Cosmologia
di Dennis W. Sciama
SOMMARIO: 1. Definizioni e introduzione storica. □ 2. La Via Lattea. □ 3. Le galassie esterne e l'espansione dell'universo. □ 4. Radiogalassie. □ 5. Oggetti quasi-stellari. □ 6. I conteggi di radiosorgenti. □ 7. Modelli dell'universo. □ 8. La radiazione cosmica di fondo a 3 °K. □ 9. L'origine dell'universo. □ Bibliografia.
1. Definizioni e introduzione storica.
Per ‛cosmologia' si intende lo studio della struttura e della storia dell'universo nel suo insieme. Questo termine non va confuso con ‛cosmogonia' che sta a indicare quella scienza che studia la formazione dei singoli corpi dell'universo, come i pianeti, le stelle e le galassie. In questo articolo si farà solo qualche accenno alla cosmogonia, perché i processi di formazione degli oggetti astronomici non sono ancora ben conosciuti.
L'uomo deve aver speculato sulla struttura dell'universo da tempo immemorabile, ma è forse soltanto nel Settecento che ha inizio quella che si può chiamare la cosmologia moderna. A quel tempo Galileo aveva già scoperto con il suo telescopio che la Via Lattea, cioè la striscia di luce bianca che attraversa la volta celeste, che si può osservare di notte a cielo sereno, è in effetti una moltitudine di stelle non distinguibili a occhio nudo. Nel Settecento le distanze di queste stelle non erano ancora conosciute (vale la pena di ricordare incidentalmente che la prima parallasse non fu misurata che nel 1838), sebbene Huyghens e Newton, sulla base di considerazioni fisiche, fossero giunti a delle valutazioni interessanti. Indipendentemente da tali valutazioni, Thomas Wright di Durham (1711-1786) suggerì che le stelle della Via Lattea fossero distribuite in un sistema ben definito a forma di disco e Immanuel Kant (1742-1804) e Johann Lambert (1728-1777) avanzarono l'ipotesi che alcuni corpi nebulosi, che erano già ben conosciuti, fossero in effetti sistemi stellari simili alla Via Lattea, ma da questa molto lontani.
Queste idee rimasero allo stadio di speculazioni fin verso la fine del sec. XVIII, quando conteggi sistematici di stelle, compiuti soprattutto da Sir William Herschel (1738-1822), il padre della moderna astronomia stellare, confermarono alcune delle loro caratteristiche principali. Per un periodo di molti anni Herschel eseguì i conteggi delle stelle che si trovavano in varie direzioni, giungendo così ad adottare per la Via Lattea il modello a disco del tipo proposto da Wright, Kant e Lambert. Inoltre, Herschel fu d'accordo con Kant e Lambert nel ritenere che le nebulose (molte altre delle quali furono scoperte dallo stesso Herschel) fossero probabilmente delle Vie Lattee esterne.
La sua opera fu continuata dal figlio, Sir John Herschel (1792-1871), il quale osservò nell'emisfero meridionale quelle regioni del cielo non visibili al nord. Nel 1847 egli pubblicò le sue osservazioni riguardanti 1.700 nebulose e 70.000 stelle. L'analisi di questa grande massa di materiale confermò la validità del modello a disco ideato dal padre e dominò l'ipotesi astronomica sulla Via Lattea per i successivi sessant'anni.
Il problema fu riaperto nel 1906 dall'astronomo olandese J. C. Kapteyn (1851-1922), il quale propose che molti osservatori collaborassero a uno studio dettagliato di 206 zone selezionate del cielo. La sua proposta fu accettata e, dopo aver analizzato tutti i risultati, egli poté pubblicare nel 1922 il suo modello della Via Lattea. Questo aveva la stessa struttura generale a forma di disco del modello di Herschel, ma era molto più dettagliato, soprattutto per la scala delle distanze, dato che gli Herschel avevano dovuto lavorare praticamente senza determinazioni attendibili di distanze. Kapteyn credeva che la Via Lattea fosse un disco circolare, al cui centro fosse il Sole. Oggi sappiamo che, nonostante la grande quantità di informazioni che contribuì alla costruzione del modello di Kapteyn, esso è errato sotto molti aspetti importanti. In particolare, come dimostrò Harlow Shapley, sappiamo che il Sole è situato a una grande distanza dal centro del sistema. Poiché il modello di Shapley, a parte poche modifiche, è quello accettato ancor oggi, abbandoneremo per il momento questo problema e ritorneremo alla struttura della Via Lattea nel prossimo capitolo.
La cosmologia teorica moderna ebbe inizio nel 1917, quando Einstein applicò la sua teoria generale della relatività all'intero universo, che egli immaginò uniformemente riempito di materia. Einstein adottò un modello statico dell'universo, in cui l'autogravitazione è vinta da una forza repulsiva cosmica introdotta artificialmente nelle sue equazioni di campo. Nel 1922 Friedmann dimostrò che, secondo le equazioni originali di campo einsteiniane del 1915, la materia dell'universo poteva trovarsi in uno stato di espansione o contrazione su larga scala. Lo studio fondato sulle osservazioni dell'universo nel suo insieme è successivo allo studio teorico. Fu infatti solo nel 1924 che Hubble dimostrò in maniera definitiva che la grande nebulosa spirale in Andromeda si trova al di fuori del nostro sistema stellare della Via Lattea e che è in effetti una galassia come la nostra, come già Kant e Lambert avevano suggerito. Questa e altre scoperte fecero capire che la galassia è un'unità nella struttura dell'universo nello stesso senso in cui la stella è un'unità nella struttura della galassia. L'espansione sistematica dell'universo non fu dimostrata fino al 1929, anno in cui Hubble fece vedere che gli spostamenti verso il rosso (di cui più diffusamente parleremo nel cap. 3) negli spettri ottici delle galassie (molti dei quali erano noti da alcuni anni) erano proporzionali alle distanze delle galassie da noi. Hubble suppose, come era naturale, che questi spostamenti verso il rosso fossero dovuti all'‛effetto Doppler' e concluse che l'universo doveva essere in espansione e che le galassie si dovevano allontanare con velocità proporzionale alla loro distanza. Questa relazione è ora conosciuta come legge di Hubble. L'interesse destato da questa scoperta fu molto grande, sia in se stesso, sia per il legame con la relatività generale, poichè i modelli uniformi di Friedmann sono conformi alla legge di espansione di Hubble. La cosmologia è quindi diventata lo studio sperimentale e teorico dell'universo in espansione.
Lo schema di questo articolo è il seguente: cominceremo con la descrizione delle componenti conosciute dell'universo, le cui proprietà tipiche sono elencate nella tab. I: le stelle, la Via Lattea, le galassie esterne, le radiogalassie e gli oggetti quasi- stellari. A questa descrizione seguirà un capitolo sui modelli teorici dell'universo e infine discuteremo una recente scoperta di grande importanza, cioè l'eccesso di radiazione di microonde nella radiazione di fondo dell'universo. Questo eccesso di radiazione ha quasi certamente una grandissima importanza cosmologica e la sua scoperta costituisce uno sviluppo tra i più importanti della moderna astronomia e cosmologia.
2. La Via Lattea.
Via Lattea è il nome che si dà a quel vasto sistema di stelle, a cui appartiene anche il nostro Sole, tenuto insieme dall'attrazione gravitazionale tra le singole stelle. Tale sistema si chiama galassia (γάλα in greco significa latte); come abbiamo visto, vi sono oggetti simili anche al di fuori della Via Lattea. Il loro numero è molto grande, ed essi sono distribuiti in tutto lo spazio, almeno fin dove riescono a penetrare i telescopi più potenti. In questo capitolo ci limiteremo allo studio della Via Lattea, rimandando invece quello delle galassie esterne a un secondo tempo (v. cap. 3).
Il numero delle stelle della Via Lattea è di circa 1011. Non si capisce ancora come esse si siano formate, ma è probabile che la materia prestellare della Galassia fosse gravitazionalmente instabile rispetto alla formazione di condensazioni. Tuttavia, sembra che la massa di una regione instabile corrisponda circa a un valore compreso tra un migliaio ed un milione di stelle piuttosto che a una stella sola. Se ciò è corretto, dopo che si è verificata una condensazione iniziale, si deve avere un'ulteriore fragmentazione. Tali processi sono complicati e oggi non esiste ancora una teoria ben definita per spiegarli.
Tuttavia, l'evoluzione che subisce una stella, dopo la sua formazione, è abbastanza ben conosciuta. Per la maggior parte della sua vita, essa brucia nel suo centro idrogeno convertendolo in elio e l'energia prodotta da questi fenomeni nucleari compensa la radiazione emessa alla superficie, come avviene attualmente anche nel Sole. Tuttavia una stella più grande del Sole brucia il suo combustibile molto più in fretta e, quando l'idrogeno nelle sue regioni centrali si è consumato, essa comincia a raffreddarsi. Questo porta a una diminuzione della pressione verso l'esterno e, di conseguenza, a una contrazione della stella per effetto della sua stessa gravità. A sua volta la contrazione riscalda di nuovo la stella, fino a che la temperatura raggiunge il valore di circa 108 °K, al quale si innescano le reazioni di combustione dell'elio che portano alla produzione di carbonio. Quando l'elio centrale si è consumato, la stella si contrae nuovamente e, a questo punto, il suo comportamento diventa complicato e difficile da seguire. In molti casi sembra che la stella non riesca a trovare uno stato più o meno stabile e che presumibilmente si verifichino dei processi esplosivi, come quelli che in effetti si osservano. Il più violento tra questi è probabilmente il fenomeno delle supernove, che si ha quando una stella esplode aumentando enormemente la sua luminosità, fino a superare qualche volta per breve tempo quella' della stessa galassia che la contiene. Si pensa che una parte del materiale che viene espulso nello spazio consista di elementi pesanti formati dalle reazioni termonucleari prima e durante l'esplosione. Secondo le moderne teorie di nucleosintesi (v. origine degli elementi), a questo tipo di processo è forse attribuibile la formazione, dall'idrogeno, di tutti gli elementi (forse con l'eccezione dell'elio, di cui si tratterà più avanti).
Passiamo ora alla struttura della Via Lattea nel suo insieme. Per giungere a stabilire tale struttura ci si basa su tre considerazioni principali: le determinazioni delle distanze, i conteggi stellari e le velocità delle stelle, che rivelano la rotazione della Via Lattea.
Possiamo descrivere qui un metodo particolare per determinare le distanze per via del significato speciale che ha negli studi galattici. Esso si basa sulle proprietà delle cosiddette variabili Cefeidi, che sono una classe di stelle la cui luminosità apparente varia periodicamente col tempo. Queste stelle variabili possono essere usate per determinare le distanze perché esse presentano una relazione ben definita tra il periodo e la luminosità intrinseca (quando questa può essere determinata da misure di parallasse). Se questa relazione è universale, il periodo e la luminosità apparente di una Cefeide possono essere usati (utilizzando la legge dell'inverso del quadrato della luminosità apparente) per determinare la distanza quando la parallasse sia troppo piccola per poter essere misurata. Questo metodo è applicabile anche per distanze che vanno ben oltre i confini della Via Lattea; in passato esso ha dato dei risultati errati perché in effetti la relazione tra periodo e luminosità non è universale; ma, applicato con le dovute cautele, dà risultati soddisfacenti.
Come abbiamo visto nell'introduzione, nel sec. XVIII sir William Herschel iniziò dei conteggi stellari sistematici che lo portarono a proporre per la Via Lattea un modello a forma di disco (v. fig. 1). Con l'aumentare dei dati esso dovette essere modificato: la fig. 2 ne mostra una versione più moderna dovuta a Shapley (1918). La sua innovazione principale fu quella di aver posto il Sole vicino ai bordi del sistema invece che al centro; noi oggi sappiamo che il Sole è effettivamente situato in posizione eccentrica. Il grosso delle stelle forma un sistema appiattito il cui centro oggi si crede sia a una distanza di circa 10 chiloparsec (un chiloparsec è circa 3.000 anni luce ≅3×1021 cm) dal Sole in direzione del Sagittario. Esiste inoltre un sistema di ammassi stellari globulari con distribuzione approssimativamente sferica, sistema che nel modello di Shapley ha un ruolo particolarmente importante.
Il motivo per cui il sistema stellare è appiattito fu scoperto nel 1926-1927, quando Lindblad e Oort dedussero dal moto delle stelle che la Via Lattea sta ruotando intorno a un asse passante per il suo centro e perpendicolare al piano di simmetria. Questo moto di rotazione non è rigido e le stelle più vicine al centro della Galassia hanno dei periodi di rotazione più brevi di quelle più lontane. La velocità del Sole è di circa 250 chilometri al secondo e il suo periodo è di circa 2,5×108 anni. Si può dunque calcolare la massa gravitazionale di quella parte della Galassia che si trova tra il Sole e il centro, che risulta essere di circa 1044 grammi, cioè di circa 1011 masse solari.
A questo punto vale la pena di accennare a una caratteristica della distribuzione delle stelle, perché essa è comune a molte galassie esterne. Le fotografie della fig. 3 mostrano che alcune galassie hanno una caratteristica forma a spirale, mentre altre non presentano per lo più alcuna forma caratteristica. Nel 1952 è stato dimostrato che anche la nostra Galassia è a forma di spirale e che a un osservatore esterno essa parrebbe simile alla famosa nebulosa di Andromeda (v. fig. 4). Molte stelle giovani e luminose si trovano nei bracci delle spirali e probabilmente anche il Sole è al bordo di uno di questi. Per ora l'origine di questi bracci è ancora sconosciuta. La difficoltà principale sta nel fatto che la rotazione non rigida della Galassia farebbe prevedere la sparizione dei bracci dopo un paio di periodi di rotazione e cioè in un tempo breve rispetto all'età della Galassia (che è di circa 1010 anni). Sono state fatte varie ipotesi per superare questa difficoltà, ma nessuna di esse ha trovato consensi unanimi.
Altre componenti importanti dei bracci a spirale sono il gas e la polvere interstellari, che insieme costituiscono una piccola percentuale della massa della Galassia. Queste componenti furono scoperte attraverso lo studio della diffusione e dell'assorbimento della luce stellare che ne derivava, ma oggi il miglior metodo per osservare il gas è dato dagli studi della riga di emissione dell'idrogeno atomico a 21 centimetri. In particolare la velocità di rotazione della Galassia alle diverse distanze dal centro può essere determinata dallo ‛spostamento Doppler' della riga a 21 centimetri che ci indica la velocità radiale di ciascuna nube di idrogeno. La maggior parte dell'idrogeno si muove su orbite approssimativamente circolari attorno al centro della Galassia ma vicino al centro ci sono delle deviazioni sostanziali dal moto circolare. Per esempio, una struttura a forma di braccio a 3 chiloparsec dal centro sta avvicinandosi a noi alla velocità di 50 chilometri al secondo. Questo fatto, insieme ad altre radiosservazioni, fa pensare che al centro della Galassia avvengano, o siano già avvenuti, degli eventi catastrofici.
I raggi cosmici sono un'altra importante componente della Via Lattea. Prima di tutto essi fungono da sonde della struttura e delle proprietà delle regioni interstellari in cui si propagano e inoltre sono importanti dinamicamente, perché esercitano una notevole pressione sul gas interstellare. Per la maggior parte, i raggi cosmici sono protoni le cui energie individuali vanno da 10 milioni di elettronvolt, cioè da 10 MeV, al valore ultrarelativistico, elevatissimo, di almeno 1014 MeV. La maggior parte dell'energia dei raggi cosmici è dovuta a protoni con energia di circa 1.000 MeV. L'origine di questi protoni è ancora incerta, ma la spiegazione più probabile è che essi vengano accelerati nelle esplosioni delle supernove. Tra i raggi cosmici vi sono anche dei nuclei più pesanti e ve ne sono forse addirittura di transuranici, per quanto la presenza di questi ultimi sia tutt'altro che provata. Le percentuali osservate dei diversi elementi forse contengono molte indicazioni sull'origine e sulla propagazione dei raggi cosmici; la nostra comprensione di questi problemi è oggi in rapido sviluppo.
Gli elettroni relativistici, che sono un'altra componente dei raggi cosmici, hanno una importanza particolare. Il loro moto nel campo magnetico interstellare dà origine a una radioemissione, la cosiddetta radiazione di ‛sincrotrone', che rende la nostra Galassia una radiosorgente notevole (anche se debole rispetto alle radiogalassie di cui discuteremo più avanti). Questa radiazione di sincrotrone è probabilmente un fenomeno presente su vasta scala in tutto l'universo.
3. Le galassie esterne e l'espansione dell'universo.
Nel 1924 Hubble determinò la distanza della nebulosa di Andromeda (v. fig. 4) usando il periodo e la luminosità delle sue variabili Cefeidi, e ottenne un valore che la situava ben al di fuori della Via Lattea. In questo modo egli pose fine all'accesa controversia sull'appartenenza delle nebulose spirali alla nostra Galassia. In seguito, la loro natura extragalattica è stata pienamente confermata. Tuttavia, per le nebulose più lontane Hubble dovette usare la luminosità apparente della nebulosa stessa come indicatore della distanza. In questo modo egli esplorò l'universo fino a una distanza di circa 1.000 megaparsec da noi e cioè una regione che contiene circa 100 milioni di nebulose (o, come si suol dire oggi, di galassie). Il carattere più sorprendente della loro distribuzione è il fatto che esse tendono ad agglomerarsi in ammassi, che variano per dimensioni da un paio di galassie a quindici o venti, come nel caso del nostro Gruppo Locale, fino ad ammassi contenenti varie migliaia di galassie, come quelli nella Vergine o nella Chioma di Berenice. Non è ancora del tutto chiaro se questi ammassi siano a loro volta raggruppati in gruppi di ammassi; tuttavia, non sembra che a grande distanza da noi questi ammassi si diradino e in questo senso le osservazioni fanno pensare che su larga scala la distribuzione sia più o meno uniforme.
Hubble studiò anche l'aspetto generale di molte galassie e le classificò in vari tipi (v. fig. 3). I tipi principali sono quelli a spirale, quelli a spirale barrata e quelli ellittici: inoltre ve n'è una piccola percentuale di forma irregolare. Ancora non si conosce il significato cosmogonico di questi vari tipi, ma è probabile che il momento angolare di una galassia abbia una parte importante nella determinazione del suo tipo.
La proprietà cosmologica più significativa delle galassie è lo spostamento verso il rosso delle righe dei loro spettri ottici. In un dato spettro, la lunghezza d'onda di ogni riga è spostata di una quantità proporzionale alla lunghezza d'onda non spostata e la costante di proporzionalità per ogni spettro misura il relativo spostamento verso il rosso. Questo spostamento verso il rosso viene interpretato come derivante da un ‛effetto Doppler', che indica che le galassie si stanno allontanando da noi. Questo allontanamento non è affatto casuale, ma dipende in maniera sistematica dalla distanza della galassia da noi. Anzi, già nel 1929 Hubble aveva mostrato che, fino a 10 megaparsec, la velocità radiale di una galassia è semplicemente proporzionale alla sua distanza da noi. Questa legge di Hubble non dice che la Via Lattea sia un unico centro di repulsione: anzi, le cose stanno proprio al contrario. Una legge di espansione in cui la velocità è semplicemente proporzionale alla distanza è l'unica per la quale qualsiasi galassia può essere considerata come centro di espansione e anche l'unica per cui da qualsiasi galassia si osserverebbe la stessa legge di recessione.
Il lavoro di Hubble sull'espansione dell'universo è divenuto classico. Egli commise però un grave errore ritenendo che la costante di proporzionalità nella sua legge di recessione fosse di circa 500 chilometri al secondo per megaparsec. Questo vorrebbe dire che circa due miliardi di anni fa le galassie erano tutte ammassate; invece oggi si ritiene che le età della Terra, del Sole e della Via Lattea superino questo valore per un fattore compreso tra due e cinque. Questa difficoltà è stata superata, grazie alla migliore conoscenza attuale delle variabili Cefeidi e di altri indicatori di distanza. Oggi si crede che la scala delle distanze di Hubble sia errata per un fattore pari a circa 5 e che la costante debba essere pari a 100 chilometri al secondo per megaparsec. L'‛età dell'universo' supera in tal modo i 10 miliardi di anni ed è così risolta la difficoltà della scala temporale.
La validità della legge di Hubble è stata ora esaminata fino a distanze pari a 1.000 megaparsec. A queste grandi distanze l'unico indicatore della distanza è la luminosità apparente delle galassie stesse e bisogna quindi essere ben sicuri che quelle usate siano ‛candele campione'. Sandage ha recentemente mostrato che le galassie più luminose negli ammassi (e anche le controparti ottiche delle radiogalassie delle quali ci occuperemo nel prossimo capitolo) possono venir considerate come ‛candele campione'. Il suo diagramma di Hubble più recente (1968) è illustrato nella fig. 5; esso mostra che la legge di Hubble è valida fino a distanze 100 volte più grandi di quelle per le quali essa era stata enunciata. Può darsi che tale legge non sia più valida per distanze ancora maggiori, giacché in quel caso si osserverebbe l'universo come era molto tempo fa, quando la velocità di espansione poteva ben essere diversa da quella attuale. Quindi, se si notasse una deviazione dalla legge di Hubble, essa fornirebbe una considerevole quantità di informazioni sulla storia dell'espansione dell'universo. Una tale deviazione, però, non è ancora stata stabilita con certezza.
4. Radiogalassie.
Nel 1946 Hey, Parsons e Phillips rivelarono una forte radiosorgente nella costellazione del Cigno; da allora ne sono state scoperte alcune migliaia. Lo studio di questi oggetti è notevolmente progredito da quando è diventato possibile trovare una controparte ottica per molti di essi; nella maggior parte dei casi tali oggetti sono galassie di cui si può misurare lo spostamento verso il rosso: ciò che permette di calcolarne la distanza per mezzo della legge di Hubble. La conoscenza della distanza è determinante per la comprensione dei processi fisici delle sorgenti, perché da essa si può dedurre la dimensione lineare e la potenza radio intrinseca di ogni sorgente identificata.
Affinché l'identificazione sia sicura e non sia invece dovuta solo a una coincidenza casuale, è necessario disporre di un'accurata posizione radio; la soluzione di questo problema sperimentale ha richiesto un ingente lavoro. Le prime identificazioni furono proposte nel 1949 da Bolton, Stanley e Slee, i quali identificarono le sorgenti Toro A con la nebulosa del Granchio (che è il relitto dell'esplosione di una supernova avvenuta nel 1054 d.C.), Vergine A con la galassia NGC 4486 e Centauro A con la galassia NGC 5128. Tutti questi oggetti sono di considerevole interesse per l'astrofisica: infatti, sia la radiazione radio sia quella ottica della nebulosa del Granchio sono polarizzate linearmente, il che fa pensare che l'emissione sia dovuta a radiazione di sincrotrone; Vergine A ha un getto che esce dal suo nucleo e la radiazione di questo getto è anch'essa polarizzata linearmente; infine, Centauro A è una sorgente multipla che sembra aver subito delle esplosioni ricorrenti. Essa è anche la prima radiosorgente extragalattica in cui sia stata trovata una polarizzazione della radioemissione.
Queste identificazioni furono seguite nel 1950 dalla scoperta, compiuta da Ryle, Smith e Elsmore, che la nebulosa di Andromeda e varie altre sorgenti vicine ad essa sono radiosorgenti, che hanno una potenza radio intrinseca paragonabile a quella della Via Lattea. Se si integra su tutte le lunghezze radio, si ottiene una potenza di circa 1038 erg al secondo, che è piccola rispetto alla potenza ottica di circa 1044 erg al secondo. Vergine A e Centauro A sono radioemittenti molto più potenti, ma il primo esempio di una radiosorgente veramente potente fu Cigno A, che Baade e Minkowski identificarono nel 1954 con la componente più luminosa di un debole ammasso di galassie. Il suo spettro ottico ha uno spostamento verso il rosso di 0,057, corrispondente a una velocità di recessione di 17.000 chilometri al secondo. Ammesso che questo spostamento verso il rosso obbedisca alla legge di Hubble, ne segue che la distanza di Cigno A è di circa 170 megaparsec. Considerando il fatto che, riguardo alla potenza, Cigno A è la seconda radiosorgente celeste, si deduce che la sua distanza è enorme e che anche la sua radioluminosità assoluta è grandissima. Essa risulta essere circa 1045 erg al secondo, cioè 10 milioni di volte superiore alla radiopotenza di una normale galassia e 10 volte più grande della sua potenza ottica. Oggetti del genere si chiamano radiogalassie e oggi se ne conoscono molti.
La natura sorprendente del problema dell'energia nelle radiogalassie fu messa per la prima volta in evidenza nel 1956 da O. R. Burbidge, che riuscì a valutare l'energia minima in gioco ragionando nel seguente modo. Supponendo che una sorgente irradi con un meccanismo di sincrotrone, vi sono almeno due contributi all'energia totale contenuta nella sorgente, e cioè l'energia magnetica e l'energia degli elettroni radianti. Nè l'intensità del campo magnetico nè il flusso degli elettroni sono conosciuti; tuttavia, più basso è il campo magnetico, più grande è il flusso di elettroni necessario per produrre l'emissione osservata. Perciò l'energia totale è minima quando ci sono quantità di energia all'incirca uguali nel campo magnetico e negli elettroni. Questo minimo di energia è di solito enorme e in casi tipici può superare 1060 erg.
Ora, 1060 erg è l'energia contenuta nella massa a riposo di un milione di masse solari. Se si trattasse dell'annichilazione materia-antimateria, come in effetti è stato proposto, l'intera massa a riposo della materia in gioco potrebbe essere trasformata in energia esplosiva. Se si trattasse di altri meccanismi, invece, l'energia liberata sarebbe probabilmente solo l'1% dell'energia della massa a riposo. Ci si trova quindi di fronte al problema di comprendere come mai 108 masse solari, cioè una parte su mille dell'intera galassia, possano tutte assieme produrre un'esplosione così violenta. Questo è oggi forse il principale problema non risolto dell'astrofisica.
5. Oggetti quasi-stellari.
Qualche anno dopo l'identificazione delle prime radiogalassie, fu scoperta una nuova categoria di oggetti, cioè le sorgenti radio quasi-stellari, o ‛quasar'. Il primo indizio dell'esistenza di questi oggetti si ebbe nel 1960, quando Matthews e Sandage scoprirono che le radiosorgenti 3C 48, 3C 286 e 3C 196 avevano controparti ottiche che sembravano stelle anziché galassie. Sandage ottenne uno spettro ottico della 3C 48 in cui erano presenti righe di emissione allargate, che egli non riuscì a identificare. Inoltre la ‛stella' aveva un eccesso di ultravioletto simile a quello che si ha nelle stelle calde del tipo delle ‛nane bianche'. Fino al dicembre del 1962 si tentò di interpretare lo spettro come derivante da un'eccitazione insolitamente alta che dava luogo a una produzione di righe non conosciute. Un altro fatto curioso era che la luminosità ottica variava sensibilmente in un periodo di tempo dell'ordine di un giorno.
La scoperta chiave si ebbe nel 1963. A quel tempo era appena stata osservata un'altra radiosorgente, la 3C 273, mentre stava per essere occultata dalla Luna. Questo dette la possibilità a Hazard, Mackey e Shimmins di ottenere per essa una posizione radio estremamente accurata: si scoprì che essa corrispondeva a una stella blu di 13a grandezza. La concordanza di posizione era talmente buona che l'identificazione fu accettata come perfettamente attendibile. Ciò consentì a M. Schmidt di ottenere uno spettro ottico della 3C 273 che risultò essere simile a quello della 3C 48, perché anch'esso consisteva di righe di emissione allargate che all'inizio non poterono essere identificate. In seguito Schmidt scoprì che lo spettro sarebbe stato perfettamente comprensibile se avesse avuto uno spostamento verso il rosso di 0,158, cioè assai grande per una stella. Se questo è uno ‛spostamento Doppler', la ‛stella' si sta allontanando da noi con una velocità che è quasi il 16% di quella della luce.
Fu subito evidente che, se lo spostamento verso il rosso della sorgente 3C 273 obbediva alla legge di Hubble, come sembravano fare quelli delle radiogalassie, questa sorgente doveva avere una potenza ottica assoluta eccezionale. La distanza, infatti, sarebbe di circa 500 megaparsec e, poiché la luminosità apparente è di 13a grandezza, la luminosità assoluta dovrebbe essere circa 100 volte più grande di quella della galassia più luminosa che si conosca. Questo vorrebbe dire che un oggetto siffatto che fosse situato a una distanza molto maggiore di 500 megaparsec dovrebbe essere ancora rivelabile, pur con un grandissimo spostamento verso il rosso. Un primo passo verso la conferma di questa previsione fu compiuto quasi subito, quando Greenstein e Matthews, stimolati dalla scoperta di Schmidt, risolsero il mistero dello spettro della 3C 48 interpretandolo con uno spostamento verso il rosso di 0,367.
I grandissimi spostamenti verso il rosso che erano stati previsti furono scoperti nel 1965 da M. Schmidt, il quale trovò che le lunghezze d'onda dello spettro ottico nel sistema in quiete della sorgente 3C 9 erano moltiplicate per un fattore 3,012. Se per il momento si trascurano le sottigliezze cosmologiche e si considera lo spostamento verso il rosso semplicemente come un effetto Doppler della relatività speciale, la velocità di recessione della sorgente 3C 9 risulta essere circa l'80% di quella della luce. Oggi si conoscono degli spostamenti verso il rosso ancora maggiori, il più grande dei quali corrisponde a un fattore 3,88: in questo caso la velocità di allontanamento, calcolata in base all'effetto Doppler secondo la relatività ristretta, sarebbe l'88% della velocità della luce.
È chiaro che, se è corretta l'interpretazione secondo la quale questi spostamenti verso il rosso derivano dall'espansione dell'universo (una supposizione che alcuni astronomi mettono in dubbio), noi stiamo guardando nel passato su una scala dei tempi paragonabile all'età dell'universo. La distribuzione dei quasar dovrebbe dunque fornirci importanti informazioni cosmologiche. L'idea più immediata sarebbe quella di includere i quasar nel diagramma di Hubbie, che rappresenta lo spostamento verso il rosso in funzione della grandezza apparente (considerata come misura della distanza). Il diagramma per le galassie è lineare (questa è la legge di Hubble) e la sua derivata ci dà la velocità di espansione dell'universo (costante di Hubble). Le galassie che si possono osservare hanno piccoli spostamenti verso il rosso e quindi le vediamo come erano in un passato relativamente recente; i quasar con grande spostamento verso il rosso vengono invece osservati come erano molto tempo fa, così che essi dovrebbero fornirci informazioni preziose sulla velocità di espansione nei primi stadi dell'universo. Non è da credere che questa velocità si sia mantenuta invariata fino a oggi, se non accettando alcuni modelli speciali; quindi, ci si può aspettare che il diagramma di Hubble diventi non lineare per grandi spostamenti verso il rosso. Dalla conoscenza ditale non linearità si otterrebbe la misura della decelerazione dell'espansione dell'universo.
Purtroppo, quando gli spostamenti verso il rosso dei quasar vengono riportati su un diagramma di Hubble, essi non si dispongono su una curva ben definita, ma si distribuiscono in maniera irregolare. Ciò significa che le loro grandezze assolute non costituiscono una buona indicazione delle loro distanze. La loro luminosità intrinseca deve variare da un oggetto all'altro entro un ampio intervallo, cioè essi non sono ‛candele campione'. Fino a quando non si sarà, quindi, trovato un metodo per determinare la distanza di un quasar, non si potrà far uso di questo procedimento per scoprire la decelerazione dell'universo.
Si può tuttavia studiare il numero relativo dei quasar per valori diversi dello spostamento verso il rosso, il che dà un'indicazione importante sulla loro distribuzione nello spazio e anche nel tempo, giacché i più distanti sono visti in un tempo più remoto. Si è così scoperto che la distribuzione dei quasar evolve molto rapidamente nel tempo. A uno spostamento verso il rosso di valore unitario vi sono circa 100 volte più quasar per unità di volume di quanti non ve ne siano nelle vicinanze della nostra Galassia (in aggiunta all'affollamento che consegue direttamente dall'espansione dell'universo). Per un valore 2 dello spostamento verso il rosso tale fattore si avvicina a 500. Quest'osservazione mostra esplicitamente che l'universo è in evoluzione e che le proprietà medie delle sue componenti cambiano col tempo. (Questa affermazione presuppone naturalmente che gli spostamenti verso il rosso dei quasar siano di origine cosmologica).
6. I conteggi di radiosorgenti.
Per contare le radiosorgenti, la maggior parte delle quali non è ancora stata otticamente identificata, si è usato un metodo simile a quello precedentemente descritto. In questo caso, però, non si può usare lo spostamento verso il rosso perché esso di solito non è conosciuto e quindi si conta il numero N di radiosorgenti la cui luminosità radio, misurata a una frequenza di osservazione costante, supera una data quantità S. Se le sorgenti fossero uniformemente distribuite e fossero in quiete, N sarebbe proporzionale a S-3/2. Il diagramma di logN in funzione di logS sarebbe perciò una retta di pendenza −³2-. Tenendo conto degli effetti dello spostamento verso il rosso, la relazione tra logN e logS dovrebbe diventare una curva con pendenza minore (cioè più vicina a −1). Quella che si osserva, invece, è una curva con pendenza maggiore (circa −1,8). Nella fig. 6 mostriamo quelli che per il momento sono i risultati più dettagliati ottenuti, dovuti a Ryle e Pooley: si può osservare che soltanto per le sorgenti più deboli la pendenza diminuisce nel modo previsto.
Questa anomalia viene interpretata allo stesso modo della relazione tra il numero di quasar e i loro spostamenti verso il rosso e cioè in termini di una evoluzione intrinseca delle sorgenti. Se l'intensità, o la densità numerica, delle radiosorgenti nel passato fosse stata sufficientemente più grande di quella che è ora (in aggiunta all'affollamento che consegue dall'espansione dell'universo), si riscontrerebbe in effetti una pendenza assai più ripida. Questa pendenza non può però mantenersi indefinitamente perché altrimenti la radioluminosità totale, integrata, di tutte le sorgenti supererebbe il fondo radio extragalattico conosciuto. L'evoluzione deve quindi estinguersi gradualmente e alla fine gli effetti dello spostamento verso il rosso che appiattiscono la curva devono prendere il sopravvento. In effetti questo appiattimento può essere osservato per le sorgenti più deboli. In generale, quindi, si può dire che qui abbiamo un'ulteriore prova del fatto che viviamo in un universo in evoluzione.
7. Modelli dell'universo.
Per la costruzione di modelli dell'universo si è soliti far uso della teoria della relatività generale di Einstein. Fu proprio Einstein che costruì il primo di tali modelli nel 1917, quando modificò le sue prime equazioni di campo del 1915 aggiungendo un altro termine che conteneva una costante indeterminata, la cosiddetta costante cosmica λ. Questo termine, quando gli si attribuisca il segno adatto, rappresenta una forza repulsiva capace di vincere l'autogravitazione attrattiva della normale materia dell'universo. Ciò permise ad Einstein di costruire un modello statico dell'universo, in cui l'autogravitazione è esattamente bilanciata dalla repulsione cosmica.
Nel 1922 Friedmann dimostrò che le equazioni di Einstein, anche senza il termine cosmico, posseggono soluzioni cosmologiche. Nei casi più semplici, queste soluzioni corrispondono a un sistema in espansione o contrazione su larga scala, proprio come ci si potrebbe aspettare per una concentrazione sferica di materia su cui agissero soltanto forze gravitazionali. Quando alcuni anni più tardi fu scoperta l'espansione dell'universo, Einstein abbandonò la sua costante cosmica, ma alcuni cosmologi preferiscono ancora mantenerla, determinando empiricamente il segno e il valore di λ.
Friedmann riuscì a ottenere delle soluzioni cosmologiche esatte delle equazioni di Einstein supponendo soltanto che l'universo fosse omogeneo e isotropo. Osservazioni più recenti hanno mostrato che tale ipotesi dovrebbe rappresentare una buona approssimazione quando si considerino le proprietà strutturali dell'universo su grande scala. Nel 1936 Robertson e Walker fecero vedere che anche impiegando solo queste ipotesi di simmetria, si possono avere molte informazioni sulla struttura dell'universo. Oggi, seguendo Milne, che fu il primo a introdurre, questo metodo, si parla di modelli cinematici dell'universo. L'informazione dinamica si ottiene in seguito imponendo ai modelli di Robertson e Walker di soddisfare le equazioni di campo di Einstein; in questo modo si scopre quale è la distribuzione di materia e di energia che dà origine a essi.
I modelli di Robertson e Walker sono facilmente classificabili perché sono governati soltanto da una funzione del tempo R(t) e da una costante k. La funzione R(t), che si chiama fattore di scala dell'universo, può essere interpretata come il fattore che dà la dipendenza dal tempo della distanza tra due particelle (galassie) e che quindi governa la velocità di espansione dell'universo. La quantità k può in certi casi essere rappresentata, secondo la notazione di Newton, come l'energia cinetica più quella potenziale totale di una particella, specificando in tal modo se la materia dell'universo formi un sistema gravitazionalmente legato o se invece l'espansione continui indefinitamente. Nella teoria della relatività, k determina in ogni istante la curvatura dello spazio tridimensionale e indica anche se l'espansione continua indefinitamente.
Ci sono sei tipi di modelli dell'universo di particolare interesse. Nei primi quattro la costante cosmica ha valore zero e in tutti, fuorché nel quarto e nel sesto, la pressione è nulla. I modelli sono riportati qui di seguito.
1. k=0. Questo è il modello di Einstein-de Sitter a espansione continua, nel quale la velocità di espansione tende uniformemente a zero. Il suo fattore di scala dipende dal tempo nel seguente modo:
R(t)∝t2/3
e la densità di materia ρ è data dall'equazione:
6πGρt2=1,
in cui G è la costante gravitazionale di Newton. Se si scrive la legge di Hubble per le galassie vicine nella forma
il valore attuale di τ, che dalle osservazioni risulta essere eguale a 1010 anni, è pari a tre mezzi dell'età attuale dell'universo misurata dall'istante di densità infinita a t=0. L'età dell'universo sarebbe dunque di circa 7×109 anni, un valore che è in buon accordo con le valutazioni dell'età della Via Lattea.
Il valore attuale della densità nel modello di Einstein-de Sitter è circa 2×10-29 g cm-3, cioè superiore di circa un fattore 30 alla densità che risulta dalla massa delle galassie conosciute. Da molti è stato suggerito che lo spazio intergalattico contenga del gas con la densità richiesta di 2×10-29 g cm-3, ma ogni tentativo di osservare questo gas è finora fallito; ciò sarebbe spiegabile se la temperatura del gas fosse di qualche centinaia di migliaia di gradi. La prova decisiva si avrà probabilmente con l'osservazione dei raggi X molli che un gas del genere emetterebbe. Per mezzo di razzi sono state fatte osservazioni preliminari del flusso di fondo di raggi X molli ed esse non escludono la presenza del gas, ma occorrono ancora altre osservazioni prima che il problema possa considerarsi definitivamente risolto.
2. k>0. Questo è un modello oscillante, vale a dire che in esso alla fine l'autogravitazione riesce a trasformare in contrazione l'espansione. La funzione R(t) è una cicloide, l'età dell'universo è minore di quanto non lo sia nel modello di Einstein-de Sitter, e la densità attuale è maggiore. Se per questo modello si scelgono dei parametri abbastanza vicini a quelli del modello di Einstein-de Sitter, lo si può conciliare con i dati osservativi esistenti.
3. k〈0. Questo è un modello a espansione continua, la cui velocità di espansione tende in maniera uniforme a un valore diverso da zero. La funzione R(t) non ha più una forma semplice eccetto che vicino a t=0, dove si comporta come t2/3, e quando t assume valori molto grandi, dove diventa lineare con t. Quest'ultimo comportamento implica che il modello finisce per espandersi liberamente senza che praticamente la gravità lo trattenga. L'età dell'universo è più grande di quella data dal modello Einstein-de Sitter e la densità attuale è più piccola. Questo modello è anche compatibile con i dati osservativi esistenti.
4. Modello dominato dalla radiazione. È interessante nei primi stadi dell'espansione, quando la radiazione può prevalere completamente sulla materia, e bisogna quindi tener conto della pressione di radiazione (v. sotto, cap. 8). In tal caso risulta:
R(t)∝t1/2.
5. Modello di Lemaitre. In esso si ha k>0 e λ>0 (anzi, λ deve essere maggiore di un certo valore critico), e la funzione R(t) ha un comportamento assai interessante. All'inizio si comporta come t2/3, come nel modello di Einsteinde Sitter, e si ha, cioè, un'espansione molto rapida. In seguito, la gravità rallenta l'espansione e vi è un periodo quasi statico (che sarebbe propizio alla formazione di condensazioni galattiche), dopo il quale l'espansione riprende a crescere rapidamente a causa dell'effetto di repulsione del termine λ: sarebbe proprio questa la fase in cui ci troveremmo attualmente. Recentemente questo modello ha incontrato molto favore poiché sarebbe in grado di spiegare certe peculiarità dei dati dello spostamento verso il rosso dei quasar. Esso differisce dai modelli precedenti in quanto l'espansione sarebbe ora in fase di accelerazione (a causa della preponderanza del fattore λ, mentre negli altri modelli essa starebbe rallentando (a causa dell'autogravitazione). Come s'è già visto, in futuro sarà possibile decidere per mezzo di osservazioni se l'espansione dell'universo è in fase di accelerazione o di rallentamento, studiando il diagramma di Hubble dello spostamento verso il rosso in funzione della grandezza apparente per alti valori dello spostamento verso il rosso. In tutti i modelli di Robertson-Walker, fuorché uno, la semplice legge lineare di Hubble non vale più per grandi spostamenti verso il rosso e, se si potesse accertare una discordanza dalla legge lineare, si potrebhe venire a sapere se l'espansione sta accelerando o rallentando.
6. Modello stazionario. In esso k=0 e R(t) cresce esponenzialmente. Le proprietà su larga scala dell'universo rimangono uguali a ogni istante e l'espansione è compensata dalla continua creazione di materia. Questo modello fu proposto nel 1948 da Bondi, Gold e Hoyle, in parte per evitare la difficoltà della scala temporale che sembrava prevalere a quel tempo (quando si riteneva che l'età di espansione dell'universo fosse solo di 2×109 anni) e in parte per il suo intrinseco interesse. I conteggi delle radiosorgenti e dei quasar di cui si è parlato precedentemente e l'eccesso di radiazione di microonde, di cui si parlerà nel prossimo capitolo, sembrano indicare che questo modello è errato e che nel suo insieme l'universo sta mutando col tempo in maniera sistematica.
8. La radiazione cosmica di fondo a 3 °K.
Sotto molti aspetti questa è la più straordinaria fra tutte le scoperte moderne dell'astronomia. Essa, in effetti, era già stata prevista teoricamente, ma poiché la previsione era stata dimenticata, l'effettiva scoperta fu fatta per caso. Gamow aveva suggerito che nei primi stadi ad alta densità dell'universo la temperatura doveva essere sufficientemente elevata per dar luogo a reazioni nucleari che avrebbero portato alla formazione di elio partendo da una distribuzione di idrogeno. Per produrre la grande quantità di elio che oggi si osserva (circa il 10% della quantità di idrogeno), la temperatura all'inizio doveva essere compresa in un particolare intervallo di valori. A tali temperature e densità, si sarebbe rapidamente costituito un flusso di radiazione di ‛corpo nero' (in equilibrio termico). A mano a mano che l'universo si espandeva, questa radiazione si sarebbe raffreddata, ma avrebbe dovuto mantenere il suo carattere di corpo nero. Persino adesso l'universo dovrebbe essere riempito di questa radiazione di corpo nero, sia pure raffreddata a una temperatura che, secondo i calcoli, avrebbe dovuto essere di circa 10 °K.
Quando Gamow fece questa predizione non ci si rese immediatamente conto che tale campo di radiazione avrebbe dominato su tutte le altre sorgenti di radiazione nella regione delle microonde (cioè delle lunghezze d'onda centimetriche) e che esso sarebbe stato in effetti direttamente osservabile coi radioricevitori. La previsione di Gamow era poi stata dimenticata e così, quando A. A. Penzias e R. W. Wilson ai laboratori della Beh Telephone notarono un effetto di interferenza nello studio di onde radio a 7 centimetri dovuto a un forte rumore di fondo, rimasero assai perplessi. Questo eccesso di rumore a 7 centimetri era uguale a quello che sarebbe stato prodotto a quella lunghezza d'onda da un corpo nero alla temperatura di 3 0K e superava di circa un fattore 100 la stima del rumore proveniente da tutte le radiosorgenti conosciute.
Questo rumore di fondo fu immediatamente attribuito a un campo universale di radiazione di corpo nero da R. H. Dicke, P. J. E. Peebles, P. G. Roll e D. T. Wilkinson, i quali stavano costruendo un radiometro funzionante alla lunghezza d'onda di 3 centimetri per controllare la proposta fatta indipendentemente da Dicke, secondo la quale l'universo avrebbe dovuto essere riempito di radiazione dovuta alla palla di fuoco iniziale. La prova decisiva di questa interpretazione è il fatto che lo spettro dell'eccesso di radiazione dovrebbe essere quello assai caratteristico di un corpo nero (spettro di Planck). Si sono quindi eseguite delle misure a diverse lunghezze d'onda partendo da 70 centimetri (lunghezza a cui la nostra Galassia comincia a emettere intensamente) fino a una lunghezza di 3 millimetri (alla quale la nostra atmosfera comincia a essere opaca). Le misure a tutte queste lunghezze d'onda sono in accordo con lo spettro di un corpo nero alla temperatura di 2,65±1 °K (v. fig. 7).
Sfortunatamente, la parte più caratteristica dello spettro di corpo nero, cioè quella in cui esso raggiunge un massimo e poi comincia a decrescere rapidamente al diminuire della lunghezza d'onda, si ha leggermente al di sotto dei 3 millimetri, cioè a una lunghezza d'onda a cui l'atmosfera terrestre è opaca. Sono stati elaborati dei metodi per aggirare questa difficoltà. Il primo consiste nell'usare molecole interstellari di CN, che sono eccitate in maniera rivelabile dal campo di radiazione ambientale a una lunghezza d'onda di 2,6 millimetri. Era noto dallo studio degli effetti dell'assorbimento ottico negli spettri stellari che questa eccitazione corrispondeva a una temperatura di circa 3 °K. Prima della scoperta della radiazione di fondo questa eccitazione sembrava eccessivamente elevata rispetto al campo di radiazione previsto a 2,6 millimetri; in effetti essa è in ottimo accordo con l'ipotesi della radiazione di corpo nero. Recenti osservazioni di P. Thaddeus e 3. F. Clauser hanno consentito di calcolare approssimativamente la stessa temperatura per dieci regioni diverse della Galassia, e questo convalida l'ipotesi che il processo di eccitazione sia universale.
L'altro sistema per determinare la temperatura della radiazione a lunghezze d'onda millimetriche consiste nel compiere delle osservazioni con razzi, palloni o satelliti al di sopra dell'atmosfera terrestre. I razzi sono stati usati da J. R. Houck, M. O. Harwit e K. Shivanandan e da A. G. Blair, J. G. Beery, F. Edeskuti, R. D. Hiebert, J. P. Shipley e K. D. Williamson, mentre D. Muehlner e R. Weiss hanno usato un pallone. Queste osservazioni non sono in accordo: sembra però abbastanza probabile che nell'intervallo di lunghezze d'onda compreso tra 0,4 e 1,3 millimetri vi sia un flusso intenso, anzi varie volte più intenso di quello che corrisponderebbe a uno spettro di corpo nero. Il problema è attualmente in discussione; invero, questo flusso intenso non può corrispondere a un campo di radiazione universale con uno spettro uniforme, perché sarebbe allora in contraddizione con il limite superiore a 0,56 e 0,36 millimetri ottenuto dalle osservazioni su CH e CH+. O questa radiazione è più localizzata, oppure essa è limitata a righe spettrali che non si sovrappongono alle righe molecolari. In ambedue i casi deve però esserci un meccanismo addizionale, il che di per sé non invalida l'ipotesi del corpo nero. Ciò nonostante sono ovviamente necessarie ulteriori osservazioni a lunghezze d'onda millimetriche prima che la situazione possa essere completamente chiarita. La natura di questo meccanismo, se esso esiste, è ovviamente di per se stessa un problema importante.
La proprietà della radiazione di fondo che ha riscosso più attenzione, a parte il problema del suo spettro, è la sua isotropia. I dati originali di Penzias e Wilson mostravano che non vi era variazione con la direzione nei limiti di una precisione del 30%. Osservazioni recenti hanno confermato l'isotropia con una precisione dello 0,1%, e questa è di gran lunga la misura più precisa che si sia mai fatta in cosmologia. Ciò significa che su grande scala l'universo nel suo insieme è isotropo, entro i limiti almeno di una tale precisione. La spiegazione di questo fatto è un problema affascinante che i cosmologi teorici hanno appena cominciato ad affrontare.
Un'altra conseguenza dell'alta isotropia della radiazione di fondo è il fatto che essa pone un limite superiore di 300 chilometri al secondo alla velocità della Terra attraverso questo fondo (altrimenti l'effetto Doppler condurrebbe a una anisotropia rivelabile). Ciò, a sua volta, pone il medesimo limite alla velocità della Terra relativamente all'universo nel suo insieme, poiché questo è l'effettiva sorgente della radiazione di fondo. Misure più precise della distribuzione angolare del fondo dovrebbero rivelare l'effettivo moto della Terra relativamente all'universo. La conoscenza di ciò sarebbe di grande importanza per la comprensione della dinamica, della distinzione tra moto relativo e assoluto, della relazione tra sistemi locali inerziali e della distribuzione della materia nell'universo.
9. L'origine dell'universo.
Per ultimo dobbiamo considerare il problema fondamentale, e cioè se lo sviluppo della nostra conoscenza della cosmologia abbia gettato nuova luce sull'origine dell'universo. Benché non si possa ancora dire se sia possibile dare una risposta a questo problema, sembra però che esso si sia considerevolmente precisato. Il motivo sta nel fatto che alla base della maggior parte dei modelli relativistici plausibili dell'universo vi è una ‛singolarità' a cui corrisponde una densità infinita del sistema. Per un certo tempo si credette che questa singolarità conseguisse dall'ipotesi che l'espansione dell'universo è esattamente isotropica, ma ora sappiamo che ciò non è vero. Grazie ad alcuni fondamentali teoremi di Penrose e Hawking oggi si sa che, secondo la relatività generale, anche in un universo irregolare non si può evitare una singolarità. La domanda precisa è dunque questa: quale è la relazione tra questa singolarità e l'origine dell'universo? Su questo argomento vi sono due correnti di pensiero: la prima considera l'esistenza di una singolarità come un'indicazione del fatto che la teoria che sta alla base di tutto questo, e cioè la relatività generale, non è valida; la seconda, invece, accetta l'esistenza della singolarità e cerca di studiarne tutte le conseguenze. Tale controversia non potrà essere risolta fino a che non si sarà ottenuta una migliore conoscenza dei processi fisici di sistemi con materia altamente condensata. L'acquisizione di questa conoscenza è il problema più grande che la fisica deve oggi affrontare. Quando lo avremo risolto, saremo forse un po' più vicini alla risposta da dare all'elusivo quesito: qual è l'origine dell'universo?
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