COSTANTINO da Loro (al secolo, Lorenzo Liberato Mochi)
Nato a Loro Piceno (Macerata) nel 1704, entrò nell'Ordine dei cappuccini il 17 marzo 1724, forse spinto dalla devozione per s. Serafino da Montegranaro, che era stato ospite del convento di Loro. Compiuti i consueti studi nelle scuole dell'Ordine, nel 1738 venne destinato alla IX spedizione dei missionari cappuccini nel Tibet.
Nel 1703 la Congregazione de Propaganda Fide aveva decretato lo stabilimento di una missione nel Tibet, affidandola ai cappuccini della provincia picena. Nei primi decenni della missione erano stati ottenuti scarsi risultati, anzi nel 1733 icappuccini avevano dovuto abbandonare Lhasa. Il prefetto, padre Francesco Orazio della Penna, si era allora recato a Roma (1735)ed era riuscito ad ottenere dalla Congregazione una riorganizzazione della missione, facendosi assegnare mezzi finanziari e dieci missionari, dei quali otto ecclesiastici, tra cui C., e due laici.
C. partì da Loro il 12 ag. 1738; riunitosi col suo gruppo ad ottobre lasciò l'Italia e l'11 marzo 1739, s'imbarcò a Lorient su nave francese. Sbarcato il 26 settembre a Chandemagore, il 6 genn. 1740 arrivò all'ospizio aperto dai cappuccini a Patna e il 6 febbraio all'ospizio di Bathgaon; passò in seguito a quello di Kathmandu, dove dovette rimandare la partenza per imparate le lingue indostana e tibetana, ma anche per il vaiolo imperversante nel Tibet, fino al 4 ottobre. Superate le numerose difficoltà ed i pericoli del percorso, quasi tutto di alta montagna, finalmente il 6 genn. 1741 C. giunse a Lhasa insieme con i padri Francesco Orazio della Penna, Gioacchino da Esanatoglia, Floriano da Jesi, Tranquillo d'Apecchio, Cassiano da Macerata e il frate laico Paolo da Firenze.
Di questo lungo viaggio, durato "anni 2, mesi 4, giorni 25", conosciamo molti particolari dal Giornale del padre Cassiano e dalle lettere, alcune vere e proprie relazioni, che C. inviò ad amici e conoscenti italiani. Queste lettere, pubblicate da L. Petech, presentano un notevole interesse geografico, benché C. non avesse l'intenzione preminente di descrivere il terreno attraversato; rimane infatti il merito, suo e del padre Cassiano, di averci lasciato una precisa descrizione della via Kathmandu-Kuti-rGyal-rtse-Lhasa, non percorsa in seguito, per quanto risulta, da viaggiatori europei (lettera datata Lhasa, 15 ott. 1741).
Consegnati al re del Tibet, P'o-lha-nas, un breve ed i ricchi doni di Clemente XII, nel frattempo defunto, i missionari ottennero, con un solenne diploma, la libertà di culto e di proselitismo. Più numerosi che in passato e disponendo anche di maggiori mezzi, essi svolsero - grazie anche al possesso di una sufficiente dotazione di caratteri tipografici tibetani forniti loro dalla stamperia di Propaganda Fide - un'attiva opera di propaganda scritta ed orale, riuscendo a convertire una ventina di indigeni tra uomini e donne, tutti del popolo minuto. Ma questo successo causò la decisa ostilità dei lama, soprattutto quando i neofiti rifiutarono di prendere parte alle preghiere lamaiste, che avevano il carattere di culto di Stato; P'o-lha-nas fu così costretto a far intervenire i tribunali, che condannarono cinque cristiani alla fustigazione nella pubblica piazza (22 maggio 1742).
La lettera di C., in data Lhasa 21 luglio 1742, pubblicata, oltre che dal Petech, negli Analecta Ord. min. capucc. del 1902 e, tradotta in francese, negli Annales franciscaines del 1905 (XLIV, pp. 35-41, 86-89, 174-181, 232-236), è utile per ricostruire le cause del fallimento della missione. C., che scrive in un comprensibile stato di disperazione, dato che attorno ai cappuccini si è fatto il vuoto e gli stessi catecumeni li hanno abbandonati, addossa ogni responsabilità alla perfidia dei lama, senza rendersi conto che il proselitismo religioso in uno Stato teocratico comportava notevoli ripercussioni di carattere politico-sociale: nel momento in cui l'azione dei cappuccini non passò più inosservata la missione divenne impossibile. Le lettere che C. inviò da Lhasa hanno un'importanza non trascurabile anche per la storia del Tibet: sono ovviamente fonti sussidiarie rispetto alle cronache locali, ma utili per la descrizione dell'ambiente sociale, sia della corte sia del popolo minuto; inoltre, forniscono alcuni cenni, preziosi in quanto le fonti locali tacciono in questo campo, sulle istituzioni politiche e giuridiche e sull'economia del paese. Anche dal punto di vista etnografico queste lettere sono interessanti e qualche volta possono integrare il Giornale del padre Cassiano. C. non rivela certo una mentalità scientifica: è un missionario pieno di fervore serafico, giunto fino al Tibet per fare opera di apostolato religioso e non per studiare i costumi del luogo. Tuttavia le sue descrizioni delle feste dei Tibetani, in particolare quella dello smon-lam nella lettera del 15 ott. 1741, e dei loro riti al momento della morte dimostrano un discreto spirito di osservazione. Manca a C. quella capacità di penetrare nell'intimo della religione lamaista, che invece bisogna riconoscere a Ippolito Desideri; il fatto è in parte spiegabile con il diverso "cursus studiorum" del gesuita e di C., che, come gli altri cappuccini, era venuto direttamente alla missione dopo i normali studi, di seminario, senza alcuna preparazione supplementare. Non deve sorprendere quindi che C. travisi completamente il senso della spiritualità tibetana o confonda le Tre Genime del buddismo (Buddha, Dharma e Sangha) con la Trinità del cristianesimo.
Il padre Francesco Orazio della Penna, visto che l'attività della missione era paralizzata (la piccola comunità cristiana resisteva, ma non si potevano catechizzare altri tibetani) inviò C., il padre Cassiano ed il padre Floriano nel Nepal, ritenendo più proficua la loro presenza colà che a Lhasa. Partiti il 31 ag. 1742, C. e i due compagni fecero il viaggio di ritorno, a parte una deviazione per gZiska-rtse, sullo stesso percorso dell'andata ed il 13 ottobre rimisero piede a Kathmandu. Nello stesso mese C., per disposizione del prefetto, si recò nell'ospizio di Bathgaon, dove fino all'agosto 1744 svolse opera di apostolato con il continuo timore che un vistoso successo potesse scatenare la reazione, come era avvenuto nel Tibet. Con lettera del 2 genn. 1744, inviata da Lhasa, il padre Francesco Orazio della Penna invitò C. ad aprire un ospizio nella città di Patan. C. in un primo tempo rifiutò, ma poi, per l'insistenza del prefetto, dovette obbedire. Il 23 agosto poté aprire, in una casa donata dal re della città, il nuovo ospizio, rimasto sempre secondario rispetto a quelli di Bathgaon e di Kathmandu. Anche se sfiduciato dall'esperienza negativa di Lhasa e desideroso ormai di ritornare in Europa, C. riuscì a convertire alcuni nepalesi e a battezzare numerosi bambini in articulo mortis;ma, pur non essendoci a Patan una chiesa organizzata come quella tibetana, l'ostracismo sociale colpiva i neoconvertiti. La benevolenza che C. riuscì ad ottenere dalla regina e dai notabili della città era dovuta solamente alle sue conoscenze mediche, modeste ma provvidenziali in quei luoghi.
Durante la permanenza nel Nepal C., oltre ad alcune lettere che contengono notizie sui costumi del paese, scrisse una ponderosa opera, ora perduta, sull'induismo nepalese intitolata Notizie laconiche di alcuni usi, sacrificij et idoli del Regno del Nepal raccolte nell'anno 1744.
Il manoscritto, di circa trecento pagine, abbellito da numerose illustrazioni, alcune delle quali a colori, eseguite da un disegnatore nepalese, fece parte della collezione del museo di Velletri del cardinale Stefano Borgia, appassionato orientalista e poté essere apprezzata anche dall'Amaduzzi. Invece Paolino da San Bartolomeo, che pur se ne servì nel suo Systema brahmanicum, nell'Examen historico-criticum codicum Indicorum criticò l'opera per la superficiale conoscenza del sanscrito dimostrata da C. e per il peso attribuito alle credenze popolari sulle divinità induiste piuttosto che alla tradizione. Nel 1878 il De Gubernatis, non trovando più il manoscritto, dovette limitarsi a pubblicarne un breve estratto di autore ignoto.
Trascorso ormai un decennio nelle missioni, C. nel settembre 1749 spedì la lettera di ubbidienza per poter ritornare alla sua provincia; si imbarcò per l'Europa il 12 dic. 1751 ed arrivò in Italia nel 1752. Il suo nome compare in un elenco dei cappuccini della provincia marchigiana del 1754; in un altro del 1758 egli compare col titolo di vicario del convento di Ascoli Piceno, motivo per cui venne chiamato anche Costantino d'Ascoli. In questo convento morì in odore di santità, secondo quanto attestano documenti dell'Ordine consultati da G. Cicconi, il 31 ag. 1770.
Fonti e Bibl.: Fondamentale è I missionari ital. nel Tibet e nel Nepal. I cappuccini marchigiani, a cura di L. Petech, I-II, Roma 1952, di cui v. Ind. gener. nel III vol., ibid. 1956 (nel I vol.notizie su C., da fonti edite ed inedite; nel II volume sono pubblicate undici lettere di C.); G. C. Amaduzzi, Prefazione, in Cassiano da Macerata, Alphabetum Brammahanicum seu Indostanum, Roma 1771, p. XVIII; F. Vecchietti, Bibliografia Picena o sia notizie istoriche delle opere e degli scrittori piceni, II, Osimo 1791, p. 315; Paolino da San Bartolomeo, Systema brahmanicum.., Romae 1791, passim; Id., Examen historico-criticum codicum Indicorum bibliothecae... Prop. Fide, ibid. 1792, pp. 15, 73-75; Id., Musei Borgiani Velitris codices manuscripti, ibid. 1793, pp. 35, 38, 63, 75, 201, 251; Id., India orientalis Christiana, ibid. 1794, pp. 165, 195; C. Lucchesini, Della illustr. delle lingue antiche e mod. ... nel sec. XVIII, II, Lucca 1819, p. 214; F. Predari, Orig. e progresso dello studio delle lingue orient. in Italia, Milano 1842, p. 48; A. De Gubernatis, Storia dei viagg. ital. nelle Indie orientali, Livorno 1875, p. 65; Id., Gli scritti del P. Marco della Tomba, Firenze 1878, pp. 300-304; P. Amat di S. Filippo, Biogr. dei viagg. ital., Roma 1882, p. 504; Relatio antiqua Missionis Thibetanae, in Analecta Ord. min. capuccinorum, XVII (1902), pp. 337-349; G. Cicconi, Il Tibet dagli scritti di un miss. franc. lorese nel sec. XVIII, in Atti e mem. del Convegno di geografi-orientalisti tenuto in Macerata il 25, 26, 28 sett. 1910, Macerata 1911, pp. 144-151; A. Jann, Zur Kulturarbeit…, Paderborn 1920, pp. 195-196, 199-201, 203; Id., Die Aktensammlung des Bischofs A. Harmann, Luzern 1925, p. 70; Giuseppe da Fermo, Gli scrittori cappucc. delle Marche, Jesi 1928, pp. 27 s.; R. Streit-J. Dindinger, Bibliotheca missionum, VI, Aachen 1931, pp. 115, 137; Clemente da Terzorio, Le missioni dei minori cappucc., VIII, Roma 1932, pp. X, 361, 411; IX, ibid. 1935, pp. 10, 50; Enc. Catt…, IV, col. 730; Lexicon capuccinum, Romae 1951, coll. 453 s.