COSIMO III de' Medici, granduca di Toscana
Nacque a Firenze il 14 agosto 1642 dal granduca Ferdinando II e da Vittoria Della Rovere figlia di Federico Ubaldo duca di Urbino. Se il battesimo avvenne subito dopo la nascita, "le cerimonie e preci solenni solite farsi in tal funtione battesimale" - scrive un biografo di C., D. M. Sandrini - ebbero luogo solo nel 1645, alla presenza del cardinal Ludovisi, legato di Innocenzo X, nel segno della profonda intesa allora consolidatasi tra le corti di Firenze e di Roma.
Nei suoi primi anni di vita egli fu affidato essenzialmente alle cure della madre, donna religiosissima, cui egli restò sempre profondamente legato, e ricevette un'educazione improntata alle pratiche devote ed allo studio di testi religiosi, sotto la guida del teologo senese Volunnio Bandinelli, uomo "più atto a formare un ecclesiastico che un buon principe", cui fu affiancato in sottordine l'erudito fiorentino Francesco Rondinelli. In seguito gli furono destinati dal padre precettori più illustri, quali Carlo Dati, allievo di Galileo, matematico ed erudito, e lo stesso Lorenzo Magalotti, segretario dell'Accademia del Cimento. Ricevette quindi un'istruzione intonata alle tradizioni più valide della cultura toscana seicentesca; fu addestrato alla conoscenza delle lingue, della geografia, delle scienze naturali. Ma per la sua chiusa religiosità restò in buona parte estraneo all'ambiente cui i suoi precettori appartenevano, gravitante intorno all'Accademia del Cimento ed al principe Leopoldo de' Medici. Scarsamente interessato anche alla vita di corte ed agli esercizi della caccia e dell'equitazione, che pur aveva praticato nella prima adolescenza, C. visitava invece con zelo i luoghi sacri della Toscana la Verna, Camaldoli, Vallombrosa. Al suo affacciarsi all'età adulta egli mostrava i "segni di una singolare pietà" ed appariva "dominato sopra modo dall'affetione melanconica".
Il 18 apr. 1661 sposò Margherita Luisa, figlia primogenita di Gastone duca d'Orléans, fratello di Luigi XIII.
Se nella precocità delle nozze del figlio Ferdinando II vedeva una sorta di completamento della sua educazione e di difesa contro le sue tendenze alla contemplazione ed alla malinconia, la scelta della sposa, favorita da Mazzarino e da Luigi XIV, rientrava nella prudente politica di equilibrio tra Francia e Spagna, tenacemente perseguita dal granduca. Non fu però una scelta felice: Margherita Luisa, abituata alla raffinatezza, al lusso ed ai costumi più liberi della corte di Francia e innamorata del principe Carlo di Lorena (il futuro Carlo V), dimostrò subito intolleranza per il marito e non si ambientò in alcun modo alla corte di Toscana, dove fin dall'inizio costituì, con il suo seguito di dame di compagnia e servitori francesi, un nucleo mal assimilato, criticato ed ostile. Dopo la nascita del primogenito Ferdinando (9 ag. 1663) ed il licenziamento del suo seguito per volontà del granduca, essa iniziò una lunga aperta ribellione, punteggiata da richieste di rientro in Francia, da periodi di segregazione, volontaria od imposta, nelle ville di Poggio a Caiano e Lappeggi, da tentativi di fuga, da laboriose mediazioni di inviati della corte francese, ed interrotta soltanto da alcune effimere riconciliazioni con il marito, a seguito delle quali videro la luce i figli Anna Maria Luisa (11 ag. 1667) e Gian Gastone (24 maggio 1671).
Nei cattivi rapporti familiari, vissuti con grande disagio da C., sono state spesso individuate le ragioni dei lunghi viaggi che egli compì in Alta Italia (1664), in Francia, in Olanda, alle corti e nelle città tedesche, in Spagna e Portogallo, in Inghilterra (1667-1669). Tuttavia la composizione del suo seguito, del quale per i viaggi più impegnativi facevano parte, oltre al marchese Filippo Corsini, Lorenzo Magalotti e Paolo Falconieri, la scelta degli itinerari, che si allontanavano spesso dalle capitali e dalle corti per toccare, oltre a luoghi di culto, centri universitari o commerciali e manifatturieri, la natura delle relazioni scritte per ordine del principe (di quelle, in particolare, dei viaggi del 1668-69 in Olanda ed in Inghilterra, attribuite al Corsini e al Magalotti) inducono ad attribuire a questi viaggi anche un chiaro valore istruttivo e formativo, ed a vedere in C. impegnato ad osservare i costumi dei popoli e la "politica dei maggiori regnanti" in funzione dei propri futuri compiti di governo, un pallido precursore dei principi viaggiatori della fine del secolo XVII e degli inizi del XVIII.
La qualità delle relazioni è certo assai diversa, a seconda della personalità dei loro estensori, ed a questi va innanzitutto attribuita l'intelligente attenzione per il paesaggio agrario, l'economia, la popolazione, la cultura, gli aspetti della vita religiosa, le forme di governo dei luoghi visitati. Ma C., pur ammantato della sua rigida devozione ed a tratti intollerante nei confronti del mondo luterano e calvinista, appare largamente partecipe di interessi culturalmente significativi ed annoda relazioni, spesso destinate a durare, con rappresentanti del mondo della politica e della cultura umanistica e scientifica europea. Così in Olanda gli fanno da guida il dotto Niccolò Heinsius e lo stampatore Pietro Bleau; lo riveriscono studiosi come G. G. Grevio, che gli dedica l'edizione dei dialogo di Luciano, Pseudosophistes, e J. Gronovio; C. si interessa dell'editoria e incontra infine i rappresentanti della Compagnia delle Indie. In Inghilterra visita le università di Oxford e di Cambridge ed assiste ad alcune sedute della Royal Academy; incontra diplomatici come William Temple ed inventori come Samuel Morland. Alla corte di Francia assiste al Tartuffe di Molière.
Il 26 maggio 1670 Ferdinando II morì e C. III successe al trono granducale, ereditando al tempo stesso il vastissimo patrimonio familiare. Gli inizi del suo principato parvero caratterizzati dal ritorno ad un modo di gestione del potere fortemente personale. Si trattò però di un breve interludio, seguito dal rafforzamento del predominio della nobiltà nell'apparato dello Stato, che si era già delineato nel corso del secolo. Decadde rapidamente l'importanza che i segretari di Stato, di origine spesso non aristocratica, avevano avuto sotto Ferdinando II, e C. III venne affidandosi sempre più per le massime decisioni politiche ad un Consiglio aulico, "corpo mistico del governo", vero depositario Ael potere, formato da membri della stessa famiglia Medici e da esponenti della nobiltà.
Tra i primi ebbero particolare influenza la granduchessa madre, cui fino alla morte (1694) fu affidata la presidenza della R. Consulta, supremo consiglio del granduca in materia di grazia e giustizia, ed il fratello Francesco Maria, futuro cardinale, che dal 1683 alla sua morte (1711) fu anche governatore dello Stato di Siena. Esclusa fu invece Margherita Luisa, i cui rapporti con C. andarono progressivamente peggiorando, finché nel 1675 ottenne di ritornare in Francia, ritirandosi nel convento di Montinartre, senza che peraltro ciò mettesse fine alle sue irrequietezze ed alle ostilità tra i due coniugi, ormai pubbliche e spesso oggetto di scherno alle corti d'Europa. In ombra restarono i due figli di C., Ferdinando e Gian Gastone, che alla loro maggiore età entrarono a far parte del Consiglio aulico, ma ebbero sempre rapporti tesi con il padre. Tra i consiglieri di origine aristocratica nobili di recente fortuna, insigniti da poco di titoli feudali, come Gabriello e quindi Francesco Riccardi, si affiancarono ai discendenti di antiche famiglie cittadine o feudali, come i Salviati, i Bardi, i Corsini, i Magalotti. Anche gli uffici centrali dello Stato, le cariche di auditore e provveditore e la stessa Segreteria, ricoperti un tempo in gran parte da "uomini nuovi", diventarono in misura crescente appannaggio di un'aristocrazia di origine svariata, ma ormai profondamente omogenea, gravitante intorno alla corte, e della quale era emanazione il supremo organo collegiale dello Stato, il Senato dei quarantotto. Al ceto dei funzionari restò soltanto parte delle cariche periferiche minori, e casi di ascesa politica e sociale come quella di Francesco Ferroni, uomo di umili origini, asceso a notevoli fortune mercantili in Olanda, e diventato quindi depositario generale, o di Apollonio Bassetti, primo segretario granducale, restano eccezionali.
Il governo di C. III mosse lungo le linee di una pratica amministrativa gia ampiamente consolidata sotto i precedenti granduchi, talvolta accentuandola ed irrigidendola, ma non fu affatto privo né di volontà di consolidare le istituzioni (pur su basi non innovatrici), né di capacità di adeguamento alle circostanze politiche ed alla situazione economica.
La redazione di alcune ampie relazioni, quali la Visita fatta allo Stato di Siena negli anni 1676-77 dall'auditore B. Gherardini, ed il Teatro di Grazia e Giustizia, repertorio degli uffici dello Stato compilato nel 1695, testimoniano, se non dell'apertura ad una problematica nuova, di uno sforzo di ordinata conoscenza dei meccanismi statali e della situazione del territorio.
L'amministrazione della giustizia fu oggetto di un complesso di "riforme" (Riforma generale e rinnovamento di leggi per tutti i Magistrati Jusdicenti e Riforma della Magnifica Ruota e Consiglio di Giustizia nel 1678, Provisioni e ordini particolari per li capitani podestà e Vicarj dello Stato di Siena nel 1691), che non tesero però a modificare il profilo delle istituzioni, bensì solo a regolare con maggiore precisione procedure, tariffe e compartimentazioni giurisdizionali, testimoniando del perdurare di un'attenzione, già viva nel secolo precedente, per una più rapida e corretta spedizione delle cause e per i problemi posti dalla corruzione dei giudici. Più rilevante fu la creazione della Ruota criminale, nuovo tribunale penale formato da giureconsulti, con la conseguente parziale esautorazione degli Otto di guardia e balia, vecchio tribunale cittadino, cui fino ad allora era stata affidata la suprema giurisdizione penale nella città e nello Stato (1680).
Si manifestò così la volontà di professionalizzare più pienamente l'amministrazione della giustizia, trasformando le strutture arcaiche, di lontana origine cittadina, che ad essa ancora presiedevano in alcuni settori. Si trattò però di misura effimera: la Ruota criminale, oggetto di critiche per il suo funzionamento macchinoso e coinvolta in conflitti di giurisdizione con gli Otto di guardia e balia, dopo essere stata riformata nel 1683, fu soppressa nel 1699. In campo fiscale, prima dell'ondata di nuove contribuzioni che segnò la vita del granducato a partire dall'ultimo decennio del secolo, fu profondamente trasformato il sistema di, percezione della tassa sulle farine, uno dei principali cespiti d'entrata, della quale si era già tentata con esito sfortunato la concessione in appalto (1676-77).
In buona parte tradizionali furono pure i comportamenti del governo di C. III di fronte ai cospicui problemi economici che si trovò a fronteggiare. Così davanti alle carestie del 1671 e del 1678 (aggravate dalle difficoltà frapposte agli approvvigionamenti nordici dalla situazione internazionale) si ricorse ai consueti ' divieti di incetta e si impose anche la calmierazione dei prezzi. Se in anni successivi, caratterizzati da buoni raccolti, fu concessa (come del resto era già avvenuto in passato) libertà di incetta e perfino di esportazione dei grani (1678), se provvedimenti specifici di continua parziale libertà di tratta furono emanati a favore di aree marginali, come la Maremma senese (1692-93), la Riforma generale dell'Abbondanza del 30 luglio 1697 ribadi il vincolismo di massima fino allora in vigore ed i divieti abituali, confermando la subordinazione della produzione agricola alle esigenze dei rifornimenti annonari cittadini. Tradizionali ancora, ed inevitabilmente inefficaci, furono i provvedimenti del governo per far fronte alla grave crisi delle manifatture urbane, in particolare dell'arte della lana; ai divieti di importazione dei manufatti stranieri, ormai fortemente concorrenziali anche all'interno del granducato, e di particolari lavorazioni della lana nei centri minori dello Stato, volti a proteggere la produzione fiorentina, si aggiunsero sterilmente nel 1694, sotto la pressione degli artigiani tumultuanti davanti a palazzo Pitti, la temporanea costosa concessione di sussidi ai manufattori fiorentini e l'obbligo fatto ai mercanti livornesi di acquistarne ì prodotti, introducendoli nei propri fondaci.
La costituzione nel 1712 di una Congregazione per il commercio destinata a trovare nelle "correnti angustiose circostanze del tempo presente... le maniere più praticabili per dare apertura e facilità al ritorno del denaro in questo Stato", che era composta da alti funzionari ducali e da ilembri di notevole rilievo del patriziato fiorentino, testimonia la presenza di preoccupazioni mercantilistiche nelle sfere governative di C. e l'attenzione con cui veniva considerata la crisi manifatturiera e commerciale del granducato, ma non condusse ad iniziative pratiche di qualche rilievo.
Più incisivi, anche se non privi di incertezze, furono gli interventi di C., coadiuvato dal depositario Ferroni, a favore di Livorno: qui il granduca, in contrasto con la più rigida politica doganale del padre, ribadi ed ampliò le franchigie concesse ai mercanti dai primi granduchi, e procedette ad una riforma doganale concordata con i rappresentanti del ceto mercantile livornese, abolendo ogni gabella, salvo un lieve diritto di stallaggio, sulle merci introdotte nel porto e nella città e istituendo quindi il porto franco (1676). Nel 1692, nel contesto della guerra della lega d'Augusta, fu confermato il carattere internazionale delle franchigie, che dovevano valere indistintamente per tutte le potenze europee, e, sulla base di un trattato sottoscritto da queste, fu proclamata per la prima volta la neutralità di Livorno. Il commercio livornese continuò ad avere il carattere di transito che aveva assunto già nella prima metà del '600, ed il progetto, accarezzato da C. intorno al 1676, di fondare una compagnia tosco-portoghese per aprire ai mercanti toscani l'accesso al Brasile ed all'Oriente portoghese non si realizzò: tuttavia le norme del portofranco consentirono a questi di investire vantaggiosamente capitali in accomandite aventi sedi in paesi stranieri.
Particolare rilievo ebbero gli interventi di C. III in campo agricolo. L'iniziativa pubblica in questo settore si intrecciò strettamente e consapevolmente con quella privata (in relazione alla quale ebbero grande peso le stesse fattorie medicee) e sostenne con ampi interventi in campo idrografico l'apporto spontaneo dei capitali verso la terra, accentuatosi con la diminuzione dei traffici. Le bonifiche ebbero così un nuovo grande impulso, in particolare a partire dal 1690.
L'entità degli investimenti, la utilizzazione di idraulici di notevole rilievo, come Alfonso Borelli e Vincenzo Viviani, eredi della scienza galileiana, e l'olandese Cornelio Meyer, e l'elaborazione per alcune aree di piani complessivi di risanamento, portarono a risultati indubbiamente positivi. In Val di Nievole intorno al 1670 fu deviato il corso del Pescia e prese avvio una cospicua serie di colmate (in parte per iniziativa dei Ferroni); in Val di Chiana le bonifiche furono avviate nel 1691 ed assunsero carattere sistematico e ritmo imponente a partire dal 1702; a partire dal 1715 fu intrapresa la sistemazione idrografica della pianura meridionale pisana, con la costruzione di nuovi canali e vaste colmate. Nello stesso arco di anni furono compiute bonifiche intorno alle fattorie medicee di Calcinaia, Vicopisano, Coppiano e Vecchiano; nella Maremma pisana, dai Della Gherardesca; e, con minor successo, nella Maremma senese. Ebbe timido avvio (pur nel perdurare delle pastoie imposte al regime fondiario dai fedecommessi e dalle manomorte) anche una legislazione agraria nuova, con la riduzione delle servitù di pascolo e la diminuzione delle gabelle sulla compravendita dei terreni (1715).
La devozione di C. III si. accentuò con gli anni ed assunse i toni di un marcato bigottismo. Ne furono manifestazioni peculiari i pellegrinaggi compiuti a Loreto nel 1697 ed a. Roma nel 1700 (dove C. III ottenne il titolo di canonico lateranense ed il privilegio di accedere ad alcune antiche reliquie e benedire la folla); l'amore per le reliquie; la venerazione acritica per alcuni. santi martiri dimenticati, la cui autenticità fu oggetto di acceso dibattito; la ingenua passione missionaria, che indusse il granduca ad organizzare campagne di proselitismo in Germania e nel Settentrione luterano ed a concedere pensioni al convertiti. Il bigottismo di C. III non fu e non resto ovviamente fatto individuale, ma si intrecciò con quello della corte ed ebbe ampi risvolti politici.
Il sostegno accordato ad ecclesiastici di profonda cultura, come il teologo ed antiquario Enrico Noris, che C. III elevò alla carica di teologo di Stato e riusci quindi a far elevare al cardinalato; il favore concesso ai gesuiti - alle missioni di Paolo Segneri, cui C. III fu legato da lungo rapporto epistolare, alle scuole ed ai collegi che in quegli anni vennero sorgendo a Firenze, Siena, Prato, Livorno - potevano rientrare nel quadro di una politica religiosa razionalmente consona alle tendenze generali dei tempo. Ma altro significato ebbero l'introduzione nel granducato di numerosi nuovi Ordini religiosi solo in parte connessi con correnti innovative del cattolicesimo seicentesco (gli alcantarini, di origine spagnola, cui nell'anno 1677 fu offerta una sistemazione nella villa preferita del granduca, l'Ambrogiana; i trappisti ed i lazzaristi, di origine francese) e quindi la costosa moltiplicazione dei conventi e l'autorità raggiunta da frati oscuri, cui furono talvolta affidati compiti di sorveglianza sui costumi, sull'osservanza delle pratiche religiose ed anche sui comportamenti civili. Nel segno di un oscurantismo pavido ed intollerante furono promulgate leggi per vietare gli "amori illeciti" (1691), o, in contraddizione con gli indirizzi politici più generali seguiti nei confronti di Livorno, per limitare i privilegi da lungo tempo concessi agli ebrei là dimoranti, escludendone coloro che, già convertiti, fossero tornati alla religione originaria, e vietando alle donne cristiane di mettere piede nelle loro case e botteghe (1682-1691). La rispettosità di C. III verso la Chiesa comportò anche l'affievolimento della difesa della giurisdizione dello Stato contro l'autorità ecclesiastica: mentre agli inizi del suo. principato l'auditore F. Capponi aveva dato ancora prova di energia, stroncando ad esempio i tumulti dei frati che a Cortona' ed a Borgo San Sepolcro si riflutavano di contribuire alle spese per il risanamento della Val di Chiana, la sostituzione dell'auditore della giurisdizione con una Congregazione di quattro membri, tra i quali vi erano degli ecclesiastici (1688), sancì il passaggio ad una maggiore arrendevolezza. Nel 1691 Si accettò l'avocazione al foro ecclesiastico di. tutti i processi anche fra laici che potessero per qualche, ragione interessare dei religiosi; e la resistenza degli ecclesiastici contro i nuovi aggravi fiscali imposti negli stessi anni sfociò, dopo lunghe trattative, nella concessione di un trattamento privilegiato.
Il nuovo clima religioso ebbe anche ovvie conseguenze culturali. C. III desiderava avere a corte "insigni filosofi", ma mostrava "invincibile avversione alla buona filosofia". Questa avversione si manifestò nel divieto fatto all'università di Pisa di insegnare la filosofia atomistica epicurea e gassendistica e nel tentativo, scarsamente riuscito, di restaurare contro le tradizioni locali il monopolio dell'aristotelismo (1691), o nelle misure di cui fu oggetto Lorenzo Bellini, trasferito per la sua impostazione atomistica dall'insegnamento della filosofia a quello dell'anatomia; nelle proibizioni opposte alla pubblicazione della traduzione di Lucrezio fatta da A. Marchetti. Su questo sfondo possono essere lette anche le vicende di L. Magalotti: la mancata pubblicazione delle sue Lettere familiari contro l'ateismo,opera apologetica pur formalmente ortodossa, ma nutrita di cultura razionalistica e scientifica; la sua effimera vocazione religiosa e il suo ritiro a Roma (1690); il suo distacco da temi intellettualmente impegnativi dopo il suo rientro alla corte toscana e la sua reintegrazione nel Consiglio aulico (1693).
Ma proprio queste vicende, in cui il restringimento degli spazi critici si accompagnò tuttavia al perdurare del favore di C. III per il suo consigliere, permettono di constatare come tra il granduca bigotto e gli eredi della cultura scientifica toscana non si sia mai consumata una completa frattura. Vi fu invece un ripiegamento nei settori di ricerca più esposti alle censure ecclesiastiche, come quelli della filosofia, della fisica e dell'astronomia, ed una conversione dello sperimentalismo verso altri settori, come la medicina, l'anatomia, le scienze naturali: C. III fu largo di favori e di mezzi a Francesco Redi, medico e naturalista, ed all'anatomista danese naturalizzato e convertito Nicola Steno. Così pure l'insegnamento galileiano venne perseguito (fino ad indurre Vincenzo Viviani a nascondere i manoscritti del maestro nel timore che potessero venire distrutti), ma le sue applicazioni nel campo dell'idraulica furono ampiamente incoraggiate; e l'università di Pisa attraversò sotto C. III un periodo di prestigio non solo nel campo del giure (con G. Averani e V. Aulla) e delle lettere (con B. Averani), ma della medicina (con G. Del Papa) e della matematica (con A. Marchetti e G. Grandi). Nel campo delle lettere C. III diede particolare incoraggiamento agli studi eruditi ed antiquari, coltivati con successo da studiosi come C. Dati, E. Noris e, nel suo breve soggiorno pisano, J. Gronovio.
Nell'indubbio affievolimento della vita intellettuale seguito alla fine dell'Accademia del Cimento, il principato di C. III fu però segnato da un'attenta cura per le istituzioni e da uno sforzo di organizzazione e riordinamento del patrimonio artistico, scientifico, librario mediceo. C. III promosse ampiamente il collezionismo: la sua competenza personale fu assai inferiore a quella raffinata dei figlio Ferdinando, ed il suo gusto inclinò verso le espressioni più corrive dell'arte devota (quali le pitture di C. Dolci e le cere di G. Zumbo), ma a lui si deve il completamento delle Gallerie medicee, operato sotto la guida di P. Falconieri (1677). Negli stessi anni veniva ordinato secondo le indicazioni del Redi il Museo di scienze naturali, ed Antonio Magliabechi curava l'organizzazione della Biblioteca Palatina. Riprese l'attività dell'Accademia della Crusca, che nel 1691 pubblicò la terza edizione del Vocabolario e diede quindi rapidamente inizio ai lavori per la quarta edizione, che avrebbe visto la luce tra il 1729 ed il 1733.
Memore dei suoi viaggi C. III conservò anche durante il principato una grande ammirazione per il mondo inglese ed una curiosità più generale per la civiltà e i prodotti dei più lontani paesi. Questa ammirazione e questa curiosità assunsero spesso toni rozzi ed ingenui, ma contribuirono a mantenere aperti canali di informazione e comunicazione intorno alla Toscana.
Di fronte ai problemi soverchianti posti dalla spinta egerponica di Luigi XIV, dalla più vivace presenza imperiale in area italiana e dalla trasformazione degli equilibri politici europei in corso tra la fine del '600 e gli inizi del '700, la politica estera di C. III fu fedele alle tradizioni paterne di neutralità e di equilibrio, ma risultò, forse inevitabilmente, incerta ed in parte velleitaria.
Particolarmente agli inizi del suo principato C. III accarezzò obiettivi di ingrandimento dei suoi domini (in direzione del principato di Piombino, dei Presidi, del feudo di Fosdinovo), senza conseguire risultati pratici; nutrì pure lontane ed effimere speranze di successione in Lorena, rapidamente tramontate al tempo della pace di Nimega (1678), di fronte all'ostilità di Luigi XIV. Più tardi (1685-86) si impegnò in un progetto di matrimonio tra il figlio primogenito Ferdinando e Maria Isabella, infanta di Portogallo, che avrebbe potuto comportare l'insediamento di una dinastia medicea sul trono lusitano, ma le pesanti clausole proposte dai ministri portoghesi lo indussero a rinunciarvi. I matrimoni conclusi in seguito per i figli furono più modesti, quasi a segnare il declino dei Medici tra le case regnanti d'Europa: Ferdinando sposò Violante di Baviera (1689), Anna Maria Luisa l'elettore palatino (1691), Gian Gastone Anna Maria Francesca. figlia del duca di Sassonia-Lauenburg, vedova del conte palatino Filippo di Neuburg (1697). Una delle ambizioni più vive di C. III, mosso dalla rivalità ormai antica con la casa di Savoia, fu quella di ottenere il "trattamento regio" ed il diritto di fregiarsi del titolo di Sua Altezza Serenissima, che Luigi XIV aveva concesso a Vittorio Amedeo II nel 1690: prerogative e titolo gli furono riconosciuti nel 1691 dall'Impero e nel 1699 dalla corte di Roma, ma mai dalla Francia e dalla Spagna. Più solido fu il suo prestigio a Roma, grazie soprattutto all'autorità raggiunta dal fratello Francesco Maria, promosso al cardinalato nel 1686, influente protettore di Austria e di Spagna, promotore, nel 1700, dell'elezione di papa Albani.
Alle pressioni dell'Impero sugli Stati italiani che pretendeva legati a sé da antichi vincoli feudali (Toscana, ducato di Savoia, Modena, Mantova, Parma ecc.) C. III oppose una resistenza cauta ma tenace. Nel 1682, richiesto di contribuire in denaro alla guerra contro i Turchi, si limitò ad armare quattro galere, rimaste poi inoperose, e ad inviare un donativo in munizioni; nel 1684 partecipò marginalmente, con altre quattro galere, alla lega tra l'imperatore, il re di Polonia e la Repubblica di Venezia. Nel 1691, allorché, durante la guerra della lega di Augusta, l'Impero intimò ai principi italiani di schierarsi con l'Austria contro la Francia o di versare i contributi dovuti in qualità di vassalli, C. III accettò necessariamente come gli altri questa seconda ipotesi, ma con lunghe trattative ottenne una forte riduzione della somma richiesta, sostenendo che questi tributi dovevano gravare soltanto su alcune aree propriamente feudali del granducato (Pontremoli, Lunigiana, ecc.). Negli anni successivi tuttavia, fino alla conclusione della guerra di successione spagnola, le richieste di sussidi da parte dell'Impero si moltiplicarono, provocando un aumento cospicuo ed impopolare del prelievo fiscale, con l'introduzione di n uove gabelle ed imposte sul reddito ("collette"); la dilatazione del debito pubblico, con la creazione di nuovi "monti"; e, se non il dissesto, la crisi delle finanze dello Stato. Nel 1710 la guerra investiva lo Stato dei presidi, dove i Franco-ispanici conservavano Porto Ercole e Porto Longone, e gli Imperiali occupavano Orbetello, premendo di qui sulla Toscana.
In questo quadro, segnato dall'avvio di ampie trasformazioni della carta politica europea, si aprì la questione della successione toscana. Né i matrimoni di Ferdinando e di Gian Gastone, né quello tardivo di Francesco Maria, che C. III aveva indotto ad abbandonare il cardinalato ed a sposare Eleonora Gonzaga (1709), procurarono infatti un erede alla dinastia. La Toscana rischiava così di diventare oggetto di scambio e di contesa tra le grandi potenze; e C. III si rendeva ben conto, in particolare, che i diritti che l'Impero possedeva certamente su alcuni feudi periferici avrebbero potuto essere accampati anche sullo Stato di Siena, la cui investitura a Cosimo I pur proveniva da Filippo II di Spagna, e perfino sullo Stato di Firenze, la cui dedizione ai Medici nel 1530 era pur stata formalmente sancita dagli organi cittadini. Di qui il disegno presentato per conto di C. III da Carlo Rinuccini alla conferenza convocata a Getruidenberg (1710) per discutere i preliminari di Pace, di restaurazione della Repubblica di Firenze all'estinzione della dinastia, e le argomentazioni storico-giuridiche svolte a Firenze a sostegno della continuità della libertà dello Stato e della sua indipendenza dall'Impero.
Il progetto, rispondente alle aspirazioni di un largo settore dell'aristocrazia fiorentina, ottenne l'appoggio dell'Inghilterra e della Olanda, favorevoli alla costituzione di un nucleo territoriale autonomo che salvaguardasse la neutralità di Livorno, ed in un primo momento non fu neppure totalmente avversato dall'ImPero, preoccupato essenzialmente di stabilire i propri diritti sullo Stato di Siena. Esso tuttavia tramontò, per l'incertezza dello stesso C. III, desideroso in realtà di assicurare, dopo la eventuale morte dei figli maschi, la successione al trono della figlia Anna Maria, elettrice palatina, priva essa stessa di discendenza, e soprattutto per il mutamento delle prospettive internazionali provocato dalla morte dell'imperatore Giuseppe I (17 apr. 1711).
Il nuovo disegno di C. III fu presentato prima al Collegio degli elettori imperiali dal Rinuccini, poi a Carlo VI dalla stessa Anna Maria (dicembre 1711); ma il suo accoglimento da parte imperiale, e più in generale il sistema di appoggi su cui C. III avrebbe potuto contare, dipendevano dalla soluzione del problema della successione definitiva sul trono toscano, che la candidatura di Anna Maria lasciava aperta. Incerto su questo punto C. III, fiducioso più nella "divina provvidenza" che non nelle "prevenzioni umane", lasciò passare il congresso di Utrecht senza chiedere garanzie.
Alla conclusione della pace ed alla morte del principe Ferdinando (30 ott. 1713) seguì inopinatamente la nomina pubblica da parte del Senato fiorentino dell'elettrice palatina alla successione di Gian Gastone su motu proprio granducale, e l'abrogazione segreta del divieto di successione delle femmine al trono (27 nov. 1713). La decisione unilaterale di Firenze fu approvata da Francia e Spagna, interessate alle prospettive di successione che siaprivano per Elisabetta Farnese, discendente da Margherita de' Medici, figlia di Cosimo II, ma fu violentemente avversata dall'Impero, che affidò ai propri giuristi il compito di sostenere la feudalità di tutti i domini granducali, Firenze compiesa.
Il matrimonio di Elisabetta Farnese con Filippo V ed i mutamenti delle alleanze internazionali seguiti alla morte di Luigi XIV provocarono però l'apertura di una nuova fase di trattative tra la Toscana e l'Impero, che si concluse con il riconoscimento da parte imperiale della nomina di Anna Maria, e la designazione alla sua successione da parte di C. III di Rinaldo I d'Este, legato all'imperatore da vincoli di parentela e stretta alleanza politica. L'accordo però si rivelò fragile ed effimero: la formazione, contro la Spagna di Elisabetta Farnese e dell'Alberoni, di un'alleanza tra Francia, Inghilterra e Olanda e la stipulazione tra queste del trattato di Londra (marzo 1718) in cui era incluso un "piano di pacificazione toccante le successioni di Toscana e di Parma", portò -alla designazione alla successione dei due troni (neppure essa definitiva) del figlio di Filippo V ed Elisabetta Farnese, l'infante don Carlos. Il trattato, sottoscritto poco dopo anche dall'Austria (2 ag. 1718) ed accolto favorevolmente dalla Spagna, del quale C. III non ricevette neppure comunicazione ufficiale, segnò la fine delle aspirazioni velleitarie del granduca e rivelò in modo inequivocabile che la soluzione della questione toscana era soltanto nelle mani delle grandi potenze.
C. III non mancò di protestare, sfruttando gli esigui spazi diplomatici ancora esistenti, e di opporre resistenza. Gli ultimi anni del suo principato segnarono una ripresa della polemica con l'Impero sulla libertà di Firenze: videro allora la luce i due scritti di G. Averani, Mémoire sur la liberté de l'Etat de Florence (1721) e De Libertate Civitatis Florentinae eiusque dominii (1722-23). Un'ultima decisa e inutile protesta C. III inviò ancora dopo che il congresso di Cambrai (1722) ebbe confermato la successione di don Carlos al trono, il 25 dic. 1722.
Morì a Firenze il 31 ott. 1723.
Fonti e Bibl.: Tra le fonti ms. relative alla storia del granducato al tempo di C. III ha particolare interesse biografico il carteggio universale di C. III, Arch. di Stato di Firenze, Mediceodel Principato, ff. 1027-1166 (cfr. Arch. di Stato di Firenze, Archivio Mediceo del Principato. Inventario sommario, Roma 1951). Tra le biografie contemporanee, Vita di C. III granduca di Toscana descritta da G. D. M. Sandrini dell'Ordinedei Predicatori [1725] nella Bibl. naz. di Firenze, fondo Conventi soppressi 9, 978 (redazioni parz. diverse, ibid. 979 e 980); e le biografie di autori anonimi in Mediceo del Principato, f.2713 ins. I e in Miscell. Medicea, E 54 n. 48 C f.781 n. 11. Cfr. anche Archivio di Stato di Firenze, s. 134-139: F. Settimanni, Mem. fiorentine dall'anno 1532 che la famiglia de' Medici ottenne l'assoluto Principato della città e dominio fiorentinoinfino all'anno 1737 che la medesima famiglia mancòdi successione nel granducato di Toscana. Gliatti legislativi sono in buona parte pubblicati in Legislazione toscana, a cura di L. Cantini, XVIII-XXIII, Firenze 1805-1806.
Per la bibliografia e le fonti a stampa cfr. i repertori bibliografici di D. Moreni, Serie d'autori di opere riguardanti la celebre famiglia Medici, Firenze 1826, e S. Camerani, Saggio di bibliografia medicea, Firenze 1964, pp. 127-131. Ci limitiamo qui ad indicare le pubblic. di fonti, le storie, generali del granducato, gli studi biografici o settoriali che forniscono su C. le informazioni di maggior rilievo: G. Bianchini, Dei granduchi di Toscana della R. Casa Medici protettori delle lettere e delle arti, ragionamenti istor., Venezia 1741, pp. 116-158; G. Lami, Memorabilia Italorum eruditione praestantium quibus vertens saeculum gloriatur, Florentiae 1742, pp. 165-177; Travels of C. the Third Grand Duke of Tuscany through England during the Reign of King Charles the Second (1669), a cura di J. Mawman, London 1821; F. Pizzichi, Viaggio per l'alta Italia del ser.mo Principe di Toscana poi granduca C., a cura di D. Moreni, Firenze 1828; Lettere ined. di P. Segneri al granduca C. III, a cura di S. Giannini, Firenze 1857; A. Pellegrini, Relazioni ined. di ambasciatori lucchesi alle corti di Firenze, Genova, Milano, Modena, Parma, Torino (secc. XVI-XVII), Lucca 1901, pp. 201-268; P. Tacchi Venturi, Lettere ined. di P. Segneri, di C. III e di G. Agnelli intorno la condanna dell'opera segneriana La concordia", in Archivio storico ital., s. XXXI (1903), pp. 127-165; De twee Reizen van C. de' M. Prins van Toscana door de Nederlanden (1667-1669), a cura di G. J. Hoogewerff, Amsterdam 1919; Viaie de C. III Por Espafla (1668-1669), a cura di A. Sanchez Rivero, Madrid 1927; Viaie de C. de Medicis Por España y Portugal (1668-69), a cura di A. Sanchez Rivero-A. Mariutti de Sanchez Rivero, Madrid, 1933; Unprincipe di Toscana in Inghilterra e in Irlanda nel1669. Relaz. ufficiale del viaggio di C. de' M. tratta dal, Giornale" di L. Magalotti con gliacquarelli Palatini, a cura di A. M. Crinò, Roma 1968; R. Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, Firenze 1781, passim;F. Inghirami, Storia della Toscana, Fiesole 1843, X, pp. 470-549; XII, pp. 500 s.; A. v. Reumont, Geschichte Toscana's, Gotha 1876, pp. 440-477, 631-634; F. Orlandini-G. Baccini, Vita di C. III sesto granduca di Toscana, Firenze 1887; N. Mengozzi, IlMonte dei Paschi di Sienae le aziende in esso riunite, IV, Siena 1893, passim; G. Targioni Tozzetti, Le collez. di Giorgio Everardo Rumpff acquistate dal granduca C. III de'M., Firenze 1903; E. Robiony, Gli ultimi deiMedici, Firenze 1905; A. Municchi, Una brevebiografia inedita di C. III de' Medici, in Riv. dellebiblioteche e degli archivi, XVII (1906), pp. 17-23; G. Conti, Firenze dai Medici ai Lorena, Firenze 1907, Passim;M. Baruchello, Livorno e il suoporto, Livorno 1932, pp. 276, 293-301; R. Fiaschi, Le magistrature Pisane delle acque, Pisa 1938, pp. 230-257; F. Nicolini, C. IIIde' M. eAntonio Carafa, in Arch. stor. ital., XCVI(1938), pp. 69-91, 180-215; G. Pieraccini, La stirpe deiMedici di Cafaggiolo, Firenze 1947, II, 2, pp. 327-380; A. M. Crinò, Fatti e figure del Seicentoanglo-toscano, Firenze 1957, ad Ind.; H. Acton, Gli ultimi Medici, Torino 1962, passim;N. Rodolico, La Toscana alla vigilia delle Riforme, in Saggi di storia medievale e moderna, Firenze 1963, pp. 339-361; G. Guarnieri, Livorno medicea, Livorno 1970, ad Ind.;E. Cochrane, Florence in theforgotten centuries, 1527-1800, Chicago 1973, adInd.; F. Diaz, Ilgranducato di Toscana. I Medici, Torino 1976, pp. 456-522; J. R. Hale, Firenze ei Medici. Storia di una città e di una famiglia, Milano 1980, pp. 234-240; E. Rodocanachi, Lesinfortunes d'une petite fille d'Henry IV, Marguérited'Orléans grande duchesse de Toscane, Paris s. d., passim.