RIDOLFI, Cosimo
RIDOLFI, Cosimo. – Nacque a Firenze il 23 agosto 1570, da Pietro di Lorenzo, del ramo di Piazza, e da Maddalena Salviati.
Il padre era stato condannato a morte, nel 1575, per aver cospirato con Orazio Pucci e altri giovani fiorentini contro il governo mediceo: graziato, gli era stata commutata la pena nel carcere a vita al Bargello, dove morì nel 1589.
Nel 1594 Ridolfi venne nominato cavaliere dell’Ordine di S. Stefano, dopo aver ottenuto indietro vari beni e diritti perduti dal padre in seguito alla condanna. Ancora giovane, sposò Alessandra, figlia di Alessandro Capponi, che morì senza figli nel 1595. In seconde nozze prese in moglie quello stesso anno Laudomia, figlia di Giuliano Ricasoli, che gli diede un figlio, Niccolò, nato nel 1603.
Ridolfi aveva una residenza in città, nel tradizionale palazzo signorile di via Maggio, e un’imponente tenuta agricola a Meleto, a sud di Firenze, nei pressi di Castelfiorentino, dove lui e la sua famiglia trascorrevano la maggior parte del tempo. Membro del patriziato fiorentino, figura di spicco nella vita culturale cittadina a cavallo tra Cinque e Seicento, godeva di una certa familiarità con personaggi in vista della corte, come Curzio Picchena o Girolamo della Sommaia. Ascritto all’Accademia della Crusca (dapprima registrato sotto il nome di Colmo), ne fu consigliere (dal 6 agosto 1591 al 19 febbraio 1592) e arciconsolo (dal 4 agosto 1593 al 9 febbraio 1594). Dal 1593 si occupò della revisione del Purgatorio per l’edizione della Divina Commedia curata dalla Crusca (Firenze, D. Manzani, 1595).
Fu mecenate di alcuni letterati: è il dedicatario dei Floris Italicae linguae libri novem, di Agnolo Monosini (Venezia 1604) e di un sonetto di Gabriello Chiabrera (Delle Poesie. Parte prima (-terza), Firenze 1618-1619).
La sua fama è legata soprattutto alla sua appartenenza all’Accademia dei Lincei. Ridolfi, infatti, fu uno dei membri della ‘colonia toscana’ della prima Accademia fondata da Federico Cesi.
A Cesi, che sollecitava indicazioni per nuove possibili ascrizioni, nel maggio del 1613 Filippo Salviati, anche a nome di Galileo Galilei, aveva presentato Ridolfi come «filosofo libero, cavaliere di concetti nobilissimi, huomo di grandissimo studio, e tale in tutte le sue azzioni, da apportar piuttosto onore e gloria alla sua famiglia, così principale, che mendicarne da lei…» (Gabrieli, 1996, n. 240).
Nel manifestare al principe il suo preventivo gradimento (15 giugno 1613), Ridolfi a sua volta scriveva: «Et benché io vegga, che l’essermi messo a così gran paragone renda l’insufficienza et il demerito mio più noti, tuttavolta per altro rispetto stimo minore la perdita del guadagno, quale è di mostrare al mondo, che sebene non sono atto per me medesimo all’acquisto di niuna vera e pregiata cognizione, habbia però hauto la Iddio mercè tanto di sapere che mi sia procurato compagni, i quali, liberamente filosofando, mi mostrano il dove si cammina per arrivarvi» (n. 363).
La proposta fu portata in Accademia dal principe nell’adunanza del 16 luglio e riscosse la concorde approvazione anche del Liceo di Napoli e di Marcus Welser da Augusta: l’ascrizione fu decisa (non è nota la data precisa); in settembre Ridolfi ricevette l’anello linceo dai suoi padrini accademici e si affrettò a ringraziarne Cesi. Dopo di allora, però, non c’è traccia di alcun altro suo rapporto con il principe né con i sodali: fu infatti sempre Galilei a farsi mediatore delle comunicazioni di servizio tra gli uni e l’altro.
Nell’agosto del 1614, ad esempio, Cesi pregava ancora Ridolfi di scrivere a tutti i colleghi per il saluto rituale, precetto che egli (del resto non il solo) non aveva ancora rispettato. D’altro canto, fu Galilei a ricevere il suo voto a proposito dell’ascrizione di Filippo Pandolfini in quello stesso mese.
La proposta di Ridolfi alla nomina lincea da parte di Salviati e Galilei (con il quale era in contatto almeno dal 1612) si basava probabilmente sui suoi noti interessi per l’astronomia, l’astrologia e la filosofia naturale; interessi che egli coltivava, tuttavia, in un ambiente culturale piuttosto lontano, quando non apertamente ostile, nei confronti della nuova scienza.
Il carteggio dell’ebreo fiorentino Benedetto Blanis con don Giovanni de’ Medici, figlio naturale di Cosimo I, depone con certezza per l’appartenenza di Ridolfi al ristretto circolo che condivideva con Medici interessi per le scienze occulte. Particolarmente eloquente, in tal senso, una lettera di Ridolfi a Medici del 25 giugno 1618 inviata da villa Meleto, in cui pregava il suo corrispondente di voler condividere a distanza «quella sorte di studii dove ella benissimo sa che gusto et ne’ quali consumo gran parte del tempo, vedendo di quelle cose che il mondo crede con la sua tiepida conoscenza non potersi navigare oltre le colonne d’Ercole» (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 5141, c. 47r).
Nel ‘circolo magico’ di villa Meleto (Goldenbergh, 2011a, p. 169), evidentemente il vero laboratorio alchemico-astrologico di Ridolfi, erano di casa cortigiani di don Giovanni, – come Cosimo Baroncelli e l’abate vallombrosano don Orazio Morandi –, ma anche agenti al servizio di aristocratici, principi e cardinali, per i quali procuravano libri e oggetti legati alla cultura magico-cabalistica, come Blanis, il frate Ascanio Canacci, ma anche il pievano di Castelfiorentino Giannozzo Attavanti, che assolveva a quello stesso compito per conto del cardinale Alessandro Orsini.
Già nel 1605 Canacci aveva avuto contatti con Ridolfi a Firenze per la possibile pubblicazione del Theatro infinito di un Zefirele Thomaso Bovio di Verona, voluta da don Antonio de’ Medici. Nelle prime settimane del settembre 1616, Attavanti preparava un soggiorno presso villa Meleto, durante il quale lavorare con Ridolfi a «cavar l’oro dall’Argento» secondo la ricetta di un fra Apollinare (Attavanti a Ridolfi, 1° settembre 1616, Roma, Archivio storico capitolino, Archivio Orsini, b. 351, n. 473, Corrispondenza di diversi agenti addetti all’Em.ma Casa Orsini). Alcuni mesi dopo, era Morandi a recarvisi per andare a prendere «l’Azot bramato» da Orsini insieme con «tutte le scritture attenenti ad esso» (Morandi a Orsini, 1° luglio 1617, b. 361, n. 40), e a esaminare con Cosimo le preplessità del cardinale a proposito della sua preparazione (1° dicembre 1617, n. 41).
La familiarità di Ridolfi con Attavanti è documentata anche da fonti galileiane. Dalla deposizione resa da Ferdinando Ximenes (novembre 1615) all’inquisitore di Firenze in seguito alle denunce dei domenicani Niccolò Lorini e Tommaso Caccini contro Galilei e i suoi discepoli, sappiamo che nel 1614 Ridolfi era stato presente, insieme con il pievano, alle frequenti dispute sul tema che «la terra si muove et che il cielo è immobile» presso il convento dei domenicani a S. Maria Novella (Le opere di Galileo Galilei, 1908, pp. 316 s.). Come noto, il conseguente esame di Attavanti (additato anch’egli come membro della setta dei galileisti) da parte dell’inquisitore fiorentino avrebbe di fatto scagionato Galilei dalle accuse mossegli dai suoi oppositori.
Morì a Firenze il 19 gennaio 1619 a villa Meleto, soffocato da una congestione di catarro, un evento che Morandi sostenne allora di aver previsto.
Grande ne fu lo sconcerto, tanto in Galilei quanto nei suoi amici negromanti, sollevati dal fatto che egli avesse avuto il tempo di confessarsi e ricevere l’estrema unzione.
Dopo la sua morte, l’interesse degli amici astrologi si concentrò sulla sua biblioteca, una collezione amorevolmente assemblata di testi «di stillatione e di strologia» (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 5150, c. 293r), in cui «da altri principalissimi libri non manca cosa alcuna» (c. 420v). Sicuramente vi erano tutte le opere di Paracelso e di Cardano, oltre che, forse, un Albero della Kaballah trascritto da Lippiano (Goldberg, 2011b, p. 283). Un ruolo di primo piano nella gestione di questo lascito spettò alla vedova di Ridolfi, Laudomia, da sempre ostile agli interessi astrologici del marito e decisa a tenerne lontano il figlio, ancora fanciullo.
Già alla fine di marzo del 1619, Blanis entrò in trattative con la vedova per acquisire il lascito dei libri per conto dei suoi committenti e principalmente di Giovanni de’ Medici. Laudomia riuscì a resistere abilmente ai raggiri di Blanis (che arrivò ad affermare di operare per conto dello stesso Ridolfi, apparsogli in sogno, per salvaguardare il figlio), alle sue insistenti e pretestuose visite, ai suoi doni e favori; prese tempo adducendo difficoltà nel loro trasferimento in città e facendo false promesse.
Secondo le ultime notizie di cui disponiamo, risalenti al giugno del 1620, alcuni volumi (non è noto quali) dovevano essere passati tramite l’abate Morandi al cardinale Orsini; il grosso della biblioteca, invece, era arrivata per canali tenuti allora volutamente ignoti in possesso di Giovanni Ronconi, medico di Laudomia come anche della famiglia Galilei, in predicato in quel momento di essere ceduti a Giovanni de’ Medici. Dopo di allora, il destino dei libri cade nel mistero. Uno solo dei volumi personali di Laudomia, Prediche di Frate Hieronymo da Ferrara (1496), ricomparve nella biblioteca personale del principe Franz Joseph II del Liechtenstein (1906-1989) e fu poi acquistato dalla biblioteca dell’Università del Missouri al mercato antiquario.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico capitolino, Archivio Orsini, Corrispondenza di diversi agenti addetti all’Em.ma Casa Orsini, bb. 351, n. 464b, n. 466, n. 473; 361, cc. 41-42. Le fonti lincee sono segnalate in Gabrieli 1989. Le lettere relative a Ridolfi, conservate nel Carteggio Blanis - Giovanni de’ Medici, sono segnalate ed edite in Goldberg 2011b, passim; http://www. accademicidellacrusca.org/ scheda.asp?IDN=716; http:// library.missouri. edu/news/special-collections/qo-libro-e-dela-signora-laudomia-ricasoli-ridolfi.
B. Odescalchi, Memorie istorico-critiche dell’Accademia de’ Lincei e del principe Federico Cesi…, Roma 1806, pp. 117, 119; D. Carutti, Breve storia della Accademia dei Lincei, Roma 1883, p. 163; Le opere di Galileo Galilei. Edizione nazionale, XI-XII, Firenze 1901-1902; XIX, Firenze 1908, ad indices; G. Gabrieli, Contributi alla storia della Accademia dei Lincei, Roma 1989, passim; Id., Il carteggio Linceo, Roma 1996, nn. 240, 242, 252 s., 248 s., 266, 269, 271, 383, 435, 451, 469, 525, 532; E.L. Goldberg, A jew at the Medici court : the letters of Benedetto Blanis hebreo (1615-1621), Toronto 2011a, passim; Id., Jews and magic in Medici Florence: the secret world of Benedetto Blanis, Toronto 2011b, passim; L. Guerrini, Cosmologie in lotta: le origini del processo di Galileo, 2010, p. 152 nota.