Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La sostituzione del sistema geocentrico con quello eliocentrico ad opera di Copernico impiegherà vari decenni ad affermarsi. Subito dopo la pubblicazione del De revolutionibus (1543) di Copernico le resistenze all’accettazione del nuovo sistema del mondo sono molteplici e di varia natura: teologiche, fisiche e astronomiche. Il potenziale conflitto tra sistema eliocentrico e Testi Sacri è risolto da Calvino asserendo che quando questi ultimi trattano di questioni naturali (ovvero non relative alla creazione e alla salvezza), il linguaggio si adatta a concezioni proprie della gente comune. Quindi, nel caso di una discrepanza tra la lettera dei Testi Sacri e i risultati della scienza, si deve abbandonare la lettera e seguire la scienza.
La cosmologia aristotelica e il sistema tolemaico
All’inizio del secolo è generalmente accettata la struttura del cosmo aristotelica che i filosofi medievali avevano adattato alla religione cristiana: la Terra è immobile ed è al centro del cosmo, che è compreso all’interno della sfera delle stelle fisse. I corpi celesti hanno natura e proprietà distinte dai corpi terrestri: i primi sono costituiti di un quinto elemento incorruttibile (aither) ed essendo perfetti hanno per loro natura un moto circolare uniforme, ritenuto perfetto in quanto non ha né inizio né fine. Il mondo terrestre è il luogo della generazione e corruzione ed è formato dai quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco). I pianeti sono incastonati all’interno di sfere il cui centro è la Terra. L’origine del moto delle sfere è nel Primo Motore, che, essendo atto puro, è immobile e inattivo, e muove in quanto oggetto di amore. Il Primo Motore, dai filosofi cristiani identificato con il Creatore, muove in virtù del desiderio di perfezione che esso suscita nell’ultima sfera, che trasmette poi il moto alle sfere inferiori; al moto delle sfere sono preposte intelligenze separate o angeli. L’antitesi tra mondo celeste e mondo terrestre nella filosofia aristotelica non esclude l’esistenza di un rapporto causale tra cieli e Terra. Nella filosofia aristotelica, in particolare nei suoi sviluppi successivi, i moti terrestri sono fatti dipendere dai movimenti celesti.
Il modello delle sfere omocentriche ha un’intrinseca debolezza, in quanto non spiega le variazioni di luminosità (e quindi di distanza dalla Terra) dei pianeti riscontrate dalle osservazioni. Gli astronomi seguono il modello tolemaico, di carattere matematico, che non ha un significato fisico. Tolomeo e dopo di lui gli astronomi, almeno fino a Copernico, perseguono lo scopo di “salvare i fenomeni”, cioè di spiegare i moti apparentemente irregolari dei corpi celesti in termini matematici, per mezzo di combinazioni di moti circolari uniformi. Comune a filosofi e astronomi è infatti la convinzione che i moti dei corpi celesti siano circolari e uniformi. Il sistema di Tolomeo adotta una serie di complicate costruzioni matematiche dette epiciclo, eccentrico ed equante per spiegare le apparenti irregolarità dei moti dei pianeti.
Nell’Occidente cristiano l’astronomia, che è una delle sette arti liberali, ha carattere osservativo e matematico, mentre i temi relativi alla natura dei corpi celesti sono discussi nei corsi di filosofia. Tra la concezione aristotelica delle sfere omocentriche e il modello tolemaico degli epicicli ed eccentrici vi è tuttavia una tensione che, malgrado tentativi di elaborare soluzioni di compromesso, dura ancora fino a tutto il XVI secolo. Il caso più significativo è dato dal rifiuto di Averroè, poi seguito da alcuni suoi seguaci italiani del Cinquecento come per esempio Alessandro Achillini, di accettare il sistema di Tolomeo, in quanto ritenuto incompatibile con le sfere omocentriche della cosmologia aristotelica. Il medico veronese Girolamo Fracastoro (1478-1553) accetta le sfere omocentriche aristoteliche, ma ne riduce il numero eliminando quelle che servivano a neutralizare il moto d’attrito generato da ogni coppia di sfere. Egli spiega le apparenti variazioni di luminosità dei pianeti come effetto della differente densità delle sfere celesti.La riscoperta a opera degli umanisti di filosofie antiche quali il platonismo, lo stoicismo e l’epicureismo produce solo lentamente i suoi effetti nel campo della cosmologia. Il filosofo neoplatonico tedesco Niccolò da Cusa (1401-1464) sostiene – sulla base di presupposti di carattere teologico – che non può esserci né un centro fisso né un limite fisso dell’universo, poiché ogni punto rispecchia l’intero universo. Di conseguenza la Terra non può essere considerata il centro dell’universo e neanche in quiete assoluta. L’umanista italiano Celio Calcagnini (1479-1541) sostiene, in un’opera dal titolo Quod caelum stet, terra moveatur (Il cielo è fermo e la Terra si muove), composta tra il 1520 e il 1524 e pubblicata postuma nel 1544, la possibilità di attribuire alla Terra un moto diurno intorno al proprio asse. A suo avviso, il moto di rotazione terrestre sarebbe molto meno rapido del moto rapidissimo dei cieli.
L’assenza di qualsiasi argomento di carattere astronomico, dovuta all’incompetenza dell’autore in fatto di astronomia, così come la tardiva pubblicazione dell’opera (esce un anno dopo il De revolutionibus di Copernico) sono tra i motivi della scarsa incidenza dell’ipotesi di Calcagnini nelle discussioni intorno ai sistemi del mondo.
Il sistema copernicano
Il sistema eliocentrico, meglio ancora geocinetico, di Copernico si fonda sia sull’adesione al concetto, proprio della scienza greca, di cosmo come ordine e armonia, sia sulla piena accettazione dell’ideale greco della circolarità e uniformità dei moti celesti. Secondo Copernico, Tolomeo tratta ogni pianeta separatamente e quindi non fornisce un sistema unitario e coerente dei moti dei corpi celesti. Coerenza e unitarietà posono essere ottenute solo se il Sole è fermo al centro e la Terra in moto.
Grazie all’insistenza dell’allievo e collaboratore Georg Joachim Rheticus (1514-1576), dell’università di Wittenberg, Copernico decide di dare alle stampe i risultati delle proprie ricerche astronomiche. Rheticus ne prepara una sintesi, che è pubblicata nel 1540 con il titolo di Narratio Prima. La sua pubblicazione contribuisce a vincere le resistenze di Copernico alla pubblicazione del De revolutionibus. Poiché Rheticus non può attendere alla readazione definitiva dell’opera, in quanto nel 1542 si è trasferito a Lipsia, la cura della stampa è perciò affidata al teologo luterano Andrea Osiander (1498-1552). Questi aggiunge una propria prefazione (“Epistola al lettore”), nella quale sostiene che compito dell’astronomia è di salvare i fenomeni. Per Osiander (così come per gli astronomi pre-copernicani), lo scopo dell’astronomia non è di proporre teorie vere del cosmo, ma di collegare le osservazioni e calcolare i moti dei corpi celesti. Quindi, scrive Osiander, quella di Copernico è un’ipotesi come altre, che non ha la pretesa di essere vera, né verosimile, ma solo più comoda o più semplice di altre. La prefazione di Osiander appare priva di firma ed è quindi attribuita a Copernico. È Keplero a svelare (nel 1609) l’identità dell’autore di questo scritto, le cui concezioni dell’astronomia sono molto diverse da quelle di Copernico – per il quale il nuovo sistema del mondo ha carattere fisico e non è una semplice ipotesi matematica.
Per Copernico, l’astronomia geocinetica può offrire un’immagine unitaria del cosmo, che è invece assente in quella tolemaica, dove si considerava ogni singola costruzione separatamente dalle altre. Nel primo libro del De Revolutionibus, che costituisce un trattato di cosmografia, Copernico presenta in forma semplificata il proprio sistema del mondo. Il motivo centrale che lo caratterizza è l’attribuzione alla Terra di tre movimenti; il primo è un moto di rivoluzione: Copernico dimostra che, se si considera la Terra un pianeta orbitante intorno al Sole, allora si possono facilmente spiegare le presunte anomalie dei moti planetari. Il secondo moto è quello diurno intorno ai poli, con cui si spiegano i fenomeni che nella cosmologia aristotelica erano attribuiti a un velocissimo moto dei cieli. Quindi postula un terzo moto, con il quale ritiene di giustificare il fatto che, malgrado il suo moto annuale, l’asse della Terra è sempre parallelo a se stesso. Questo terzo moto (di cui ben presto gli astronomi faranno a meno) farebbe descrivere all’asse terrestre la superficie di un cono, spostandosi in direzione opposta a quella del centro della Terra, ovvero da est a ovest.La rivoluzione annuale della Terra consente non solo di spiegare le anomalie dei moti planetari, ma anche di determinare le distanze dei pianeti dal Sole e il tempo impiegato da ciascun pianeta per percorrere la propria orbita. Nel sistema tolemaico, invece, Sole, Mercurio e Venere avevano tutti e tre lo stesso periodo (un anno).
L’astronomia copernicana ha il vantaggio rispetto a quella tolemaica di far corrispondere a distanze maggiori tempi di rivoluzione più lunghi. La velocità dei pianeti corrisponde alla loro distanza dal Sole; Copernico è fiero di aver introdotto un principio di ordine e simmetria, assente nell’astronomia tolemaica.
I tre principali argomenti di Copernico a favore del sistema geocinetico sono: 1 che esso consente di spiegare i moti apparenti dei pianeti meglio del sistema tolemaico; 2 che offre un’immagine più sistematica e ordinata dell’universo; 3 che attribuisce al Sole la posizione centrale che a esso spetta in quanto origine della luce e della vita nel cosmo. Occorre però precisare che, sebbene Copernico collochi il Sole al centro dell’universo, non lo pone però al centro dei moti dei pianeti. Il centro dell’orbe della Terra è un punto situato in prossimità del Sole ed esso è anche il centro dei moti dei pianeti. Per questa ragione è preferibile definire il sistema copernicano geocinetico piuttosto che eliocentrico.Il sistema copernicano non è però così semplice come appare dalla sua immagine schematica contenuta nel primo libro del De Revolutionibus. Per rendere conto dei dati osservativi, Copernico è costretto a utilizzare alcuni degli espedienti dell’astronomia tolemaica, come l’eccentrico e la combinazione di deferente ed epiciclo. In particolare, quando Copernico deve spiegare le variazioni di velocità dei pianeti non vuole far ricorso all’equante – punto matematico dal quale il moto di un pianeta appariva uniforme, di cui faceva uso l’astronomia tolemaica – ma è comunque costretto a utilizzare il sistema deferente-epiciclo. Gli epicicli di Copernico non equivalgono a quelli di Tolomeo, innanzitutto perché sono molto più piccoli, in secondo luogo in quanto il loro periodo di rivoluzione è uguale a quello dell’orbe planetario che li porta.Copernico non ignora le obiezioni di carattere astronomico al moto della Terra, come l’assenza di parallasse delle stelle. Si obiettava che, se le stelle fossero situate alla modesta distanza dalla Terra che si attribuiva loro, allora si sarebbe dovuto registrare un loro spostamento apparente, che però non si riscontra. Copernico è quindi costretto ad ampliare enormemente le dimensioni del cosmo per render conto dell’assenza di parallasse delle stelle fisse. Il fenomeno della parallasse ha origine dal cambiamento che si verifica quando un oggetto è osservato da due luoghi differenti: maggiore è la distanza dell’oggetto dall’osservatore, minore sarà la parallasse.
Dopo Copernico
La pubblicazione del De revolutionibus non comporta l’immediata affermazione del nuovo sistema dell’universo: i copernicani, per tutto il XVI secolo sono piuttosto pochi. Più numerosi sono coloro che (come suggerito da Osiander) ritengono l’astronomia di Copernico un utile modello matematico, dotato di maggior precisione di quello tolemaico, ma negano che il sistema copernicano abbia un significato fisico. Il teologo luterano Melantone e suo genero Caspar Peucer adottano questa interpretazione, che è seguita nelle università luterane. L’astronomo Erasmus Reinhold (1511-1553), professore all’università luterana di Wittenberg, fa uso dei calcoli relativi ai moti planetari contenuti nel De revolutionibus per comporre le sue tavole astronomiche (Prutenicae Tabulae, 1551), più accurate delle Tavole Alfonsine. Tuttavia, non accetta la teoria eliocentrica. Michael Maestlin (1550-1631), professore di astronomia a Tubinga, usa il De revolutionibus per l’insegnamento dell’astronomia, contribuendo così a introdurre il suo allievo Keplero all’opera dell’astronomo polacco.
Copernicano è il matematico inglese Thomas Digges, la cui A Perfit Description of the Caelestiall Orbs (1576) è la prima opera a stampa dove si sostiene il sistema copernicano. Per Digges, il sistema copernicano offre una descrizione fisica vera dell’universo. Questo è infinito e le stelle, di numero infinito, sono distribuite a distanze variabili dal Sole in uno spazio senza limiti. Tra coloro che considerarono la teoria geocinetica di Copernico come vera e non come un’ipotesi vi è il filosofo Giordano Bruno, che nelle sue opere (in particolare La Cena de le Ceneri, De la Causa, Principio et Uno, De infinito, Universo et Mondi, tutte del 1584) fa propria la concezione lucreziana dell’universo infinito. L’universo di Bruno (e di Digges) ha ben poco in comune con quello di Copernico, che è finito e ordinato. Il primo a proporre una prova sperimentale del moto diurno della Terra è l’inglese William Gilbert (1544-1603), che nel De Magnete (1600) afferma che la Terra non è un corpo inerte, ma è animata da una forza magnetica che è causa del suo moto di rotazione. Avendo definito la Terra un grosso magnete, Gilbert prova sperimentalmente che una magnetite sferica ruota se il suo polo è spostato rispetto al nord. È quindi ragionevole, conclude Gilbert, asserire che la Terra in virtù della forza magnetica in essa presente, abbia naturalmente un moto circolare intorno al proprio asse. Tuttavia Gilbert non afferma il moto di rivoluzione annua della Terra intorno al Sole.
Copernico e le Chiese
Il legame tra cosmologia geocentrica e geostatica con la lettera della Sacra Scrittura rappresenta uno degli ostacoli alla diffusione del copernicanesimo. Nella Chiesa di Roma il copernicanesimo trova un ulteriore ostacolo nella stretta connessione che sussiste fra la teologia cattolica e la filosofia scolastica – che afferma la staticità e centralità della Terra. Poco prima del concilio di Trento, il teologo domenicano Giovanni Maria Tolosani (1470/1-1549) sostiene l’incompatibilità del sistema copernicano con i Testi Sacri, ma il suo breve trattato sull’argomento non ha eco nella Chiesa romana. Tra i teologi protestanti emerge una soluzione del problema dei rapporti tra copernicanesimo e Scrittura che va sotto il nome di “adattamento”. Questa concezione, sostenuta da Calvino, asserisce che quando i Testi Sacri trattano di questioni naturali (ovvero non relative alla creazione), il linguaggio utilizzato si adatta a concezioni proprie della gente comune; quindi, nel caso di una discrepanza tra la lettera dei Testi Sacri e i risultati della scienza, si deve abbandonare la lettera e seguire la scienza. Più radicale è la posizione del teologo spagnolo Diego de Zuñiga che nel Commento a Giobbe (1584) asserisce che quando nella Bibbia si dice che il Sole si muove, si tratta di un modo di esprimersi che si adatta al linguaggio comune. Inoltre nel testo biblico si legge che “Dio scuote la Terra e la muove fuori del suo luogo e ne fa tremare i pilastri”: ciò è da interpretare alla luce della teoria copernicana, ovvero Dio con il suo potere conferisce alla Terra il moto. Il Commento a Giobbe di Zuñiga, che sarà citato da Galileo a riprova della compatibilità tra copernicanesimo e Scritture, è incluso nel decreto del 1616 con cui la Chiesa romana condanna il sistema di Copernico.
Il sistema di Tycho Brahe
Il danese Tycho Brahe, uno dei maggiori astronomi del Cinquecento, è autore di un sistema astronomico a lungo rivale di quello copernicano e differente da quello tolemaico, nonostante sia ancora basato sulla centralità della Terra. Per Tycho il moto della Terra è impossibile, sia per ragioni fisiche sia per incompatibilità con l’insegnamento delle Sacre Scritture. Tycho ritiene tuttavia di poter risolvere i problemi posti dal sistema tolemaico senza dover adottare la concezione geodinamica. Secondo Tycho, la Terra è immobile al centro dell’universo e intorno a essa ruotano ogni ventiquattro ore tutti i corpi celesti; il Sole ruota annualmente intorno alla Terra, mentre tutti i pianeti ruotano intorno al Sole.
John Louis Emil Dreyer
Sulle orbite planetarie
Tycho Brahe e i suoi contemporanei
Nell’ottavo capitolo del suo libro sulla cometa del 1577 (dove non si fa cenno della parallasse di Marte) Tycho descrive il suo sistema, che dice di aver trovato “come per ispirazione” quattro anni prima di scrivere il libro, ossia nel 1583. La Terra è al centro dell’universo e al centro delle orbite della Luna e del Sole, come pure della sfera delle stelle fisse, le quali ruotano intorno ad essa in ventiquattr’ore, trasportando con sé tutti i pianeti. Il Sole è al centro delle orbite dei cinque pianeti; Mercurio e Venere si muovono in orbite i cui raggi sono più piccoli di quello dell’orbita solare, mentre le orbite di Marte, Giove e Saturno circondano la Terra. Poiché la distanza di Marte all’opposizione può essere più piccola di quella del Sole, il semidiametro dell’orbita di Marte è un po’ minore del diametro dell’orbita solare, cosicché le due orbite si intersecano, ma poiché esse sono solo linee immaginarie e non sfere impenetrabili, non c’è in ciò nulla di assurdo.
Questo sistema è in realtà assolutamente identico a quello di Copernico, e tutti i calcoli relativi alle posizioni dei pianeti sono gli stessi per entrambi i sistemi. Lasciando la Terra in quiete, il sistema ticonico avrebbe potuto servire come stadio intermedio tra il sistema tolemaico e il copernicano, e ci si sarebbe potuti attendere che lo avesse preceduto.
J.L.E. Dreyer, Storia dell’astronomia da Talete a Keplero, prefazione di W.H. Stahl, Milano, Feltrinelli, 1977
In questo modo Tycho ritiene di poter spiegare le irregolarità dei moti dei pianeti senza far ricorso alle complesse costruzioni di Tolomeo. Sulla base dell’osservazione del moto delle comete e dell’orbita di Marte (che nel suo sistema interseca l’orbita del Sole intorno alla Terra), Tycho conclude che i pianeti non si muovono all’interno di sfere solide – come insegnava la filosofia aristotelica – ma descrivono semplici orbite geometriche.L’importanza dell’opera astronomica di Tycho risiede soprattutto nella grande mole di osservazioni accumulate, utilizzate in seguito dal tedesco Johannes Keplero per l’elaborazione delle tre leggi della cinematica terrestre che ancora portano il suo nome.
La riforma del calendario
Nel 1582 la Chiesa cattolica introduce un nuovo calendario, ancora oggi in uso in gran parte del mondo, che prende il nome da papa Gregorio XIII e che sostituisce il precedente, detto Giuliano poiché stabilito da Giulio Cesare nel 45 a.C. Il calendario giuliano presentava alcune imprecisioni, poiché assumeva che l’anno avesse la durata di 365 giorni e ¼ ed era quindi sufficiente un giorno ogni quattro anni per armonizzare il calendario al cosiddetto anno tropico – che costituisce il periodo di tempo compreso fra due passaggi successivi del Sole all’equinozio di primavera e che misura quindi il periodo di tempo intercorrente tra l’inizio della primavera e l’inizio della primavera successiva. L’anno tropico ha in realtà una durata maggiore, esattamente di 11 minuti e ¼ – una differenza che sembrerebbe insignificante, ma che in 128 anni ammonta a 24 ore. Di qui le difficoltà per la definizione della Pasqua, che doveva coincidere con la domenica che segue il primo plenilunio che si verifica dopo l’equinozio di primavera, ed è così compresa tra il 22 marzo ed il 25 aprile. Nel 1582 il calendario giuliano aveva accumulato un ritardo di 10 giorni. Il quinto concilio Lateranense (1512-1517) dà l’incarico della revisione a Copernico, ma l’impresa non è portata a termine. È quindi con Gregorio XIII che si ha la riforma del calendario.
Artefice ne è il padre gesuita tedesco Cristoforo Clavio (1537-1612), che mette a frutto le proprie conoscenze matematiche e il proprio prestigio. Egli stabilisce, per recuperare il ritardo accumulato, che il giorno successivo al 4 ottobre sarebbe stato non il 5, ma il 15 ottobre 1582. Decide inoltre di sopprimere tre anni bisestili ogni 400, in modo da averne 97 e non 100. La scelta è di sopprimere il giorno bisestile in tutti gli anni centenari, a eccezione di quelli che sono multipli di 400, cosicché il 1600 e il 2000 sono anni bisestili, ma non il 1700, 1800 e 1900. Con il calendario gregoriano, l’anno civile medio risulta di 365 giorni, 5 ore, 49 minuti e 12 secondi, con una differenza per eccesso di soli 26-27 secondi da quello solare, determinandosi la differenza di un giorno dopo circa 30 secoli, ovvero di tre giorni ogni 10.000 anni.
Il nuovo calendario entra in vigore nel 1582 in gran parte dei Paesi cattolici, mentre i protestanti lo adottano ufficialmente con molto ritardo: nel 1700 in Germania e nel 1752 in Inghilterra.