costante
Due occorrenze dell'aggettivo, entrambe in poesia. In Pd XI 70 né valse esser costante né feroce, / sì che, dove Maria rimase giuso, / ella con Cristo pianse in su la croce, si riferisce alla Povertà, che venne per secoli abbandonata, nonostante che essa fosse stata costante e feroce tanto da morire con Cristo sulla croce.
L'aggettivo è bene interpretato da antichi e moderni commentatori, con un accordo maggiore che non per feroce (cfr. Ottimo: " dice costante, per la perseveranza, e feroce, perché non temé morte "; e il Buti: " costante, cioè ferma... feroce, cioè crudele e dura "). Benvenuto interpretava tanto costante che feroce in senso causativo: " [auctor] ostendit alium effectum eiusdem [paupertatis], quia scilicet facit hominem constantem et ferocem ". Il Landino spiega in che cosa precisamente consiste la ‛ costanza ' della Povertà: " costante, cioè nell'amore di Cristo, che sempre mentre visse qua giù fedelmente l'amò " (ma non s'intende bene se sia stata la Povertà ad amare Cristo, o viceversa). L'idea della Povertà sposa di s. Francesco deriva, come leggiamo in Cosmo (" Giorn. d. " VI [1898]), dall'anonimo Sacrum commercium beati Francisci cum domina Paupertate, e già in questo testo la Povertà è rappresentata " fedele e costante " (cfr. " fidelissima sponsa ").
L'aggettivo compare anche in Rime CII 13 io, che son costante più che petra / in ubidirti (il poeta si rivolge ad Amore): " io sono fermo come una roccia, incrollabile nella mia fedeltà alle tue leggi, disposto ad ubbidirti comunque ".