PAZZI, Cosimo de'
PAZZI, Cosimo de’. – Nacque a Firenze il 9 dicembre 1466 da Guglielmo di Antonio e da Bianca di Piero de’ Medici, sestogenito di una numerosa progenie di sedici figli.
La famiglia Pazzi era una delle consorterie più ricche e potenti di Firenze, le cui imprese commerciali e bancarie facevano concorrenza a quelle dei Medici. Per stabilire un legame di parentela che smussasse eventuali conflitti di interessi, nell’agosto 1459 Cosimo de’ Medici fece sposare la nipote Bianca (1445-1505, non 1488 come in quasi tutte le fonti) con Guglielmo de’ Pazzi (1437-1516). Questi, in conformità al suo status sociale, aveva precocemente iniziato una promettente carriera politica, che si interruppe bruscamente nel 1478 per le ripercussioni della congiura dei Pazzi. A detta di quasi tutti gli storici, sembra che Guglielmo ne fosse estraneo ma, secondo la legislazione del tempo, le colpe dei singoli membri ricaddero su tutta la famiglia e, nonostante la parentela con la famiglia dominante, anche Guglielmo dovette subire la punizione. Si trattò peraltro di una punizione mite, considerata la gravità del reato, cosa che avalla l’ipotesi della sua estraneità: perse l’eleggibilità alle cariche pubbliche e fu confinato a vita fuori Firenze, cui non poteva avvicinarsi a meno di cinque miglia. La stessa pena fu estesa anche ai figli.
Da allora in poi residenza principale della famiglia Pazzi divenne la tenuta agricola di Torre a Decimo, in Valdisieve, dalla quale sia Cosimo sia il padre partivano per frequenti trasferte a Roma, dove conservavano importanti interessi economici. I rapporti con i Medici non si interruppero del tutto, come dimostrano alcune lettere scambiate sia da Cosimo sia dai genitori con vari membri di questa famiglia (per esempio, lettera di Cosimo Pazzi a Lorenzo de’ Medici del 1490 in Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, 42, 124).
All’epoca della congiura Pazzi aveva già intrapreso l’iter per entrare in religione: dopo gli studi di teologia e di lingue classiche condotti a Firenze (imparò il greco da Giovanni Lascaris), si trasferì allo Studio di Pisa per perfezionarsi in diritto canonico. A Pisa si trovava nell’inverno 1477-78, proprio mentre in città si gettavano le basi della congiura antimedicea. Non sembra, però, che si sia laureato a Pisa. Nel frattempo aveva anche iniziato ad accumulare benefici: nel 1475 aveva conseguito un canonicato, di patronato dell’arte della lana, nella chiesa metropolitana fiorentina, cui aggiunse negli anni successivi la chiesa parrocchiale di S. Pietro a Montegonzi, la piccola abbazia di S. Margherita a Tosina, dipendente da quella maggiore di S. Fedele a Poppi e poi anche quest’ultima, di cui fu l’ultimo abate commendatario, dato che alla sua morte l’abbazia fu restituita con tutti i suoi beni ai monaci vallombrosani.
All’inizio degli anni Ottanta, Pazzi si trasferì in modo stabile a Roma, avendo ottenuto un canonicato nella basilica di S. Pietro; negli anni 1487-88 risulta avere preso in prestito codici della Biblioteca apostolica Vaticana.
Il 10 dicembre 1492 fu promosso vescovo di Oleron, nel sud della Francia, e nel 1497 vescovo di Arezzo, ma continuò a trascorrere lunghi periodi a Roma. Intanto, al cambio di regime avvenuto a Firenze nel novembre 1494, la sua famiglia poté fare ritorno in città, dove il padre riprese il cursus honorum interrotto nel 1478 e anche Pazzi fu adoperato per alcuni incarichi diplomatici di rilievo.
Il primo di essi lo portò, nel settembre 1496, presso l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, che si trovava nel Milanese, chiamato in Italia in funzione antiveneziana dal duca di Milano Ludovico il Moro. Il compito degli oratori fiorentini (oltre a Pazzi, anche Francesco Pepi), era quello di giustificare l’accordo stipulato dalla Repubblica con Carlo VIII e di cercare di dissuadere l’imperatore dal prestare aiuto militare a Pisa che, approfittando della discesa in Italia di Carlo VIII nel 1494, si era ribellata alla dominazione fiorentina e cercava aiuti internazionali per conservare l’indipendenza. I due oratori riuscirono a ottenere soltanto risposte evasive (in effetti Massimiliano intervenne militarmente a favore di Pisa in ottobre) e tornarono sdegnati a Firenze.
Pazzi fu scelto per un’altra ambasceria il 27 aprirle 1498. La missione, diretta in Francia, era formata anche da Pier Soderini e Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici (quest’ultimo si trovava già in territorio francese) e aveva lo scopo di congratularsi con il nuovo re, Luigi XII, per la successione al trono di Francia, ma anche di richiedere il suo sostegno per la riconquista di Pisa, in cambio di aiuti militari e di denaro. A causa dell’assenza da Firenze di Pazzi, che si trovava a Roma, l’ambasceria partì con quasi due mesi di ritardo. La missione, sostanzialmente, raggiunse lo scopo, anche se a un trattato preciso con il re si giunse soltanto il 12 ottobre 1499, sottoscritto a Milano per la Repubblica da Pazzi e da Soderini (il relativo carteggio dal 16 luglio 1498 al 2 ottobre 1499 è in Archivio di Stato di Firenze, Signori-Dieci di Balia-Otto di pratica-Legazioni e commissarie, Missive e responsive, 31).
Nell’estate del 1501 Pazzi fu incaricato di intercettare Cesare Borgia, di stanza con le sue truppe in territorio fiorentino, e di fargli offerte per sventare la minaccia di attacchi militari contro la città e di devastazioni nel dominio. Nelle vicinanze di Campi fu raggiunto un accordo che prevedeva per il Valentino la nomina a capitano generale della Repubblica per tre anni, con una condotta di 36.000 fiorini l’anno, che però non ebbe mai esecuzione.
Nel giugno 1502 Pazzi si trovava ad Arezzo, dove il padre Guglielmo era commissario militare per conto del governo fiorentino. Il territorio circostante era teatro di operazioni da parte di Vitellozzo Vitelli, che intendeva vendicarsi contro la Repubblica per la condanna a morte del fratello Paolo suscitando rivolte antifiorentine in varie città della Valdichiana, in accordo con i Medici e con papa Alessandro VI. Già Cortona, Anghiari e Borgo San Sepolcro si erano ribellate, quando, il 18 giugno fu la volta di Arezzo, dove la ribellione assunse proporzioni gravissime, tanto che Pazzi e il padre dovettero cercare scampo nel cassero della fortezza. Presentino Visdomini, uno dei maggiorenti locali a capo della rivolta, tentò anche di prendere prigioniero Cosimo, per usarlo per un eventuale scambio di prigionieri, ma non vi riuscì. Anzi, Cosimo riuscì a inviare un messaggio al governo fiorentino, il quale fece confluire truppe nella zona, che, insieme con gli aiuti inviati da Milano al comando di Carlo di Chaumont, ebbero ragione della rivolta il 25 agosto 1502.
L’anno 1503 fu segnato dalla morte di papa Alessandro VI, il cui successore, Pio III, morì a sua volta il 18 ottobre. Pazzi, insieme con altri autorevoli cittadini, era stato eletto membro dell’ambasciata di obbedienza a questo papa, che tuttavia non fece in tempo a giungere a destinazione. Nel conclave seguente venne eletto Giuliano Della Rovere (Giulio II) e Pazzi, insieme con Guglielmo Capponi, gran maestro dell’Ordine di Altopascio e futuro concorrente dello stesso Pazzi all’arcivescovato fiorentino, fu designato ancora una volta come ambasciatore d’obbedienza al nuovo papa. Furono ricevuti il 7 gennaio 1504.
Due anni più tardi il pontefice conferì a Pazzi l’incarico di governatore di Forlì. Di lì a poco la sua carriera ecclesiastica ebbe una svolta decisiva: agli inizi del 1508 l’arcivescovo di Firenze Rinaldo Orsini manifestò l’intenzione di rinunciare alla carica e subito cominciarono le manovre per indurre il pontefice a conferire la carica a un prelato gradito al governo fiorentino, allora capeggiato dal gonfaloniere a vita Pier Soderini.
In realtà già dalla fine dell’anno precedente si era avuto sentore della rinuncia di Orsini e Guglielmo Capponi aveva messo in atto un tentativo di succedergli sulla cattedra, con l’appoggio del cardinale Giovanni de’ Medici. Il gonfaloniere Soderini, volendo impedire queste manovre e per mettere a tacere chi lo accusava di favorire la candidatura del fratello Francesco, vescovo di Volterra, si adoperò per la nomina di Pazzi: fece inviare allo scopo una lettera commendatizia al papa a nome non della sola Signoria, ma anche dei Collegi, in modo da dare l’impressione che tale candidatura era desiderata da tutta la cittadinanza e così raggiunse lo scopo.
Pazzi prese solennemente possesso della sede arcivescovile il 27 settembre 1508.
Per quanto riguarda il governo dell’arcidiocesi, egli tenne un sinodo nello stesso anno, di cui fece stampare gli atti nel gennaio 1509 (Constitutiones synodales cleri Florentini, Firenze s.t.) e compì una visita pastorale alle parrocchie della città. Nel 1510 dotò il capitolo della chiesa metropolitana di nuove costituzioni. Del periodo del suo arcivescovato rimane nell’archivio diocesano un libro di amministrazione tenuto da Marco Pilli, canonico pratese, che fungeva da amministratore.
Alla fine di agosto 1512 risale il suo ultimo incarico diplomatico: la Repubblica era minacciata nella sua stessa esistenza dalle truppe spagnole comandate da Ramon de Cardona di stanza a Prato. L’invio in Toscana di questo vero e proprio esercito di occupazione era stato deciso da Giulio II e dai suoi alleati nel congresso di Mantova (agosto 1512), soprattutto allo scopo di punire la Repubblica, rea di aver ospitato sul suo territorio il concilio scismatico di Pisa, e di rimettere i Medici al potere. La delegazione fiorentina, di cui, oltre a Pazzi, facevano parte Jacopo Salviati e Paolo Vettori, si recò da Cardona subito dopo il sacco di Prato (29 agosto 1512), episodio di inaudita violenza che aveva piegato la volontà di resistenza della Repubblica e l’aveva indotta ad allontanare il gonfaloniere a vita e a cercare un accordo con i vincitori. I delegati ottennero questo risultato, ma con la contropartita di un forte esborso di denaro e della riammissione in città della famiglia Medici.
Questa capitolazione, benché inevitabile, lasciò notevoli strascichi, che alcuni pensarono di convogliare in una concreta trama antimedicea. Maturò così nel febbraio 1513 la cosiddetta congiura del Boscoli, di cui erano a capo Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, che, scoperti, furono giustiziati. Anche Pazzi sembra fosse a conoscenza della trama, informato da Niccolò Valori allo scopo di bloccare sul nascere il progetto eversivo (Jurdjevic, 2008, pp. 74 s.; Pitti, 2007, p. 118; Polizzotto-Kovesi, 2007, pp. 112 s.), ma non poté o non volle prendere provvedimenti atti a impedirla. Mentre altri, come Valori e Machiavelli, furono puniti per il solo fatto di essere informati della congiura, Pazzi non solo non subì conseguenze, ma anzi, di lì a poco, il 22 marzo 1513, fu eletto dalla Balìa filomedicea che allora governava la Repubblica a membro dell’ambasciata d’obbedienza a Giovanni de’ Medici, divenuto papa (Leone X). Non poté tuttavia portare a termine l’incarico onorifico, perché prima che l’ambasceria si mettesse in viaggio si ammalò e al suo posto fu designato Lanfredino Lanfredini.
Pazzi morì a Firenze il 9 aprile 1513 e fu sepolto in Duomo quattro giorni dopo. Questo intervallo piuttosto insolito fece nascere il sospetto di morte per avvelenamento (Pitti, 2007, p. 118).
Pazzi fu anche uomo di cultura: l’unica testimonianza diretta è una traduzione dal greco in latino delle Dissertazioni di Massimo di Tiro, portate in Occidente da Costantinopoli dal suo maestro Govanni Lascaris (Maximi Tyrii… Sermones e Graeca in Latinam linguam versi Cosmo Paccio interprete, Basilea, J. Froben, 1519). Rimangono tuttavia molte testimonianze indirette delle relazioni con letterati, filosofi e poeti, alcuni dei quali gli dedicarono le proprie opere. Tra di loro: Andrea Dazzi (Poemata, Firenze, L. Torrentino, 1549, con un panegirico di Pazzi indirizzato a Pier Soderini); fra Antonio da Cremona (il testo di una predica e della sua apologia di Pazzi si conserva a Firenze, Biblioteca nazionale, Conventi soppressi, J.10.5, proveniente dalla biblioteca del convento di S. Marco); Michele Marullo, che gli indirizzò un epigramma (Epigr., III, 21, cfr. Coppini, 2008, p. 400); Giovanni Corsi, che gli dedicò l’edizione del De prudentia di Giovanni Pontano (Firenze, F. Giunti, 1508). Proprio l’amicizia con Giovanni Corsi ha fatto ipotizzare anche per Pazzi la frequentazione degli Orti Oricellari, il giardino di palazzo Rucellai, dove nel primo decennio del Cinquecento si riunivano i principali intellettuali della città (Verde, 1977, p. 229). Pazzi fu inoltre amico di Marsilio Ficino, con il quale fraternizzò durante gli ultimi cinque anni di vita del filosofo, morto nel 1499.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, 35, 45; 42, 124; Signori-Dieci di Balia-Otto di Pratica-Legazioni e commissarie, Missive e responsive, 31; P. Giovio, Elogia doctorum virorum, Basileae 1571, pp. 291-295; M. Ficino, The letters, III, London, 1985, pp. 130, 146; F. Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di A. Montevecchi, Milano 1998, pp. 305 s.; I. Pitti, Istoria fiorentina, a cura di A. Mauriello Napoli 2007, pp. 72, 118.
S. Ammirato, Vescovi di Fiesole, di Volterra e d’Arezzo, Firenze 1637, pp. 231-235; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 135; Dizionario universale della lingua italiana, a cura di C.A. Vanzon, IV, Livorno 1836, p. 223; A. Desjardin, Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, II, Paris 1861, pp. 14-21; C.C. Calzolai, L’Archivio arcivescovile fiorentino, in Rassegna storica toscana, III (1957), p. 165; R. De Maio, Savonarola e la Curia romana, Roma 1969, p. 94; A. D’Addario, Aspetti della Controriforma a Firenze, Roma 1972, pp. 117, 194; A.F. Verde, Lo Studio fiorentino 1473-1503. Ricerche e documenti, III, Pistoia 1977, pp. 228 s.; P. Malanima, Corsi, Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, XXIX, Roma 1983, pp. 567-574; C. Vasoli, Filosofia e religione nella cultura del Rinascimento, Napoli 1988, p. 219; R. Fubini, Quattrocento fiorentino: politica, diplomazia, cultura, Firenze 1996, p. 278; G. Aranci, L’Archivio della cancelleria arcivescovile di Firenze: inventario delle visite pastorali, Firenze 1998, pp. 6, 14, 35; L. Polizzotto - C. Kovesi, Memorie di casa Valori, Padova 2007, pp. 112 s.; D. Coppini, Marullo Tarcaniota, Michele, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXI, Roma 2008, p. 400; M. Jurdjevic, Guardians of Republicanism: the Valori family in Florentine Renaissance, Oxford 2008, pp. 74 s., 100; G.R. Tewes, Kampf um Florenz: die Medici im Exil (1494-1512), Köln 2011, ad indicem.