COSTANTINI, Angelo, detto Mezzettino (Mezétin)
Figlio di Costantino e Domenica comici, fratello maggiore di Giovanni Battista, nacque a Verona probabilmente nel 1654.
Iniziò la sua carriera di attore nella compagnia del duca di Parma come Arlecchino, e con lui recitava la moglie Annetta, detta Auretta: dal 1678 fu per un anno a Venezia, nella compagnia di Vincenzo Grimani. La sua fama doveva essere già consolidata se nel 1681, secondo il Campardon e il Rasi nel 1682 fu chiamato a Parigi, nella Troupe-Italienne, per recitare "a vicenda" addirittura con Dominique, il celeberrimo Arlecchino Biancolelli. Nonostante quest'ultimo non fosse più giovanissimo, si guardò bene di lasciar spazio al nuovo venuto, per cui fu giocoforza per il C. rinnovare modi e figura del suo personaggio, creandosi un ruolo relativamente autonomo. Nacque così, sia pure esemplato su antichi modelli, un tipo nuovo di zanni, che riuniva in sé il carattere del servo astuto e quello dell'avventuriero.
Ne fu rinnovato anche il costume, come risulta dal ritratto di Watteau conservato al Metropolitan Museum di New York, composto da giubbetto, calzoni al ginocchio, mantelletta con largo colletto crespato con un gran berretto, a righe verticali, bianche e rosse secondo M. Sand (cit. dal Rasi), bianche e verdi nell'incisione di Joulain Soulp che è stato riprodotta nel Théâtre Italien del Riccoboni e che il Guellette ritiene sia invece il ritratto di Anna Elisabetta, figlia di Giovanni Battista e quindi nipote di Mezzettino, che recitò anch'essa in quel ruolo. Soprattutto il nuovo tipo, il cui nome vuoi dire "mezza misura", "boccale", come è chiamato nell'incisione di Bonnart, era sprovvisto di maschera: il C. recitò a viso scoperto, preceduto in questo da Scaramuccia, l'attore Tiberio Fiorilli che più tardi il C., presumibilmente, avrebbe biografato.
Il personaggio di Mezzettino acquistò una fisionomia ben precisa all'interno delle varianti del tipo, testimoniata dai documenti iconografici, tanto da poter essere distintamente ricordato, insieme a quello del padre del C., Costantino, nelle più tarde (1718) rime del Raparini, L'Arlichino, nel curioso elenco che comprende fra gli altri: "Arlichino, Trufaldino, / Trivellino, Tracagnino, / Tortellino, Naccherino, / Gradellino, Mezzettino".
Dall'iniziale tipologia, a metà tra Scapino e Brighella, il carattere del personaggio del C. andò via via articolandosi secondo un itinerario simile a quello dello Sganarello molieresco, sino a ricoprire ruoli di marito traditore o tradito, come in Colombine femme vengée rappresentata il 15 genn. 1689, dove Mezétin era "mary de Colombine et amant d'Olivette", e di servo degli "amorosi" Cintio od Ottavio, come ne La fille de bon sens rappresentata il 2 nov. 1692, ne Lesoriginaux ou L'italien del 13 ag. 1693, o ancora ne Le retour de lafoire de Bézous del 1º ott. 1695.
Lo stesso C. ritenne ovviamente il suo personaggio necessario alla rappresentazione di un canovaccio dell'arte: infatti, nel capitolo XXVI della Vie de Scaramouche, egli sostiene che a tal scopo "occorre che la compagnia sia composta di due Innamorati; di tre donne: due per le parti serie e un'altra per la parte comica; di uno Scaramuccia, napoletano; di un Pantalone, veneziano; di un Dottore, bolognese; di un Mezzettino e di un Arlecchino, tutti e due lombardi".
Nell'abito di Mezétin il C. esordì l'11 ott. 1683, accanto al Biancolelli, nell'Arlequin Prothée di Fatouville ed ebbe subito un grande successo: il 26 dicembre recitò in francese il ruolo del Comte Constantin, che ripresentò poi il 19 apr. 1687, nel Banqueroutier sempre di Fatouville, in cui cantò la "Canzone dell'usignolo", divenuta molto popolare, tanto che fu scelta come sigla della sua rentrée nel 1729 al Théâtre des Nouveaux Comédiens Italiens e fece parte anche del repertorio della nipote Anna Elisabetta, che, come detto, recitò nei Débuts "en Mezétin".
Alla morte di Dominique nel 1688 C. fu "investito" dalla Colombina Caterina Biancolelli, in una scena appositamente allestita e riprodotta in un acquerello dal Licheny, dell'abito e della maschera di Arlecchino, con cui recitò per circa un anno conservando però il nome d'arte di Mezétin. Solo nell'ottobre 1689, quando ad Evaristo Gherardi fu affidato il ruolo di Arlecchino, C. riprese l'antico costume e ritornò, tra la soddisfazione generale, a recitare senza maschera.
La fama di Mezétin presso i contemporanei dovette essere pari a quella di cui godevano i più grandi comici dell'arte: un poeta come La Fontaine non disdegnò di corredare il ritratto dell'attore eseguito da De Troy con questi versi: "Icy de Mezétin rare et nouveau Prozée / la figure est représentée. / La Nature l'ayant pourveu / des dons de la Métamorphose / qui ne le void pas n'a rien veu, / qui le voit a veu toute chose".
Ma non fu, quella del C., una fama incontrastata, soprattutto alla verifica dei suoi talenti molti anni più tardi, se Gaçon ritenne di dover abbastanza violentemente controbattere nel suo Poète sansfard: "Sur le portrait de Mezétin / un homme d'un goüt assez fin; / lisant l'éloge qu'on lui donne / d'être un si grand comédien / que qui ne le voit, ne voit rien, / et qu'on voit tout en sa personne, / disoit: je ne vois pas qu'il soit si bon acteur; / il ne fait rien qui nous surprenne. / Monsieurs, lui dis-je alors, pour le tirer de peine, / ne voyez vous pas bien qu'un discours si flatteur / est un conte de La Fontaine? " (riportato dal Rasi).
Il 14 maggio 1697 la Troupe Italienne venne frettolosamente sciolta e il teatro dove si esibiva chiuso: si vuole che il pretesto fossero le allusioni irriguardose verso madame de Maintenon contenute nell'adattamento scenico della Fausse prude di Lenoble. Quanto alle responsabilità dell'accaduto, il C. sentì la necessità di discolparsi, al suo ritorno a Parigi nel 1729, con il Gueullette e, sebbene quest'ultimo avanzasse i suoi dubbi sul racconto degli avvenimenti fattogli, Saint-Simon nei suoi Mémoires mostra di credervi. Chi non vi credette affatto fu Luigi Riccoboni, sia pure per motivi di rivalità professionale soprattutto verso il fratello del C., Giovanni Battista, tanto che nel 1716 Lélio, alla vigilia della sua partenza per Parigi, in una memoria presentata al fratello del duca di Parma, chiese che nella sua compagnia non fosse accolto nessun membro della famiglia Costantini, "per la quale tutti sanno che i comici italiani lor predecessori vennero in disgrazia della corte".
Il Gherardi segnala, oltre le pièces citate, per gli anni 1683-1697 altre rappresentazioni, tutte allestite all'Hôtel de Bourgogne, in cui recitò Mezétin: il 5 marzo 1684, Arlequin empereur dans la lune; il 26 dic. 1687, La cause des femmes, tre atti di Delosme de Montchenay, dove il C. ripropone il personaggio del Comte Constantin; il 17 marzo 1688, Le divorce, tre atti di Regnard; il 1° sett. 1688, Le marchand duppé; il 5 marzo 1689, La descente de Mezétin aux enfers e il 10 luglio dello stesso anno Mezétin grand Sophy de Perse, tre atti di Delosme de Montchenay. Nel 1690 il C. è presente con il suo personaggio, il 10 gennaio, in Arlequinhomme à bonne fortune, atto unico di Regnard, il 1º marzo in La critique de l'homme à bonne fortune, atto unico sempre di Regnard, dove Mezétin compare come "pédant", e il 24 agosto ne Les filles errantes. Per il 1691 abbiamo: il 17 gennaio La coquetteou l'académie desdames;il 24 febbraio Esope e il 20 ottobre Ulisse et Circée. Per il 1692, il 4 febbraio Arlequin phaeton, tre atti di Palaprat, il 5 marzo La précaution inutile, il 7 giugno L'opéra de la campagne, dove Mezétin veste i panni femminili di madame Prenelle, moglie di Jeannot, il 16 agosto L'union des deux opéras e il 13 dicembre Les chinois.
Nel 1693 il C. compare il 25 aprile ne Les adieux des officiers ou Venus justifiée nei singolari ruoli di "tambour" e di "Coupidon le débauché", il 30 maggio ne Les mal assortis recita un ruolo femminile, come figlia di Arlecchino governatore di un'isola spagnola, e il 28 novembre è presente ne Les aventures des Champs Elisées. Per il 1694 Gherardi elenca tre pièces, il 10febbraio La naissance d'Amadis, il 24 agosto Le départ des comédiens, ambedue atti unici, e il 18 dicembre La fausse coquette. Più numerose invece quelle citate per l'anno successivo, il 1695: il 29 gennaio Mezétin è maistre André il "cabaretier" in Le tombeau de maistre André, il 30 dello stesso mese recita nell'atto unico Attendez-moy sous l'orme, il 7maggio ne La thèse des dames ou Le triomphe de Colombine, il 6 giugno ne Les promenades de Paris e il 26 dicembre si esibisce in un autentico tour de force interpretando, ne La foire de Saint-Germain, i ruolidi "garçon patissier", di "bouche de la verité", di "Nigaudinet", di "ecuyer de Tarquin", di "Temps", di "petit maistre" e di "Espagnol". Per il 1696, il Gherardi cita soltanto Les momies d'Egypte, rappresentata il 19 marzo, dove Mezétin è ancora in un ruolo femminile, come madame Jaquemard, moglie del procuratore, e l'Arlequin misantrope del 22 dicembre; per il 1697 abbiamo il 3 febbraio Pasquin et Marforio médecins des moeurs e il 2 marzo Les fées ou Les contes de ma mère l'oye con il C. nel ruolo della nutrice d'Ismenie.
Lo scioglimento della Troupe Italienne disperse le compagnie: alcuni comici si adattarono all'ingiunzione di recitare in provincia, a non meno di trenta leghe da Parigi; altri preferirono tornare in patria, e altri ancora emigrarono altrove. Tra questi ultimi, il C. si associò ad una compagnia italiana attiva a Brunswick, dove recitò sempre come Mezzettino. Passato a Dresda, al servizio di Federico Augusto I il Forte, elettore di Sassonia (Augusto I re di Polonia), fu incaricato di formare una troupe che rappresentasse commedie e opéras italiane. Per assolvere all'incarico, il C. tornò nel 1698 in Francia dove in pochi anni raccolse centinaia di persone in un'enorme compagnia: Federico Augusto I ne fu tanto soddisfatto che nel 1699 gli concesse un titolo nobiliare e la carica di "camérier intime, trésorier des ménus plaisirs de sa majesté et garde des bijoux de sa chambre".
L'improvvisa disgrazia in cui il C. cadde presso il suo protettore, e che gli costò vent'anni di prigionia nel castello di Königstein, pare fosse dovuta ad alcune intemperanze verbali e non, cui il poveretto si lasciò andare con la favorita del re.
Imprigionato a causa di una dama, che aveva tempestivamente avvisato il sovrano e permesso che egli ascoltasse nascosto le imprudenze di Mezzettino, pare che fosse liberato per intercessione di un'altra dama. Certo il carattere del C. dovette in qualche modo essere in consonanza con quello del suo personaggio, tra il tracotante e il buffonesco: ma in questo caso, forse a causa di un'eccessiva sensibilità da parte del re, egli non riuscì con comica sagacia a rovesciare a suo favore la situazione, come peraltro era famoso saper fare. Simili episodi, come quello del duca di Saint-Agnan, contribuirono in non poca parte alla sua celebrità.
Ritornato in libertà, il C. vagabondò per l'Europa, tornò anche nella sua città natale e finalmente, sul finire del 1728, fu di nuovo a Parigi, scritturato dai Nouveaux Comédiens Italiens per la somma di 1.000 scudi come compenso a cinque o sei pièces. Il 5 febbr. 1729, con replica il 7, debuttò nella Foire de Saint-Germain di Regnard e Dufresny, già rappresentata nel 1695, a cui fu aggiunto per l'occasione dal Riccoboni un prologo detto da Arlecchino, Momo e Mezzettino vecchio.
Il C. cantò, sull'aria di "Vous qui vous moquez par vos ris", questa canzone: "Mezétin par d'heureux talents / voudroit vous satisfaire, / quoiq'il soit depuis tre-longtemps, / presque sexagénaire, / il rajeunira de trente ans, / s'il peut encore vous plaire". Il "presque sexagénaire" è probabilmente una "licenza poetica", dovendo il C. avere a quella data circa settantacinque anni.
Secondo la cronaca del Mercure de France - testimonia il Rasi - il successo della rappresentazione fu strepitoso e per l'occasione fu raddoppiato il prezzo del biglietto.
L'8 febbraio il C. recitò in francese, nel ruolo dell'"intrigante", nell'Amant étourdi (o Maître étourdi), dove cantò la famosa "Canzone dell'usignolo" dei suoi esordi; il 12 febbraio fu ancora l'"intrigante" di Arlequin dévaliseur de maisonsou Les fâcheux, già rappresentata nel 1716; il 13 febbraio recitò da "furbo" in Arlequin empereur dans la lune.
Nonostante il tono trionfalistico della cronaca del Mercure, pare che il C., una volta sfruttati il clamore e la curiosità sorti intorno al suo rientro sulle scene francesi, si rivelasse attore mediocre che, anche per stanchezza e vecchiaia, secondo il Gueullette "exécuta très mal tous les rôles où il parut". Dopo questo brevissimo ciclo di recite, il C. abbandonò frettolosamente Parigi, lasciando probabilmente più debiti che rimpianti, e si ritirò a Verona dove di lì a poco, alla fine del 1729, morì.
Il C. aveva sposato verso il 1680 Annetta, detta Auretta, attrice anch'essa, da cui ebbe due figli, una femmina, che visse e morì monaca nel monastero di Chaumont-en-Vexin, e un maschio, Gabriele, che seguì le orme del padre.
A Parigi fu pubblicato nel 1695 a nome del C. un piccolo libro, La vie de Scaramouche, che subito fu al centro di una violenta polemica da parte di Evaristo Gherardi, il quale nella prefazione alla XII edizione (1700) del suo Théâtre Italien non solo accusò Mezzettino di aver falsato le vicende narrate, ma addirittura sostenne che l'opera fosse parto di un prestanome, e che quindi il C. se ne attribuisse abusivamente la paternità.
Dell'operina si conoscono l'edizione di Bruxelles del 1708; una traduzione tedesca uscita a Francoforte-Lipsia nel 1723; una traduzione italiana a cura di Antonio Goldoni, che si trova nelle Notizie istoriche del Bartoli, Padova 1782; un'edizione compresa nel Trésor des arlequinades edito a Parigi nel 1850-60; una traduzione italiana manoscritta, conservata alla Biblioteca Trivulziana, a cura di Giulio M. Giuseppe Savinio Migliavacca di Novara, e infine quella che viene ritenuta l'editio princeps, curata, con introduzione e note, da Louis Moland a Parigi nel 1876. Le edizioni moderne hanno contato fino a pochissimi anni fa soltanto una traduzione inglese edita nel 1924, a cura di C. W. Beaumont; nel 1973 G. Davico Bonino ha finalmente fornito un'edizione italiana moderna della Vie nella traduzione di M. Bonfantini: A. Costantini, La vita di Scaramuccia, Torino 1971.
Il piccolo libro è dedicato "A Sua Altezza Reale Madama la Duchessa d'Orléans", con una prefazione che brevemente si intrattiene sulle qualità attoriche di Tiberio Fiorilli, che "recitava più con gli occhi che con la parola", magistralmente accordando "il suo eloquio ai gesti". I capitoli, trentanove, sono costruiti come brevi flashes e iniziano la narrazione dalla nascita di Scaramouche, secondo il C. da un capitano dei cavalleggeri di Napoli costretto, a causa di un omicidio, a sopravvivere facendo il ciarlatano, e non, come è più probabile, da Silvio Fiorillo, il celeberrimo capitan Matamoro. I capitoli secondo, terzo e quarto raccontano la scapestrata gioventù del grande attore attraverso le truffe e gli espedienti cui fu costretto per sopravvivere. Il quinto capitolo è dedicato all'inizio, casuale ma folgorante, della carriera di comico di Scaramuccia: fino al XXI capitolo sono narrate le avventure in cui egli s'imbatté recitando nelle maggiori città italiane sotto la protezione ora di questo ora di quel potente, il matrimonio e il turbolento ménage con Marinetta divenuta anch'essa attrice con la stessa allegra casualità dei marito.
Con il capitolo successivo inizia il racconto della lunga esperienza parigina di Scaramouche, narrata anche questa "per scherzi" e fulminanti battute. I capitoli ventottesimo, trentaduesimo e trentaquattresimo sono dedicati ad un ritratto "interno" dell'attore, condotto comunque con disincantata leggerezza, più che con superficialità o disinteresse. Gli altri capitoli sono dedicati ai fulminei ritorni in Italia sull'onda di improvvise nostalgie, e agli "amorazzi" del non più giovane Tiberio che lo portarono ad un secondo, disgraziatissimo matrimonio che funestò i suoi ultimi anni. I restanti cinque capitoli sono la sempre divertente cronistoria dei "lasciti" inesistenti a parenti e amici che l'avarissimo Scaramuccia riesce a tramutare in un'eredità di arguzia ed esprit comique, quale si respira nella stessa descrizione "alimentare" dei suoi estremi momenti di vita.
Il C. non viene mai esplicitamente ricordato in virtù della sua operina: eppure questa, al di là dei conflitti di attribuzione, si inserisce degnamente, con una sua grazia e garbo della narrazione, nel filone di certa produzione "minore" secentesca e in un particolare "gusto" del tempo. A ragione Davico Bonino la apparenta al romanzo picaresco, quello in voga in Francia nelle versioni di Lesage, Sorel fino a quel piccolo miracolo che è il Roman comique di Scarron, anche se dichiaratamente La vie non è "une nouvelle historique, ou un roman comique" né tantomeno un'appassionata difesa del mestiere dell'attore. Giustamente si sottolinea quanto siano sempre generiche le descrizioni dell'arte attorica di Scaramouche, le cui avventure piuttosto disegnano un ritratto della vita del tempo, autentico "gran teatro del mondo".
A onor del vero, la vita di Tiberio Fiorilli non fu storicamente differente da quella narrata "per scene" in questa Vie: se cade così l'accusa di non veridicità che a suo tempo il Gherardi mosse all'autore, resta la polemica tra chi "auspica una nuova tradizione biografica, in cui le figure degli attori appaiono cospicue, dignitose e statuarie" e chi "preferisce privilegiare il ricordo e il carattere delle maschere" (Taviani-Schino). Essa stessa un piccolo canovaccio dell'arte, l'operina ci restituisce infatti, con un linguaggio colorito, uno Scaramuccia "maschera" anche nella vita privata. Nelle vicende sempre "pubbliche" del grande comico, che "voleva recitar la commedia fino all'ultimo minuto", si incontrano i destini dell'attore che narra e di quello che è narrato, ambedue costantemente in scena.
Auretta, figlia della celebre attrice Angiola d'Orso, e attrice, meno famosa, anch'essa, fu dal 1680 circa moglie del Costantini. Secondo il Rasi si sarebbe chiamata Annetta e sulla scena avrebbe assunto lo stesso nome d'arte della madre, Auretta appunto. Nel 1664 compare insieme alla madre, che aveva il ruolo di "primadonna", nell'elenco dei componenti della compagnia del duca di Parma (i comici di Fabrizio "primo innamorato") come servetta "a vicenda" con Colombina moglie di Bagolino. Passò poi nella compagnia dei Farnese e fu a Venezia nel 1678, insieme col C., per un anno nella compagnia dell'abate Vincenzo Grimani.
Dopo il 1682, o più tardi, dopo la morte del Biancolelli (1688), seguì il marito a Parigi ma il suo non fu un debutto felice: il pubblico la trovò "point jolie" ed Auretta fu costretta ad esercitare il suo mestiere altrove, trasferendosi in Germania.
Fonti e Bibl.: E. Gherardi, Le Théâtre Italien ou Le recueil général de toutes les comédies et scènes françaises jouées par les comédiens Italiens du Roi, Amsterdam 1701, ad vocem; L.Riccoboni, Histoire du théâtre Italien, Paris 1728, ad vocem;F. S. Bartoli, Notizie istoriche de comici italiani..., Padova 1782, I, ad vocem;E. Campardon, Les Comédiens du Roi de la Troupe Italienne pendant les deux dernières siècles, Paris 1880, ad vocem;L. Rasi, I comici italiani, Firenze 1897, I, ad vocem; Th. S. Gueullette, Notes et souvenirs sur le Théâtre Italien…, a cura di J.-E. Gueullette, Paris 1938, passim; G. Attinger, L'esprit de la Commedia dell'arte dans le théâtre français, Paris 1950, pp. 173, 340, 342; X. de Courville, Lélio premier historien de la Comédie Italienne et premier animateur du théâtre de Marivaux, Paris 1958, pp. 13, 36, 45, 116; A. Nicoll, Il mondo di Arlecchino, Milano 1965, pp. 100 ss.; F. e C. Parfaict, Dict. des théâtres de Paris, Genève 1967, I, ad vocem; F. Taviani-M. Schino, Il segreto della commedia dell'arte, Firenze 1982, passim; Enc. d. Spett., III, coll. 1563-1569.