NEPITA, Cosimo
NEPITA, Cosimo. – Nacque a Catania nel 1540.
Poche e scarne sono le notizie sulla famiglia d’origine, certamente legata per tradizione agli studi giuridici. Lo stesso Nepita, infatti, nel suo commento alle consuetudini di Catania ricorda lo zio paterno Michele come illustre docente dello Studio locale («insignis doctor patrus meus Michael Nepita qui pubblice de mane in iure civili in hoc Gymnasio per plures annos legit», In consuetudines clarissimae ciuitatis Catinae, ac totius ferè Sicilie regni comentaria..., Palermo, G.F. Carrara, 1594, c. 259a n. 65).
Ebbe come suo primo precettore Giuseppe Gullo, lettore de mane dello Studio e autore di consilia e di un repertorio. Conseguì la laurea in utroque iure a Catania nel 1568-69. I suoi promotores furono Giuseppe Cumia e Nicolò Intriglioli, quest’ultimo da non confondere con l’omonimo autore delle due Centurie de feudis e della raccolta di Decisiones della Magna Regia Curia.
Nepita, nel corso del suo commento, rinvia spesso al pensiero e all’opera di Cumia, di cui mostrò di stimare non solo le doti di profondo conoscitore del diritto, ma anche i percorsi dottrinari (v., per esempio, ibid., cc. 8a n. 44; 11a nn. 22, 24; 20a n. 164). Lo stesso apprezzamento non riservò a Intriglioli, di cui criticò l’impostazione dottrinaria, fatta salva la riconoscenza dovuta al suo promotor («teneo contra dominum de Intrigliolo, parcat mihi eius authoritas, maxime quia fuit mihi promotor in meo doctoratu in anno 1568. in mense iulii», ibid., c. 115b n.75).
Insegnò presso lo Studio etneo a partire almeno dal 1570, alternando gli insegnamenti. Resse la cattedra di Istituzioni nel 1570, 1575 e 1579; nel 1578 resse per la prima volta la prestigiosa cattedra di diritto civile come lettore de sero; nel 1581 insegnò diritto canonico per poi divenire, tra il 1582 e il 1583, lettore de mane di diritto civile. Occupò anche la cattedra di diritto feudale nel 1580. A partire dal 1584 egli stesso ricorda l’attività di primus promotor de mane legens (ibid., cc. 345b-346a) nel conferimento di molti titoli dottorali.
La particolare contingenza politica che il Viceregno di Sicilia visse nel corso di quegli anni lo rese protagonista di uno dei tanti contrasti politici e istituzionali di cui furono attori i vertici dello Studio e i viceré, all’indomani della riforma di Marco Antonio Colonna promulgata nel 1579.
Il contenuto della riforma raccolse ed esplicitò le linee di tendenza di quella politica universitaria di forte ingerenza governativa negli affari degli Studia che si delineò nel corso del Cinquecento. In questa direzione i capitula di Colonna tentarono di contrastare innanzitutto la supremazia che il vescovo, nel tradizionale ruolo di cancelliere, aveva acquisito nel corso degli anni attraverso il rafforzamento dei poteri delle più alte cariche dello Studio, di gran lunga più controllabili per mano del potere centrale. Inoltre i doctores in iure dello Studio – già fortemente limitati dalla pressoché inesistente capacità normativa del loro collegio, ristretta solo all’emanazione di regole interne – furono ulteriormente penalizzati dalla riforma che stabilì come anche gli statuti del collegio non potessero avere esecuzione senza l’approvazione viceregia. Colonna modificò, inoltre, la procedura di elezione dei lettori, fino ad allora prerogativa quasi esclusiva dei reformatores: dal 1579, infatti, presero parte alla votazione il patrizio della città, il rettore e lo studente forestiero più anziano. Le reazioni furono immediate, in particolare i reformatores, a loro volta pressati dal collegio dei giuristi che tentava di mantenere una minima sfera di autonomia, rivendicarono il potere di eleggere un nuovo lettore nel caso in cui il docente eletto o scelto per nomina viceregia, avesse rinunciato alla cattedra.
In questo altalenante gioco di potere si trovò coinvolto Nepita. È del 1585 il documento che contiene la supplica che rivolse al presidente del Regno affinché non gli venisse preferito altro professore di minore esperienza alla cattedra di diritto civile de sero, vacante per la rinuncia di Galeotto Platamone, altro illustre docente dello Studio, eletto in precedenza con Cumia.
A sostegno della propria posizione di docente anziano nel 1583 allegò una supplica, a firma di 26 studenti, rivolta a Matteo Seminati, vicecancelliere dello Studio, e a Cesare Statella, giurato, riformatore e protettore dello Studio, in cui si chiedeva la sua rielezione alla cattedra de mane di diritto civile: a detta dei discepoli, Nepita riusciva a coniugare la lettura del testo giustinianeo con le opiniones delle auctoritates di diritto comune, della communis opinio, senza trascurare il raffronto con la corrente dei moderni; inoltre avrebbe dato prova di particolare abilità nella disputa delle quaestiones, non lasciava mai irrisolti i casi maggiormente complessi e riusciva a scardinare le opinioni di giuristi di chiara fama ricollegandosi a passi significativi del Corpus Iuris Civilis; infine, secondo gli studenti, l’arguto professore coniugava con perizia le necessità della prassi forense con la dottrina. A rafforzare la sua posizione intervenne un’ulteriore dichiarazione del 13 aprile 1585, redatta da altri studenti, in cui si chiese al riformatore dello Studio Platamone la rielezione del docente. A ciò si aggiunse un memoriale informativo scritto dai riformatori e dai protettori dello Studio sull’andamento didattico e rivolto al presidente del Regno Giovanni Alfonso Bisbal, conte di Briatico, che elogiava le doti di Nepita considerato docente abile e di grande esperienza, e criticarono i due lettori scelti secondo le nuove procedure. Bisbal, il 21 maggio del 1585, ordinò agli elettori dello Studio il rispetto e l’osservanza ai Capitoli della riforma Colonna e impose di non danneggiare Nepita.
La sua carriera non si limito all’insegnamento. Il suo cursus honorum seguì una linea in netta ascesa, certamente anche in ragione del prestigio goduto come professore dello Studio etneo. Svolse le funzioni di magistrato presso le corti inferiori delle città di Acireale e di Catania, e fu giudice delle Appellazioni a Catania nel 1574 e nel 1579, così come egli stesso ricorda nel suo commento, compiaciuto del fatto che per ben due volte il suo giudizio in questa sede fu confermato dalla Magna Regia Curia (ibid., c. 19a n. 158).
Presumibilmente tra il 1589 e il 1590 venne nominato giudice del tribunale del Concistoro (o della Sacra Regia Coscienza e delle Cause Delegate), al tempo di Modesto Gambacurta e Giovan Francesco Rao, già avvocato fiscale e presidente della Magna Regia Curia. La sua esperienza di giudice del Concistoro è spesso ricordata nel commento (ibid., c. 4b n. 45). In seguito ricoprì il ruolo di giudice della Magna Regia Curia, tribunale che giudicava in primo grado tutte le cause civili e feudali e i reati penali maggiori, con giurisdizione d’appello su tutte le cause decise dalle corti inferiori. Secondo Villabianca (1754, I, p. 235), venne nominato solo per il biennio 1592-93, a differenza di quanto sostiene Mongitore (1708, I, p.147) che segnala genericamente, senza indicazione cronologica, due differenti mandati. Fu anche protonotaro e regio consultore. Traccia della sua attività di protonotaro si riscontra in un documento del 1592 conservato presso l’Archivio di Stato di Enna (Di Giorgi, 2002, p. 120): si tratta del conferimento dell'ufficio notarile a Giovanni Fornaja di Castrogiovanni a firma del viceré Diego Enríquez de Guzmán, conte di Alba de Liste, e dello stesso Nepita. A suo stesso dire fu anche familiare del S. Offizio (In consuetudines ..., c. 59b n. 33).
L’esperienza d’insegnamento, l’attività forense e di magistrato confluirono idealmente nella redazione del commento alle consuetudini di Catania, approvate dal re Lodovico nel 1343. È pensabile che il lavoro di elaborazione del commento sia iniziato negli anni in cui Nepita era giudice del Concistoro, come egli stesso sottolinea già dalle prime righe celebrative dell’opera, e completato nel 1590, per essere poi dato alle stampe quattro anni dopo. Si tratta di una delle poche opere di commento alle consuetudini delle città siciliane, preceduta da un’edizione di Intriglioli (1591), e seguita dai commenti alle consuetudini di Palermo di Mario Muta (1600) e di Messina di Mario Giurba (1620).
Il commento nella sua struttura non si distacca dal solco della tradizione di diritto comune. Nepita, già nel proemio, affronta i temi fondamentali della iurisdictio e della potestas condendi statuta. In presenza di un potere centrale forte esistente nell’isola, circoscrive l’autonomia delle universitates del Regno alla concessione sovrana. In questa direzione le consuetudini catanesi devono essere considerate legittime e vincolanti in quanto presentate al re, che «in Regno exercet iura imperii», e da lui confermate, e pertanto «serbari debent pro lege» (ibid., c. 11a n. 81). L’impostazione è certamente ripresa da Matteo degli Afflitti e dal filone francese che fa capo a Barthélemy de Chasseneuz, spessissimo citato e presente nelle opere dei giuristi siciliani.
La morte di Nepita è velata dal mistero. Secondo Mongitore (1708, I, p. 147) avrebbe perso la vita nel 1598 in occasione di tumulti occorsi nella città etnea. Fu sepolto nella chiesa di S. Francesco.
Fonti e Bibl.: A. Mongitore, Bibliotheca sicula, sive de scriptoribus siculis qui tum vetera, tum recentiora saecula illustrarunt, notitiae locupletissimae, I, Palermo 1708, pp. 144-147; F.M. Emanuele e Gaetani (marchese di Villabianca), Della Sicilia nobile, I, Palermo 1754, p. 235; Biblioteca di antica giurisprudenza Siciliana dell’avvocato Diego Orlando, Palermo 1851, p. 40; V. La Mantia, Storia della legislazione civile e criminale di Sicilia, I, Palermo 1866, p. 73; G. Mira, Bibliografia siciliana ovvero gran dizionario biografico siciliano, II, Palermo 1875, pp. 126 s.; M. Catalano, L’Università di Catania nel Rinascimento, in Storia dell’Università di Catania dalle origini ai nostri giorni, Catania 1934, pp. 62-66, 68 s.; C.E. Tavilla, Saggio di ricerca per una raccolta di notizie tradite sullo Studio etneo per i secoli XVI e XVII, in Insegnamenti e professioni. L’Università di Catania e le città di Sicilia, a cura di G. Zito, II, Catania 1990, pp. 269-279; G. Nicolosi Grassi, «Audiencia» e «quietitudine» alle lezioni di Cosimo Nepita, in Rivista Internazionale di diritto comune, I (1990), pp. 193-199; A. Romano, Fra assolutismo regio e autonomie locali. Note sulle consuetudini delle città di Sicilia, in Cultura ed istituzioni nella Sicilia medievale e moderna, a cura di A. Romano, Soveria Mannelli 1992, p. 48; G. Nicolosi Grassi - A. Longhitano, Catania e la sua Università nei secoli XV-XVII. Il codice «Studiorum Constitutiones ac Privilegia» del Capitolo Cattedrale, Roma 1995, 184-188; M. Bellomo, Modelli di Università in trasformazione. Lo Studium Siciliae Generale di Catania tra Medioevo ed età moderna, in Rivista internazionale di diritto comune, VI (1995), p. 7-27; R. Sorice, Una controversia universitaria nello Studio catanese alla fine del secolo XVI, ibid., pp. 251-279.R. Di Giorgi, Documenti decorati della Sicilia, in Segni manuali e decorazione nei documenti siciliani, a cura di D. Ciccarelli, Palermo 2002, p. 120.