COSMATI
. Il nome di Cosmati, come anche quello di arte cosmatesca, è moderna espressione convenzionale, derivata dal frequente ripetersi del nome di Cosma, per denotare gli artefici romani che lavorarono in quell'interessante periodo d'arte che va in Roma e nel Lazio dal principio del sec. XII ai primi del XIV, che è l'epoca più viva e feconda del Medioevo romano.
L'opera dei Cosmati è essenzialmente opera di marmorarî, e tali infatti si affermano nelle numerose iscrizioni poste sulle loro opere, tale è il titolo della corporazione che li accoglieva, sopravvivenza dei collegia del tempo romano. Tale opera ha pertanto scarsi rapporti con gli schemi architettonici degli edifici chiesastici, che conservano la forma basilicale senza alcuna interferenza delle nuove correnti romaniche e gotiche; e si svolge invece nel campo dell'architettura decorativa e degli elementi ornamentali in marmo e in mosaico, nei pavimenti, nei ciborî, nelle iconostasi, nelle tombe, nei portali e nei portici esterni, nei chiostri, ecc.
Ivi si manifesta con una vivacissima fioritura di uno stile originale ma che sarebbe affatto erroneo considerare avulso dalla tradizione, che può dirsi un Rinascimento in anticipo in quanto riprende le forme classiche e le adatta a funzione di vita nuova, m che insieme assimila tecniche e arti fiorenti in altre parti d'Italia e specialmente nel Mezzogiorno.
Tra questi "magistri romani" fiequenti erano le collaborazioni nei singoli lavori. Più frequenti ancora i rapporti di parentela, ché doveva essere abituale la trasmissione dal padre ai figli non solo della pratica dell'arte, ma anche della proprietà delle officine, ricche di marmi e di modelli tratti da monumenti antichi. Ci è infatti possibile il ricomporre vere dinastie di artefici. La più antica è quella di magister Paulus che al tempo di Pasquale II lavora in Ferentino ed è designato come vir magnus e che ebbe per figli Giovanni, Pietro, Angelo e Sasso, la cui opera rifulge nel ciborio marmoreo di S. Lorenzo fuori le Mura in Roma (gli altri ciborî degli stessi autori di cui ci è notizia nelle chiese di S. Marco, dei Ss. Apostoli e di S. Croce in Gerusalemme non più esistono); e forse figlio di Angelo, di questa famiglia, è quel Nicolaus Angeli che tanto lavorò a Gaeta, a Sutri, a Roma in S. Paolo e in S. Giovanni.
Anche nel sec. XII abbiamo le famiglie di Guido col figlio Giovanni e di Ranuccio coi figli Pietro e Nicola, che hanno lasciato tracce della loro opera a S. Maria di Castello in Tarquinia; nel sec. XIII quella di Drudus de Trivio, che, dopo aver lavorato lungo tempo solo, appare nel 1240 a Lanuvio col figlio Angelo; di un magister Salvatus che nei documenti del monastero di S. Alessio in Roma è menzionato insieme coi figli Pietro, Giovanni, Iacopo; di Ranieri che nelle finestre del monastero di S. Silvestro in Capite si firma coi figli Nicola e Pietro.
Ma, tra tutte, le dinastie più celebri sono quelle dei Cosmati e dei Vassalletti. Quanto ai primi, le recenti indagini hanno sdoppiato quella che era finora ritenuta una famiglia unica (a cui si riferivano le differenti ipotesi genealogiche del De Rossi e del Boito) in due distinte famiglie, distaccate tra loro per tempo e per stile d'arte. Della prima è capostipite Lorenzo di Tebaldo (op. 1162-1185), che ha per figlio Iacopo I (op. 1185-1217) e per nipote Cosma (op. 1210-1240), da cui nascono Luca (op. 1231-1255) e Iacopo II (op. 1251-1240). Nella seconda famiglia è un Cosma di Pietro Mellini (op. 1264-1279) coi quattro figli: Iacopo (op. 1293), Giovanni (op. 1299), Adeodato (op. 1300-1332), Pietro (op. 1292-1297).
Quanto alla famiglia dei Vassalletti, può la discendenza (cfr. G. Giovannoni, Opere dei Vassalletti marmorari romani, in L'Arte, 1908) ristabilirsi così: Pietro Vassalletto (1154-1186), Vassalletto II (1190-1225). Nicola (?) Vassalletto (1215-1262).
Rimane una serie di altri nomi, non aggruppati in famiglie: Pasquale, autore del candelabro di S. Maria in Cosmedin, Rustico che ha lavorato a Ponzano romano, Andrea, Giovanni, Pietro, Gualtiero e Moronto, a cui si deve la suppellettile della chiesa di Alba Fucense, Pietro de Maria, romano opere et maestria, autore del chiostro di Sassovivo, e Pietro e Oderisio che nel 1268-69 scolpirono in Westminster le tombe di Edoardo il Confessore e di Enrico III ed eseguirono i mosaici del pavimento nel presbiterio.
Il centro di attività dei Cosmati fu a Roma; ma, con la singolare mobilità degli artefici nel Medioevo, li troviamo spesso, e l'esempio ultimamente citato è il più significativo, in punti assai lontani. Le città del Lazio settentrionale (Viterbo, Sutri, Tuscania, Civita Castellana) e del meridionale (Terracina, Anagni, Ferentino, Fondi), l'Abruzzo e i paesi circostanti (Alba Fucense, Rocca di Botte, Arsol;, Subiaco), l'Umbria e le Marche (Foligno, Assisi, Orvieto, Teramo) hanno copia delle loro opere, talvolta schiette, talvolta eseguite in collaborazione con artefici locali.
Lo stile cosmatesco può dividersi in tre periodi. Il primo, che comprende quasi tutto il sec. XII, è periodo di formazione in cui lo stile si plasma sotto l'azione delle diverse influenze, tra cui la più importante è certo quella della corrente siculo-campana, nei punti d'incontro di Amalfi, di Montecassino, di Capua, di Gaeta, di Salerno, di Terracina.
Il secondo periodo è quello dello stile maturo e pienamente padrone dei suoi mezzi, e si estende (per quello che sia possibile definire il limite di uno stile) circa dalla fine del sec. XII sino a comprendere il terzo quarto del sec. XIII. Le sue manifestazioni più significative sono in Roma i chiostri di S. Giovanni e di S. Paolo, opera la prima certa, la seconda probabile dei Vassalletti, e l'atrio e parzialmente la sistemazione interna della chiesa di S. Lorenzo fuori le Mura, il portico di S. Saba e il portale del convento di S. Tommaso in Formis, in cui Iacopo di Lorenzo tradusse nel nuovo stile gli schemi medievali; fuori di Roma i chiostri di Subiaco e di Sassovivo ma soprattutto l'atrio della cattedrale di Civita Castellana, ove nel 1210 Iacopo cum Cosma filio suo carissimo firmò alla sommità del grande arco trionfale. È questo il capolavoro dello stile. Lo stesso concetto di forma classica che più di duecento anni dopo ispirerà il Brunelleschi nella cappella dei pazzi in Firenze qui appare nella sua pienezza e grandiosità
Il terzo periodo cosmatesco è caratterizzato dalle influenze gotiche, che vengono un poco dai nuovi centri cisterciensi del Lazio meridionale e molto dalla Toscana. Arnolfo, con la tomba di Guglielmo De Braye in Viterbo, ispirata a sua volta ai modelli di Giovanni Pisano, e coi ciborî romani di S. Paolo (1285) e di S. Cecilia (1294), fornì il tipo a edicola archiacuta, che fu subito seguito nelle tombe di Adriano V in S. Francesco di Viterbo, del cardinal Consalvo e del Durand in Roma, della famiglia Caetani in Anagni, nei ciborî di S. Maria in Cosmedin e di S. Giovanni, opere di Adeodato di Cosma. Nella cappella Sancta sanctorum, al Laterano, Cosma stesso (1277-1280) direttamente s'ispira alla linea di S. Francesco d'Assisi.
Poi venne per l'arte cosmatesca il brusco tramonto; ma pure in portali e in hnestre del Trecento e del Quattrocento e specialmente nei pavimenti, che seguono talvolta fino nel Cinquecento (Cappella Sistina, S. Pietro in Montprio, palazzo di Giuliano della Rovere) il tipo del fastoso tappeto di pietre colorate, si hanno interessanti esempî della latente continuità di un'arte e di una tecnica che avevano avuto così deciso e fiorente avviamento stilistico.
Tipologia delle opere. - La suppellettile chiesastica è costantemente data dalla schola cantorum, racchiusa in plutei non molto alti, che invade parte della nave maggiore delle basiliche e talvolta è separata dal presbiterio mediante le colonnine dell'iconostasi. Gli amboni in cornu epistolae e in cornu evangelii, il ciborio, il candelabro per il cero pasquale, la cattedra vescovile la completano, e nel ricco pavimento a mosaico del cosiddetto opus alexandrinum, quasi sempre si accentua, nella successione dei girari che s'intrecciano, la linea mediana della chiesa (S. Maria in Cosmedin, S. Clemente, S. Saba a Roma, S. Antonio a Nazzano romano, S. Pietro d'Alba Fucense).
Il ciborio è in forma di edicola quasi costantemente a tipo architravato, completato da un semplice o doppio ordine di colonnine, sorreggenti una piramide ottagonale ovvero una copertura a doppia falda (S. Paolo fuori le Mura, S. Clemente a Roma; S. Elia di Nepi, S. Giorgio in Velabro, cattedrali di Anagni, di Ferentino, di R0cca di Botte, di Terracina, ecc.), affini in questo agli esempî meridionali di Bari, Montevergine, S. Angelo in Formis. Rare eccezioni sono dame da edicole arcuate, più affini allo schema bizantino (S. Agata dei Goti, S. Maria d'Aracoeli a Roma, S. Giovanni d'Argentella a Palombara); finché, come s'è visto, il tipo gotico irrompe e, pur unito a elementi cosmateschi nelle sagome e nel mosaico, modifica sostanzialmente la forma con l'arco acuto, i pinnacoli, i frontoni.
Le tombe seguono fedelmente il tipo del ciborio nella sua evoluzione, dalla tomba Fieschi in S. Lorenzo fuori le Mura e da quella anonima nell'atrio dei Ss. Cosma e Damiano, appartenenti allo schema architravato, a quelle gotiche testé citate. Gli amboni sono di un tipo massiccio, a doppia o a semplice scala di accesso, completamente diversi da quelli sorretti a colonne che prevalevano sia nella scuola siculo-campana sia nella romanica, toscana o lombarda. Le cattedre vescovili hanno il dossale alto e rivestito di mosaico (S. Lorenzo fuori le Mura, S. Balbina) e solo nel duomo di Anagni l'arte di Vassalletto iunior trasforma la composizione con possente semplicità, e, riprendendo il motivo della cattedra di Alfano in S. Maria in Cosmedin, limita il mosaico a un disco formante quasi nimbo alla testa del vescovo celebrante. Il candelabro pasquale, se si tolga l'esempio eccezionale di S. Paolo di Roma ove Nicola d'Angelo e Pietro Vassalletto hanno voluto affrontare la scultura figurativa, sono ricche opere decorative in cui viene di solito usata la colonna tortile, che già l'architettura romana aveva frequentemente adottata.
Negli atrî delle chiese costante è il tipo del portico architravato con vere e proprie ante alle estremità e col fregio ravvivato dai mosaici, finché la concezione geniale di Iacopo e di Cosma in Civita Castellana non interrompe la linea col grande arco che ha sulla cornice la sua linea d'imposta.
Nei chiostri, infine, la più completa manifestazione di quest'arte fiorita, il rozzo tipo del portico ad arcatelle proprio dell'architettura romanica, s'ingentilisce e si ravviva. Il prototipo lombardo, trapiantato in Roma quasi senza modificazioni, è rappresentato dai chiostri di S. Cecilia e di S. Lorenzo fuori le Mura, in cui appare la stessa arte rude dei forti campanili. Il chiostro dei Ss. Quattro Coronati è opera di transizione; quelli di S. Sabina e di S. Cosimato a Roma, di Sassovivo (1229 e segg.), di Subiaco (1210-1240) rappresentano il tipo completo ormai raggiunto; e i chiostri di S. Giovanni in Laterano (1215?-1232) e di S. Paolo (1205?- 1240), sono vere meraviglie d'arte decorativa. Classiche le cornici e classici molti dei capitelli di tipo corinzio, vivacissima l'ornamentazione scultoria, pieno di libera varietà il tipo delle colonnine e dei loro ornati; sobria l'applicazione del mosaico sapientemente adoperato (specialmente nel chiostro di S. Giovanni, più organico e felice) in funzione architettonica; perché la grande trabeazione sovrastante alle arcatelle sarebbe di una gravezza intollerabile se la decorazione policroma nel fregio e nell'architrave non la frastagliasse e diminuisse. Il pensiero della proporzione classica così si realizza coi nuovi mezzi; ed è in questo quasi la definizione dell'arte cosmatesca, che è uno dei più interessanti fenomeni di riambientamento dell'arte italiana. (v. tavv. CXXI CXXVI e tav. colori).
Bibl.: C. Promis, Notizie epigrafiche degli artefici marmorari romani dal X al XV sec., Torino 1863; C. Boito, Architettura cosmatesca, Milano 1860; id., L'architettura del M.E. in Italia. I Cosmati, Milano 1880; G. B. De Rossi, in Bollettino d'arch. crist., 1875, p. 111 seg.; 1888-1889, p. 155; 1891, p. 73; D. Salazaro, L'arte romana nel Medioevo, appendice ai Monumenti dell'Italia meridionale, III, Napoli 1881; C. Frey, Genealogie der Cosmati, in Jahrb. der k. preuss. Kunstsammlungen, 1885; A. Frothingam, in American Journal of Archaeology, 1889, pp. 182, 350; G. Clausse, Les marbriers romains et le mobilier presbytéral, Parigi 1897; G. B. De Rossi, Musaici nelle chiese di Roma, II, Roma 1899; G. Giovannoni, Note sui marmorari romani, in Arch. Soc. rom. di storia patria, 1904; id., Un quesito architettonico nel chiostro di Monreale, in Rivista d'arch. ed arti dec., 1921; G. Tomassetti, Dei sodalizi in genere e dei marmorari romani, in Bullettino della Comun. arch. comunale, Roma 1906; A. Frothingam, The monuments of christian Rome, New York 1908; Faloci Pulignani, I marmorari romani a Sassovivo, Perugia 1915; A. Muñoz, Roma al tempo di Dante, Milano 1921; oltre alle trattazioni generali nel Venturi, Storia dell'arte ecc., II e III, e nel Toesca, Storia dell'arte italiana, I, p. 582 segg.
Per l'arte medievale romana anteriore ai Cosmati v. F. Mazzanti, La scoltura ornamentale romana nei bassi tempi, in Archivio storico dell'arte, 1896, fascicoli I, II, III.