GAMBERUCCI, Cosimo
, Nacque a Firenze l'8 genn. 1562 (1561 stile fiorentino) nel "popolo" di S. Pier Maggiore da Cristofano di Zanobi calzolaio. Il 7 febbr. 1578 (1577 stile fiorentino) risulta essere iscritto all'Accademia delle arti del disegno e il 19 settembre dello stesso anno accettò di dipingere per questa istituzione un quadro con La creazione dell'uomo in occasione della festa di S. Luca (Lecchini Giovannoni, 1986, p. 95): un esordio precoce e riconosciuto nella prestigiosa associazione che si giustifica con la formazione del G. in una delle più importanti scuole fiorentine di quegli anni, la bottega di Santi di Tito, come già ricorda il Baldinucci (II, p. 553) nelle poche parole dedicate all'artista.
Numerosi fogli a matita rossa conservati agli Uffizi e al Louvre attribuiti dal Baldinucci a Santi di Tito come rappresentativi della sua maestria disegnativa, sono stati invece ascritti al G. per i precisi riferimenti a opere certe di quest'ultimo; questi disegni, di alta qualità e di particolare immediatezza espressiva, rimasero forse nella bottega di Santi e furono in seguito acquistati dal Baldinucci per i Medici e per sé medesimo e confusi con quelli del maestro (Lecchini Giovannoni, 1982 e 1985).
L'attitudine del G. nella pratica del disegno, se da un lato giustifica il prestigio che l'artista ottenne nell'ambito accademico fino alla morte (rivestì più volte la carica di console e due volte quella di camarlingo) dall'altro rende incomprensibile a noi moderni, ma già al Baldinucci, l'impaccio narrativo dei dipinti dove il racconto si blocca e i personaggi privi di movimento sembrano essere messi in posa come manichini. Un linguaggio arcaicizzante nato, sull'esempio del maestro, nel cantiere del chiostro grande di S. Maria Novella a Firenze dove, negli anni Ottanta, Santi di Tito e la sua scuola affrescarono le lunette con Storie di s. Domenico e altri santi dell'Ordine domenicano. In tale luogo, secondo la descrizione di frate Biliotti, il G. dipinse, tra il 1582 e il 1584, S. Tommaso cinto dagli angeli (distrutto), la Salita al cielo di s. Domenico, il Beato Giovanni da Salerno che prende possesso del convento, S. Domenico che si flagella, S. Vincenzo Ferrer che guarisce gli infermi e la volta con le Storie della Passione.
In questi affreschi la dipendenza del G. da Santi di Tito è evidente nelle tipologie e nelle movenze aggraziate dei personaggi, mentre l'impianto compositivo, architettonico e paesaggistico, appare semplificato e impoverito, lontano dalla vivacità del racconto, sia pur arcaicizzante, del maestro.
A differenza che negli studi grafici, nei dipinti del G. i personaggi sembrano perdere ogni naturalezza soprattutto a causa del modo marcato di determinare i contorni e della concretezza artificiosa dei panneggi. Tali caratteristiche si ritrovano nel Sogno di Gioacchino (Firenze, Depositi del Museo dell'Opera del duomo) unica opera superstite fra quelle eseguite dal G. per l'addobbo dell'interno del duomo di Firenze allestito nel 1589 in occasione delle nozze del granduca Ferdinando I de' Medici con Cristina di Lorena: pagata nel marzo-aprile 1589, la tela era stata posta, insieme con altre Storie della Vergine, sulla controfacciata.
È interessante osservare che tra gli sconosciuti artisti che dipinsero alcuni angeli per varie altre parti della chiesa è documentato anche un Giovannino di Cosimo Gamberucci, di cui non abbiamo altro ricordo, e che all'epoca doveva essere poco più di un bambino se il padre aveva solo ventisette anni (Lecchini Giovannoni, 1994, p. 29 n. 18).
I caratteri stilistici delle opere giovanili dell'artista - fra le quali si ricorda anche la tela con Caterina de' Medici circondata dai grandi del suo tempo (Firenze, Depositi della Galleria degli Uffizi, inv. 1890, n. 7428) dipinta per l'apparato costruito davanti a palazzo Ricasoli in occasione delle celebrazioni nuziali del 1589 - si ritrovano in tutti i dipinti del G. e, in particolare, nel Martirio di s. Bartolomeo (Castelfiorentino, S. Verdiana), databile al 1590, e nell'Adorazione dei pastori (Dicomano, S. Maria) del 1595. In entrambe le opere, l'immediatezza di alcuni momenti della narrazione, come il paesaggio nella seconda, e la vivacità di alcuni ritratti, si unisce alla rigidità dell'impianto compositivo pur derivato dalla pittura di Santi di Tito. La lezione del maestro rimase sempre alla base dello stile del G.: ne sono esempio L'adorazione dei pastori eseguita nel 1603 per le monache vallombrosane di S. Salvi a Firenze, che riprende dopo quasi quarant'anni lo stesso soggetto dipinto da Santi di Tito nella chiesa fiorentina di S. Giuseppe, oppure l'Assunzione della Vergine dipinta nel 1610 per la chiesa di S. Andrea a Montecarlo, che fa capo ai due dipinti di uguale tema eseguiti da Santi di Tito nel 1587 per la chiesa di S. Maria a Fagna e nel 1601 per la chiesa del convento dei cappuccini di Arezzo. A partire dalla metà degli anni Novanta il G., come il suo maestro, subì anche un forte influsso della pittura di Ludovico Cardi, detto il Cigoli, e di Iacopo Da Empoli; ciò si può vedere nel S. Pietro che guarisce lo storpio (Firenze, Museo dell'Accademia), dipinto nel 1599 per S. Pier Maggiore a Firenze, e ancor di più nei Funerali di s. Alessio commissionato dagli Strozzi per la cappella di famiglia in S. Trinita ed eseguito tra il 1605 e il 1606.
Sono opere in cui la narrazione diventa più viva, animata dai ritratti arguti dei personaggi vestiti con abiti sontuosi e ornati con ricchi gioielli, e le composizioni, secondo un preciso canone cigolesco, si impostano in diagonale per un maggiore effetto di coinvolgimento dello spettatore e una maggiore messa a fuoco del fatto sacro. Così, nel Miracolo di s. Chiara nella chiesa di Ognissanti a Firenze, nella Resurrezione di Tabita nella chiesa di S. Pietro a Castelfranco di Sotto, nei Miracoli di s. Margherita in S. Maria al Corso a Firenze, nel Martirio di s. Lorenzo nella basilica di S. Maria all'Impruneta, nel Martirio di s. Andrea nella certosa di Firenze (firmato e datato 1610), nel Convito di Ester e Assuero (1612) per la tribuna del duomo di Pisa, nella Resurrezione di Lazzaro nel duomo di San Miniato consegnato dal G. nel 1614 e considerato il capolavoro dell'artista.
Ancora un omaggio a Santi di Tito è rilevabile in due opere tarde del G.: Michelangelo ricevuto a Roma da Francesco de' Medici nel 1561 dipinto tra il 1615 e il 1617 per la galleria della casa fiorentina di Michelangelo Buonarroti il Giovane, grande amico dell'artista, come testimonia la corrispondenza tra i due negli anni 1587-1606, e la Natività di Gesù eseguita nel 1618 per S. Maria Maddalena dei Pazzi a Firenze.
Dalle lettere del G. al Buonarroti si evince che nella primavera del 1606 l'artista si recò a Roma ospite di Pietro Strozzi e quindi a Napoli presso l'arcivescovo di Napoli cardinale Ottavio Acquaviva d'Aragona. Qui l'artista si trattenne per circa un anno lavorando esclusivamente per la famiglia del cardinale e senza avere apparentemente rapporti con l'ambiente artistico partenopeo. Nelle opere successive al soggiorno napoletano non si coglie, infatti, alcun influsso artistico diverso da quello toscano.
Il passaggio dallo studio aggressivo e vivo della realtà, soprattutto fisionomica, visibile in particolare nella grafica e in alcuni brani dei dipinti della maturità, alla rigida messa in posa dei personaggi nelle composizioni pittoriche si spiega con una volontà di semplificazione devozionale gradita ad alcuni committenti. È questo il caso dei dipinti tardi di soggetto più meditativo e privo di storia, come la Crocifissione con i ss. Gerolamo, Francesco e due committenti nel santuario della Madonna di Pietracupa a San Donato in Poggio, datato 1609, e la Visione di s. Marziale nella cappella del battistero del duomo di Colle Val d'Elsa, firmato e datato 1619.
Ultima opera certa dell'artista, La visione di s. Marziale, fu commissionata al G. da Cosimo Della Gherardesca vescovo di Colle Val d'Elsa dal 1612. Insieme con una copia dell'Annunciazione eseguita dal G. nel 1618 per la Ss. Annunziata di Firenze, il quadro fa parte di un complesso programma di arredo liturgico descritto dal cardinale in un diario (Waźbiński) che rappresenta un importante documento di pratica controriformista in una diocesi toscana.
Il G. morì a Firenze il 24 dic. 1621.
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