COSIMO III
III Primogenito di Ferdinando II de' Medici e sesto granduca di Toscana, nato il 20 dicembre 1639. Educato dalla madre Vittoria della Rovere a un fervido pietismo religioso, ebbe la mala ventura di essere unito in matrimonio a diciannove anni, per ragioni politiche, con Margherita Luisa d'Orléans, nipote di Luigi XIV, donna di temperamento leggiero e abituata al fasto e alle frivolità della corte di Francia. La vita coniugale diventò presto per ambedue impossibile e fu un succedersi di discordie, che C., ancora principe ereditario, cercava di dimenticare con frequenti viaggi all'estero. L'incorreggibile Margherita fu relegata nella villa di Poggio a Caiano, donde, avendo cercato di fuggire, fu rimandata a Parigi e chiusa in un convento. C., già da cinque anni (1670) assunto al trono, restò con i tre figli avuti da lei: Ferdinando, Giangastone e Anna Ludovica.
Il carattere abulico di C. trovò in queste disgrazie domestiche un incentivo a impigrire in uno stato di rassegnata inerzia, che si lasciava dominare dagli avvenimenti anziché cercare di dominarli. All'interno, la cura dei pubblici negozî fu abbandonata alla inesperienza di cortigiani, i quali, più che illuminare e guidare l'azione del principe, la secondavano in ciò che aveva di men rispondente all'utile del paese.
Abbondò in manifestazioni esteriori di religiosità: donativi a chiese e santuarî, sovvenzioni a missionarî, pensioni a convertiti; il clero poté così raggiungere una posizione di predominio politico e, come fu generalmente dispensato dai carichi tributarî, così poté ottenere che fossero allentati i vincoli della subordinazione all'autorità civile, mediante la sostituzione di una Commissione mista di ecclesiastici e di laici all'auditore del R. Diritto istituito da Cosimo I per regolare i rapporti tra Stato e Chiesa.
Fu propria di C. la tendenza al fasto e un vanitoso desiderio di grandeggiare e di non essere da meno di altri sovrani d'Europa. Quando seppe che l'imperatore aveva concesso al duca di Savoia il trattamento regio, egli, che aveva dimostrato corrività e debolezza in affari di stato importanti, non fu tranquillo finché non ebbe ottenuto per sé la medesima concessione. La quale venne sì, ma a prezzo di una maggiore subordinazione a casa d'Austria, mediante l'imposto matrimonio della figlia Anna Ludovica con Giovan Guglielmo, principe elettore palatino. E a vanità più che a mecenatismo sono anche da ascrivere alcune lodevoli iniziative, come il riordinamento della galleria e la formazione di un gabinetto di storia naturale suggeritagli da Francesco Redi. Per contrapposto, volle bandita dall'insegnamento dell'università di Pisa la filosofia democritea, esigendo che si tornasse all'aristotelismo.
Gli ultimi suoi anni furono fortemente amareggiati dal problema della successione. Il figlio maggiore Ferdinando, sposato a Violante di Baviera, era morto nel 1713 senza lasciare discendenti. Il secondogenito Giangastone, unito in matrimonio con una donna rozza e intrattabile, Anna Maria Francesca di Sassonia, vedova del conte palatino Filippo di Neuburg, non era riuscito neppure a ottenere che la moglie abbandonasse la Boemia e si recasse a Firenze. Il fratello Francesco Maria - ultima speranza rimasta a C. - ottenne di poter lasciare la porpora cardinalizia per sposare Eleonora Gonzaga, ma questa si rifiutò di convivere col vecchio marito.
Mancata completamente la successione, C. prima pensò di restituire la libertà a Firenze; poi, fatta annullare dal Senato la disposizione della bolla d'oro di Carlo V che escludeva le femmine dalla successione, decise di chiamare al trono la figlia Anna, vedova dell'elettore palatino. Ma la quadruplice alleanza, col trattato di Londra del 1718, annullò il suo progetto, riservando la successione a Carlo, figlio di Filippo V e di Elisabetta Farnese. Il 31 ottobre 1723, C. moriva angosciato dal dolore che, dopo la scomparsa del figlio, la dinastia medicea sarebbe finita.
Bibl.: R. Galluzzi, Storia del granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, Livorno 1781, VII-VIII; E. Robiony, Gli ultimi de' Medici e la successione al granducato di Toscana, Firenze 1905; G. Pieraccini, La stirpe dei Medici di Cafaggiolo, Firenze 1924, II, pp. 635-683.