Cosmogonie ioniche: Talete, Anassimandro, Anassimene
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Talete, Anassimandro e Anassimene formano la rinomata triade degli “scienziati ionici”, così detti perché nascono e sono attivi, a pochi decenni di distanza l’uno dall’altro, a Mileto, sulle coste della Ionia. Nonostante i problemi notevoli di ricostruzione del loro pensiero, gli studi più aggiornati mantengono valide le ragioni addotte dai commentatori antichi (a partire da Aristotele) per ritenere che a Mileto abbia avuto i suoi inizi, sotto la specie dello studio della natura, quella forma della razionalità che prenderà, nel IV secolo a.C., il nome di filosofia.
L’attività di Talete, il primo autore di cui siano tramandate opinioni sulla natura (nonché elementi di teoria astronomica e geometrica), si svolge fra la seconda metà del VII e i primi decenni del VI secolo a.C. La fioritura di Anassimandro è collocabile a meno di una quarantina d’anni da quella di Talete, dunque intorno alla metà del VI secolo a.C., mentre quella del terzo milesio, Anassimene, può essere di poco successiva. La tradizione biografica di età ellenistica lega i tre pensatori in successivi rapporti di discepolato, ma si tratta di una costruzione retrospettiva ispirata dalla constatazione dei loro comuni interessi naturalistici.
Di fatto, l’unità dell’interesse di fondo non impedisce che essi esprimano posizioni specifiche assai diverse sul principio della natura e la costituzione del cosmo, e si spiegherà, più che con una condivisione di “scuola” (di fatto la prima scuola filosofica antica è l’Accademia, fondata da Platone nel 388-387 a.C.), con la nascita comune a Mileto. Mileto è infatti in questi anni un attivo centro di scambi commerciali fra Oriente e Occidente, esposto a contatti con tradizioni culturali diverse che stimolano, fra l’altro, il confronto critico con i potenti modelli cosmologici elaborati nelle mitologie della Mesopotamia, della Fenicia, dell’Egitto.
Talete non affida le sue idee a uno scritto, e anche per questo la sua figura si espone ben presto ad essere avvolta da un’aura “archetipale”, assurgendo per esempio a emblema della vita teoretica nel celebre episodio del Teeteto di Platone, là dove suscita la derisione della servetta tracia perché, distratto dalla contemplazione delle stelle, finisce in un pozzo. Ma ancor più notevole è l’operazione che Aristotele compie nel primo libro della Metafisica, dichiarando Talete “iniziatore” di quell’indagine sulla causa materiale del divenire con cui ha avvio lo studio della natura (e con questa, la filosofia stessa), per aver identificato l’acqua come principio di tutte le cose.
Aristotele
Lo studio della natura
Metafisica, Libro I, 3, 983b6-984a2
La maggior parte di coloro che per primi hanno filosofato hanno ritenuto che i principi delle cose fossero unicamente di carattere materiale. Infatti essi dicono elemento e principio degli esseri ciò di cui tutti gli esseri sono costituiti e da cui prendono la loro origine e in cui si risolvono da ultimo, e la cui realtà permane pur mentre muta secondo le affezioni [...] (983b18) Tuttavia sul numero e la specie di siffatto principio non la pensano tutti allo stesso modo. Talete, iniziatore di questo tipo di filosofia, dice che esso [principio] sia l’acqua (perciò ha anche affermato che la terra poggia sull’acqua), ricavando probabilmente quest’ipotesi dalla constatazione che il nutrimento di tutte le cose è umido, e il caldo stesso nasce dall’umido e in esso vive (e ciò da cui ogni cosa nasce, delle cose è principio): è dunque in base a tale considerazione che formula questa ipotesi, e per il fatto che i semi di tutte le cose hanno natura umida, e l’acqua è principio naturale delle cose umide. Ci sono in verità alcuni che ritengono che pure gli uomini antichissimi vissuti anche molto prima della presente generazione, e che per primi hanno discorso degli dèi, sostenessero un’ipotesi del genere riguardo alla natura. Infatti hanno posto Oceano e Teti come autori della generazione, e l’acqua, da loro chiamata Stige, come ciò su cui giurano gli dèi: ora la cosa più antica è quella più stimata, e la cosa più stimata è quella su cui ha luogo il giuramento. Ma è poco chiaro se questa opinione, in qualche modo venerabile e antica, si sia trovata a vertere intorno alla natura: fatto sta che di Talete si dice che si sia espresso precisamente così intorno alla causa prima.
Aristotele, Metafisica, trad. redaz.
Forte dell’autorità di Aristotele, la posizione di Talete come “padre della filosofia” ha attraversato indenne i secoli più o meno fino a quando, sull’onda degli studi antropologici del mondo antico che ha caratterizzato la prima metà del Novecento, storici del pensiero religioso e filosofico greco come Francis Macdonald Cornford e Walter Burkert – per fare solo due nomi fra i più significativi –, “riscoperto” il valore del mito come veicolo di pensiero, si sono spesi a rintracciare nel mondo delle mitologie orientali gli antecedenti dei punti di vista sul cosmo proposti dai naturalisti ionici. Il precedente più ovvio, per Talete, era la nozione di un’origine del cosmo da una massa di acque primordiali, reperibile in testi non a caso prodotti nell’ambito di grandi civiltà fluviali come la Mesopotamia e l’Egitto, e rappresentata anche nella più antica poesia greca dalla figura del fiume cosmico Oceano. Ma va notato che Aristotele stesso, nel passo della Metafisica riportato qui accanto, menziona “alcuni” autori che attribuiscono una speculazione sulla natura agli “antichissimi” poeti (Omero ed Esiodo) che per primi hanno discorso sugli dèi, ponendo come “padri della generazione” figure divine del mare come Oceano e Teti, o affermando che gli dèi giurano sul fiume infernale Stige. Aristotele polemizza qui con operazioni come quella compiuta dal sofista Ippia di Elide, che sappiamo aver redatto una raccolta di tutte le opinioni sulla natura espresse nella tradizione precedente. Opponendosi a quella che ritiene una sorta di “omogeneizzazione” culturale, Aristotele sottolinea che l’opinione di Talete si presenta come la prima che si è focalizzata chiaramente sulla natura: ovvero – diciamolo con parole nostre, ma aderenti all’intenzione aristotelica – mirando a risolvere un problema specifico, identificando come principio della natura non un’entità divina ma un elemento fisico come l’acqua, e basandosi su un procedimento inferenziale (l’osservazione del ruolo dell’umido nei fenomeni vitali). Se accettiamo di attribuire al procedere di Talete queste caratteristiche, come tende a fare oggi buona parte degli storici del pensiero antico, possiamo continuare a concedergli il titolo di “padre della filosofia”. Inoltre, vedremo ora che gli stessi tratti caratterizzano il procedere di Anassimandro e Anassimene, il che ci consentirà di considerare la riflessione degli ionici, più in generale, come il luogo di incubazione della filosofia, intesa come attività di pensiero consapevole e critica.
Se risale effettivamente a Talete il detto “tutto è pieno di dèi” che gli viene attribuito anticamente, egli non avrà voluto con esso indicare che gli dèi personali della religione tradizionale siano attivamente presenti nel mondo naturale, ma semmai esprimere una visione della natura come animata, nel suo insieme, da un potere interno di movimento (un simile potere pare egli invochi per spiegare le proprietà attrattive del magnete).
Analogamente, Anassimandro ascrive la qualità dell’immortalità, attributo tradizionale degli dèi olimpici, all’entità personale e astratta (benché concepita materialmente) in cui identifica il principio del divenire cosmico: ovvero l’apeiron, un principio “senza limiti”, per dimensione ma anche in quanto mancante di differenziazione interna, e che grazie a queste caratteristiche funge come una sorta di serbatoio inesauribile del divenire. Il mondo di Anassimandro non richiede un intervento creatore o ordinatore di persone divine, e questa assenza ha un significato forte di innovazione nei confronti di una visione mitica dell’origine del cosmo quale la cultura greca aveva già espresso, per esempio, nella Teogonia di Esiodo.
Esiodo
L’origine del cosmo
Teogonia, vv. 116-138
E dunque prima di tutto venne ad essere Chaos, quindi di seguito
Gaia dall’ampio seno, sede per sempre sicura di tutti
gli immortali che dimorano sulle cime del nevoso Olimpo,
e Tartaro caliginoso nei recessi della terra dalle larghe vie,
e inoltre Eros, che è il più bello fra gli dèi immortali,
che scioglie le membra, e di tutti gli dèi e tutti gli uomini
doma nei petti il pensiero e il saggio volere.
Da Chaos nacquero Erebo e la nera Notte,
e da Notte vennero fuori a loro volta Etere e Giorno,
che essa concepì e generò essendosi unita in amore con Erebo.
Gaia, lei, per primo generò pari a sé
Urano stellato, sì che la coprisse tutta d’attorno,
e che fosse sede per sempre sicura degli dèi beati.
Generò inoltre grandi monti, grazioso soggiorno delle dèe
Ninfe, che abitano i monti sparsi di antri,
e ancora generò il mare privo di messi, ribollente di flutti,
Ponto, senza il tenero amore. Ma in seguito,
giaciuta con Urano, generò Oceano dai vortici profondi,
e Ceo e Creio ed Iperione e Giapeto,
e Tia e Rea e Temi e Mnemosyne
e Febe dall’aurea corona, e l’amabile Teti.
Dopo di loro, più giovane fra tutti, nacque Crono dagli obliqui pensieri,
il più terribile dei figli, e prese in odio il potente genitore.
Esiodo, Teogonia, trad. di E. Vasta
Per il milesio, infatti, il cosmo si è formato in origine per il distaccarsi di un nucleo “generatore” di “caldo” e “freddo” da un principio “eterno”, che è appunto l’apeiron (si noti come qui e oltre Anassimandro fa agire, come già Talete e in forma più elaborata, un’analogia con la fenomenologia della crescita biologica). Il caldo si configura come una sfera infuocata all’interno della quale, in posizione perfettamente centrale, si colloca la massa più fredda della terra, che ha forma di tronco cilindrico.
Anassimandro
L’origine del mondo e dell’uomo
Dice [Anassimandro] che nella generazione di questo cosmo si staccò l’elemento generatore dall’eterno sia del caldo che del freddo, e che da esso nacque una sfera di fiamma intorno all’aria circondante la terra, come una corteccia intorno all’albero: e che, spezzatasi questa sfera e separatasi in alcuni cerchi, ne nacquero il Sole e la Luna e gli astri. Disse ancora che l’uomo si generò da principio da animali diversi da esso, a partire dal fatto che gli altri animali presto si nutrono ciascuno da sé, mentre l’uomo, soltanto esso, ha bisogno d’un lungo allattamento: orbene l’uomo, se avesse avuto tale natura nel principio, non si sarebbe potuto salvare.
Ionici. Testimonianze e frammenti, a cura di A. Maddalena, Firenze, La Nuova Italia, 1963
La terra è circondata da uno strato atmosferico al quale aderisce lo strato esterno del fuoco (paragonato a una corteccia), che poi, sotto la pressione dell’aria, si divide in più cerchi inframmezzati da cerchi di vapore: Sole, Luna, stelle corrispondono al trasparire del fuoco in grandi squarci circolari che si aprono nel vapore, come attraverso “canne di mantice” (12 B 4 DK; qui l’immagine è tratta dall’ambito dell’operare tecnico, ma non fa che confermare l’uso di un procedimento analogico che mostra la sua vitalità lungo tutto l’arco della scienza antica, come ha mostrato Geoffrey E. R. Lloyd nel suo fondamentale studio su Polarità e analogia. Due modi di argomentazione nel pensiero greco classico, 1966).
La nascita della vita animata ha luogo secondo modalità analoghe di interazione fra fattori fisici: i primi animali sarebbero nati dall’umidità riscaldata dal Sole, avvolti anch’essi da cortecce spinose, per passare successivamente sulla terraferma, su cui sarebbero sopravvissuti per poco tempo a causa del rompersi della corteccia nel nuovo habitat; e gli uomini, dal canto loro, si sarebbero sviluppati nel ventre di una particolare specie di pesci entro il quale sarebbero stati nutriti e protetti fino a quando hanno potuto rendersi autonomi sulla terra. Anche senza voler sottolineare le risonanze “darwiniane” che questo quadro evoca, va notato almeno come esso si collochi agli antipodi di un racconto mitico in cui la creazione dell’uomo è attribuita a questo o quel dio.
Ma torniamo alla formazione degli astri, per rammentare che la distanza dalla terra dei cerchi di stelle-luna-sole è precisata da Anassimandro nei termini di 9-18-27 volte il diametro della terra. Si riflette in questa costruzione un’idea di simmetria ed equilibrio del cosmo, che per altro verso si esprime nella nozione della posizione centrale della terra nell’universo, nonché nel celebre fr. 1 di Anassimandro, che è anche il primo testo originale conservato di tutta la tradizione filosofica greca.
Anassimandro
Le grandi masse cosmiche
Frammento 12 B 1 DK
Di dove è la nascita per le cose che sono, qui ha luogo anche la loro distruzione, secondo il dovuto: esse infatti scontano reciprocamente la pena e il fio dell’ingiustizia in base alla disposizione del tempo.
Le “cose” di cui si parla in questo frammento sono le grandi masse cosmiche del vento, dell’acqua, del vapore, del fuoco, che una volta emerse dall’apeiron entrano nel gioco conflittuale del succedersi delle stagioni, dell’alternanza giorno-notte, o del ciclo delle acque che evaporano dalla terra per ritornarvi in forma di pioggia. Il prevalere dell’una sull’altra rappresenta un’ingiustizia che va risarcita, entro un determinato limite di tempo, dando spazio a una massa opposta. Nelle parole di Anassimandro possiamo dunque vedere la prima affermazione di una legge cosmica imperniata su un principio di equilibrio, ed è notevole che questa sia ispirata, di nuovo, da un procedimento analogico, questa volta giocato su una situazione giuridica. Va detto che si tratta di un equilibrio “in tensione” e non è del tutto immanente al mondo, nel senso che il divenire attuale continua ad essere regolato da un garante superiore, l’apeiron, che funziona per l’appunto alla stregua di un giudice in una contesa giudiziaria. L’apeiron dunque è principio non solo in quanto ha dato origine a un mondo ordinato, ma anche in quanto continua a “circondare tutte quante le cose e tutte governarle” (Aristotele, Fisica, III, 4, 203b 6, in 12 A 15 DK), assicurando che nessuno dei principi costitutivi del cosmo si faccia sovrano assoluto sugli altri, infrangendo i limiti di un predominio che è lecito solo entro i ritmi di un’alternanza regolare fra le diverse forze cosmiche.
Il termine che, nella testimonianza aristotelica appena citata, esprime l’atto del “circondare” (periechein) potrebbe risalire allo stesso Anassimandro. Lo stesso termine compare nel fr. 2 di Anassimene, il quale identifica il principio delle trasformazioni naturali nell’aria, che “circonda” il cosmo così come la nostra anima, essendo aria (ricordiamo che la parola greca psychè significa “soffio” prima che “anima”), tiene in vita noi.
Anassimene
L’aria è principio di tutte le cose
Sulla natura, fr. 13 B 2 DK
Proprio come la nostra anima (psyché) [...] essendo aria, ci domina tenendoci insieme, così respiro e aria circondano (periéchei) l’intero cosmo.
L’immagine dell’attorniamento spaziale è ben atta a sottolineare la posizione sovrana dell’archè, ed è probabile che Anassimene assegni all’aria lo stesso status immortale e divino che caratterizza l’apeiron di Anassimandro. È significativo che quella di Anassimene sia anche la prima espressione specifica di un pensiero sulla natura dell’anima umana. Non è detto perciò che nel frammento vada letta una semplice analogia che parte da un microcosmo più noto per illustrare un altrimenti sconosciuto macrocosmo. Può darsi che Anassimene ponga il ruolo della respirazione per gli esseri viventi e quello dell’atmosfera intorno alla terra su piani identici e che si illuminano a vicenda, nel senso che mutamenti di densità e temperatura dell’aria sono per lui osservabili con pari facilità nell’una e nell’altra sfera (il fr. 1 di Anassimene valorizza in tal senso la constatazione che il fiato è più o meno caldo a seconda che sia emesso a labbra più o meno serrate). In ogni caso, la riflessione di Anassimene manifesta gli stessi elementi che abbiamo ravvisato in Talete e Anassimandro come caratteristici del pensiero ionico sul cosmo: presa diretta sulla realtà degli elementi fisici, distacco da modelli mitici dell’ordine cosmico in favore di una spiegazione della natura iuxta propria principia (o quasi), costruzione di un metodo d’indagine centrato sul procedere analogico. Troppo lungo sarebbe soffermarsi sul fatto, che però va almeno accennato, che questo sviluppo di una nuova immagine dell’ordine cosmico va visto sullo sfondo di un processo di formazione e consolidamento del tessuto della polis arcaica, che vede un distacco crescente dal riferimento al soprannaturale come elemento portante dell’ordine sociale in favore di un’attenta regolazione legislativa dei rapporti economici e di potere fra i gruppi cittadini.