anni. Zelantissimo nei suoi doveri d'ufficio lo mostrano le sue corrispondenze raccolte in sei filze dell'Archivio mediceo (oltre le molte disseminate nel carteggio universale) e gli "avvisi" ovvero "sommari" di notizie provenienti da varie parti del mondo, fatti compilare dal B. al figlio. Le sue lettere lamentano spesso la miseria dello stipendio (28 ducati d'oro al mese) che lo costringeva a contrarre frequentemente debiti. La situazione economica, resa ancor più precaria dalla malferma salute, lo costrinse ad implorare una pensione dai suoi signori. Nel 1571 Cosimo I e suo figlio, il futuro granduca Francesco, proposero invano a Pio V di assegnargli il vacante vescovado di Cortona. Rientrò a Firenze tanto debilitato dai disagi del viaggio che non poté godere la prepositura di Prato allora conferitagli. Morì, poco dopo, il 25 ott. 1572.
La sua opera di diplomatico a Venezia non fu sempre facile: egli dové lottare a lungo con l'ostilità occulta della famiglia Comaro per l'usufrutto della badia di Carrara nel Padovano conferita dal papa al cardinale Ferdinando de' Médici, né minori preoccupazioni e fatiche dovette costargli la difesa della giurisdizione del residente fiorentino presso la Serenissima. Il 15 dic. 1563 egli annunziò a Firenze il ratto della sedicenne Bianca Cappello, ad opera del fiorentino Piero Buonaventuri, e l'indignato clamore e lo scandalo dei patrizi veneziani per la fuga a Firenze dei due amanti. Tre anni dopo il principe Francesco - già da tempo in relazione con l'avventuriera veneziana - inviava al B. un memoriale dei due fuggiaschi e gli ordinava di raccomandarlo al doge, ma il B. replicò, pur dicendosi disposto ad obbedire, in modo fermo: * Mi pare indegnità del signor Duca e di V. A. che io, che rappresento qua le Persone Loro, habbia ad agitare o a fare agitare questa causa d'un particolare che è difficilissima et che io non credo che se ne habbi ad havere honore". Il principe girò la raccomandazione al nunzio apostolico a Venezia e non sembra osasse insistere nella sua richiesta col vecchio diplomatico.
Il 19 ott. 1571 colse dalla viva voce degli ufficiali i drammatici particolari della battaglia di Lepanto, nel momento stesso che quelli, entrati nel palazzo ducale, annunziavano al doge l'esito dello scontro. Il dispaccio del B. circolò in molte copie per tutta Firenze e ne resta un esemplare alla Biblioteca Nazionale di questa città.
Un posto di rilievo, più che l'attività politica, merita l'opera letteraria del B. che trova la sua unità in un'esigenza chiaramente avvertita dallo scrittore: quella di piegare la lingua volgare, divenuta ormai perfetto strumento nelle mani di poeti e prosatori d'arte, ad esprimere anche contenuti scientifici.
A questo scopo tentò innanzi tutto di avvicirme, con l'introduzione di nuove norme ortografiche, la lingua scritta alla lingua parlata, e in particolare alla pronuncia fiorentina. Per sottoporre al giudizio dei dotti il sistema immaginato (che distingueva per mezzo di vari segni tipografici il suono aperto o chiuso delle vocali e indicava le diverse intonazioni con un largo uso di accenti), curò nel 1544 in Firenze la stampa del commento fino ad allora inedito di Marsilio Ficino sopra l'Amore, o ver Convito di Platone traslatato da lui dalla greca lingua nella latina e appresso volgarizzato nella Toscana.
Il B. premise al commento ficiniano un lungo proemio, presentandolo come destinato dal tipografo "Neri Dortelata da Firenze a gli amatori della lingua fiorentina". Comunque le sue proposte passarono quasi inavvertite: poco conto mostrarono d'aveme fatto il Varchi nell'ercolano ed il Gelli, che pure introdusse il B. nel Ragionamento... sopra la difficoltà di mettere in regole la nostra lingua, e l'opera, priva del proemio, fu ristampata nel 1594 con l'ortografia comune.
Di problemi di lingua trattano due opere che furono pubblicate a cura del B. dopo la morte dei loro autori: la Difesa della lingua fiorentina, e di Dante, Firenze 1556, di C. Lenzoni, che reca in appendice l'Orazione in morte di C. Lenzoni letta dal B. nell'Accademia Fiorentina, e gli Elementi del parlar toscano di Giorgio Bartoli, suo fratero, che però fu data alle stampe in Firenze soltanto nel 1584.
Intanto il B., che aveva aderito fra i primi all'Accademia degli Umidi, poi Fiorentina, e ne aveva steso anche i Capitoli, veniva elaborando in questa sede le sue lezioni su Dante. Di sette lezioni tenute fra il 1541 e il 1547, in cui furono sviluppati cinque diversi argomenti, solo due ci sono state tramandate nella loro stesura originaria: la prima sull'occhio, giuntaci manoscritta in un codice magliabechiano (II. IV. I), e la seconda sulla fede, raccolta da A. F. Doni nelle Lettioni di Accademici Fiorentini sopra Dante, I, Firenze 1647, pp. 69 ss. Un'edizione recente, preceduta da un lungo saggio critico, è quella di S. Ferrara in Le letture di M. C. Bartoli sopra la "Commedia" di Dante, Città di Castello 1907. Per le altre, che trattano della felicità, dell'etemità e della creazione del mondo, e infine della potenza di Dio, bisogna ricorrere ai Ragionamenti accademici sopra alcuni luoghi difficili di Dante (Venezia s. d.; e poi ibid. 1567), nei quali il B. pubblicò tutte le sue lezioni, inserendole in un ampio contesto descrittivo e dialogico che in nulla giova alla chiarezza delle argomentazioni ed anzi riesce sovente fastidioso.
Il B. s'accosta a Dante, come gli altri accademici, per cercarvi soprattutto il pretesto d'una trattazione scientifica o filosofica. Raramente fa ricorso, quando occorra dissipare l'oscurità di un passo, ad altre opere dei poeta che non siano il Convivio e, in un sol caso, le Rime;dei commentatori par che non conosca se non il Buti e il Landino. Al contrario cita prolissamente Platone ed Aristotele, per i quali nutre pari venerazione e che sovente tenta di conciliare. Fra gli autori cristiani dà un posto importante al "divino Tomaso", a s. Paolo e a s. Agostino, e si vale anche delle dottrine di Boezio, del quale pubblicò pochi anni più tardi un volgarizzamento: Della consolazione della Filosofia, Firenze 1551. Va però anche rilevato che il B. non trascura del tutto l'esegesi e il commento delle terzine dantesche premesse alle sue lezioni: si preoccupa spesso di parafrasarle, di commentare le allegorie, di illustrare i costrutti e i vocaboli più inconsueti.
Nel 1550 il B. pubblicava in Firenze una sua traduzione de L'Architettura di Leonbatista Alberti,nella quale indulse a frequenti libertà interpretative e trascurò di correggere evidenti errori introdotti nel testo latino dai copisti. Emendamenti arbitrari si riscontrano anche negli Opuscoli morali di Leonbatista Alberti:una raccolta di opere volgari (Della statua e Della pittura) e di traduzioni da opere latine (Momus e Ludi mathematici) che il B. pubblicò a Venezia nel 1568. Ma nel complesso questi lavori riuscirono a fornire un concreto esempio delle possibilità della lingua fiorentina in campo scientifico.
Scritto con sobrietà e chiarezza è un trattato di matematica applicata: Del modo di misurare le distantie, le superficie, i corpi, le piante, le provincie, le prospettive e tutte le altre cose terrene che possono occorrere agli huomini,Venezia 1564. Nel 1587 infine si pubblicava a Venezia, a cura di E. Bottrigaro, un altro suo volgarizzamento scieritifico, le Opere di Oronzio Fineo del Delfinato divise in cinque parti: aritmetica, geometrta, cosmografia e oriuoli tradotti da C. B. e gli specchi tradotti da Ercole Bottrigaro.
Completano il quadro dell'attività multiforme del B. alcuni scritti storici: dalla breve e piacevole Vita di Federigo Barbarossa Imperator Romano (Firenze 1559) ai Discorsi historici universali (Venezia 1569), ove l'intento erudito si articola sulla trama di numerose citazioni tratte da Tacito come da Machiavelli, da Plutarco e da Guicciardini. Nel 1566 per sua cura veniva stampata postuma a Venezia la Istoria dell'europa di P. F. Giambullari, seguita dall'Orazione funebre,che in occasione della sua morte il B. aveva tenuto all'Accademia Fiorentina. La vita di Leone X scritta in latino da Paolo Giovio e volgarizzata da C. Bartoli è rimasta inedita nel cod. II, TV, 499 della Bibl. Naz. Centrale di Firenze.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, ff.2976-2981, 3079-3081, VOI. 3090; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina,Firenze 1717, pp. 78-83; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini,Ferrara 1722, p. 129; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 432 S.; M. Barbi, Della fortuna di Dante nel sec. XVI,Pisa 1890, DIp. 27-28, 114, 122, 181, 195, 218-220, 223-224, 227, 228; R. Renier, recens. a S. Ferrara, Le letture di messer C. B. sopra la Comedia di Dante,in Giorn. stor. d. lett. ital., LII (1908), P, 419; G. Mancini, C. B.(1503-1572), in Arch. storico italiano, LXXVI, 2 (1918), 1) p. 84-135; T. Bozza, Scrittori Politici italiani dal 1550 al 1650, Roma 1949, pp. 42 s.; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del Principato (15371737), Roma 1952, 1). 130.