BONELLI, Costantino
Di antica e nobile famiglia, nacque a San Marino nel 1525. Studiò legge a Perugia e vi conseguì la laurea in diritto civile e canonico l'8 apr. 1550. Già negli anni degli studi interruppe il soggiorno perugino a più riprese per servire in Roma vari influenti personaggi come Antonio Gabrielli, avvocato concistoriale e fiscale. Nel 1556 entrò come auditore al servizio di Vitellozzo Vitelli eletto cardinale nel 1557. Pochi mesi dopo, il 4 ott. 1557, venne nominato collaterale di Campidoglio e il 23 nov. 1558 primo collaterale e luogotenente del senatore, "dove stetti fin alli 15 di marzo del 1559", annotò il B. in certi suoi appunti autobiografici. Il 7 febbr. 1560 il Vitelli gli resignò il vescovato di Città di Castello, con riserva del diritto di regressione e di collazione dei benefici. Il 18 febbr. 1557 il B. aveva assunto gli ordini minori ai quali aggiunse ora precipitosamente quelli maggiori. Il 5 maggio 1560 prese possesso della diocesi che il Vitelli aveva retto fino ad allora tramite un vicario generale. Il 13 luglio dello stesso anno ebbe dal Vitelli la facoltà di conferire benefici e la nomina a luogotenente e soprintendente generale alle cause civili e criminali.
Non poté attendere per molto tempo alle sue nuove cure pastorali, perché con breve del 12 ag. 1561 fu convocato a Trento per partecipare al concilio. Ottenuta una sovvenzione della Curia di venticinque scudi mensili, si trasferì a Trento, dove arrivò il 2 apr. 1562. Si segnalò subito per un particolare impegno conciliare, come sottolineò il legato Simonetta che il 14 maggio 1562 lo ricordò al cardinal nepote Carlo Borromeo fra i padri "che si diportano meglio degli altri". In effetti il B. partecipò attivamente alla discussione, mostrando una preparazione canonistica decisamente insospettabile in un ecclesiastico dal passato così oscuro e dalla vocazione così recente. In particolare ebbero notevoli ripercussioni i suoi voti sulla concessione del calice, presentato il 3 settembre, e quelli sul sacramento dell'ordine, presentati il 13-20 ottobre e il 28 novembre. Grande rilievo ebbe il voto sulla residenza presentato il 4 genn. 1563 che richiamò su di lui l'attenzione di tutto il concilio e in particolare dei rappresentanti della Curia. È significativa in questo senso una lettera del marzo 1563, indirizzata da Sebastiano Gualterio vescovo di Viterbo al Borromeo, nella quale, riferendo dell'opposizione condotta dal cardinal di Lorena alle tesi della maggioranza di osservanza curiale, dichiarava di volersi avvalere dell'aiuto del B., del quale il Lorena "mostra haver maggior openione che di qualsivoglia altro canonista, oltra che 10 lo sento lodare per homo da bene e zelante di conservar l'authorità della Sede apostolica" (cfr. Jedin, p. 180). Lo zelo dimostrato dal B. in difesa delle tesi curiali non restò inosservato a Roma, se papa Pio IV gli fece avere il 13 apr. 1563, tramite il Borromeo, un dono di cento ducati. Trovatosi probabilmente in ristrettezze finanziarie, il B. si allontanò in questi mesi da Trento, ma vi fu richiamato da una energica lettera del Borromeo del 4 maggio 1563. I termini dell'invito erano talmente perentori che il B. non poté sottrarsi al dovere di ritornare a Trento con la massima sollecitudine. Ritornò in prima fila nella discussione del decreto sulla residenza e l'8 ott. 1563 fu scelto a far parte della commissione incaricata di stendere i decreti di riforma. Grande interesse suscitò un suo intervento in tema di diritto matrimoniale, con riferimento specifico all'annullamento dei matrimoni clandestini, di quelli conclusi senza il consenso dei genitori, e per causa di adulterio (depositò il voto relativo l'11 novembre).
Alla conclusione del concilio nel dicembre del 1563, il B. rientrò nella diocesi e si dedicò alla sua riforma nel senso dell'applicazione dei decreti conciliari. Il 1º apr. 1564 convocò un sinodo diocesano, nel corso del quale promulgò in lingua italiana i decreti tridentini più importanti, relativi alla residenza del clero, alla pluralità dei benefici e alla loro collazione, alle usurpazioni dei beni della Chiesa, al matrimonio clandestino, alla autorità dei vescovi in fatto di dispense, all'abito e alla condotta dei chierici, al titolo degli ordinandi, al pagamento delle decime. Dopo il sinodo egli passò alla pratica attuazione dei decreti promulgati che dovevano ledere fatalmente privilegi acquisiti e interessi settoriali. Particolare cura rivolse alla ricostituzione del patrimonio ecclesiastico usurpato, alla verifica della situazione beneficiale della diocesi, alla rigorosa osservanza dell'obbligo della residenza, al controllo dei monasteri femminili. Tanto zelo riformatore scatenò contro il B. una vera e propria tempesta che si allargò dal clero alle autorità laiche e finì con il travolgerlo.
Già nel maggio del 1564, subito dopo la conclusione del primo sinodo di riforma, s'inaugurarono i contrasti con il governatore della città che gli contestava l'esercizio della giurisdizione vescovile e l'ostacolava nel programma di attuazione dei decreti tridentini. Il B. fece ricorso al cardinal Borromeo dal quale ricevette tutto il necessario appoggio: in due lettere del 31 maggio e 11 nov. 1564 gli assicurò il suo intervento sul governatore di Città di Castello per costringerlo a desistere da ogni opposizione. Queste prime avvisaglie, superate anche con l'aiuto del cardinal Vitelli, ebbero tuttavia un seguito clamoroso alcuni anni dopo, quando, come annotò il B. stesso nel suo diario, "i maligni huomini di quella città mi levarono una congiura e una persecutione contra". Il 19 dic. 1569 arrivò a Città di Castello un commissario apostolico per verificare l'accusa, rivoltagli da un memoriale firmato da ventiquattro cittadini, di avere tentato di esportare in tempo di carestia centocinquanta staia di grano. In effetti il grano fu sequestrato e il B., che non mancò di protestare con la massima energia, richiamando il commissario pontificio all'osservanza della libertà ecclesiastica, fu tradotto a Roma, dove fu arrestato e rinchiuso nel convento di S. Agostino e quindi nelle carceri di Tor di Nona. Tutta la vicenda resta piuttosto oscura: in una lettera indirizzata da Roma il 10 giugno 1571 ai reggenti di San Marino il B. parla sempre di "ingiusta persecutione", di "adversità, la quale mi è successa, fuor di ragione e di equità cristiana., per man d'huomini iniqui". Certo è che, ammalatosi, fu trasferito di nuovo nel convento di S. Agostino dove morì il 4 apr. 1572.
Il 19 aprile 1571 era giunto a Città di Castello un visitatore apostolico, il vescovo di Cagli Paolo Maria Della Rovere, che trovò la diocesi in condizioni deplorevoli. L'azione di riforma promossa dal B. non aveva conseguito evidentemente grandi risultati.
Fonti e Bibl.: S. Pallavicino, Istoria del concilio di Trento, V, Faenza 1796, pp. 193 ss., 287; Die römische Kurie und dasKonzil von Trient unter Pius IV., a cura di J. Šusta, II, Wien 1909, pp. 22, 129; III, ibid. 1911, pp. 305, 373; IV, ibid. 1914 p. 96; Concilii Tridentini. Diariorum pars secunda, ed. soc. Goerresiana, Friburgi Brisgoviae 1911, pp. 644, 695, 877; Actorum pars quinta, ibid. 1919, ad Indicem; Actorum pars sexta, ibid. 1924, ad Indicem; G. Muzi, Memorie ecclesiastiche di Città di Castello, III, Città di Castello 1843, pp. 80 ss.; M. Delfico, Memorie storichedella Repubblica di San Marino, III, Napoli 1865, pp. XXVI-XXVIII; A. A. Bernardy, Per la biografia di C. B.vescovo diCittà di Castello, in Boll. d. R. Deputaz. di storia patria perl'Umbria, IX (1903), pp. 399-406; G. v. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica ..., III, Monasterii 1923, p. 169; H. Jedin, Krisis und Wendepunktdes Trienter Konzils(1562-63), Würzburg 1941, p. 180; Dict. d'Hist. et deGéogr. Ecclés., IX, coll. 839 s.