Cosmologia
La cosmologia moderna nasce nel 1924, quando Carl Wilhelm Wirtz, astronomo dell'Osservatorio di Colonia, nota per primo una relazione tra lo spostamento verso il rosso (redshift) delle righe spettrali della luce delle galassie e la luminosità apparente, legata alla distanza delle medesime. Cinque anni più tardi Edwin Hubble trarrà da questa osservazione una legge, nota come legge di Hubble: sia Wirtz sia Hubble erano convinti inizialmente che esistesse una relazione non lineare tra il redshift ‒ definito come il rapporto z=(λoss−λlab)/λlab, dove λoss rappresenta la lunghezza d'onda della radiazione osservata e λlab quella della rispettiva riga misurata in laboratorio ‒ e la distanza d, stimata a partire dalla luminosità della galassia. I dati costrinsero tuttavia Hubble ad ammettere una relazione lineare del tipo Hd=cz, in cui H è nota come costante di Hubble e c è la velocità della luce nel vuoto. Né Wirtz, né Hubble interpretavano il redshift z come un effetto Doppler dovuto all'allontanamento delle galassie, nel cui caso, in prima approssimazione, cz rappresenta la velocità v di allontanamento e la legge assume la forma più nota v=Hd. In effetti, mentre la relazione tra redshift e distanza è stata immediatamente recepita dalla comunità scientifica, l'idea di un'espansione generale dell'Universo ha faticato non poco ad affermarsi, e si potrebbe dire che quando ciò è infine avvenuto è stato per la mancanza di altre soluzioni credibili.
La teoria alternativa che fu più spesso proposta è quella della tired light (letteralmente, luce esausta); in questo caso, però, l'ipotesi che i fotoni perdano energia su grandi distanze è in contrasto con la mancanza di una qualsiasi diffusione dei medesimi, dato che le immagini di galassie con alto redshift sono altrettanto nitide quanto quelle con basso redshift. Così, a partire dal 1930, ha acquistato credibilità l'idea di un'espansione generale dell'Universo. Furono suggerite allora alcune verifiche fondamentali, per discriminare tra espansione e altre possibilità. Nel 1938 Richard Tolman suggerì di misurare la dipendenza della brillanza superficiale delle galassie ellittiche dal redshift: nel caso di espansione questa quantità sarebbe dovuta diminuire come (1+z)4. La proposta di Tolman è stata realizzata soltanto nel 1980, quando Alan Sandage ha portato a termine una serie di misurazioni che hanno mostrato (in presenza di notevoli errori sistematici) un certo accordo tra le osservazioni e l'ipotesi. Risale sempre agli anni Quaranta del XX sec. il suggerimento di verificare l'espansione misurando la dilatazione dei tempi dei fenomeni ad alto redshift: le curve di luce di alcune stelle note come supernovae di tipo Ia sono ben definite temporalmente e, in anni recenti, si è osservato che le curve di luce delle supernovae ad alto redshift sono allargate rispetto alle curve di quelle più vicine.
A partire dall'individuazione del redshift si può suddividere la cosmologia moderna in due fasi: la prima va dal 1924 fino al 1980 circa e potremmo chiamarla 'cosmologia classica'; la seconda, dal 1980 fino ai nostri giorni, si articola in due filoni, il primo dei quali discende dalla precedente cosmologia e ha ricevuto da Jim Peebles la denominazione di 'cosmologia neoclassica', mentre l'altro viene comunemente chiamato 'cosmologia di precisione'.
All'interpretazione delle osservazioni sulla base del modello di Friedmann si può obiettare una questione generale di principio. Le equazioni di Friedmann sono di due tipi: l'equazione di stato, che lega pressione a densità e ci dice di quale fluido è costituito il Cosmo, e le equazioni che, a partire dalla distribuzione della materia e dell'energia, forniscono la metrica. Se per una qualche ragione le osservazioni non coincidono con le aspettative teoriche, abbiamo due scelte: abbandonare il modello o, più economicamente, modificare l'equazione di stato. È questa scelta che è stata adottata, per esempio, con l'inflation, la quale discende direttamente dall'aver posto p=−ϱ. Se questo procedimento è ripetuto molte volte, sorge il legittimo dubbio che la strada intrapresa sia solamente un espediente matematico. Purtroppo, a partire dal 1998 si sono andate accumulando prove a favore di un valore della somma della densità di materia barionica e non barionica minore dell'unità e attestantesi intorno al 30%. L'indicazione più chiara deriva dallo studio della stabilità dinamica degli ammassi di galassie. Si è poi aggiunto il risultato di due gruppi di ricerca che studiano la relazione tra distanza e redshift per le supernovae di tipo Ia, che hanno concluso a favore di un'espansione accelerata dell'Universo attuale. Per venire incontro a queste osservazioni, senza dover rianalizzare in modo radicale la cosmologia, occorre modificare ulteriormente le equazioni di Friedmann. Il modo più semplice sarebbe quello di introdurre un termine di energia repulsiva costante, appunto la costante cosmologica, corrispondente in termini di densità di materia al restante 70%. Appare tuttavia improbabile che un termine costante fin dall'inizio dei tempi sia proprio oggi uguale (o paragonabile) al contenuto di materia barionica e non barionica. Si aggiunge quindi nell'equazione di stato un non meglio identificato contributo energetico, proveniente da un campo di forze scalare, al quale è attribuito il nome di 'quintessenza'. I risultati ottenuti dagli esperimenti di Princeton, Roma e Berkeley restano quindi validi, ma la composizione di materia ed energia nel Cosmo appare comprendere quattro termini distinti: radiazione, materia barionica, materia non barionica, dark energy, quest'ultima di natura incerta (fig. 7). A partire dal 2003, inoltre, i dati sulle anisotropie della radiazione di fondo cosmico fornite dal satellite americano WMAP (Wilkinson microwave background anisotropy probe, in onore del cosmologo David Wilkinson) hanno ulteriormente confermato l'evidenza di energia oscura.
Nel caso della quintessenza, la densità diminuisce nel tempo allo stesso modo di quella della materia ed è possibile introdurre un attrattore matematico che guidi l'energia del campo verso il valore della densità di materia, così da risolvere la curiosa coincidenza tra le varie densità attuali. Esistono tuttavia alcune complicazioni: estrapolato linearmente indietro nel tempo fino alla nucleosintesi, il campo disturberebbe la formazione degli elementi, compromettendo il buon accordo tra teoria standard e osservazioni. In breve, l'andamento temporale della densità di energia deve seguire una traccia complicata per attraversare le varie epoche critiche della cosmologia (nucleosintesi, formazione delle strutture) senza introdurre cambiamenti sostanziali. Ancora una volta i cosmologi si trovano di fronte a un problema di fine tuning.
Resta poi la domanda su quale sia l'origine di questa forma di energia. Una risposta alternativa risalente al 1998, e tuttora in pieno sviluppo, proviene dalla brane cosmology, con la quale si tenta di rispondere a due interrogativi assai diversi: il primo riguarda il vecchio e irrisolto problema del Modello Standard delle particelle elementari, nel quale esiste uno scarto di circa 17 ordini di grandezza tra Mted, la scala associata alla transizione elettrodebole, e MP, associata all'epoca di Planck; tale differenza rende impossibile unificare le interazioni gravitazionali con le altre interazioni nell'Universo. È anche inspiegabile il 'deserto' di interazioni tra le due scale. Il secondo problema riguarda la relazione tra costante cosmologica ed energia del vuoto: non solamente la fisica quantistica, ma anche la fisica classica prevede un'energia del vuoto associata a un'energia di punto zero del campo. Si deve a Wolfgang Pauli un semplice calcolo, effettuato considerando i fotoni, che mostra come l'energia del vuoto risulti tale da determinare una costante cosmologica enorme, corrispondente a un raggio di curvatura dell'Universo di pochi centimetri; Pauli espresse questo risultato dicendo che "il raggio dell'Universo non sarebbe potuto arrivare all'orbita della Luna". La brane cosmology pretende di risolvere in un sol colpo i due annosi problemi e, insieme, di lasciare una costante cosmologica residua di ampiezza comparabile a quella osservata. Purtroppo ciò avviene (se avviene, in quanto vi sono dubbi in proposito) a discapito di una complessità geometrica notevole. Si immagina che il nostro Universo sia immerso in una membrana a p dimensioni, di cui le p−4 eccedenti sono compattificate, cioè collassate in un volume finito V(p−4). A sua volta la membrana è immersa in un volume a n dimensioni, dove le n−p sono compattificate in un volume finito W(n−p). Possiamo dire che le varianti della brane cosmology giocano sui numeri p e n. Mentre le interazioni note (eccetto la gravità) possono penetrare soltanto nelle dimensioni della membrana, la gravità, grazie alla sua natura geometrica, penetra nel volume a più dimensioni dell'Universo. Le costanti di accoppiamento scalano come 1/V per le interazioni non gravitazionali e come (1/V)∙(1/W) nel caso della gravità. Con una opportuna scelta di n e p è quindi possibile rendere le costanti eguali nel bulk, cioè nell'Universo pluridimensionale. In altre parole, la massa di Planck è tanto maggiore della corrispondente elettrodebole perché il volume a cui si riferisce è molto più grande. Per risolvere il problema dell'energia del vuoto si fa riferimento alla supersimmetria: finché quest'ultima è valida, le energie del vuoto dei fermioni e dei bosoni si compensano e si elidono. Purtroppo, però, nell'Universo la rottura di supersimmetria avviene almeno al livello della transizione elettrodebole (se non a energie maggiori), per cui occorre che la rottura di supersimmetria avvenga a una scala alla quale corrisponde una bassa energia del vuoto. La scala alla quale la rottura avviene nell'Universo superdimensionale è ridotta dal solito rapporto volumetrico, fissato dalla precedente condizione. Essa risulta dell'ordine di una costante cosmologica simile a quella misurata.
Benché assai promettente, la brane cosmology deve dunque risolvere ancora numerosi punti oscuri, il principale dei quali è che le condizioni per ottenere la soluzione del problema gerarchico e la soluzione del problema della costante cosmologica non sembrano poter essere le stesse.
Abbiamo accennato al problema costituito dal fatto di sapere ben poco su come le proprietà della LSS si propaghino da z=1000 fino alle galassie più lontane che riusciamo a vedere, circa a z=5. L'ipotesi più semplice è che immediatamente dopo il disaccoppiamento con i fotoni la materia barionica sia 'caduta' nelle buche di potenziale gravitazionale causate dalle perturbazioni della materia non barionica, le quali, dopo essere entrate nell'orizzonte durante l'epoca della radiazione, avrebbero continuato a crescere invece di oscillare come è avvenuto ai barioni sotto l'azione della pressione di radiazione. Da questo momento in poi il collasso gravitazionale verso la formazione delle strutture sarebbe guidato dalla cold dark matter, mentre alla materia barionica resterebbe il compito di dissipare il calore che si sviluppa nelle fasi finali del collasso.
Come è possibile osservare questo processo? Disaccoppiata dalla radiazione di fondo cosmico, la materia tende rapidamente a raffreddarsi e, fino a quando il collasso gravitazionale non provoca un ulteriore riscaldamento, l'emissione da parte di agglomerati di barioni è troppo debole per essere rilevata. L'evoluzione dell'Universo in tale fase procede attraverso un'oscurità assoluta e non è chiaro quando si accenda la prima stella: in letteratura sono stati proposti valori tra redshift z=300 e z=10. L'unica possibilità fino a oggi studiata per esplorare queste epoche è basata su una combinazione dello scattering risonante e dell'effetto Doppler. I fotoni della radiazione di fondo sono soggetti a una diffusione determinata dagli atomi e dalle molecole presenti che è particolarmente efficace in corrispondenza delle righe di assorbimento. La fisica classica, infatti, permette di calcolare la sezione d'urto per lo scattering dei fotoni su elettroni liberi o su molecole in prossimità della risonanza e in quest'ultimo caso la sezione aumenta di molti ordini di grandezza. Di per sé questo scattering non produce alcun segnale rilevabile, essendo la radiazione di fondo isotropa; ma se la nube è in movimento, esso imprime un effetto Doppler sui fotoni diffusi in corrispondenza del quale si osserva una deviazione dallo spettro di corpo nero. Un analogo effetto è atteso per una nube che collassa, là dove l'effetto Doppler è causato dalle varie sezioni che si muovono a differente velocità. È quindi possibile, almeno in linea di principio, studiare l'intero processo evolutivo delle nubi di materia primordiale. Il segnale differenziale può essere rilevato come un'anisotropia del fondo che è presente solamente a certe lunghezze d'onda. Tentativi di rilevare nubi primordiali di LiH sono stati fatti presso il telescopio millimetrico dell'IRAM (Institut de Radioastronomie Millimétrique, frutto di una collaborazione franco-tedesco-spagnola), in Spagna, da gruppi francesi e italiani. La chimica dell'Universo primordiale, purtroppo, è incerta e l'abbondanza delle varie molecole è calcolata con errori anche di molti ordini di grandezza. Per questi motivi sono pochi i gruppi che attualmente si impegnano in tale settore di ricerca, in attesa che migliorino le tecniche di misurazione. Vale la pena notare che questi studi possono riservare notevoli sorprese: per esempio, se le prime stelle si sono formate ad alto redshift e hanno in tal modo arricchito lo spazio di elementi pesanti, allora intorno a redshift 100 la temperatura dell'intero Universo era tale (300 K) da permettere che ovunque si formasse la vita: è quindi possibile che siano i cosmologi a scoprire forme di vita extraterrestre che potrebbero aver popolato il Cosmo in un lontano passato.
La mancanza di dati sul periodo di mezzo della storia dell'Universo rende prudenti i cosmologi circa il quadro generale del loro Modello Standard. I futuri esperimenti su satellite (in particolar modo Planck Surveyor e Herschel) promossi dall'ESA (European Space Agency) contribuiranno certamente a chiarire molti elementi oscuri.
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