Medici, Cosimo de’
Figlio di Giovanni di Bicci e di Piccarda Bueri, Cosimo de’ Medici (in seguito noto come Cosimo il Vecchio) nacque a Firenze il 10 aprile 1389 da una famiglia, non appartenente alla più scelta aristocrazia, che aveva conosciuto proprio con Giovanni di Bicci una forte ascesa economica, fondata sulle estese possessioni fondiarie nel Mugello e sull’attività creditizia. La grandezza sociale della famiglia – sostenuta da un largo numero di clienti e partigiani – ne incrementò il peso politico, generando acute preoccupazioni negli ottimati. Questi timori portarono al colpo di mano con cui, nel settembre del 1433, la Signoria, istigata soprattutto da Rinaldo degli Albizzi (→), fece arrestare Cosimo, che fu condannato all’esilio. Stabilitosi a Venezia, Cosimo riuscì, grazie ad accorte misure preventive, a limitare i danni economici; l’elezione, a un anno esatto dalla cacciata da Firenze, di una Signoria favorevole alla fazione medicea creò le condizioni per il suo rientro: il tentativo di opposizione armata da parte dell’Albizzi e di altri ottimati fu reso inefficace dalla mediazione di papa Eugenio IV, e con il trionfale ritorno di Cosimo a Firenze s’inaugurò un sessantennio di egemonia politica della famiglia Medici.
Cosimo – come poi, ma con sfumature diverse, il figlio Piero e il nipote Lorenzo – esercitò la sua influenza politica in maniera per lo più indiretta, per mezzo di fedeli partigiani che ricoprivano i ruoli chiave previsti dall’ordinamento repubblicano. Questo sistema di gestione del potere presupponeva una forte compattezza dello schieramento egemone, che, per garantire il ruolo di primus inter pares di Cosimo, ricorreva sistematicamente a pratiche di controllo elettorale e fiscale. Dopo la morte, avvenuta il 1° agosto 1464, Cosimo fu insignito per pubblico decreto del titolo di pater patriae, e l’umanista Bartolomeo Scala raccolse in un manoscritto – tuttora conservato – gli scritti in suo onore o relativi alle sue imprese (Collectiones Cosmianae, Firenze, Biblioteca medicea laurenziana, Pl. LIV.10).
Cosimo è una figura importante nell’opera machiavelliana, soprattutto, ma non solo, nelle opere storiche. Nel Discursus florentinarum rerum M. mette in evidenza i caratteri precipui dello «stato di Cosimo»: un sistema di governo che, pur pendente «più verso il principato che verso la republica», riuscì a ovviare alla precarietà delle sue radici istituzionali grazie all’«esser fatto con il favor del populo» e all’«essere governato dalla prudenza di due uomini, quali furno Cosimo e Lorenzo suo nipote» (§ 9). Sono elementi che tornano, in vario modo, in tutte le opere machiavelliane che riflettono sull’egemonia medicea su Firenze nel 15° sec., termine di confronto costante nella dialettica politica successiva alla morte di Lorenzo duca d’Urbino: a chi vorrebbe ripristinare uno Stato come quello di Cosimo e di Lorenzo, M. oppone diversi ostacoli: l’intrinseca debolezza di quel potere; l’esser venuto meno il rapporto privilegiato con «l’universale»; l’essere i nuovi Medici, a differenza degli antichi, non più «nutriti e allevati con gli loro cittadini», ma «divenuti grandi» oltre «ogni civiltà» (§§ 23-29).
Il caso di Cosimo passa sotto la lente di M. anche nel primo libro dei Discorsi. Nel capitolo xxxiii, dove si tratta di come «quando uno inconveniente è cresciuto o in uno stato o contro a uno stato, è più salutifero partito temporeggiarlo che urtarlo», M. introduce l’esempio di Cosimo e approva il giudizio di Niccolò da Uzzano sui modi di fronteggiarne l’ascesa: «fatto il primo errore di non conoscere i pericoli che dalla riputazione di Cosimo potevano nascere, mentre che visse non permesse mai che si facesse il secondo, cioè che si tentasse di volerlo spegnere», come appunto si fece dopo la morte di questo saggio oligarca (I xxxiii 11). Più avanti M. introduce una distinzione non priva d’importanza: «Ma si debbano considerare bene le forze del malore, e quando ti vedi sufficiente a sanare quello, metterviti sanza rispetto; altrimenti lasciarlo stare né in alcun modo tentarlo» (§ 17); nodo importante in tutta la riflessione machiavelliana (Principe iii 18, 40-41; Discorsi II xxiii), ma particolarmente connesso a quanto, raccontando proprio degli eventi del 1433, dice M. storiografo, per bocca di Rinaldo degli Albizzi (Istorie fiorentine IV xxix 12 e xxx 4).
Quel momento capitale della storia fiorentina è rievocato anche altrove (Discorsi I lii 5) per esemplificare l’assunto che «a reprimere la insolenzia d’uno che surga in una republica potente, non vi è più sicuro e meno scandoloso modo che preoccuparli quelle vie per le quali viene a quella potenza»: gli oligarchi, invece che cacciare Cosimo dalla città, avrebbero dovuto prendere «lo stile suo di favorire il popolo», esattamente come avrebbe fatto, settant’anni dopo, Piero Soderini, il cui esempio segue subito dopo.
Le Istorie fiorentine sono l’opera machiavelliana in cui maggior rilievo ha la figura di Cosimo, il cui significato non si potrebbe intendere se si prescindesse dalla dedica al pontefice Clemente VII e dal proemio. Nella dedica M. dichiara di essersi tenuto lontano dall’adulazione e di aver mirato a «satisfare a ciascuno», ma «non maculando la verità» (§ 13). Tema del proemio è invece la giustificazione dell’insolita struttura dell’opera: l’intenzione iniziale di limitare il racconto al sessantennio mediceo viene messa da parte dopo aver constatato che le storie di Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini passavano sotto silenzio un aspetto che invece sarà centrale nell’opera del Segretario, quello delle discordie civili. Il che indusse l’autore a narrare le origini di quelle divisioni, cominciando il suo racconto dall’anno 1215.
Sebbene tutta la parte centrale dell’opera (libri IV-VII) tratti dell’età cosimiana, l’attenzione per la figura del pater patriae vi è limitata dal prevalente interesse per i fatti di politica estera e militare. Il libro IV, che ha come fonte le Istorie di Giovanni Cavalcanti, racconta il momento decisivo dell’insediamento dei Medici e si chiude con il ritorno trionfale di Cosimo. Il proemio a questo libro, che, come sempre, affronta un tema di carattere generale (che infatti trova eco nei Discorsi I ii), tratta della difficoltà nelle repubbliche di trovare un «savio, buono e potente cittadino» che metta pace dando «buone leggi e buoni ordini» (IV i 3): ovvia, benché tacita, l’identificazione con Giovanni e Cosimo de’ Medici per quanto concerne la storia che si narra in quel libro, e con il cardinale Giulio per il contesto storico sincrono all’autore. Dall’intrecciarsi di questa prospettiva attualizzante con la dinamica interna della narrazione emerge la funzione storica dei Medici come difensori dell’«universale» e garanti degli ordinamenti repubblicani contro le pretese eccessive degli ottimati (cfr., per es., IV x 2 e xiv 12-13).
Date queste premesse, sorprende un po’ che la figura di Cosimo, che pure risulta già dotata dei suoi caratteri più rilevanti, venga in primo piano piuttosto tardi:
Era Cosimo uomo prudentissimo, di grave e grata presenzia, tutto liberale, tutto umano; né mai tentò alcuna cosa contro alla Parte né contro allo stato, ma attendeva a beneficare ciascuno, e con la liberalità sua farsi partigiani assai cittadini (IV xxvi 2).
Anche il racconto dei drammatici eventi del 1433-34 avrebbe potuto prendere tutti altri colori, divenendo, come accade in alcune lettere di Poggio Bracciolini e in altri scritti filomedicei, l’epopea di Cosimo, novello Cicerone o Scipione, padre della Repubblica richiamato dai suoi stessi cittadini. Protagonista degli eventi del 1433 è invece Rinaldo degli Albizzi: Cosimo, momentaneamente sconfitto, ha solo il merito di non tentare di opporsi (IV xxix 15) e di attendere il momento del riscatto.
Messa dunque da parte ogni istanza adulatoria – ma non potendosi parlare, come pur si è fatto, di una compiuta polemica antimedicea –, la storia di M. lascia spazio agli eventi e ai protagonisti, senza per questo rifuggire da un’impostazione marcatamente interpretativa dei fatti. Perfino gli sconfitti hanno il diritto di esprimere le proprie ragioni: Rinaldo degli Albizzi, di cui pur sono rilevati anche i tratti negativi, spicca per una sua grandezza tragica, inscrivibile entro la casistica, evocata nel proemio, di coloro che pur di perpetuare il nome di sé e della propria famiglia hanno intrapreso opere vituperose (si veda, per es., IV xxxiii 5-6). Questa prospettiva per così dire ecumenica potrebbe spiegare il fatto che M. non si cura di celare alcuni episodi poco edificanti per il regime mediceo, come la durezza della repressione del 1434 (cfr., per es., IV xxxiii 2, V iv 2-5 e viii 11-14), mettendo in bocca le opinioni scomode a personaggi avversi ai Medici (su questo problema si veda Discorsi dedica 7, I x 12, lviii 42, II proemio 1-4).
Lo stesso Rinaldo, del resto, negli anni precedenti l’esilio di Cosimo trova un antagonista non in questi, ma nel vecchio Niccolò da Uzzano, che, contrario alla cacciata di Cosimo, ne traccia una sorta di ritratto ampiamente positivo (IV xxvii).
Un altro antagonismo s’instaura dopo il 1434 fra Cosimo e Neri di Gino Capponi. Si può dire che sia proprio quest’ultimo – più volte commissario delle truppe fiorentine e trionfatore ad Anghiari – e non Cosimo, l’eroe del libro V; e il ricorso di M., per questi anni, a fonti come le Istorie di Giovanni Cavalcanti e i Commentarii dello stesso Capponi giustifica solo in parte un dato che rimane insolito in un’opera commissionata dai Medici. Anche perché la contrapposizione si fa ancora più esplicita in apertura del VII libro, dove Cosimo e Neri incarnano i due diversi modi con cui i cittadini di una repubblica possono ottenere «riputazione»: l’uno (Neri) ricoprendo cariche importanti, vincendo battaglie oppure «facendo una legazione con sollecitudine e con prudenzia», l’altro (Cosimo) «beneficando questo e quell’altro cittadino [...] e con giuochi e doni publici gratificandosi la plebe» (VII i 9). Tra questi due modi M. giudica preferibile il primo, poiché il secondo genera quelle fazioni dannose all’ordinamento della repubblica. Anche l’insistenza sulle ricchezze come radice del credito riscosso dai Medici, luogo comune della pubblicistica antimedicea, può sorprendere, benché si tratti in definitiva di un nodo attorno al quale ruota spesso la riflessione machiavelliana (cfr., per es., Istorie fiorentine IV xxviii 8-10).
Nei libri V e VI, incentrati sulle vicende belliche italiane – non solo fiorentine –, Cosimo non è mai chiamato in causa; né gli si riconoscono indubbi successi diplomatici, come l’alleanza con il duca di Milano Francesco Sforza, e militari, come la vittoria definitiva sui fuoriusciti nel 1440; senza contare altre occasioni di pubblico riconoscimento della sua influenza che avrebbero scatenato le lodi dei partigiani medicei più esposti, come la lunga permanenza del papa Eugenio IV a Firenze o il cosiddetto Concilio dell’Unione. I primi sei capitoli del VII libro – che ha per fonte il De temporibus di Giovanni di Carlo, d’impostazione filomedicea – costituiscono invece la parte dell’opera in cui Cosimo ha più spazio. Detto dell’ultimo decennio dell’età cosimiana, quando Cosimo, «già vecchio e stracco», pare incapace di arginare la rapacità dei suoi partigiani che impunemente «predavano quella città» (VII iv 1), giunto a descrivere l’esito della sua vicenda terrena, M. introduce un ritratto e una dettagliata biografia (VII v-vi) il cui tratto più notevole, entro un genere classico del repertorio storiografico umanistico, è la messa a fuoco della nozione, tanto importante per M., di principe civile (VII v 12). Per il resto, il profilo risarcisce delle omissioni dei capitoli precedenti, tanto che M., come sentendo vacillare la propria fedeltà al proposito di tenersi lontano dall’adulazione, è costretto ad ammettere di aver imitato «quelli che scrivano le vite de’ principi» (VII vi 27). Oltre che magnanimo e liberale, Cosimo è «prudentissimo» (VII v 14) come si conviene a un valente uomo politico (cfr. Discorsi I xxxii 7-8, xxxiii 7 e 15; Principe iii 26-29, xiii 24), tanto che «degli stati de’ principi e civili governi niuno altro per intelligenza al suo tempo lo raggiunse» (VII v 14). A questa valutazione politica segue nel capitolo successivo un vero e proprio profilo biografico, che non tace qualche tratto fisico o del comportamento pubblico e privato, accennando anche al suo mecenatismo: «sanza dottrina, ma eloquentissimo e ripieno d’una naturale prudenzia» (VII vi 6); giudizio certamente più equilibrato rispetto all’agiografia di Vespasiano da Bisticci, che ne fa un dotto tra i dotti.
In un autore come M., di cui è nota la predisposizione al discorso comico, non poteva mancare una sezione dedicata ai dicta di Cosimo, risposte savie e argute che abbondano già nell’opera di Giovanni di Carlo, nella biografia di Vespasiano e in rievocazioni successive (per es., nel Cortegiano di Baldassarre Castiglione). La figura di Cosimo, del resto, tradizionalmente connotata da una prudenza ben concreta, si prestava al gioco aforistico proprio della tradizione fiorentina dei motti e delle facezie, tra Poggio Bracciolini e il ‘Piovano Arlotto’, passando per il Bel libretto di Angelo Poliziano (dove troviamo assegnati a Cosimo non pochi dicteria).
Anche l’evocazione di Cosimo nel primo sonetto della prigionia (“Io ho, Giuliano, in gamba un paio di geti”), che esita in una richiesta di grazia a Giuliano de’ Medici, è rilevante perché compare in un documento letterario non destinato alla circolazione pubblica, ma redatto per una specifica finalità pratica che dovrebbe tenerlo al riparo dal rischio di stilizzazione letteraria a cui è esposto il ritratto delle Istorie fiorentine. In questo testo è importante sottolineare la commistione, machiavelliana in sommo grado, di comico e tragico; o meglio, significativa pare l’opzione per il registro comico e per il codice burchiellesco in una situazione tanto delicata per l’ormai ex Segretario. Dopo una canonica, ma vivace descrizione del malo albergo carcerario, pur restando ambigui i termini della presa di distanza dai congiurati Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, il distico finale contiene la vera e propria petitio: «purché vostra pietà ver’ me si voglia / ch’al padre e al bisavol fama tolga» (vv. 19-20; si cita da N. Machiavelli, Scritti in poesia e in prosa, coord. di F. Bausi, a cura di A. Corsaro, P. Cosentino, E. Cutinelli-Rendina, F. Grazzini, N. Marcelli, 2012). Importa rilevare che Cosimo (il «bisavol») è additato a Giuliano come exemplum clementiae entro una prospettiva di inevitabile confronto fra nuovi e vecchi Medici che in M., come nei fiorentini del suo tempo, doveva riuscire naturale nei mesi che seguirono il fatidico 1512.
Bibliografia: Fonti: Vespasiano da Bisticci, Le vite, a cura di A. Greco, 2° vol., Firenze 1976, pp. 167-211.
Per gli studi critici si vedano: C.S. Gutkind, Cosimo de’ Medici, pater patriae, 1389-1464, Oxford 1938 (trad. it. Cosimo de’ Medici il Vecchio, Firenze 1940); A. Brown, The humanist portrait of Cosimo de’ Medici, pater patriae, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 1961, 3-4, pp. 186-221; G.M. Anselmi, Ricerche sul Machiavelli storico, Pisa 1979, pp. 125-47; N. Rubinstein, Machiavelli storico, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di lettere e filosofia», III s., 1987, 3, pp. 695-733, in partic. pp. 712-15; Cosimo ‘il Vecchio’ de’ Medici, 1389-1464: essays in commemoration of the 600th anniversary of Cosimo de’ Medici’s birth, including papers delivered at the Society for Renaissance studies sexcentenary symposium at the Warburg Institute, London 19 May 1989, ed. F. Ames-Lewis, Oxford 1992; G. Sasso, Niccolò Machiavelli, 2° vol., La storiografia, Bologna 1993, pp. 394-445; F. Bausi, M. Martelli, Politica, storia e letteratura: Machiavelli e Guicciardini, in Storia della letteratura italiana, sotto la direzione di E. Malato, 4° vol., Il primo Cinquecento, Roma 1997, pp. 251-320, in partic. pp. 305-07; M. Marietti, I Medici: immagine e destino, in Ead., Machiavelli: l’eccezione fiorentina, Firenze 2005, pp. 137-86, in partic. pp. 137-50, 174-78; M. Martelli, Firenze, in Letteratura italiana: storia e geografia, sotto la direzione di A. Asor Rosa, 3° vol., Umanesimo e Rinascimento. La storia e gli autori, t. 1, La Toscana, l’Italia meridionale, Roma, Torino 2007, pp. 5-244, in partic. pp. 55-86; D. Kent, Medici, Cosimo de’ (Cosimo il Vecchio), in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 73° vol., Roma 2009, ad vocem; P. Larivaille, Istorie fiorentine. Cosimo de’ Medici nell’ora del riepilogo, «Giornale storico della letteratura italiana», 2012, 627, pp. 354-82.