COSTANTINO (Gosantine, Goantine, Gantine) d'Arborea
Figlio del giudice d'Arborea Gonario de Lacon e di Elena de Orrubu, nacque nella seconda metà del sec. XI. Sposò, ignoriamo quando, Anna de Zori, una nobildonna da cui ebbe due figli: Comita, che gli sarebbe successo sul trono, e Orzocco.
Solo dopo che fu apparsa, una quarantina d'anni fa, l'edizione critica del Condaghe di S. Maria di Bonarcado, è stato possibile precisare i pochi dati biografici relativi a C. più sopra riportati, e correggere un errore in cui sono incorsi alcuni tra i maggiori storici dell'isola, tra cui il Tola e il Manno, i quali, fraintendendo i riferimenti cronologici contenuti nelle fonti documentarie, hanno attribuito ad un Costantino II la fondazione del monastero di S. Maria di Bonarcado, che fu invece opera di C.: questo ipotetico Costantino II, in realtà mai esistito, sarebbe stato figlio di Ugone II ed avrebbe regnato come giudice in Arborea agli inizi del sec. XII. Buona parte della storiografia sarda anteriore all'edizione critica del ricordato Condaghe, fornisce un quadro, come minimo discutibile, della serie dei giudici d'Arborea sino a C., quadro che si basa su un catalogo che il Fara, annalista sardo del Cinquecento, dice di aver desunto da un antico codice manoscritto, di cui non siamo meglio informati e che non è giunto sino a noi. Secondo il catalogo del Fara, al giudice Orzocco (Orzocorre), destinatario nel 1073 di una lettera del papa Gregorio VII, sarebbero succeduti Torbeno, Orzocorre II, Comita, Gonario e C., il quale sarebbe stato il primo di tre fratelli susseguitisi l'uno dopo l'altro sul trono d'Arborea. In realtà, allo stato attuale delle nostre conoscenze, poco o niente di preciso possiamo dire sui giudici o sulle vicende del giudicato d'Arborea sin quasi a tutto il primo trentennio del sec. XII; ed è solo dal quadro della penetrazione compiuta dalle forze politiche, economiche, religiose del continente che si può giungere ad intravvedere per grandi linee la storia politica del giudicato, storia che rimane tuttavia una delle più oscure della Sardegna.
Non si sa quando C. succedette al padre Gonario, né quanto durò il suo regno. Risulta tuttavia che nel 1131 sul trono di giudice sedeva il figlio di C., Comita, il quale in quell'anno appunto stipulò un trattato di alleanza con i Genovesi. Il governo di C. è da porsi pertanto fra lo scorcio del sec. XI ed i primi decenni del successivo, in un momento di crescente tensione, di contrasti sempre più aspri e di aperti conflitti tra Genova, Pisa, la Sede apostolica e gli Ordini monastici continentali, tutti tesi ad accampare diritti, a procacciarsi privilegi, ad accrescere la loro influenza nell'isola. Nel 1073 la Chiesa romana, attraverso il papa Gregorio VII, aveva affermato una pretesa alta sovranità sulla Sardegna ed aveva aperto la via ad una sempre più ampia penetrazione nell'isola dei benedettini di Montecassino e di S. Vittore di Marsiglia. Pisa, per difendere le sue antiche posizioni di privilegio, si era affiancata alla Sede apostolica e, attraverso la egemonia religiosa conseguita dal suo arcivescovo nell'isola, andava consolidando il monopolio delle risorse economiche dell'isola. Genova, assente dalla scena politica sarda per tutto il sec. XI, si fece avanti risolutamente sin dagli inizi del secolo successivo, esigendo libertà di commercio e parità di diritti sia in Corsica sia in Sardegna. Il conflitto tra le due potenze sfociò nella guerra, che fu combattuta dal 1118 al 1133. Dato un simile contesto, il problema principale è, in sede di critica storica, quello di riuscire ad individuare l'atteggiamento assunto dai giudici di Arborea nei riguardi delle forze contrastanti, che si contendevano l'amicizia e le risorse del loro piccolo Stato. Se, come risulta dal Liber censuum della Chiesa romana, già poco dopo l'ingiunzione di Gregorio VII il giudicato d'Arborea versava alla S. Sede un censo annuo di 1.100 bisanti, questo vuol dire che aveva sollecitamente riconosciuto l'alta sovranità della Chiesa. I rapporti con la Sede apostolica dovettero mantenersi buoni sino ai tempi di C., se anche questi, accogliendo le esortazioni papali, dedicò cure e mezzi alla fondazione di chiese ed alla diffusione del monachesimo nei suoi domini.
I documenti relativi alla attività di C. giunti sino a noi sono molto pochi, ma permettono di fare qualche luce sui suoi orientamenti politici e sulla sua opera di governo. Riguardano tutti il monastero da lui fondato verso il 1100 a Bonarcado, presso un'antica chiesa di diritto regio dedicata a S. Maria e le ricche elargizioni di cui lo volle dotare, ed attestano, sul piano politico, una stretta intesa fra C. ed i Pisani. Da essi risulta infatti che il giudice affidò il monastero appena fondato ai monaci camaldolesi del cenobio di S. Zenone in Pisa, preferendoli ai monaci di S. Vittore di Marsiglia, già largamente affermatisi nel giudicato di Cagliari. Senza dubbio C. aveva compreso e valutato positivamente l'opera di progresso che il benedettinismo cenobitico camaldolese poteva svolgere in una regione come la Sardegna, rimasta estranea al grande movimento di rinnovamento religioso e spirituale, economico, sociale, istituzionale e culturale, che aveva pervaso il mondo occidentale dopo il Mille. I termini usati nei documenti con cui il monastero viene assegnato all'abate di S. Zenone, lasciano intendere chiaramente quali obiettivi si fosse proposto il giudice d'Arborea. L'abate doveva destinare a S. Maria di Bonarcado un adeguato numero di monaci, ed essi dovevano impegnarsi con la loro opera a migliorare la produzione e i metodi di lavoro agricoli, ad aumentare l'estensione dei terreni coltivati dissodando e bonificando, a moltiplicare i tipi di cultura, piantando frutteti. Le cospicue assegnazioni di terra, da tenere a coltivo, a pascolo o a vigna, le altrettanto ricche donazioni di bestiame e di coltivatori - liberi e servi -, la concessione di importanti franchigie e di esenzioni, fecero del monastero di S. Maria di Bonarcado uno strumento di progresso economico e sociale, oltre che un centro di devozione popolare.
Da un diploma rilasciato nel 1182 da suo nipote Barisone risulta che C. edificò a sue spese una chiesa dedicata a S. Nicola di Urgen.
Fonti e Bibl.: P. Tola, Codex diplom. Sardiniae, I, Augustae Taurinorum 1861, docc. 26, 27; E. Besta-A. Solmi, I condaghi di S. Maria di Bonarcado e di S. Nicola di Trullas, Milano 1937, docc. 1, 99, 131, 142, 148; G. F. Fara, De chorographia Sardiniae libri duo. De rebus Sardois libri quatuor, a cura di L. Cibrario, Augustae Taurinorum 1835, p. 237; G. Manno, Storia di Sardegna, II, Milano 1835, pp. 296, 301; P. Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, I, Torino 1837, p. 246; E. Besta, La Sardegna medioevale, I, Palermo 1908, pp. 179, 184; D. Filia, La Sardegna cristiana, II, Sassari 1913, p. 12; D. Scano, Serie cronologica dei giudici sardi, in Arch. stor. sardo, XXI (1939), 3-4, p. 63.