TURA, Cosmè
Pittore ferrarese, nato circa nel 1430, morto nel 1495. Nel 1451 stima con Galasso pennoni dipinti da Giacomo Turola, nel 1452 fa per la corte estense un cimiero da offrirsi al miglior corridore nel pallio del giorno dedicato al patrono San Giorgio; nello stesso anno dipinge imprese e fogliami, indora cassettine di pasta di muschio e si parte da Ferrara. Visse a Padova e a Venezia fino al 1436, nell'anno seguente prese alloggio alla corte di Ferrara, nel 1458 dipinse nel duomo una Natività, e cominciò la decorazione dello studio del duca Borso nel palazzo di Belfiore. Fino dal 1460 era provvigionato dalla corte, per la quale fece cartoni d'arazzi (1467, 1475, 1479, 1480). Dal 1465 a quest'anno fu ad ornare la biblioteca dei Pico, signori della Mirandola, e nel 1467, tornato a Ferrara, s'impegnò a dipingere la cappella Sacrati in San Domenico. Compì nel 1469 le ante d'organo della cattedrale ferrarese e diede principio alla decorazione d'una cappella nella delizia di Belriguardo, terminata nel 1472. In quest'anno eseguì il ritratto d'Ercole I d'Este, e di Lucrezia sua figlia naturale, poi tre ne fece del bambino don Alfonso, primogenito del duca (1477), uno al naturale di Lucrezia d'Este (1479), un altro d'Isabella d'Este (1480). Dal 1477 al 1481 Cosmè attese a dipingere lo studio del duca di Ferrara, nel 1485 il ritratto della principessa Beatrice d'Este, nel 1490 aveva eseguito un'ancona d'altare per la chiesa di San Niccolò di Ferrara, un Sant'Antonio da Padova per monsignor d'Adria.
Il mondo padovano di Donatello e del Mantegna si riflette ancora nell'opera dell'età media del T., nelle ante d'organo della cattedrale ferrarese; ma le forme ferrigne, le pieghe spezzate, il paese vitreo e brullo, sono altrettanti segni del genio ribelle di Cosmè, che nell'anta di San Giorgio ci trasporta in un mondo di fiaba, truce, diabolico, a piè d'una montagna dantesca a gironi, sotto un torbido cielo, che dissecca le foglie dell'albero e arroventa le scarnite figure. Oltre agl'influssi padovani si notano in T. rapporti con le forme pittoriche della Germania meridionale, diffuse nell'Italia settentrionale durante il rigoglio del gotico fiorito. L'architettura del trono su cui siede la Primavera, già Layard, ce ne dà un esempio: il genio bizzarro dì Cosmè vi riversa tutte le sue smaglianti fantasie, sostituendo alle cornici lisce dei Toscani un arco formato da corpi di delfini, con pinne come aculei, denti a sega, occhi di rubino incastonati d'oro. Altri delfini s'ingobbano a formare i bracciali, altri si attorcono nelle basi del trono. In questo quadro, il più antico noto del T., egli ci appare nella tipica forma che manterrà per tutta la vita, aspra e splendente, spinosa e arrovellata, tale da trasportarci in un mondo fantastico, di mostri e di pietre preziose, di marmi rari e d'incandescenti metalli.
Vicina per effetto cromatico alle ante d'organo del duomo di Ferrara è la Pietà del Museo Correr a Venezia, tanto nel lividore delle vesti, quanto nelle foglie secche dell'albero tra cui risplende il lucido metallo delle arance d'oro. Si raffredda il colore nel Cristo morto sorretto da due angeli, a Vienna, nel Museo storico-artistico, fra intessanti contrasti che ne rafforzano l'intensità: pallore cinereo di carni tra note acutissime di turchino e di viola, incandescenze preziose nel gruppo lontano delle Marie. Gli smalti di Cosmè scintillano nei tondi di S. Maurilio della Pinacoteca di Ferrara, tra le forme scheletrite; e l'iscrizione di figure e architetture entro il tondo è raggiunta da un ritmo nervoso e infallibile, che nel Martirio del Santo disegna il cerchio delle figure intorno alla fiamma d'un sibilante vessillo. Grandeggiano i santi e il devoto nello sportello colonnese del trittico Roverella, animati dalla statuaria maestà del Mantegna, e nella lunetta del Louvre, composta come gruppo in plastico per una rappresentazione di misteri religiosi, con la violenza che penetra le creazioni del T., e che si estende dai volti angolosi alle mani contratte, alle pieghe ritorte, tutte creste e spigoli, su cui percuote e risplende il colore.
Le forme del Rinascimento, complicate da una flora lussureggiante e fantasiosa, trovano campo più vasto nell'ancona di Berlino, nel trono a piani sovrapposti, a predelle adorne di bassorilievi, a nicchia profonda, e nelle figure disposte in tre gradi, i due Santi, le due Sante, i due angioletti, a distanze misurate, in perfetto ordine architettonico. Dietro il trono, la parete s'apre in due arcate, sopra le quali girano lunettoni con statue di profeti su fondo a musaico d'oro. La luce fredda e limpida del cielo contrasta col tono rovente delle figure, le cui vesti hanno trasparenza d'agata e di onice: i putti sull'arcata sembrano lampade accese da una vermiglia fiamma; tutto pare scaldato dal fuoco, che trae scintille dalle tessere d'oro dei lunettoni, dalle scaglie multicolori dei marmi. La grande pala, abitata da figure salde e statuarie, che ci richiamano la monumentale stasi delle forme di Piero della Francesca, abbaglia i nostri occhi con la ricchezza dell'apparato, il fulgore dei metalli e dei marmi, proprî del meraviglioso fabbro che martella sull'incudine le immagini, perché la luce meglio si rifranga e folgori dagli spigoli delle forme, dagl'irti contorni. La potenza cromatica del T. raggiunge nelle ultime opere ardimenti estremi: esempio il contrasto lacerante tra la figura di San Giacomo, nel quadro della Galleria Estense, e il fantasmagorico paese spennellato di giallo e sanguigno. Deserti e brulli sono i paesi di Cosmè, ritorti come grovigli di radici i panni, tormentato sino al parossismo il contorno dei lineamenti; ma anche nelle ultime opere, quando il pittore, scostandosi dagli esempî di Toscana e dal Mantegna, non ascolta più che la propria barbara e indomita energia, e il suo colore s'accende di luci preziose che si sprigionano, per le asprezze della forma, dagli smalti e dai marmi traslucidi, Cosmè è il capostipite della tradizione cromatica ferrarese, in tutto il suo fiammeo splendore.
V. tavv. LXXV e LXXVI.
Bibl.: Scalabrini, Memorie istoriche delle chiese di Ferrara, Roma 1773; C. Cittadella, Catalogo istorico de' pittori e scultori ferraresi, Ferrara 1782; C. Laderchi, Descrizione della quadreria Costabili, ivi 1838; G. Baruffaldi, Vite de' pittori e scultori ferraresi, ivi 1844; L. N. Cittadella, Ricordi e documenti intorno alla vita di Cosimo T., detto Cosmè, ivi 1866; C. Laderchi, La pittura ferrarese, ivi 1856; F. Harck, Verzeichnis des Werke des Cosma T., in Jahrb. d. preuss. Kunstsamml., IX (1888), pp. 34-40; A. Venturi, Cosma T. genannt Cosmè, ibid., IX (1888), pp. 3-33; id., C. T. ne la Cappella di Belriguardo, in Il Buonarroti, 1885; id., Documenti relativi al T., in Arch. st. dell'arte, VII (1894), pp. 52-53; id., Storia dell'arte italiana. La pittura del Quattrocento, VII, iii, Milano 1914; id., La pittura del Quattrocento nell'Emilia, Bologna s. a.; id., Un raro disegno di C. T., in l'Arte, XXXI (1928), pp. 254-55; id., Un ritratto di C. T., ibid., XXXIII (1930), pp. 283-84; id., La pittura ferrarese del Rinascimento, in Boll. dell'esposizione della pittura ferrarese del Rinascimento, 1933; id., L'esposizione della pittura ferrarese del Rinascimento per il centenario ariostesco, in L'Arte, XXXVI (1933), pp. 367-90; R. Longhi, Officine ferraresi, Roma 1934.