DUSI, Cosroe
Figlio di Bernardo, discendente da agiata famiglia di Bergamo, e di Maddalena Fapanni di Brescia, nacque a Venezia il 28 luglio 1808. Il padre mori poco dopo la sua nascita, lasciando la famiglia in ristrettezze economiche, ma la madre volle sostenere col proprio lavoro l'istruzione dell'unico figlio, indirizzandolo agli studi letterari. Fin da piccolo, però, il D. mostrò una spiccata predilezione per il disegno, cosi che, vinte le resistenze materne, il 6 nov. 1820 poté iscriversi all'accademia di belle arti di Venezia, dove frequentò i corsi di ornato, elementi di figura, statuaria e pittura. Quest'ultimo era tenuto in quegli anni da Teodoro Matteini, il cui insegnamento lasciò un'evidente traccia nei numerosi dipinti di soggetto religioso del D., soprattutto per quella nota larmoyante che egli derivava dalla pittura bolognese, attraverso P. Batoni. Grazie all'interessamento del Matteini, il D. poté usufruire di un sussidio triennale, concesso allora ai tre allievi migliori dell'accademia.
Malgrado sia stato in vita molto apprezzato dai contemporanei, il D. fu quasi dimenticato dopo la morte, tanto che è spesso difficile rintracciare l'ubicazione delle sue opere.
Compagno di studi del pordenonese Michelangelo Grigoletti, i due allievi si distinsero spesso nelle discipline pittoriche, aggiudicandosi ogni anno il primo o il secondo premio o, più volte, un premio a pari merito (nel 1824 per il "colorito"; nel 1825 sia per il "disegno dal nudo semplice" sia per il "disegno dal nudo aggruppato"; nel 1826 per il "colorito dal nudo"). Conclusi gli studi nel 1827. il D. ottenne dall'accademia una stanza vicino alla scuola di pittura (privilegio che veniva accordato ai due allievi dell'accademia che avevano ottenuto i migliori risultati) e nello stesso anno dipinse il suo primo quadro storico, La morte di Alcibiade, molto lodato dai contemporanei (Draghi, 1865, pp. 5 s.). Cessato il sussidio, le pressanti difficoltà economiche gli impedirono di portare a compimento un grande dipinto raffigurante Paolo e Francesca.
La tela con lo stesso soggetto, ma di minori dimensioni, della Galleria nazionale d'arte moderna di Roma, che fu presentata, con scarso successo, alla Esposizione di Brera del 1831, rispecchia forse quella prima idea non realizzata.
Oltre a collaborare con vignette al giornale IlGondoliere (è suo il ritratto di Leopoldo Cicognara dal noto dipinto di L. Lipparini pubblicato ad illustrazione della necrologia del Cicognara il 15 marzo 1834) e ad eseguire qualche ritratto ad olio, per vivere lavorò, insieme col Grigoletti e con M. Fanoli, presso lo stabilimento litografico Galvani di Venezia. I soggetti delle litografie erano per lo più figure di genere (pescivendoli, spazzacamini, ecc.), o ritratti (di personaggi importanti, ma anche di cantanti, mimi, ballerine).
Il Gabinetto delle stampe del Museo Correr di Venezia possiede 22 tra incisioni e litografie (alcune di queste edite dalla litografia Deyè), eseguite tra la fine degli anni '20 e la fine degli anni '30.
Nel 1829 espose alla mostra annuale dell'accademia una Ninfa Salmace che tenta di sedurre l'innocente Ermafrodito (Bologna, coll. priv.; pubbl. in IlVeneto e l'Austria…, 1989, fig. 116), una Vergine col Bambino e s. Giovannino e due quadretti tratti da testi di Gaspare Gozzi. Nel 1830 sposò Antonietta Ferrari, figlia dello scultore Bartolomeo e sorella dello scultore Luigi, condiscepolo e amico del Dusi.
Nel 1831 ottenne la commissione della pala con i Ss. Pietro e Paolo, per l'altar maggiore dell'omonima parrocchiale di Sesto nel Tirolo meridionale, e nello stesso anno quella della Vergine del Rosario e s. Domenico, per l'altare laterale destro della medesima chiesa.
L'ammirazione tributata a questi lavori gli procurò negli anni seguenti diverse ordinazioni nella regione: nel 1833 una pala raffigurante S. Luca nell'atto di ritrarre la Vergine, per l'altare laterale destro del santuario di S. Maria Assunta di Maria Luggau (Carinzia occidentale); nel 1834 la grande pala con l'Assunzione di Maria, per l'altar maggiore dello stesso santuario; ancora tra il 1833 e il 1834 il dipinto con La resurrezione dei morti per la cappella del cimitero di Cortina d'Ampezzo; nel 1835 la Vestizione di s. Geltrude per l'altar maggiore della parrocchiale di Selva dei Molini; nel 1836 la pala con S. Maria Assunta per un altare laterale della parrocchiale dedicata a S. Maria Assunta e a S. Ciriaco a Falzes presso Brunico, una Crocifissione per il secondo altare laterale sinistro della parrocchiale di S. Michele a Bressanone (citata in Thieme-Becker come Maria sotto la Croce) e una Gloria di s. Caterina per l'altar maggiore dell'omonima parrocchiale di Curon Venosta; probabilmente nel 1838 dipinse la Comunione di s. Martino, vescovo di Tours per la parrocchiale di S. Martino di Casies e infine nel 1839 una Sacra Famiglia col s. Giovannino (firmata e datata) per l'altare laterale destro del presbiterio della chiesa di S. Maria Assunta di Tures. Molte di queste opere, che si trovano ancora tutte nella collocazione originale (ad eccezione della pala di Falzes ora nella canonica), furono esposte nelle sale dell'Accademia di belle arti di Venezia nel periodo immediatamente precedente al loro invio in Tirolo.
Grazie alla mediazione di Gaspero Craglietto, conoscitore e collezionista d'arte di origine chersina ma residente a Venezia, fu commissionata al D. la pala dell'altar maggiore per la collegiata di S. Maria Maggiore della città di Cherso, nell'omonima isola dalmata. La chiesa aveva subito un disastroso incendio nel 1826, nel quale era andata distrutta la pala di Andrea Vicentino del 1545, raffigurante IlMiracolo della Madonna della Neve.
Al D. fu chiesto di riprodurre fedelmente l'iconografia, secondo la descrizione che gli fu fornita e che si è conservata (Orlini, 1964, pp. 26-29). L'opera fu terminata nell'estate del 1833 e fu esposta al pubblico nella basilica di S. Marco prima di essere imbarcata per Cherso. Nei personaggi della parte inferiore del dipinto (papa Liberio, l'architetto, ecc.) la resa dei costumi è particolarmente accurata, tanto che la tela, come pure la pala di S. Filomena della chiesa veneziana di S. Martino (1834), si collega strettamente alla sua attività di pittore di storia.
Il 1836 fu un anno di intensa attività che vide tra l'altro la pubblidazione dei Fasti veneziani, incisi da A. Lanzani su disegni del D. presso la Società editori degli Annali universali in Milano.
Tuttavia, essendogli nato il secondo figlio, nuovi problemi economici indussero il D. ad accogliere il suggerimento degli amici tirolesi, di recarsi a Monaco, dove ebbe un discreto successo soprattutto come autore di ritratti ad olio. Il soggiorno monacense fu interrotto da un temporaneo ritorno a Venezia nel 1837 per eseguire il sipario del teatro La Fenice.
Il teatro era stato distrutto completamente da un incendio nel 1836 e ricostruito in un tempo assai breve, tanto da poter essere inaugurato nel dicembre dell'anno successivo. Il soggetto del sipario, raffigurante L'apoteosi della Fenice (che conosciamo attraverso una litografia di G. Pividor del 1837: Venezia, Museo Correr), fu probabilmente imposto al D., perché stava a simboleggiare il teatro che, come il mitico uccello, risorgeva dalle proprie ceneri, ma non fu molto apprezzato dal pubblico, ormai orientato verso soggetti romantici di storia patria, specialmente per questo tipo di opere. Esso ebbe vita breve perché, in occasione della nuova decorazione del teatro eseguita nel 1854, fu sostituito da un sipario di Eugenio Moretti Larese, raffigurante un episodio di storia veneziana, e non si è conservato, come pure è andato perduto il telone, di più modeste dimensioni, dipinto qualche tempo prima per il teatro S. Sarnuele. Di un altro sipario scomparso, per il teatro Nobile di Udine, abbiamo notizia indiretta, grazie ad un disegno all'acquarello (Ermitage, n. 20473), reso noto recentemente (Grigorjeva-Kantor Gukovskja, 1984), che presenta sette figure in costumi cinquecenteschi e, oltre alla firma, la scritta autografa: "Eseguite sul Sipario del Teatro di Udine nel Luglio 1838". Si tratta probabilmente di Michelangelo che presenta il giovane Giovanni da Udine al duca Gonzaga (come suggerisce la scritta sotto le figure).
Nel 1838, in occasione della visita dell'imperatore d'Austria Ferdinando I a Venezia, fu stampata presso lo stabilimento Deyè una serie di otto litografie, intitolata Feste celebrate in occasione del soggiorno dei sovrani Ferdinando I e Maria Anna Carolina in Venezia. Due delle stampe furono disegnate dal D. (e incise da F. Locatelli): la Fondazione della diga di Malamocco - Posa della prima pietra e L'entrata in Chioggia (Museo Correr, P. D. 8280 e 8281).
Per onorare la visita della coppia imperiale si tenne nelle sale dell'Accademia un'esposizione, cui il D. partecipò con ben sette opere: Giulietta e Romeo, su commissione del conte Francesco Gualdo di Vicenza; la già citata Comunione di s. Martino di Tours; Socrate che rimprovera Alcibiade (o Alcibiade tra le etere) ora al Museo Revoltella di Trieste; Enrico IV che ai prieghi della sposa dona la vita ai prigionieri di Calais; un Paesaggio e infine Ritratti di una famiglia (Esposizione delle opere…, 1838, n. 238), oltre ad un non precisato "schizzo di quadro storico" (ibid., n. 240). Forse ancora al 1838 risale una Visitazione (Draghi, 1865, p. 7).
Poco dopo l'erede al trono di Russia, il granduca Nicola, giunto a Venezia, visitò il suo studio, acquistò alcuni bozzetti e lo invitò a Pietroburgo. Il D. accettò la proposta e parti per la Russia nel 1840. Gli furono subito commissionati diversi ritratti, del Granduca stesso a figura intera, di membri della famiglia imperiale e della corte. Nel 1842 con il disegno Maria Stuarda condotta al patibolo ottenne il titolo di pittore "fuori ruolo" dell'Accademia di belle arti di Pietroburgo e l'anno seguente, con il dipinto Socrate sorprende Alcibiade fra le etere, variazione del tema già trattato nel 1838, fu elevato al titolo di accademico. Nel 1851 fu nominato professore all'accademia, presentando una Deposizione di Cristo Salvatore dalla Croce, di cui esegui poco dopo una copia più piccola per l'accademia stessa.
Negli anni trascorsi in Russia, in un primo tempo accompagnato dalla famiglia, la sua attività fu molto intensa e varia: numerosi ritratti, tra cui quello del Generale I. O. Suhozanet, del 1842, di Kavos, del 1849, di Teodosia Tarassova Gromova nata Jakovleva, del 1850 c. (Leningrado, Museo statale russo), eccezionalmente firmato in caratteri cirillici; paesaggi dei dintorni della allora capitale, come La fortezza di Viborg del 1844 e la Cascata del fiume Imatra (entrambi nello stesso museo); nature morte; scene mitologiche; quadri di soggetto sacro.
In particolare sono da ricordare la decorazione ad encausto, con le Stagioni, del soffitto ligneo della Galleria della pittura antica del Nuovo Ermitage (su disegni del tedesco G. Hiltensperger), eseguita poco dopo il suo arrivo, e numerose icone per la cattedrale di S. Isacco, sostituite in seguito da copie in mosaico: il Salvatore e Maria Madre di Dio, per l'iconostasi dell'altare laterale destro, degli anni 1844-1845; l'Ultima Cena, la Deposizione, S. Anastasia e S. Caterina d'Alessandria, del 1855. Dipinse molte altre immagini sacre per le cappelle private dei palazzi della capitale (ad esempio quella della granduchessa Maria Nicolaevna) e delle tenute di campagna.
Al D. si devono anche la decorazione del soffitto del teatro Mariinskij (oggi teatro accademico Kirov dell'opera e del balletto), tuttora esistente, e due sipari, entrambi perduti, uno per il teatro Bolgoj di Mosca, eseguito nel 1856 e in uso fino al 1896, raffigurante Ilsolenne ingresso del principe Požorskij a Mosca, e l'altro, probabilmente per il teatro Aleksandrinskij di Pietroburgo, del 1858, di cui si conserva uno schizzo all'acquarello nel Museo teatrale di Leningrado. Per i suoi meriti artistici fu insignito dallo zar dell'Ordine di S. Anna di III classe e dell'Ordine di S. Stanislao di III classe.
Nonostante il successo conseguito in Russia, non cessò i contatti con Venezia, dove tornò nel 1844, nel 1852 e infine nel 1856, con la speranza di essere nominato professore di pittura presso l'accademia di belle arti, nel posto che era stato del Lipparini. A questo periodo risale probabilmente l'ultima opera nota, Una veglia in casa Tintoretto (ma a differenza di tutti gli altri testi lo Chudožnikj…, 1976, la data già al 1842), esposta a Venezia nel 1857, a Pietroburgo nel 1859 e ancora a Venezia nel 1866, di cui esiste una copia litografica incisa da D. Gandini (Venezia, Museo Correr, Cicogna 1537). Non è chiaro invece se le due pale un tempo nella chiesa veneziana di S. Giovanni in Bragora, cioè il S. Antonio da Padova del 1851 e una Deposizione (non più reperibili), siano state spedite dalla Russia oppure eseguite durante uno dei precedenti soggiorni a Venezia.
Nel 1858, dopo una lunga attesa, non avendo ottenuto la cattedra, riparti, sebbene già sofferente, per la Russia, dove cadde gravemente ammalato. Si risollevò soltanto dopo molti mesi e, appena fu in grado di viaggiare, rientrò in Italia. Mori a Marostica (Vicenza), poche settimane dopo il ritorno, il 9 ott. 1859.
Il D. fu soprannominato dai contemporanei il "Tintoretto moderno", per la vivacità d'invenzione e soprattutto per la straordinaria velocità con cui ideava e dipingeva opere anche piuttosto complesse, come ricorda il suo biografo Filippo Draghi (1865) a proposito della pala con la Comunione di s. Martino. Proprio tale rapidità però suscitò anche qualche critica, cosi come gli fu pure rimproverato di presentare alle esposizioni dell'Accademia dei bozzetti di soggetto storico, come se fossero dei campionari di vendita per ottenere delle ordinazioni. A parte questo, tutti i critici contemporanei e posteriori sono concordi nel riconoscergli ottime doti di colorista, come provano ad es. la Filomena di Venezia o la Vestizione di s. Geltrude di Selva dei Molini, finezza ed energia nel disegnò, precisione nei dettagli dei costumi e dell'ambientazione storica (fino alla ridondanza del Paolo e Francesca), varietà ed equilibrio nelle composizioni, naturalezza nell'espressione degli affetti. L'arte del D. si colloca a pieno diritto nell'ambito della pittura romantica di cui fu caposcuola lo Hayez, con una mai smentita impronta bolognese derivata dal Matteini e con un'attenzione particolare alla corrente dei Nazareni, vivificata dalla preziosità del colore di matrice veneta. La scarsità delle opere rintracciabili in Italia ha nuociuto alla fama del D. per buona parte di questo secolo, mentre in Russia sono in corso di pubblicazione diversi studi, soprattutto sui numerosi disegni inediti dell'Ermitage.
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M. Malni Pascoletti